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Autore: TheDoctor1002    22/11/2021    1 recensioni
Artemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo.
Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è solo la Senza-Faccia. Senza identità e senza peccati, per gli altri pirati è incomprensibile come sia diventata il secondo in comando degli Heart Pirates o cosa la spinga a viaggiare con loro. Solo Law conosce le sue ragioni, lui e quella ciurma che affettuosamente la chiama Mama Rose.
Ma nemmeno la luce del presente più sereno può cancellare le ombre di ciò che è stato.
Il Tempo torna sempre, inesorabile, a presentare il conto.
"Raccoglierete tutto il sangue che avete seminato."
//
Nota: trasponendola avevo dimenticato un capitolo, quindi ho riportato la storia al capitolo 10 per integrarlo. Scusate per il disguido çuç
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Pirati Heart
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 20: Ikigai

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Il concetto di morte sembrava rimbalzare sulla corteccia cerebrale di Artemis.
Non voleva accettare quel pensiero: lo conosceva bene e sapeva che sarebbe stato un ospite invadente.
Quell'idea corse all'assalto e venne respinta sistematicamente ancora e ancora, per minuti che parvero ore, lasciandola completamente imbambolata, nuda davanti agli asciugamani sparsi attraverso il bagno.
Fissando allo specchio il suo volto eroso da un pianto silenzioso, cercò di raccogliere tutta la concentrazione che le serviva per quel compito scellerato, maledicendosi per aver trovato il coraggio necessario solo in quella disperazione.
Srotolò sul bordo del lavandino l'astuccio degli attrezzi appena rubato dall'uniforme di Tamatoa. La sua scarsa abitudine agli alcolici l'aveva fatta crollare dopo nemmeno un'ora dalla notizia. Per tutto il tempo in cui aveva lottato con l'ebrezza, la dama aveva continuato a mormorare parole confuse e tristi su quanto le dispiacesse per la morte di Law. Si lasciò andare perfino a un abbraccio e ad Artemis, a un certo punto, parve di sentirla piangere.
Lei, d'altro canto, si era spenta come il freddo involucro di un cyborg. Per questo non avrebbe saputo dire di preciso quando e come avesse allestito quella sala operatoria improvvisata, né dove avesse trovato il fegato di deglutire un altro shot e rigirarsi tra le mani i suoi ferri. Li scorse con lo sguardo: forbicine, pinzetta, ago, filo e una piccola boccetta di un disinfettante dall'odore aspro e chimico. Artemis l'agitò controluce, sospirando quando arrivò alla conclusione che fosse davvero poco.
Non era abituata a tutta quella pressione, mentre lavorava. Nessun piano B, nessuna linea temporale di supporto e una ghigliottina pronta a cadere sulla nuca della sua ciurma. Tutto ciò che restava dipendeva drasticamente dalla fermezza della sua mano.
Imbevve un frammento di stoffa spugnosa nell'acqua salata della sua vasca. Afferrandolo con le pinze, tamponò la pelle del collo, perdendo presto la sensazione del tatto mentre cercava il percorso dei chirurghi di Sant'Ana. Una volta trovato, sentì le sue budella stringersi e la mascella serrarsi di riflesso.
Allargò le lame delle forbicine e prese a incidere lo strato di pelle più superficiale, realizzando presto quanto blando fosse l'anestetico che aveva scelto. Un rivolo rossastro e pulsante prese a scorrerle sul petto, ma già a quella profondità irrisoria riusciva a sentire il supporto della placca.
La inseguì per quasi mezz'ora, destreggiandosi tra le ingannevoli simmetrie dello specchio e il tremore che le spostava le mani. Il sangue diventò presto un'unica, enorme macchia sul suo décolleté e sulle dita. Quando riuscì a estrarre l'agalmatolite, si ritrovò tra le estremità della pinzetta pochi centimentri quadrati di un metallo opaco e sporco e sul volto quanto di più simile a un sorriso riuscisse a produrre. L'aveva appoggiata sul bordo del lavabo per poi dedicarsi a riposizionare i punti esattamente dov'erano, nonostante la curvatura che era riuscita a imprimere all'ago da cucito fosse molto più leggera di quanto le servisse. Assottigliò il filo tra la labbra e centrò la cruna, facendo avanzare la cucitura per avvicinare i due lembi di pelle. Disinfettò il suo lavoro con calma, lavando via il sangue con cura e dovizia. Collocò attentamente i bendaggi e una profonda stanchezza si infuse nel suo petto.
