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Autore: Mo0ny_    15/11/2021    1 recensioni
[KageHina, artistAU]
Hinata è un artista incerto sul suo stile di disegno. Kageyama è un musicista sicuro di quello che vuole comunicare. È il loro incontro a dare sicurezza all'uno e a mettere in confusione l'altro.
Dal testo:
"La sua attenzione non venne catturata all’istante. Ci volle un po’ perché il suono del piano, della chitarra e della batteria arrivassero all’orecchio di Hinata. Sentiva il cuore stringersi in una morsa malinconica. Si guardò intorno ma non leggeva negli altri la stessa emozione. Le note rockettare erano intrinseche di un’energia di cui Hinata si sentì rapito.
Vide colore."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Di come colori e note, parlarono
Parte 2

Era la prima volta che si salutavano senza darsi un appuntamento successivo. Forse era stato troppo avventato, stava per baciarlo maledizione! Se ci pensava, ancora si torturava i capelli. Tuttavia, più ci rifletteva, più si rendeva conto che quella era solo la cosa giusta. Non lo sentiva da quella sera, non aveva avuto neanche il coraggio di mandargli un messaggio. Lo stava respingendo, vero?
Kageyama non pensava a lui come Hinata credeva. Voleva piangere, voleva davvero sfogarsi in qualche modo.
Corse fuori a fare una passeggiata. Il parco era sempre stato una fonte di ispirazione, un posto dove trovare soggetti da disegnare e anche dove divertirsi dopo le ore passate sullo sketchbook. C’era sempre qualcuno disposto a fare qualche passaggio con una palla, qualche bambino bisognoso di un compagno. Così là si diresse. Si sedette su una panchina incrociando le gambe su quella. Rimase lì, immobile a pensare con le mani a sorreggergli le guance.
Furono due mani poggiate sui suoi fianchi e un “Boom!” urlato che lo ridestarono facendolo quasi cadere a terra.
Yaichi gli sorrise, aveva i ciuffi biondi mossi al vento, aveva corso per fargli quello stupido scherzo.
-Potevi farmici rimanere secco! –si sistemò pettinandosi con le mani e riportando i ciuffi al loro posto.
-Da quando sei così drammatico?! –erano amici fin da quando andavano al liceo. L’aveva conosciuta per caso e non era stato semplice aprire una conversazione con lei data la sua timidezza. Con il passare del tempo era diventata più decisa e sicura di sé. La ragazza rubò un po’ di posto sulla panchina e prese dallo zainetto arancio un taccuino e una matita.
-Avevi detto che era sciocco farlo! –Ricordava perfettamente tutti i rifiuti rifilatogli ogni volta che gli proponeva di recarsi lì per disegnare insieme.
-Avevo detto che era sciocco non allenarsi prima su modelli che avessero la grazia di rimanere fermi! E poi sto disegnando l’albero! –girò il foglio come prova. Yaichi era la numero uno quando si trattava di paesaggi e disegno dal vero. Più volte aveva provato genuina invidia per il suo talento. –Tu non disegni –notò poi e i suoi occhi marroni furono subito sul volto dell’amico. Shoyo non si era portato dietro nemmeno il giacchetto che in quelle giornate autunnali era di primaria importanza,  figuriamoci i fogli!
Yaichi lo squadrò da capo a piedi cercando qualche indizio sul possibile umore dell’amico.
-Ch’è successo in questi giorni in cui non ci siamo sentiti? –Shoyo si alzò dalla panchina e con le mani strette alle braccia la invitò ad andare verso il bar là vicino, le avrebbe raccontato tutto lì.
 
