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Autore: InevitablePurpleRain    24/11/2021    12 recensioni
E se le cose fossero andate diversamente quella fatidica sera? E se dopo essersi liberata dal controllo mentale di Killgrave, fosse stata Jessica a essere investita da quel bus?
Killgrave si ritroverebbe disperato con una Jessica in punto di morte fra le braccia e due soli obiettivi da raggiungere:
-salvarla
-approfittare spudoratamente della situazione.
Come? Scopritelo con noi 😉
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessica Jones, Kilgrave
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I: Who the fuck are you?



“TORNA QUI, JESSICA!”

La sua voce graffiante fendeva l’aria e si imponeva sui rumori continui della città, ma per Jessica era come un’eco lontana, un grido sordo nella sua testa.

 

“ADESSO, JESSICA!” gridò ancora Kilgrave, ma lei questa volta non si voltò nemmeno. I suoi piedi ben calzati marciavano sull’asfalto lurido e fiocamente illuminato dai lampioni, il lungo ed elegante cappotto di renna la riparava dal freddo pungente di quella notte di fine gennaio, mentre di fronte a lei si stagliava il cartello che indicava la via della città : 537 W 38th St.

Jessica lo guardò con occhi vitrei, ma proprio in quel momento tutto il suo corpo venne bruscamente illuminato dai fari di un pullman. Il rumore assordante del clacson si inframmezzò con le urla disperate di Kilgrave, e nel breve istante che intercorse tra lo schianto e la presa di coscienza di stare per morire, lei si voltò verso di lui. Lo guardò negli occhi un’ultima volta prima di venire completamente falciata dalle ruote.

Così impari, bastardo.



 

Era accaduto tutto nel giro di un istante, tutto davanti ai suoi occhi.

Jessica, la sua Jessica, che non rispondeva ai suoi comandi, come se fosse diventata sorda all’improvviso. L’aveva chiamata, aveva gridato il suo nome a squarciagola, più forte, ma lei non si era nemmeno voltata. Aveva continuato a camminare come se fosse stata attratta dalla luce, come se si fosse in qualche modo resa immune dai suoi poteri mentali.

Ma Kilgrave in quel momento aveva ben altro a cui pensare. Jessica che non rispondeva più ai suoi comandi era certamente un problema, ma Jessica che stava per morire era… L’inferno, il puro, nero inferno.  

Ormai aveva le mani, la camicia e i pantaloni sporchi di sangue. Reggeva il corpo inerme di Jessica tra le braccia, mentre l’auto di un ignaro passante procedeva contromano e a tutta velocità verso l’ospedale. Il cuore ormai gli stava per esplodere dal petto, le mani gli tremavano.

“Veloce!” ordinò disperato al conducente, che diede ulteriore gas all’auto “Muoviti!”

La ragazza era pallida, sembrava che non respirasse più...

“Ti prego, resta con me” la supplicò piano, spostandole i capelli madidi dalla fronte “Ti prego, Jessi”.

La macchina arrivò presto in ospedale e parcheggiò nell’area riservata alle ambulanze, proprio di fronte al pronto soccorso.

Kilgrave zittì seccato le proteste dei soccorritori e ordinò loro di aiutarlo. I sanitari gli obbedirono con uno scatto e Jessica venne appoggiata su una barella. Lui corse dietro di loro, non la perse di vista.

Nel pronto soccorso c’era un’insopportabile confusione. Medici che correvano da una parte all’altra, bambini che piangevano, gente ferita, ustionata o comunque piena di pretese che si lamentava ed esigeva attenzioni. No, così non poteva andare. Jessica doveva avere l’assoluta priorità. 

“Voi, fuori!” ordinò graffiante a quattro pazienti, i quali subito si alzarono e andarono verso la porta “Anche voi, fuori!”

Una madre con un bambino piangente, un ragazzo zoppicante e un vecchio con una borsa del ghiaccio sul gomito uscirono malandati verso la porta. Ma quello non era ancora abbastanza.

Dove diavolo è il primario? Chi sono i medici migliori? Perché la mia Jessica non è ancora entrata in sala operatoria?

