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Autore: coopercroft    17/11/2021    0 recensioni
Laura Lorenzi è un giovane dottoressa italiana, arrivata a Londra per specializzarsi in patologa forense. Convive con un doloroso passato che l'ha chiusa in una solitudine forzata.
Quel lavoro, che tanto ha voluto, le fa conoscere un uomo complicato e singolare con cui inizia un rapporto altalenante pieno di luci e ombre: Mycroft Holmes, fratello maggiore del più noto Sherlock.
Quella frequentazione problematica trascina Laura in gioco di potere, di attentati, di omicidi che logorerà entrambi.
Tra discussioni e riavvicinamenti, si ritroverà a combattere con caparbietà per quel sentimento tormentato che li avvolge sempre più strettamente: una "solitudine elettiva" che li porterà ad aprirsi reciprocamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando sentii rincasare John e Sherlock, ero nella mia camera. La giornata era stata pesante, infilai il vecchio pigiama svogliata e mi lasciai andare nel letto. Mi voltai a fissare la lampada accesa sul comodino. La mente mi restituì impietosa le immagini delle mani ferite di Mycroft, il tormento del suo volto, la devastante confessione delle torture.

Le lacrime scesero lente, il mio corpo avvertì le sevizie che avevo patito in Italia. Sentii il dolore delle costrizioni. Lo schifo che avevo subito. Mi resi conto che Malvest aveva fatto lo stesso con lui, lo aveva devastato fisicamente e moralmente. Ero certa che se non fosse riuscito a decomprimere il suo calvario, non mi avrebbe permesso di avvicinarlo e la nostra storia sarebbe finita.

Con la testa affondata nel cuscino, soffocai un singhiozzo. "Ti amo, stupido uomo di ghiaccio, come puoi non capire?"

Mi addormentai spossata e mi svegliai il mattino seguente nella stessa posizione. Iniziava un'altra giornata da portare a casa.

Assonnata indossai i miei jeans preferiti, una camicia colorata e un comodo maglione blu.

Quando scesi cercai con lo sguardo Mycroft. La porta della sua stanza era chiusa, evidentemente riposava ancora. Sherlock stava accudendo Rosie nella sua cameretta.

John mi guardò incuriosito mentre preparava la colazione.

"Allora, Laura, come è andata ieri?" Gli raccontai della serata decente che avevamo passato, della piccola apertura che mi aveva concesso. Del suo comportamento altalenante.

"Penso che i farmaci non lo aiutino molto. Ha sbalzi di umore troppo rapidi." Watson annuì. Poteva capire che il suo comportamento non fosse normale, perché lo conosceva bene.

"John aiutalo tu, io devo lavorare, cerca di farlo riposare."

Si rigirò fra le dita l'orologio da polso mentre lo allacciava. "Laura, va tranquilla, ma sai quant'è testardo." Mi versò del caffè.

"Scusami, sono troppo apprensiva, ma vederlo così mi fa male."

Arrivò Lestrade, vidi l'auto sotto casa. Buttai giù il caffè, indossai il cappotto e scesi rapida.

"Ciao, Lorenzi, sali." Era alla guida di un'auto anonima. Aprii e mi accomodai al suo fianco.

"Come stai? Brutta storia con Malvest. Sherlock ha detto che se ne occuperà, intanto ti tengo d'occhio." Lo guardai divertita. Aveva quel piglio deciso e alla mano che era esattamente il contrario di quello di Holmes.

"Sto bene, ma se non puoi venire vedo di tornare con qualcuno." Brontolò. "Abbiamo altre auto di servizio per proteggerti, non c'è solo il British Government."

"Ok, ti prendo in parola." Lo rassicurai stringendogli la mano sulla spalla e sorrisi vedendolo guidare preoccupato.

Il viaggio fu breve, lo salutai e mi avviai al san Bart. Ligio al suo compito aspettò che entrassi. Era una brava persona, la sua schiettezza era disarmante.

Molly era già al lavoro, un caso importante la trattenne per oltre due ore, la aiutai e immagazzinai tutto quello che potevo. Era la più giovane patologa di Londra, preparata e competente.

Non potevo che ammirarla.

"Crescerai Laura, la stoffa la possiedi. Abbi più fiducia in te stessa." L'abbracciai riconoscente. "Grazie Molly." Mi chiese di Mycroft. Le raccontai lo stretto necessario, tralasciando gli abusi.

Uscimmo per pranzare insieme, ne approfittai per non rimanere da sola.

Solo nel primo pomeriggio, Hooper dovette andare a Scotland Yard per una consulenza.

Non dissi nulla di Malvest per non preoccuparla. Ma quando tornai, mi chiusi inquieta dentro al laboratorio.

Stare sola non mi piaceva, ma presa dal lavoro presto l'ansia mi abbandonò.

