Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Padme Mercury    24/11/2021    0 recensioni
Una serie di brutali omicidi solletica l'interesse di Sherlock Holmes e del suo amico John Watson. All'apparenza slegati l'uno dall'altro, sono dei biglietti molto particolari che li uniscono sotto il nome di un unico assassino.
I segreti si estendono a tutta la famiglia Holmes: l'entrata in scena della giovane Charlotte cambia gli equilibri dell'appartamento al 221B di Baker Street, forse per sempre.
Sherlock si troverà davanti ad una scelta difficile che aveva sempre cercato di evitare: cuore o cervello? A cosa darà ascolto il detective?
--------
[N/A
La timeline è modificata rispetto alla serie originale. John è sposato con Mary anche se Moriarty è ancora vivo. Reichenbach non è ancora successo. L'età dei personaggi è leggermente modificata, così che Sherlock, John e Mycroft si trovino tutti tra i trentadue e i quarant'anni]
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo sei



Dopo pochi giorni, Charlotte tornò a Oxford. Era sempre difficile per lei lasciare Londra, la sua casa. Lì conosceva a memoria tutte le strade che avevano fatto parte della sua vita, riconosceva il profumo di ogni parte della città e poteva nascondersi facilmente tra gli abitanti e i turisti. Spesso scivolava fuori di casa e si mescolava alle persone, si sedeva su una panchina al parco o faceva un giro in un museo. Guardava i passanti, persone sole, coppie e famiglie, cercando di immaginare quello che le aveva portate in quel posto, cosa le aveva rese quello che erano diventate.
Tuttavia, non le dispiaceva neanche essere lontana dalla sua famiglia. Per quanto li amasse, e sarebbe stata in grado di rinunciare a qualsiasi cosa per loro, se rimaneva con loro per troppo tempo finiva per dimenticarsi di essere una persona a sé stante. Non riusciva più a mantenere una sua propria identità, a non assumere inconsciamente tutti gli atteggiamenti tipici di Mycroft e Sherlock. A Londra rimaneva sempre la "figlia di", la "nipote di". Erano loro che si erano fatti un nome, che erano conosciuti. Certo, in parte era dovuto al fatto che Mycroft la teneva quasi nascosta. Era come se avesse paura che qualcuno potesse portarla via una volta scoperta la sua identità.
In un'altra città, invece, dove c'era solo lei a rispondere al richiamo 'Holmes' e suo padre e suo zio erano conosciuti solo per il nome, era lei ad essere la protagonista. Era lei che decideva della sua vita, che veniva presa in considerazione e non doveva aver paura che le parlassero solo per arrivare ad altri. Era come prendere una boccata d'aria fresca dopo essere stata in una stanza chiusa da settimane. Oxford voleva dire libertà di essere se stessa, di decidere di per sé e non vivere nell'ombra degli Holmes. Lì era lei l'unica Holmes, era lei a dirigere i fili della sua vita.