Dinanzi ad una cioccolata calda, tutto sembrava più dolce. O forse Shoyo cercava di vederla da quella prospettiva. Raccontò alla sua amica tutto quello che gli era capitato: di come aveva conosciuto Tobio, dei mille messaggi e del rapporto strano che si era formato fino alla notte in cui si era sottratto al suo bacio. Yaichi ascoltò tutto senza proferire parola, nemmeno un’espressione che lasciasse trapelare i suoi pensieri.
A fine racconto sorrise e scosse la testa, come si fa con un bambino dinanzi alla più semplice soluzione di un problema altrettanto semplice.
-Shoyo, ti sei innamorato? –Bevve un sorso della sua cioccolata per evitare di rispondere o comunque per ritardare. Venne comunque incitato da uno più che eloquente sguardo dell’altra.
-Io… non lo so. Credo di sì ma vedi, ci conosciamo da troppo poco tempo per… -il rosso rifletté sulla sua ultima frase. Improvvisamente aveva trovato la soluzione ai suoi problemi, il tassello mancante.
-Non è troppo tardi per voi, è forse solo troppo presto –Shoyo annuì. Aveva in testa un solo pensiero: tornare a casa e chiamarlo. Pagò il conto per entrambi  e se ne andò ringraziando Yaichi che gli fece promettere di avvertirlo dei prossimi sviluppi.
 
Kageyama era una persone introversa. Non era mai stato bravo ad iniziare una conversazione con altri o a mantenere un rapporto di amicizia. Sua sorella era forse la persona a lui più vicina, colei con cui poteva dirsi libero di chiacchierare di ogni cosa, anche se era sempre Miwa a spronarlo a confidarsi. Miwa lo sentiva che qualcosa lo turbava, avrebbe voluto aiutarlo ma non sapeva come. Non era facile capire suo fratello, era certa di non averlo mai visto in quel  modo. Aveva passato l’ultima settimana ad osservare il telefono, ad urlargli contro e a suonare qualcosa per poi distrarsi e ricominciare tutto daccapo .
La svolta sembrò esserci quando gli arrivò una chiamata: erano pronti per cenare insieme e la suoneria richiamò l’attenzione di Tobio che andò a rispondere pensando fosse Miya o qualcun altro della band per via delle imminenti prove che dovevano tenere. L’espressione che seguì quando lesse il nome della persona che lo stava chiamando, Miwa era certa di non avergliela mai vista in faccia. Si affrettò a correre per raggiungere un’altra stanza con il cuore in gola.
-Pronto? –Sperò non trasudasse nessuna emozione dal suo tono di voce. Sbatteva nervosamente il piede a terra e con una mano si torturava i ciuffi neri.
-Ciao! Disturbo? –il candore della voce di Shoyo fece nascere un sorriso spontaneo sulle labbra del bassista. -No, no. –Seguirono pochi secondi di silenzio imbarazzante dove entrambi pensarono a come dire quello che dovevano dire.
- Potremmo vederci? –
-Ti va di vederci? –Lo proposero all’unisono e ciò fece ridere Shoyo.
-Wow, siamo d’accordo su qualcosa! –L’altro annuì ma rendendosi conto che altro non poteva vederlo sussurrò un “eh già”. –Domani finisco lezione alle 4, possiamo vederci al bar davanti l’Accademia. –
-Va bene –Tobio nemmeno sapeva dove fosse quella dannata Accademia. L’avrebbe cercata su Google Maps, anche su una normale cartina geografica se fosse servito. Doveva rivederlo!
-O-ok. Allora, a domani? –
-A domani -   
La chiamata si chiuse e Hinata tirò un sospiro di sollievo. Lui era stato impetuoso come suo solito senza pensare che per Kageyama tutto era nuovo. Probabilmente era l’unico con cui aveva parlato così, con il cuore in mano. Aveva bisogno di tempo e glielo avrebbe dato.
 