La sua opera, tuttavia, non era ancora conclusa. Se essere la Reina Blanca le aveva insegnato qualcosa, era di certo l'importanza dei diversivi: aveva visto molte volte che il delitto perfetto non è quello senza indizi, ma quello che non viene neppure alla luce. Le serviva qualcosa di plausibile, che giustificasse il sangue e la debolezza che l'avevano presa, qualcosa di talmente chiassoso da seppellire la sua paranoica precisione in un raptus.
Raddrizzò l'ago tra i denti, lavò e rinfoderò ogni strumento, avendo cura di tenere la forbicina per sè.
Raccolse la piastrina di agalmatolite e la custodì in bocca, facendo mille prove per nasconderla tra i denti e sotto la lingua, facendola sparire come un'illusionista.
Frantumò la boccetta del disinfettante e poi, nonostante il brivido di rifiuto che la percorse, lo specchio sopra il lavabo. Il pavimento del bagno si riempì di frammenti, minuscole schegge le si conficcarono tra le nocche e le graffiarono i piedi.
Quando il suo piano era quasi concluso, avvertì Tamatoa lamentarsi lievemente nel dormiveglia. Calciando in modo disordinatamente plausibile gli asciugamani, Artemis si avvicinò alla vasca di deprivazione, la forbicina stretta in mano. Pregò che le scienze umanistiche non avessero sovrascritto le sue conoscenze anatomiche e incise in maniera grezza i palmi e i polsi, facendo bene attenzione a evitare il sistema circolatorio principale. Il sangue uscì comunque copioso, terminando di macchiare la stoffa che la circondava. Tese l'orecchio per seguire le fasi del risveglio della sua dama e, appena percepì che aveva trovato il letto vuoto, entrò in acqua, tingendola di porpora.
Il tepore fluidificò il sangue, mentre ogni ormone l'avesse tenuta in piedi fino a quel momento sembrò abbandonarla. Il pensiero razionale si fermò e l'unico delirio che riuscì ad afferrare, avvolta in quel buio, era quanto sporca e imprecisa fosse uscita la maledetta sutura. Anche in un contesto simile, era un lavoro fatto da cani: se il suo Law l'avesse vista, sarebbe andato su tutte le furie. "Dopo tutta la pratica che ti ho fatto fare?" L'avrebbe ripresa "E con un filo così grosso?! Cosa sei, un macellaio?"
La parola "Perdonami." si formò da sola sulle sue labbra, mentre una spallata scardinava la porta e le braccia di Tamatoa ripescavano il suo corpo da un lago vermiglio, puntuali come da copione.

-//-//-//-

Im aveva osservato quegli eventi con un interesse che non provava da anni.
La fine di Ana, dopotutto, non poteva che essere preceduta da qualcosa di eccezionale. Quei piccoli umani trafficoni si impegnavano sempre così tanto ad andare contro i pronostici. Alcuni più di altri.
Quando sentì il salto di Artemis imminente e la sua destinazione vicina, si scoprì appena emozionato all'idea di incontrarla. Non dirottò nemmeno il salto al di fuori del doppiofondo di Ana, per essere certo di non perdersela.

Artemis quasi non riconobbe il marmo della stanza luminosa, impegnata com'era a ricordare al suo corpo di funzionare, al cuore di battere e al cervello di non spegnersi.
Si stese sul pavimento fresco, un'ondata di dolore mista a un vago sollievo si irradiò immediatamente dalle parti del corpo bruciate dal Time Time.
Ringraziò solo che le fosse tornata in mente quell'inutile informazione regalatale da Tamatoa: nella sala del Trono Vuoto non c'era mai nessuno. Avrebbe potuto stabilizzarsi con calma e da lì sarebbe potuta andare ovunque la sua sete di sangue l'avesse condotta.
"Ti stanno cercando in parecchi, là fuori" ridacchiò una voce indecifrabile, come se le avesse letto nel pensiero.
Artemis scattò ciecamente in direzione della fonte, l'adrenalina sfogata in un urlo, i muscoli delle dita contratti per artigliare. Afferrarono il collo aiutati dall'altra mano, la stretta si fece appena più forte quando distinse l'ombra di un sorriso sulla sua vittima.