Londra, d'altro canto, sembrava essere diventata molto più tranquilla da quando lei era partita, o almeno così sembrava agli inquilini e frequentatori del 221B di Baker Street. Era strano a pensarci, ma la sua presenza aveva animato le vite delle persone che aveva incontrato e reso le giornate diverse dal solito. Per John, almeno, era la novità che lo aveva lasciato colpito. Non si sarebbe mai aspettato di vedere Sherlock comportarsi in quel modo con qualcuno, cambiare appena il tono di voce quando le parlava. Lo conosceva abbastanza bene da non sbagliarsi riguardo quel suo cambio repentino di atteggiamento. Con tutte le persone che, come minimo, rispettava manteneva sempre un certo distacco. Lestrade, Molly, Mary, persino John stesso. Avrebbe affidato loro la sua vita, ne era certo, ma sarebbe stato disposto a mostrare del sentimento? Ne dubitava. Non lo aveva mai fatto, neanche con lui che gli era amico da anni ormai. Migliore amico, anzi. O almeno, così era per John. Non c'era mai stato nessuno come Sherlock, nessuno lo aveva mai fatto sentire 'normale' e non giudicato come lui. E sapeva, in una parte recondita della sua coscienza, che anche per Sherlock non era molto differente. Sapeva che teneva a lui, nel suo modo bizzarro e fuori dagli schemi.
Ma con Charlotte... John non poteva nascondere una punta d'invidia. Quei due erano complementari, due ingranaggi della stessa macchina che si incastravano perfettamente e funzionavano con precisione e fluidità. Avevano il loro linguaggio, si parlavano senza proferire parola e, a volte, senza neanche essere vicini o nella stessa stanza. Un solo sguardo bastava per comunicare quello che stavano pensando, un solo tocco leggero carico di dolcezza era in grado di trasmettere più informazioni di un discorso. Quello che lo aveva colpito è infastidito di più, però, era la loro perfetta coordinazione. Non un gesto era sprecato, mai una penna che cadesse a terra quando se la lanciavano. Era evidente che si erano modellati l'uno attorno all'altra, si erano adattati alla gestualità e i movimenti dell'altra persona e ora, dopo quasi vent'anni, erano come un'unica anima scissa tra due corpi.
John si sentiva lasciato da parte quando quei due erano nella stessa stanza. Lui che si era sentito speciale tante volte per il solo motivo che Sherlock aveva scelto lui come partner di indagini, aveva deciso di fidarsi di lui e di fargli immergere un piede nel grande lago che era la sua vita dietro la maschera. Ma quando Sherlock e Charlotte erano assieme, John riusciva a vedere la stanza riempirsi in ogni anfratto del loro ego senza lasciar spazio al medico. Si trovava a soffocare in mezzo a quei discorsi silenziosi, quelle frasi lasciate a metà ma comprese perfettamente da entrambe le parti, quei veloci gesti che parlavano di una complicità che lui non avrebbe mai avuto col suo migliore amico. O con chiunque altro, a dire la verità. Non aveva mai visto due persone così in sintonia, così simili senza neanche rendersene conto.

"John, tesoro, è normale. Tu non sei un Holmes" gli aveva detto Mary una sera. Lei si era accorta di quel malumore e aveva fatto di tutto per farsi confessare quello che gli passava per la mente. Era grandiosa, Mary, e riusciva sempre ad ottenere quello che voleva. Non lo aveva giudicato e non aveva riso quando le aveva confessato i suoi pensieri e le sue emozioni, ma gli aveva dato un bacio dolce e aveva detto quella frase. Avrebbe voluto ribattere che neanche lei era una vera Holmes, che non aveva il loro stesso sangue e la loro intelligenza. Che anche Charlotte era esattamente come loro, due persone normali che si erano scontrate con altre di un'intelligenza superiore e avevano dovuto adattarsi per non finire schiacciate. Ma sapeva, in fondo, che non era così. Lei non era una persona normale, non lo sarebbe mai stata. Lei era stata cresciuta da Mycroft Holmes, l'uomo più razionale e calcolatore che John avesse mai conosciuto. Per quanto non possedesse l'acume tipico della sua famiglia di adozione, il padre le aveva insegnato come dissimularlo, come capire le mosse degli altri in anticipo e non farsi mai prendere alla sprovvista. Aver vissuto tutta la vita assieme a Sherlock Holmes le aveva insegnato a comportarsi come lui, ad entrare nella sua testa e imparare la sua lingua. L'aveva portata a vivere quasi in simbiosi con lui, ad essere forse solo un'appendice del grande detective.
John si immaginò Charlotte bambina, che saltellava attorno alle gambe di Sherlock per attirare la sua attenzione. Nella sua mente la vide scacciata in malo modo, come se fosse un insetto fastidioso, sentì le parole dell'amico dirle che non doveva lasciarsi andare ai sentimenti e di mantenere un po' di decoro. La immaginò allora, dopo le prime delusioni profonde, emulare il suo comportamento, la sua postura, il suo modo di parlare sino a diventare una sua copia esatta. Un'immagine riflessa che, però, non aveva la sua stessa sostanza. John aveva sospirato e, con quelle immagini in mente, non si era più sentito geloso. Aveva visto dietro quella maschera, aveva potuto parlare davvero con lei e godere del suo reale sorriso. Lei era una persona a sé stante, meravigliosa ed interessante ma che faceva fatica ad emergere quando si trovava con suo zio. Il medico si diede dell'idiota per aver anche solo provato dell'invidia nei suoi confronti. Crescere in quella famiglia non era di sicuro semplice e richiedeva sacrifici e una fortezza d'animo  Lui, probabilmente, non sarebbe riuscito a sopravvivere in quel modo per tutti quegli anni.