Le foglie scricchiolavano sotto i suoi piedi. Adorava calpestarle, gli dava la stessa gioia che ad un bambino dava calciare una palla. In qualche modo, pensava di potersi distrarre, di coprire il rumore dei suoi pensieri. L’ultima volta aveva avuto paura. Si morse l’interno della guancia al pensiero. Non sapeva bene cosa provasse, cosa volesse dire ad Hinata. Era confuso e sperò di trovare il modo di tradurre quello che provava senza andare in pallone.
Ma sapeva anche di essere grande, a volte un po’ goffo e incapace di esternare i suoi sentimenti.
L’unico modo che aveva per comunicare era sulle sue spalle. Il basso cominciava a divenire pesante, stava camminando da un po’ e con estrema lentezza ma nonostante ciò arrivò al bar con quindici minuti di anticipo. Era impaziente e al contempo impaurito. Non ebbe molto tempo per soffermarsi sui suoi sentimenti perché vide la chiazza di capelli rossi attraversare la strada. Era in anticipo anche lui. Il cuore cominciò a battergli con insistenza, sentiva il respiro venirgli meno. Sbatté il piede a terra e mano a mano diminuì il ritmo come faceva durante i concerti. Era un modo efficace per scaricare l’ansia, per allontanarla.
-Kageyama! –urlò Hinata con enfasi appena lo notò. Il moro si guardò intorno sperando che l’altro non avesse attirato troppo l’attenzione dei passanti. Riusciva sempre ad imbarazzarlo in qualche modo!
Alzò una mano a mo’ di saluto  incamminandosi verso di lui. Indossava una montatura di occhiali tonda.
-Da quando porti gli occhiali?! –non riuscì a trattenersi e Hinata fu felice di vedere che potevano comunicare come avevano fatto fino a giorni addietro, senza ansie.
-Da qualche anno, sono da riposo. Non mi stanno?! -Gli stavano bene. E anche tanto. Hinata indossava dei jeans larghi, un maglioncino bianco e un giubbotto d’aviatore arancio. Stringeva fra le mani una cartella colma di fogli, alcuni fuoriuscivano anche dallo zaino grigio costellato da spillette. Le guance arrossate per il freddo mettevano in evidenza le piccole lentiggini che gli costellavano il volto. Non erano molto scure, le si notava solo a pochi centimetri dal volto.
Gli era mancato tutto di lui.
-Sembri un idiota –non era vero, il sorriso che gli si creò sul voltò lo confermò. Ma era così che comunicavano e sarebbe stato strano dire che, ad entrambi, era mancato.
Hinata rise e lo invitò ad entrare. Si sedettero infondo al locale dove i divanetti scuri gli permisero di godere della privacy di cui avevano bisogno.
-Stavate suonando? –Kageyama annuì mentre si toglieva il basso dalle spalle.
-Oikawa ha scritto un nuovo pezzo, cercavamo di arrangiarlo –Dovette pensarci un po’ prima di capire chi fosse Oikawa.
-Lui scrive la canzoni?! –Ora capiva l’invidia che Kageyama aveva esternato poco tempo prima. I testi erano sempre orecchiabili e mai banali.
-Generalmente si, ma anche Suga propone spesso qualcosa –Anche Hinata sistemò tutte le sue scartoffie con cura. Non aveva mai visto qualcosa disegnato dal rosso, voleva chiedergli se potesse dare un’occhiata ma la richiesta fu bloccata dal cameriere che prese le loro ordinazioni. Calò il silenzio, un silenzio imbarazzante che Kageyama ruppe.
-L’ultima volta che ci siamo visti… -Hinata strabuzzò gli occhi e sistemò gli occhiali sul naso. Non pensava che l’argomento venisse fuori subito e, soprattutto, non pensava sarebbe stato il moro ad aprirlo.
-Scusami! –urlò il rosso mettendo le mani avanti. –Non volevo metterti fretta. In verità non sapevo nemmeno se tu lo volessi, avrei dovuto parlartene prima. Forse. Credo. –
-Lo volevo idiota! Solo che… -sbatteva nervosamente il piede a terra. Diamine, era andato in pallone. Non sapeva come riprendersi, ci stava pensando troppo!
-Ti sei spaventato –Sì, Hinata aveva centrato il punto. Riusciva sempre a dare un nome alle sue stupide emozioni. Annuì non riuscendo a guardarlo negli occhi. Vi era un rapporto di sfida fra loro, era nato spontaneamente e quella volta Kageyama aveva perso. –Però, beh… Recuperi alla grande, hai tirato tu fuori l’argomento –La risata del rosso era genuina e senza alcuna malizia. Alzò lo sguardo su lui e il cuore perse un battito. Gli piaceva, tanto.
-Ricominciamo? –Hinata gli rivolse un grande sorriso e annuì.
-Ricominciamo –
 