 

Ormai gli faceva male la gola da quanto aveva gridato. Gli venne quindi un’idea, Kilgrave si fece bruscamente strada nel gabbiotto delle infermiere, strappò loro di mano il microfono dell’ospedale, quello usato per le comunicazioni di servizio, e iniziò a dare ordini.

“TUTTI I MEDICI E TUTTO IL PERSONALE SANITARIO VENGANO SUBITO QUI A CURARE JESSICA JONES!” ordinò forte e chiaro “CHE NESSUNO ESCA DI QUI FINO A CHE JESSICA JONES NON SI SARÀ DEL TUTTO RISTABILITA!”

Dei medici accorsero, sì, ma solo quelli che si trovavano nei paraggi, vuoi per un coffee break alle macchinette, vuoi per semplice casualità. 

 

“Per l’inferno maledetto, stupido potere limitato!” imprecò il persuasore, rendendosi amaramente conto che non sarebbe stato così semplice avere ciò che necessitava.
Stava già valutando di mettersi a cercare il Primario dell’ospedale, quando la Dea Bendata decise di sorridergli.

Un medico sulla sessantina, dall’aspetto austero e rassicurante, si precipitò verso di lui non appena si aprirono le porte automatiche dell’ascensore.
Il potere di Kilgrave poteva anche non avere effetto a grandi distanze, ma ciò non toglieva che tramite il sistema acustico il suo messaggio fosse stato sentito nell’intero ospedale.

 

“Dico, signore, è forse impazzito?” lo aggredì questi, giungendo verso di lui con aria incredula “Ma come si permette di fare comunicazioni del genere, crede che qui stiamo giocando? Io sono il Dr. Tenter, Primario di quest’ospedale, qui c’è gente che ha bisogno di cure e…”


Kilgrave lo interruppe subito, annoiato.

"Tse Tse Tse” lo zittì con un gesto nervoso della mano “Sei tu il Primario, quindi?”

L’uomo anziano annuì subito e sul volto del persuasore si dipinse un ghigno soddisfatto. Per lui fu uno scherzo mettere al microfono il Dr. Tenter e far ripetere a lui il suo stesso annuncio.
Stavolta il risultato fu molto diverso.

 

In meno di cinque minuti, tutti i camici bianchi dell’ospedale si erano riversati a cascata verso di lui, dai radiologi agli ostetrici disponibili. Tutti gli infermieri, i soccorritori, i volontari, tutti erano lì.
Del resto, da che mondo e mondo, gli ordini di un Primario non si mettevano mai in discussione. Se poi a questi si aggiungevano gli ordini inflessibili di Kilgrave, il gioco era fatto.

Il persuasore sorrise, ora sì che si ragionava.

 

8 ore dopo...

 


Kilgrave non faceva che fissare il monitor con le funzioni vitali di Jessica, che dormiva.
Non era una cima in fatto di medicina ma sapeva che, finché sentiva quei beep intermittenti e vedeva quelle linee continuare ad alternare il loro andamento, significava che tutto era sotto controllo.
Aveva assistito a ogni fase della delicata operazione della ragazza e l’ultimo infermiere che aveva cercato di allontanarlo, era ancora impegnato a prendere a testate il muro, ma dopotutto qualcuno lo avrebbe trovato prima o poi… forse.
Il Primario dell’ospedale giunse verso di lui con la cartella clinica in mano. Kilgrave si alzò subito dalla sedia.

“Allora?” domandò, teso, perforandolo con lo sguardo.

“Le condizioni della paziente sono stazionarie, signore. Il suo corpo sta rispondendo bene alla terapia e sta reagendo con una velocità notevole, oserei dire miracolosa,” lo rassicurò “Tuttavia…” borbottò subito dopo.

“Tuttavia?” lo incalzò Kilgrave, agitato “Parla!”

“Tuttavia, l’impatto col suolo è stato molto forte e ha danneggiato in modo superficiale la corteccia cerebrale” spiegò rapidamente il medico “Mi dispiace molto, signore”.

Kilgrave rimase a fissarlo per una manciata di secondi, impallidito. Poi lo afferrò violentemente per il camice e lo sbatté contro il muro.

“Che cosa diavolo significa che ha danneggiato la corteccia cerebrale?” lo aggredì, sconvolto “Che cosa significa!”