Sembrava una giornata tranquilla, quasi noiosa.

E invece.... tutto precipitò quando verso le tre del pomeriggio, sentii bussare alla vetrata e vidi comparire Mycroft. Si reggeva pesantemente sulle due stampelle. Aveva il volto indurito, la maschera che usava con le persone che detestava.

Gli aprii sorpresa. "Ma che fai qui? La parola riposo non ti dice nulla? Vuoi compromettere il ginocchio?"

Fissai Anthea che lo seguiva defilata, la faccia più scura di quella del suo capo, la mano che tamburellava sul cellulare. Allargò le braccia.

"Avanti, Laura, sto bene, non farmi la paternale! Devo andare in quella specie di ufficio." Mi superò senza darmi il tempo di spostarmi, sospettai che fosse arrabbiato e che ce l'avesse proprio con me.

Mi assalì una frustrazione profonda, fui acida e lo rimproverai.

"Vediamo come finisce stasera, quando il ginocchio ti presenterà il conto! Guarda, Mycroft, fai pure quello che credi, ma non aiuti nessuno a comportarti così. Sei presuntuoso e arrogante." Non riuscii a controllarmi e me ne pentii immediatamente.

Mi guardò velenoso, accennò un movimento con le labbra, ma si trattenne. Si voltò, strinse le mani sulle stampelle così forte che le nocche sbiancarono.

Lo avevo offeso, zoppicò indignato fino al suo ufficio. Provai un rancore profondo per quel suo comportamento irresponsabile.

Anthea mi appoggiò la mano sul braccio solidale. "Ha una brutta giornata. Gli hanno consegnato dei rapporti che lo hanno messo di cattivo umore. E ha voluto venire al san Bart."

Lo accompagnò nel suo studio e se ne andò mezzora dopo, contrariata, lanciandomi uno sguardo confuso.

Non avevo prestato molta attenzione alle loro discussioni. Certo qualcosa era successo. Per un secondo ebbi la sensazione che lui sapesse di Malvest.

Un presentimento che si avverò pochi minuti dopo. Mycroft si avvicinò alla porta del piccolo ufficio, con un'aria che non lasciava intendere nulla di buono.

Mi chiamò perentorio come fossi un suo sottoposto. "Lorenzi vieni, voglio parlarti."

Fui infastidita che mi avesse chiamato con il mio cognome, sospettai che fossero guai.

Non riusciva a stare in piedi, si sedette dietro alla scrivania appoggiando le mani fasciate ai braccioli.

"Che c'è? Non sono più Laura?" Mi stringevo nel camice, cercando un'inutile protezione. "Mi devi sgridare?"

Faticava a trattenersi, la sua voce fu brusca e sgarbata.

"Non provare più ad offendermi davanti ad Anthea! Bada Laura, non prenderti delle libertà che non hai."

Rimasi senza respiro, era adirato, ma ancora si conteneva.

Non era il mio Mycroft. Mi balzò il cuore in gola, il suo modo di fare canzonatorio era sparito, la sua ironia aveva lasciato il posto alla crudeltà dei suoi occhi. Ebbi paura e mi tenni distante.

"Scusami." Sussurrai pentita, mantenendo un tono distensivo.

Lui non si acquietò. "Lorenzi, se non hai capito, sono un uomo con delle responsabilità! Non trattarmi come uno stupido bambino! Non sono il tuo giocattolo da ragazzina viziata. Ti ho concesso la mia attenzione, non farmene pentire!"

Non risposi, impreparata dalla sua sfuriata.

Persi la fiducia, tutta la sicurezza che avevo riposto in lui sparì bruciata in pochi secondi. Arretrai di un passo. Se ne avvide, ma non si fermò.

Non riusciva a contenere la sua ira, lui che sapeva gestire così bene le emozioni era totalmente fuori controllo.

"Perché non mi racconti di Sir Malvest? Visto che sei così dannatamente presuntuosa da avermelo tenuto nascosto. E hai assurdamente coinvolto mio fratello, trascinandoti dietro anche Lestrade." Alzò troppo la voce, lo sguardo fisso su di me.

Balbettai allo sbando. "Non so come tu lo abbia saputo."

"Le telecamere, ti ricordi?" Portò il busto in avanti irritato da tanta ignoranza. I gomiti piantati sulla scrivania, le mani giunte.

Il suo comportamento pacato e misurato era totalmente assente. Non era l'uomo che mi aveva teneramente baciato settimane prima.

Dovevo reagire, correre qualche rischio, vedere fin dove potevo spingerlo. "Allora, Myc, se hai visto le registrazioni, sai cosa è successo!"

Sbuffò e si riappoggiò allo schienale. "Ma non so cosa ti ha detto!" Aveva allentato la presa.

Dovevo trascinarlo dove volevo io, metterlo davanti alla verità. "Perché dovrei dirtelo? Visto che non l'hai tolto di mezzo e mi hai gettato fra le sue viscide braccia."