Gli ci erano voluti alcuni giorni per trovare il coraggio di scriverle, almeno perché anche lei avesse il suo numero se fosse stato necessario. Se fosse successo qualcosa durante un caso, se Sherlock si fosse fatto male, se avessero avuto bisogno di un aiuto... Erano queste le motivazioni che aveva dato alla sua decisione. Gli ci era voluto del tempo, tuttavia, perché il suo stupido orgoglio misto all'inutile gelosia che aveva provato nei suoi confronti lo avevano trattenuto dal contattarla. Aveva capito che non poteva avercela con lei per qualcosa di cui non era colpevole: non era colpa sua se era stata adottata proprio da quella famiglia e non era colpa sua se, per quel motivo, era in sintonia con loro molto più di chiunque altro. Gli aveva lasciato scritto con quella grafia elegante ed aggraziata di essere la parte umana degli Holmes. John decise di interpretarlo non solo come se lei fosse l'unica Holmes in grado di mostrare i sentimenti, ma anche come se lei riuscisse a tirare fuori l'umanità dei due fratelli. Era il loro lato umano, la persona che dimostrava che anche loro due erano in grado di amare e preoccuparsi per qualcuno.
Il primo SMS che le inviò era semplice. 'Ehi, ciao. È stato divertente vedere Sherlock comportarsi in quel modo mentre eri qui. - John Watson'. Lei aveva risposto qualche minuto dopo inviandogli delle emoticon che ridevano. Nei giorni successivi si scambiarono giusto qualche messaggio di circostanza, tutti incentrati su come stesse Sherlock, se Mycroft continuava a ficcare il naso nel loro lavoro per proteggere il fratellino, se l'assassino era stato trovato. 'BOB' lo aveva chiamato Charlotte e aveva spiegato a John che era il nome dell'entità sovrumana che aveva ucciso Laura Palmer in Twin Peaks. Aggiunse un devi guardarlo assolutamente, sei un eretico che fece ridere John di gusto.

Man mano che si scambiavano notizie pratiche, scivolavano argomenti più leggeri nelle loro conversazioni. A John piaceva parlare con lei, aveva quasi vent'anni - scoprì che il suo compleanno sarebbe stato il 9 febbraio, era nata proprio il giorno dell'ultimo passaggio della cometa di Halley - ma non sembrava infantile come lo erano tanti ragazzi e ragazze a quell'età, ancora in equilibrio tra la spensieratezza dell'adolescenza e le responsabilità della maturità. Aveva la battuta pronta ed era brutalmente onesta, come suo zio, ma non si riusciva ad arrabbiarsi con lei a causa del modo candido con cui esponeva le sue argomentazioni. Non vedeva malizia né saccenza nelle sue parole, come invece succedeva spesso con Sherlock. Con lei era... Semplice. Non c'erano doppi fini e non c'erano giudizi velati quando rimaneva indietro e non capiva al volo.
Non poteva nascondere però una parte di vergogna, di colpa. Lui era sposato con Mary e Charlotte era fidanzata. Inoltre avevano quattordici anni di differenza, lei era ancora una ragazzina. Perché continuava a messaggiare con lei, anche nei momenti di pausa dal lavoro - e di sicuro durante le sue lezioni? Perché lo teneva nascosto da sua moglie, dicendole che erano soltanto check in estemporanei perché lei non si preoccupasse troppo per Sherlock? Ogni volta che ci pensava si mordeva il labbro e scuoteva la testa. Non stava facendo niente di male, erano solo chiacchiere con un'amica. Mary avrebbe interpretato male, tutto qui, non voleva darle altri pensieri. In quell'ultimo periodo sembrava già preoccupata per qualcosa che John non conosceva e non poteva vedere, era sempre sull'attenti. Spesso rimaneva fuori fino a tardi e quando tornava aveva un'espressione che gli spezzava il cuore da quanto era sconsolata ed impaurita. Non riteneva quindi necessario aggiungere altre preoccupazioni al carico, renderle la vita ancora più difficile. Charlotte era una semplice amica, forse l'unica che poteva comprendere come fosse vivere con un Holmes.