“Significa che ha del tutto perso la memoria” replicò l’anziano dottore, prontamente “Non ricorda più niente, ma confidiamo che abbia ancora piena coscienza delle nozioni di base del vivere civile e di tutto quello che le sta intorno. Testeremo nei prossimi giorni la gravità della sua amnesia, ma per quanto riguarda i fatti legati alla sua vita privata, sono spiacente ma temo che ci sia ben poco da fare. Questo è un rarissimo caso di totale e piena amnesia e dopotutto sono veramente poche le persone che sopravvivono a impatti del genere”.

Kilgrave gli lasciò il camice stropicciato e lo spinse via. Cercò di ragionare, doveva ragionare.
 

“Quando dici che non ricorda più niente, intendi…”

“Intendo dal giorno della sua nascita ad oggi, signore.” fu il più eloquente possibile il Primario. “Ora l’abbiamo indotta in coma farmacologico e…”
Quest’ultimo si interruppe, accorgendosi dell’occhiata di fuoco che gli stava riservando quell’inquietante individuo.
“Per il suo bene.” si affrettò a precisare, rabbonendolo subito.
Lui voleva che la sua Jessica stesse bene.

“Quanto resterà in coma?” domandò.
“Per preservare l’organismo e tutte le sue funzioni cerebrali, almeno due giorni.” rispose l’interpellato.

“Due giorni?” ripeté Kilgrave, con una smorfia arrabbiata “Deve restare così due cazzo di giorni?”

Il medico deglutì “Le posso assicurare che abbiamo seguito alla lettera tutte le linee guida dell’OMS, la procedura standard prevede che…”

“Non me ne frega niente dalla procedura standard" lo interruppe bruscamente lui “Se Jessica non si risveglia tra due giorni, tu prendi quel fottuto bisturi e te lo ficchi nel cuore, sono stato chiaro?”

“Sì, signore” esclamò il Primario, senza battere ciglio. 

“Ora fuori” ordinò, con lo stomaco serrato dall’ansia. “Che resti solo il Dottor Ten non so chi per controllare che sia tutto a posto.”

Okay quella situazione assurda lo rendeva confuso e rabbioso, ma la salute della sua amata veniva prima di ogni cosa.

 

I medici assembrati nella camera uscirono rapidamente come dei soldati.

Kilgrave si sedette nella sedia di cortesia di fianco al letto di Jessica e fece un sospiro pesante. In casi come quelli, quando si sentiva così teso e preoccupato, di solito era Jessica che si occupava di allietarlo. Un bacio, un sorriso, una forma più intensa e completa di sollievo… ma ora lei non c’era. Kilgrave si sentiva perso, impaurito come quando, da bambino, veniva legato in una branda e abbandonato alla brutalità degli scienziati.

Voleva la sua Jessica, ne aveva un bisogno dell’anima.

Le strinse la mano, era fredda e perciò gliela portò sotto le coperte.

“Jessi” iniziò, col fiato corto “Jess, vedi cosa succede quando ti allontani da me?” l’accusò tra i denti, con gli occhi lucidi “Tu devi stare con me! Perché te ne stavi andando? Ti avevo chiamato! Se mi avessi ascoltato, a quest’ora eravamo a casa, è colpa tua, Jessica, tua!

Il suo corpo ormai era diventato un fascio di nervi. Non aveva toccato cibo, bevuto o chiuso occhio da quando erano entrati in ospedale, quasi un giorno prima.

“Ma non ti lascio” le disse più dolcemente, accarezzandole le dita “Resto qui con te perché ti amo, sempre. Tu resta con me, però, d’accordo?” riprese, il solo pensiero che lei potesse morire lo mandava fuori di testa.

Lei era sua, sua e basta, e questo pensiero gli fece tornare alla mente un momento in cui aveva pensato esattamente la stessa cosa.

“Jessi, ti ricordi quando siamo andati a Venezia?” le disse, sempre tenendole la mano “Ti avevo detto che quella era una meta famosa per le richieste di matrimonio, ma che a me sembrava troppo banale perché… Insomma, lo facevano tutti. Beh, in realtà ho mentito” le sorrise, imbarazzato “Avrei voluto chiedertelo anche io, ma per qualche strana ragione non ne ho avuto il coraggio. Il che è sciocco, dopotutto mi avresti detto comunque di sì, giusto?”