Avevano trascorso le due ore successive a chiacchierare. Avevano ordinato una seconda bibita calda per non occupare il posto inutilmente. Decisero poi di uscire a fare una passeggiata. Hinata se ne pentì subito, odiava il vento freddo pizzicargli sul naso. Kageyama era coperto con sciarpa e cappello rigorosamente blu. Il lungo cappotto scuro doveva offrirgli ulteriore protezione dal freddo.
-Quando suonate di nuovo? –ad Hinata piaceva la musica dei Setter Soul, ancor di più le sfumature che Kageyama era in grado di creare e voleva assolutamente risentiti
-Sabato, al primo locale dove sei venuto a vederci. –Hinata gli sorrise.
-Ci vediamo lì? –Non gli dava fastidio saperlo fra il pubblico, anzi. Il rosso capiva il più delle volte cosa volesse esprimere nonostante non fosse un musicista. La musica era il suo mondo, il mondo di Hinata era diverso e voleva scoprirlo.
-E se mi mostrassi qualcosa che riguarda te? –
 
Non era mai stato un problema che le persone guardassero le sue opere, anzi, gli aveva sempre fatto piacere che gli altri vedessero cosa era in grado di creare. Il più delle volte era stato lui stesso a mostrarle in giro. Tuttavia, gli occhi di Kageyama erano difficili da decifrare. Guardava in religioso silenzio i fogli. Lo aveva invitato a casa sua e gli stava mostrando alcune fra le sue opere. Aveva fatto una grande fatica a selezionarle. Alcune illustrazioni erano inchiostrate male, altre non era certo l’acquerello fosse steso bene, altre ancora non rispettavano le proporzioni.
Aveva chiesto a sua sorella quale fossero le più belle secondo lei ma la bambina aveva allargato le braccia, l’aveva catturato in un abbraccio e gli aveva urlato che i disegni del fratellone erano tutti fantastici.
-E poi, sono contenta che ora tu sia più felice –quelle parole lo avevano colpito. Sì, forse vi era stata una fase in cui non faceva che litigare con il suo stile, con il suo tratto impreciso e con l’anatomia che non rispettava i canoni. L’aveva più volte soffocato quel suo stile ma la chiacchierata con Kageyama l’aveva convinto a farlo venir fuori, alla luce.
Si mordeva le unghie e pensava a come soffocare il bassista con il suo cuscino se non si fosse mosso a dare un giudizio. Kageyama toccava la superficie ruvida dei fogli sfiorando le parti colorate. Hinata abusava del colore, lo usava in maniera spropositata. Ma seguiva sempre una certa palette che riusciva a dare intensità, emozione.
Ne stava guardando uno dove due mani aprivano un guscio d’uovo da cui fuoriusciva una ragazza.
Vuota, finita. Trasmetteva dolore e non capiva come quelle emozioni fossero state dipinte dalla mano di Hinata che era sempre allegro. In un’altra illustrazione, una giovane di cui non si distinguevano i tratti camminava in un giardino fiorito lasciando tracce di sangue, macchiando margherite bianche.  
Ma quello che più lo colpì fu certamente l’ultimo. Una figura scura, un’ombra in mezzo a gente piena di colore. L’ombra suonava uno strumento, un basso blu elettrico così come gli occhi.
-L’ho fatto la prima volta che ci siamo visti –rivelò trovando il silenzio troppo soffocante. –Non ti piace?
Kageyama sfiorò ancora la carta con i polpastrelli, incredulo nel constatare che la figura gli somigliasse. Si riconosceva nella sagoma e dagli occhi che gli erano familiari, ne riconobbe tutte le pagliuzze chiare.
-Sei un mostro, CretHinata –Fu il giudizio finale. Un sorriso compiaciuto gli marcava il viso e Hinata saltò entusiasta.