"Non sfidarmi." gorgogliò, mentre sangue altrui si rapprendeva sulle sue ciglia, dipingendo il mondo di una tinta calda "Sono pronta a rifarlo."
"Non ne dubito." replicò compiaciuto Im, studiandola con i suoi occhi di un rosso violento "Il cadavere di tua madre é ancora caldo. Non credevo l'avresti fatto davvero, ma ti ringrazio: ultimamente avevamo visioni troppo diverse e odio licenziare i miei collaboratori, specie qualcuno fedele quanto lei. Spero vorrai almeno farmi il favore di prendere il suo posto."
Il tono di Artemis si incupì ancora, la testa incassata a minacciare ulteriormente quell'uomo tanto impassibile.
"Di che cazzo parli?" ringhiò.
"Ti va di fare due chiacchiere?" propose lui, alzando le mani ossute "Senza omicidi e spargimenti di sangue, come persone civili?"
Lei ci riflettè su, infine lo scostò con uno scatto rabbioso dei muscoli, se non altro per prendere tempo.
"Ti ringrazio" soffiò la figura, ricomponendosi e sorridendo affabile "Mi presento: io sono Im e sono il guardiano di ogni realtà."
Qualsiasi fosse la reazione che l'essere celeste aveva previsto, non poté fare a meno di rimanere colpito dalla risposta che ricevette, quando udì uno sfacciato: "Hai davvero due palle quadrate, se credi che me ne freghi qualcosa."
"E tu, cara, hai due palle quadrate a rivolgerti a me in quel modo, perciò siamo pari." concluse sorridendo, trascinando la lunga veste fino al Trono Vuoto e scansando ciuffi d'erba e farfalle sul suo cammino. Artemis non ricordava ci fossero, prima. Non ricordava nulla della rigogliosa vegetazione che aveva ricoperto la stanza, attorcigliandosi sulle colonne e trasformandola in una sorta di giardino incantato. Anzi, no: ricordava chiaramente che non ci fossero affatto. In due metà opposte del suo cervello, combattevano l'assoluta certezza di conoscere quel posto e l'altrettanto ferma convinzione di non averlo mai visto.
"Fatto sta che io mi assicuro che i mondi non finiscano, o perlomeno che lo facciano solo se necessario. " Continuò l'uomo, scostando lo strascico per accomodarsi sullo scranno "E per farlo mi sono sempre circondato di creature che fossero in grado di percepire la realtà come la vedo io. Certo, voi signori del tempo la scrutate dal buco di una serratura, ma sempre meglio degli esseri umani, ho ragione?"
La donna non poté contenere l'indignazione con cui lo scrutò, fissandolo dall'alto in basso nonostante la posizione di lui fosse dominante e il tono da commediante con cui aveva concluso l'ultima frase.
"Salvare il mondo?" sputò, come fosse un affronto.
"I mondi. Salvare la realtà, a dire il vero" puntualizzò con un'espressione vagamente infastidita "ma hai ragione, sono formalità inu-"
"No." fu la perentoria, rabbiosa risposta di Artemis, giunta come un treno deragliato a troncare ogni argomentazione. "Salvatela da sola, la maledetta realtà, non ho intenzione di aiutarti. Non ne posso più di questo fardello. Sono stanca di avere un potere che mi strappa ogni cosa dal giorno in cui l'ho preso, stanca di garantire un Bene Superiore che pare proteggere tutti tranne me."
Il volto ferito di lei era arrossato e stravolto. Im riusciva a sentirne il rammarico, il fumo soffocante di una pira di rimpianti, la forza di fare la cosa giusta ormai esaurita da tempo. Aveva visto diversi umani perdere il senno, una volta perso tutto il resto. In fondo, erano tutti piccole creature inclini all'ira. Chissà cosa gli aveva fatto credere che fosse diversa.
"Quanta rabbia." constatò amareggiato, dopo un lieve silenzio. "Gli somigli molto, sai? Al ragazzino di Flevance che giunse sul tuo uscio tanti anni fa. Colmo di odio, talmente tanto da voler vendere il suo futuro per un mare di sangue. Vedo che la matematica continua a non essere un punto forte di voialtri."
"Non osare nominarlo." gli ringhiò contro Artemis "Tu non sai niente di me e non sai niente di lui."