In quella fredda mattinata di fine gennaio, John era seduto sulla sua poltrona al 221B di Baker Street. Era il suo giorno di riposo in ambulatorio e quindi aveva deciso di passarlo lì, a svolgere il suo secondo - e decisamente più interessante ed eccitante - lavoro. Non aveva tenuto conto, però, dello zelo che Sherlock metteva nell'analizzare ogni minima sostanza. Non vi erano stati neanche clienti, che avevano deciso di evitare di combattere contro la neve che stava scendendo lenta ed annoiata e che avrebbe ricoperto le strade in poco tempo.
Aveva bevuto un the portato su dalla signora Hudson ed era rimasto ad annoiarsi sulla poltrona mentre Holmes continuava ad analizzare in maniera ossessiva le scarse sostanze che aveva trovato suo corpo della vittima. Aveva quindi inviato un SMS a Charlotte, giusto per passare il tempo, chiedendole se anche lei si era mai trovata a dover ammazzare la noia mentre Sherlock sembrava aver intrapreso una relazione a lungo termine con il suo microscopio. Pochi istanti dopo il trillo del telefono lo aveva avvisato di un nuovo messaggio. 'Certo. Quando è così, puoi anche rubargli le mutande senza togliergli i pantaloni che non se ne accorge', era stata la risposta della ragazza. John rise a quelle parole, immaginandosi la scena e trovandola più che plausibile.
Quello scambio di messaggi andò avanti ancora per qualche minuto, finché John non si vide comparire una mano davanti agli occhi che gli strappò via il telefono. Alzò gli occhi e incontrò lo sguardo infastidito di Sherlock. Stringeva il cellulare tra le dita lunghe quasi come se volesse romperlo e pareva volesse rimproverare John di qualcosa. Ecco, ci siamo, ha capito che parlo con Charlotte e vuole farmi smettere fu il primo pensiero del medico, che tuttavia si schiarì la gola. Si appoggiò con gli avambracci alle ginocchia e sbatté un paio di volte le palpebre, guardandolo come per dirgli di parlare.

"Smettila di flirtare con mia nipote." il tono era basso e distaccato come sempre, ma quell'accento sul possessivo aveva turbato John. Era... geloso, per caso? Avrebbe voluto dirgli che non stavano flirtando, ma il detective non gli diede la possibilità di farlo. "Quel continuo ticchettare mi distrae."

John alzò un sopracciglio, allungando la mano per farsi ridare il telefono. Non sapeva perché, ma quella frase gli sembrava falsa. Non del tutto, per carità. Sapeva che quando Sherlock doveva pensare, anche il respiro di un'altra persona gli dava fastidio. Ma in quel momento non riusciva a non pensare che quelle parole fossero state pronunciate principalmente per gelosia. Che fosse di vedere il suo migliore amico preferire la compagnia, sebbene virtuale, di un Holmes che non fosse lui o il rischio di allontanare ancora di più sua nipote, non sapeva dirlo. O forse, quest'idea si fece spazio strisciando lenta e subdola nella parte posteriore del suo cervello, stava cercando di evitare che entrambi facessero un errore.
Sherlock gli restituì l'oggetto, riluttante, e tornò a sedersi di fronte al microscopio. Odiava quella situazione di stallo, in cui non aveva nuovi casi che gli permettessero di distrarsi dal suo punto di blocco e il suo cervello continuava ad avvilupparsi su se stesso. Chiunque fosse stato ad uccidere quella ragazza era stato furbo. Non aveva lasciato tracce e quelle inevitabili impronte organiche si erano deteriorate a causa dell'acqua del Tamigi tanto che erano ormai inutili. Ci aveva provato lo stesso, si era accanito su ogni minimo dettaglio ma non riusciva ad arrivare ad una conclusione. Quella situazione era insostenibile per la sua mente, si sentiva affogare e non riusciva a tornare in superficie.