"Laura!" Batté le mani fasciate sul tavolo, incurante del dolore che gli provocarono. Gli occhi grigi erano diventati scuri.

"Non si tratta di te, Mycroft! Vuole me adesso. In tutti i sensi." Sibilai rabbiosa, mentre mi sentivo sprofondare in quella lite che ci allontanava sempre di più.

Lo vidi annaspare, ma si riprese subito. "Non fare la stupida, sa che ti frequento ancora, perché dovrebbe intromettersi?"

"Mi vuole allontanare da te." Mi fermai, sapendo che lo avrei ferito rivelandogli quello che mi aveva fatto intendere Malvest. Ma ero stanca di trovarmi coinvolta in una situazione pericolosa, dove suo malgrado, mi aveva trascinato anche lui. "Non fare lo sprovveduto Myc, sai bene quello che mi ha detto. Non hai la fama di Smart One?"

Socchiuse gli occhi, le labbra strette. Le mani gli tremarono, le nascose rapido sotto la scrivania.

Aveva capito.

Era percorso dal rancore, sia verso di me che non lo assecondavo, che dall'umiliazione che gli aveva imposto Malvest. Faticava a reggere tutto insieme. Cercai di essere più dolce.

"Mycroft, ti ha fatto seviziare per vendetta personale nel suo contorto ragionamento che ti avrei lasciato e avrei cercato la sua protezione."

Cercava di ragionare velocemente, di capire dove aveva sbagliato, le mani ferite erano aggrappate ai braccioli della poltrona. Rincarai le accuse, sentendomi lacerata per la sua assenza. "Hai fatto il suo gioco, mi hai allontanato. E mi hai tolto la sorveglianza."

Lui tossì, prese un respiro profondo.

Abbassò la testa, sibilò a denti stretti. "Quindi ieri sera sapevi già tutto, e non hai detto nulla."

Annuii, decisa a continuare. "Sì, dovevo rispettare i tuoi tempi. Dovevi essere tu a dirmelo." Cercai di addolcirlo e replicai prontamente.  "E' questo il motivo per cui mi hai allontanato?"

Alzò la testa, esitava, si passò la mano fasciata sulla fronte. Gli tremò la voce. "Tu hai bisogno di un uomo al tuo fianco. Dopo le torture che ho subito, non sono più quello che conoscevi."

Esplosi seccata, incapace di capire i suoi contorti ragionamenti da maschio.

"Chissà perché tutti e due pensate che mi dovete scopare: tu che ti logori perché non riesci, e lui per la sua perversione."

"Laura, sei volgare, non è da te." Sbraitò indignato, ma sapeva che era vero.

"Per Dio, Mycroft! Mi hai allontanata soltanto perché non puoi soddisfarmi sessualmente. È incredibile." Mi avvicinai affranta. "Te l'ho mai chiesto? Ti ho forse detto che era indispensabile il sesso per continuare a frequentarci?"

Si sollevò inclinandosi in avanti, ribadì tutta la sua convinzione. "Una coppia lo desidera, come puoi pensare che io limiterei la tua vita con la mia impotenza."

"Basta Myc! Sapevi quello che avevo patito in Italia. Non ti ho mai chiesto notti di fuoco, ma amore, rispetto, tenerezza e condivisione." Esasperata, al limite della sopportazione, persi il controllo.

"Non sei diverso da Malvest! Mi volete possedere come fossi un oggetto! Sono Laura, guardami."

Era immobile, ansimò scomposto incapace di riprendere un minimo di equilibrio mentale.

Ci fu un silenzio aspro, nessuno dei due continuò.

Io tremavo nella concitazione della mia difesa, sembravo una scolaretta in punizione di fronte alla sua scrivania.

Mycroft ebbe un moto di disgusto, le mani nervose stropicciavano i fogli davanti a sé, che probabilmente erano il resoconto di quello che i suoi agenti avevano scritto sui miei movimenti.

Avrebbe potuto abbozzare, invece non era soddisfatto, mi attaccò nuovamente.

Ero consapevole che non riusciva a perdonarsi di essere tornato cambiato fisicamente e di aver fallito con Edwin.

Riprese quel tono asciutto, indispettito, che non mi piaceva.

"Disobbedire è una tua costante! Dovevi dirmi subito quello che era successo! Ma sei stata presuntuosa. Se sono qui a penare con il mio ginocchio è perché non potevo affrontarti a Baker Street e farti fare la figura della stupida." Lanciò i fogli sulla scrivania che si sparsero ovunque.

Ero stanca, quella discussione non ci portava a nulla. Mi passai la mano sulla fronte, cercando di ritrovare un minimo di forza.

"Non volevo obbligarti a riprendere un rapporto che non volevi continuare! Ne volevo che ti sentissi forzato a proteggermi."