"So più di quanto tu non creda." Sospirò divertito, scendendo nuovamente dal suo trono per avvicinarsi a quella figura tanto inasprita. La sorta di velo candido che gli cingeva la testa oscillava pigramente a ogni passo, sfiorando la stoffa scura sulle sue clavicole. "Guardati, guarda quanto l'odio ti ha accecata. Qual é il tuo piano ora, mh? Attuare la tua ennesima, grande vendetta? Prendere vite su vite finché non avrai ripagato la sua morte, secondo qualche vostro strano sistema di conversione? Nemmeno una strage te lo restituirebbe. Una bella fortuna che sia vivo e vegeto."
Quel barlume di speranza le fece inghiottire ogni improperio, ogni bestemmia stesse per riversargli contro.
"N-non é vero." balbettò, ostentando una sicurezza inesistente "Law é morto, io l'ho visto. Lo so."
Im scosse la testa, afferrando con delicatezza il polso di Artemis.
"Cosa sai?" le chiese, allargando le dita della sua mano senza incontrare resistenza, posando sul palmo un quadrato di carta tremolante, dalla sensazione inconfondibile.
Il nome di suo figlio era scritto in bei caratteri blu di una grafia che non conosceva. La vivre card danzava ipnotica sotto gli occhi addolciti di lei.
"Sono solo g-giochetti mentali del cazzo." razionalizzò "E, se sai davvero così tante cose, dovrebbe risultarti che ho ucciso per molto meno."
"Puoi ridarmela, se non la vuoi." propose lui, allungando la mano e facendo chiudere a tenaglia quella di Artemis di riflesso. Lei se la strinse al petto con tutta la forza che aveva, come se quel piccolo lembo custodisse un universo intero.
Im sorrise, l'alta corona appuntita sulla sua testa oscillò piano nel riconoscere ancora un'incrollabile nocciolo di speranza nella donna davanti a sé.
"Dressrosa é caduta" continuò a raccontarle, con tono rassicurante "Doflamingo ora é su una nave della marina diretta a Impel Down. Re Riku ha ripreso il suo posto sul trono, promettendo di perdonare ognuno di voi. Detto tra noi, credo fosse una frase di circostanza. Nel dubbio, fossi in te non ci tornerei."
Artemis prese un profondo respiro, chiudendo lentamente gli occhi a intervalli regolari e mormorando tra sé una frase che Im riconobbe come: "É solo un delirio."
"Inizio a pensare che tua madre avesse ragione." Rivelò enigmatico lui, facendo scorrere lo sguardo clinico sulle bruciature con cui il Time Time l'aveva marchiata. "La convinzione che l'ha guidata fino alle sue ultime parole era che ci avresti condotti alla fine del mondo. Per questo ci teneva tanto a prendere il tuo frutto. Niente Artemis niente apocalisse, no? Facile, ma inutile. Voleva proteggerci da una fine inevitabile, a modo suo. Ma sotto quel gran manto di difetti, piccina, tu hai una caparbietà rara. Ti ci vedo bene, a guidare questa linea temporale fino al baratro."
"Perché dovrei?"
"Perché un capitano affonda sempre con la sua nave."
"Non sono l'unica signora del tempo." puntualizzò fredda, interrompendo il suo piccolo rituale "Perché proprio io?"
L'espressione sul viso di Im si fece morbida e saggia. Dietro le lievi rughe che gli circondavano gli occhi, c'era la stessa dolcezza con cui Artemis parlava del Tempo a chi fosse disposto a comprenderlo. "Perché so già che sarai l'unica a rispondere all'ultima chiamata." sorrise "Inveisci contro il Bene Superiore, ma sono certo che alla fine farai la scelta giusta. Ora va' da tuo figlio, ma ricordati di questo posto: torna quando il mondo finirà. Mi dispiacerebbe lasciarti indietro."
Il retrogusto di minaccia di quella profezia le riempì le retine di una luce familiare mentre la sensazione della vivre card abbandonava la sua mano.
Quando i suoi occhi si abituarono di nuovo alla semioscurità della stanza, non ritrovò né i fiori né le farfalle che l'avevano adornata.
I rumori concitati di una battaglia le facevano tremare il petto, alternati al respiro concentrato di una figura incappucciata.

"Che ti sei fatta, maledizione?" Sbottò la donna al suo fianco, mentre con la mano sfiorava una a una tutte le bruciature che aveva riportato. Nonostante i modi bruschi con cui l'aveva trascinata nel mondo dei vivi, Artemis era certa che stesse condensando nel caldo bagliore delle sue mani tutta la cura potesse avere. Lo capì dal rammarico con cui la sentì imprecare tra sé un sommesso: "Cazzo, non viene via."