Si portò le mani alle tempie e chiuse gli occhi, tentando di entrare nel suo palazzo mentale per poter calmare le pulsazioni del suo cervello. Si sentiva come in un videogioco, impossibilitato ad entrare nella nuova stanza senza aver prima conquistato tutti gli oggetti di quella precedente. Era la prima volta che il suo posto lo rifiutava, lo faceva rimbalzare all'indietro, e lo faceva infuriare. Infuriare come sentire quel continuo rumore dei tasti del cellulare e della suoneria che indicava un nuovo messaggio in entrata. Strinse più forte gli occhi e premette con più forza, rischiando di esplodere, ma un leggero tonfo lo fece fermare.
Aprì gli occhi e vide il cellulare di John sul tavolo, posato appena davanti a lui. Girò la testa per incontrare il volto dell'amico, che lo guardava severo e con aria di rimprovero. Indicò l'oggetto con un cenno della testa.

"Leggili." gli disse, asciutto. Incrociò le braccia sul petto e si allontanò leggermente. "Parliamo quasi solo di te."

Sherlock non distolse lo sguardo mentre la sua mano, lenta, si impossessava del telefono. Lo studiò con le dita e il palmo, deducendo involontariamente ogni cosa. Lo teneva vicino in ogni momento, anche quando era in bagno. Era tiepido, segno che lo teneva in mano molto spesso, e i tasti stavano perdendo la copertura stampata. Era un cellulare vecchio, non aveva i soldi o la voglia - no, i soldi - per cambiarlo eppure lo teneva come se fosse l'oggetto più prezioso che possedesse. Sapeva che quello che stava facendo non sarebbe piaciuto alla moglie e per questo non se ne separava mai, neanche quando faceva la doccia o dormiva. Ma aveva deciso di aprirlo a lui, di ammettere le sue colpe, sempre che ce ne fossero.
Aprì i messaggi e fissò lo sguardo sullo schermo. Scorse veloce su quelli di Charlotte e confermò le parole di John. La maggior parte di quei messaggi riguardavano lui o i loro casi. C'erano anche una manciata di conversazioni private e un SMS inviato da lei nel pieno della notte (Scusa per l'ora, John, ma ho fatto un brutto sogno. Posso chiamarti?). Ma, a fare una stima, il 90% dei loro scambi riguardavano Sherlock e il suo lavoro.

Il detective sentì una scossa attraversargli tutto il corpo. Era... senso di colpa? Possibile si sentisse in colpa per aver sbagliato una deduzione, per aver pensato male di due persone innocenti? Rimase immobile per qualche secondo a fissare lo schermo nero, cercando di raccogliere gli ultimi sprazzi di dignità che gli rimanevano dopo quella terribile gaffe. Probabilmente per John non era niente di che, ma l'irritazione per non riuscire a concludere niente sul caso della ragazza avvolta nella busta di plastica non gli permetteva di pensare con lucidità.
Sospirò e allungò il braccio, rendendogli l'oggetto. John lo afferrò con un po' troppa decisione, dimostrandogli che era ancora arrabbiato per la sua presunzione.

"John..." cominciò, cercando le parole per formulare una scusa che non risultasse patetica e non comprendesse le parole 'scusami, ho sbagliato'.

Fu interrotto dal suono del campanello e istintivamente buttò fuori l'aria dai suoi polmoni con fare di sollievo. Entrambi tesero le orecchie, all'erta come felini. Lo scampanellio era insistente ed urgente, con almeno tre riprese. Si guardarono con la consapevolezza negli occhi, lo screzio ormai dimenticato come se fosse avvenuto secoli prima.

"Un cliente!" esclamarono allo stesso momento.

Gli occhi di Sherlock si illuminarono e le sue labbra si piegarono in un sorrisetto soddisfatto.

"Finalmente."

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Padme Mercury