Ero dritta in piedi al centro del piccolo ufficio, feci un piccolo passo in avanti, ma lui era glaciale...

"Laura, non ti avevo promesso nulla, ero stato chiaro!" Sbottò acido.

"È vero, ma avremmo potuto ricominciare. Myc, mi hai ostinatamente ignorato senza spiegarmi nulla."

"Te l'ho detto, non c'era nessun obbligo tra noi. Tu correvi troppo velocemente." La sua voce mi feriva, eppure continuavo a difendere quel poco che restava di noi.

"E quei baci che ci siamo scambiati? Non dirmi che non sentivi nulla! Hai ammesso che mi amavi."

"È stato prima che partissi, ora è tutto diverso, sai quello che ho patito e quello che penso del nostro rapporto." Fu leggermente morbido.

"Quindi mi allontani per la tua virilità? Non pensi che posso amarti così come sei?" Mi sentii umiliata e incompresa.

"Io ti ho concesso il mio amore incondizionato, quando sapevi bene che non sono integra come le altre donne che ti sei sbattuto!" Gridai furiosa, pensando che tutto si riduceva alle lenzuola arruffate di un letto.

"Non sei diverso da quel porco schifoso di Malvest, non ti salvi nemmeno tu, Mycroft, che ti ritieni così intelligente." Rimasi immobile aspettando la sua reazione.

Si alzò trascinato dalla rabbia, non prese nemmeno le stampelle. Zoppicò fino a me.

Arretrai, il suo viso non era quello che conoscevo, dolce e amorevole. Raramente si lasciava trasportare dalla collera, feci un passo indietro, arrivai con le spalle al muro, impaurita dal suo sguardo pieno di rancore. Ormai mi sovrastava.

"Laura, non offendermi ancora, la mia pazienza ha un limite!" Le sue mani erano contratte, strette in due pugni pericolosi. Lo sentivo vibrare di rabbia repressa.

Era troppo vicino. Ero terrorizzata, delusa, smarrita dal suo attacco. Eppure gli tenni testa decisa a spingerlo al limite. Volevo capire se si sarebbe fermato. O lo avrei perso per sempre.

Fui tagliente, le mie braccia vibravano distese lungo i fianchi. "Il tuo non può essere amore. Ho sbagliato a fidarmi di te. Non mi importa del sesso e non mi ripeterò più. Ti amo per quello che sei ora. Non ho bisogno d'altro."

Eravamo così vicini da sfiorarci, il suo corpo teso a pochi centimetri dal mio.

"Colpiscimi Mycroft! Non farò nulla per difendermi se questo fa accrescere il tuo ego maschile. Infondo sono abituata alla violenza degli uomini che non hanno avuto rispetto della ragazza innocente che ero."

Le lacrime mi scesero dolorose e impetuose, ero in suo potere.

Non avevo difese, gemetti rassegnata. "Avanti, Ice Man, fammi vedere come si addomestica una stupida ragazza che ti ha dato il suo cuore."

Rimasi paralizzata, pronta subire come era successo anni prima, quando ero diventata un oggetto nelle mani dei miei aguzzini...

Mycroft si era fatto pallido, era pietrificato di fronte a me. Un silenzio irreale pulsava con i nostri cuori, avvertivamo i nostri respiri che ansimavano e crescevano, intrecciando strisce di dolore che riempivano la stanza e ci costringevano a guardarci dentro.

Come se un'onda di deliro fosse passata su di noi a lambirci entrambi, lui tremò, sussultò, abbassò lo sguardo. Allargò le mani come se si risvegliasse da un sogno. Le fasciature saltate e insanguinate.

"Dio, cosa mi sta succedendo!" Gli rotolò sulle labbra una presa di coscienza devastante, cercò aria, si portò le mani sul volto. Singhiozzò, si voltò e barcollò fino alla scrivania dove si resse letteralmente.

"Io non sono questo, io non sono così..." Balbettò incespicando in quelle poche parole. Le mani aperte sul tavolo, la testa china, tutto il peso del corpo sulle braccia. Tossì e tossì, cercando aria.

Ero troppo sconvolta per avvicinarlo, benché lo vedessi in difficoltà, la tensione mi fece crollare in un pianto disperato. La paura che avevo provato mi gettò letteralmente nel panico.

Lo lasciai da solo e corsi in bagno.

Mi rinfrescai il viso sotto l'acqua fresca, mentre piangevo senza freno. Crollai sul pavimento con l'angoscia nel cuore, la testa vuota.

Avevo concesso la mia fiducia, i miei ricordi, la mia stessa vita ad uno sconosciuto.

Stupida, ero stata stupida! 

Certo avevo avuto le mie colpe, ma non avrei mai immaginato di avere paura di Mycroft Holmes.

 

 

   
 
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