"È il Tempo" ansimò sorridendo la Senza-Faccia, mettendo pian piano a fuoco i capelli rosati che sfuggivano da un grande cappuccio sopra di lei "Tutto il Tempo. Ho usato tutte le linee."
"Hai simulato un crocevia?" Chiese la sua interlocutrice, incredula "Ti sei bevuta il cervello?! Non fare cazzate simili é tipo la regola numero zero."
E normalmente sarebbe stato vero. Artemis aveva sempre fatto grande attenzione a come trattava il Tempo. Sceglieva le linee giuste, si assicurava di non creare paradossi e, in particolare, non ci scriveva mai niente che fosse realmente significativo. Non stava a lei decidere, si era sempre detta, quello era il compito di un dio. Per questo aveva sempre maneggiato il suo potere come se glielo avessero prestato. Eppure, dopo aver incontrato Sant'Ana e aver visto l'uso spregiudicato che ne faceva, una strana idea aveva preso a germogliarle nel subconscio, avvolgendo e zittendo con le sue radici aspre ogni freno inibitore: "Era l'unico modo."
"Sei uscita di testa?" Scandì, temendo che il trauma si fosse portato via tutto il buonsenso che le era rimasto "Hai idea di che cazzo hai fatto? Queste cicatrici non se ne andranno mai, qualsiasi cosa uscirà da questo bordello non se ne andrà mai. Dovremo tenerci queste conseguenze per sempre."
"Dannazione, Bonney, piantala!" tossì Artemis, allontanando le dita che la scansionavano "Se dobbiamo parlare di gente uscita di senno, la vecchia cercava anche te. Che cosa ci fai qui?"
"Cercavo te, Senza-Testa. Quando ho smesso di sentirti trafficare, ho capito subito che doveva esserti successo qualcosa."
Artemis cercò di non sorridere, percependo la vaga preoccupazione nella voce dell'altra piratessa. "Che volevi fare?" Le chiese, mettendosi a sedere sul freddo pavimento di marmo, le ginocchia strette al petto "Ti avrebbe individuata subito, avremmo rischiato in du-" la frase le morì in gola, troncata da una consapevolezza terribile: "Il frutto", mormorò sbiancando.
"Che hai detto?"
"Il frutto di Ana, dobbiamo assolutamente trovarlo" borbottò Artemis, iniziando a traballare in giro per rimettersi in piedi.
"Ce l'ho io" la fermò Bonney, tirandola per la lunga manica della giacca e costringendola a rimettersi a sedere "Calma, ce l'ho io. Si è rimaterializzato in uno dei buffet, nessuno si è accorto di niente."
Il lichi bluastro comparve in una delle mani della Mangiona, che lo posò al suolo, tra loro due, come se stesse dando inizio a un rituale implicito. Il minuscolo oggetto era avvolto nella stessa aura sinistra in cui le due l'avevano visto per la prima volta. Lo scrutavano e si scrutavano l'un l'altra, cercando nel fondo dei rispettivi occhi la risposta a una domanda che faticavano a comporre.
Dopo un breve silenzio, fu la Senza-Faccia a rompere il ghiaccio che si era formato nella stanza del Trono Vuoto: "Cosa facciamo?" interrogò Bonney con fare pratico.
"Potremmo buttarlo in mare", suggerì lei in risposta, con una scrollata di spalle e una smorfia noncurante delle labbra a cuore "l'acqua salata dovrebbe rifiutarlo e consumarlo, sparirà senza lasciare traccia."
"Ne sei sicura?" scandì Artemis "Se non funzionasse sarebbe di nuovo in circolo. Ci sono troppi squali in queste rotte, molti dei quali senza nemmeno un frutto. Hai idea di che succederebbe se raggiungesse un Imperatore? Non voglio prendermi un rischio simile."
La Mangiona sospirò di fronte a quel freno, stuzzicando pensierosa il chewing-gum che aveva già torturato per lunghi minuti e che ormai aveva perso odore e sapore. "Sono abbastanza sicura dell'acqua di mare, ma non so se mi ci giocherei le sorti del mondo." ammise "Hai alternative?"
"Non proprio, ma abbiamo la possibilità di fare una prova, nella mia stanza. Pensi riusciremo a raggiungerla?"