-E non potevi dirlo prima?! –Cercò di sistemare i ciuffi rossi ma il troppo entusiasmo lo rendeva difficile.
-Sembri un bambino –Ma non era un’offesa. La voce di Kageyama era felice, spensierata. Teneva ancora in mano quel disegno.
-Puoi tenerlo –Separarsi da un’opera era sempre difficile, ma quella volta sentiva che era giusto così. Quel dipinto apparteneva al bassista molto più che a lui. Kageyama sembrò commosso, era rimasto con la bocca socchiusa non sapendo che dire. –Hai perso la voce, Bakageyama? –si avvicinò al suo volto per guardarlo meglio, per godersi le goti arrossate e gli occhi lucidi.
Non si aspettava che la vicinanza venisse  annullata per unirsi in un bacio. Un bacio che lo portò ad allontanarsi per la sorpresa, un bacio delicato come pochi ne aveva ricevuti in vita sua.
-Hai perso la voce CretHinata? –Non perse tempo nel ribattere, ogni offesa se la teneva stretta al dito. Sorrise contro le sue labbra per poi baciarlo a sua volta. Hinata non era delicato come il suo compagno, Kageyama lo avrebbe definito “impetuoso” ma estremamente dolce. La mano di Hinata gli sfiorò la guancia e fu svelto ad accarezzarla. Aveva imparato che quelle piccole mani sapevano creare cose grandi. Hinata era decisamente un mostro, il suo stile inusuale lo aveva colpito, gli aveva permesso di entrare nel suo mondo.
E quando con delicatezza si staccarono, senza mai smettere di guardarsi, Hinata disse: -Mi hai rubato le parole –
La felicità di entrambi era palpabile.
Erano come due forme d’arte, loro due. Una lo specchio dell’altro. Hinata, dal carattere solare e spontaneo catturava le ansie e i dubbi con mine e pastelli e le teneva intrappolate su carta.
Kageyama le aveva stampate in faccia tutte le difficoltà che il mondo gli creava e colorava gli spartiti vuoti per dare speranza, per raccontarsi.
Entrambi avevano capito l’altro in un modo che, erano certi, forse nessuno avrebbe fatto.
-Sabato suoniamo –E Hinata intuì che c’era qualcosa che gli avrebbe fatto piacere ascoltasse, qualcosa che voleva raccontare.
-E io sarò fra il pubblico –
 
Suga ci aveva scommesso su loro due, lo aveva intuito sin da subito che insieme sarebbero stati una bella coppia. Fu uno spasso quando convinse Oikawa e Miya ad accompagnarlo fuori per fumare una sigaretta e li trovarono a baciarsi poco più distanti da loro. Il povero Kageyama fu investito dalle mille domande di Miya e dalle mille battute di Oikawa. Ciò che più lo metteva in soggezione era, in verità, lo sguardo di Suga che sembrava volergli dire: “Io lo sapevo!”.
Anche sul palco il trio lo osservava incuriositi da quel lato di Kageyama che non conoscevano. Anche quella sera aveva stravolto il ritmo della musica. Suga in particolare lo odiò per quello, era difficile stargli dietro anche se non impossibile. Gli avrebbe fatto una strigliata più tardi, o forse no. Del resto il pubblico sembrava apprezzare e neanche ai Setter Soul dispiaceva il ritmo che stava prendendo quel concerto.
Kageyama però lo sapeva che solo una persona avrebbe capito quelle note, le avrebbe tradotte nel messaggio che sentiva di voler gridare al mondo.
 
 
“Non sono più solo”
 


 
|||Angolo Autrice|||
In verità non ho nulla da dire ma mi sembra sempre freddo concludere senza un "angolo autrice" ahahah. Grazie mille per essere arrivati fin qui e spero di rivederci presto!
Mo0ny!
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