"Non dirlo nemmeno" la rassicurò Bonney, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Artemis seguì il mezzo sorriso di quella sua sorella di sorte e, prima ancora che fosse completamente salda sui suoi piedi, riuscì a riconoscere sotto di essi il legno venato della camera che le era stata destinata. Nel bagno adiacente non c'erano più tracce della sua sala operatoria ormai da diversi giorni. Avanzando con una spinta di urgenza in ogni passo, la Senza-Faccia raggiunse senza esitare la vasca di deprivazione, ruotando al massimo la manopola che regolava l'afflusso di acqua di mare.
L'intensità della salsedine che ribolliva mentre veniva versata a litri tra le pareti di elegante ceramica ricurva, riuscì a dare a entrambe un capogiro anche solo tramite l'odore.
Poco dopo, Bonney adagiò il frutto a pelo della superficie.
Questo galleggiò appena, come un'innocua fragola in una tinozza in piena estate, poi prese a vorticare su sé stesso e l'acqua iniziò a produrre un'effervescenza viva e colorata, prima del blu cianotico della buccia e poi del rosa acceso della sua polpa. L'aria della stanza si riempì di un odore zuccherino, misto a una forte nota di mare. Era talmente pungente da relegare le due donne al davanzale dell'unica finestra presente.
Il frammento di cortile diversi piani al di sotto di loro era attraversato da ondate di corpi a intervalli irregolari, quasi tutti avvolti nelle stesse divise bianche e blu.
"É tutta per me, questa mobilitazione?" chiese la Senza-Faccia, sporgendosi con lo sguardo oltre l'infisso a ribalta.
"Immagino di sì." Masticò Bonney in uno smorto pallone di chewing-gum "Ho visto gente strana, cercando di raggiungerti, ma nessuno dava nell'occhio quanto te. Immagino fossero rivoluzionari."
"Cazzo" soffiò l'altra in una mezza risata, incassata sul suo stomaco. "Abbiamo fatto un bel casino"
"Tu hai fatto un bel casino" specificò la Mangiona.
"Dai, mi sei venuta dietro, prenditi almeno un po' di colpa."
"Nemmeno per sogno, Senza-Testa. A prescindere da come andrà, tu hai tolto di mezzo il Deterrente. É veramente pieno di gente che non ha attaccato Marijoa prima solo perché c'era Ana e i Marines non la prenderanno bene. Questi sono tutti e soli cazzi tuoi."
"Perlomeno ne è valsa la pena, no?" ribatté l'altra, scettica ma incuriosita. "I Draghi Celesti hanno causato danni per secoli. Se qualcun altro subentrasse, non sarebbe poi un dramma."
"I re sono sempre re." constatò Bonney disgustata, facendo scorrere il palmo sopra la superficie dell'acqua ormai ferma. Non rilevò niente, neppure il vago sentore che il frutto fosse stato in quella stanza. "Sarà una faccia diversa, ma non cambierà niente."
"O magari non ci sarà nessuna faccia." avanzò Artemis, osservando l'acqua melmosa venire risucchiata dal tappo strappato alla sua posizione "Sarà solo una caduta, senza niente a sostituire Marijoa."
"Avanti, non dirmi che ci credi davvero." rise amara l'altra, la sua espressione appena visibile sotto il correttore che le nascondeva gli angoli delle labbra. "Il Mondo rifiuta il vuoto, no? Ci sarà per forza qualcun altro. Io il mio l'ho fatto e qui non ci resto, tu fai come vuoi. Addio, Senza-Testa!"
"Vedi di non crepare, Bonney!"
A quell'augurio, lei rispose con una smorfia e un gesto volgare, giusto in tempo prima di sparire, lasciando Artemis di nuovo sola nella sua stanza.
Oltre alle geometrie classiche sul legno della porta candida, attraverso i muri e i vetri che la proteggevano, il suono del conflitto risuonava con quel suo strano ritmo primordiale.
Le picchiava nel petto come una canzone o una vecchia nenia, come un richiamo che svegliava il sangue e lo faceva correre, animandola di una spinta irresistibile.
"Un bagno di sangue non vendica i morti", le aveva detto quello strano sogno. Quindi, almeno per ipotesi, una parte del suo subconscio doveva crederci.
"No, forse no" pensò, spingendo le porte e affilando il sorriso, "ma hai idea di quanto sia catartico?"

 

   
 
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