Le sorrise, lei sembrava aver aggrottato le sopracciglia nel sonno. 

“Jessica” le disse “Voglio davvero passare la mia vita con te, non ho mai amato nessuno come amo te. Vuoi sposarmi, anche se non…” si interruppe, un’illuminazione lo colse all’improvviso “Anche se non ti ricordi niente?”.

Oh.

Lei non ricordava niente.

A quanto dicevano i medici, non ricordava nemmeno il suo nome, nemmeno quella dannata sorella che soleva invocare così spesso nel sonno, nemmeno quei mesi che avevano trascorso insieme, tra luci e ombre.

Kilgrave si rese conto di avere un’opportunità più unica che rara: poteva costruire non solo il futuro, ma anche il passato. Poteva cambiare il corso della loro storia e ricominciare da zero. Un nuovo inizio, senza le ombre o gli errori del passato. Kilgrave non era amorale, era conscio di aver imposto a Jessica un ritmo un po’ discutibile, se così si può dire. Aveva tirato la corda con lei, lei stessa lo aveva fatto arrabbiare molte volte, ma non le aveva mai fatto del male, questo mai. La pazienza e la premura che aveva dimostrato con Jessica erano state una novità perfino per lui. 

E dopotutto come avrebbe potuto comportarsi diversamente con la donna dei suoi sogni? Come avrebbe potuto resisterle o rinunciarci, se era stato abituato dalla vita ad avere tutto con un semplice cenno della mano? Kilgrave amava giustificarsi in questo modo. Ed era convinto che a furia di viziarla e coccolarla anche lei prima o poi si sarebbe innamorata.  Ma, ecco, se lei fosse stata sua moglie, le cose si sarebbero velocizzate parecchio. Jessica se ne sarebbe fatta una ragione, avrebbe smesso inconsciamente di fuggire e avrebbe finalmente iniziato a guardarlo con altri occhi.

 

E così, un piano iniziò a prendere forma nella mente dell’affascinante persuasore.
Quello che era successo prima del micidiale scontro con quel dannatissimo pullman era stato un campanello d’allarme.
Jessica, a quanto sembrava, non rispondeva più ai suoi comandi. Lui l’aveva chiamata, le aveva ordinato con tutto il fiato che aveva in corpo di tornare indietro, ma la ragazza era riuscita inspiegabilmente a ignorarlo. Lo shock che aveva subito per aver ucciso quella donna era stato evidentemente troppo forte e l’aveva liberata.

Kilgrave non avrebbe mai più potuto controllare Jessica, ma ora Jessica non ricordava nulla.

Tabula rasa.

Un nuovo inizio.

Un inizio insieme.

“Signore…” azzardò il Primario, che era rientrato per i controlli di routine, vedendolo così assorto.

“Chiudi il becco, sto pensando!” berciò lui, tornando alle sue congetture e riducendo il medico a un muto ascoltatore.


Fino ad allora Jessica lo aveva amato perché lui glielo aveva ordinato… ma se lei lo avesse amato perché ne fosse convinta?
Perché lui l’avesse convinta?

Lui e Jessica si meritavano quello che in quei mesi insieme non avevano ancora avuto, ma che era comunque nei progetti futuri di Kilgrave: una vita matrimoniale.

Due coniugi di sicuro non avrebbero potuto vivere in un hotel e men che meno restare lì a New York, era troppo rischioso.

E poi servivano elementi tangibili, prove che confermassero la loro formale e sostanziale unione. Delle fedi nuziali, tanto per cominciare. Una casa famigliare, piena di progetti e di loro fotografie. Un cane, magari? 

Doveva fare delle scelte, aveva solo due giorni.

 

“Puoi tornare a parlare,” si rivolse al Primario. “Consultati con la tua Equipe e tenete sotto costante osservazione Jessica Jones…”


“Ma, Signore, ormai lei è in coma e quattro pazienti sono deceduti mentre l’ospedale intero si occupava di lei…” sottolineò il Primario, ancora sconvolto per quanto successo. Certo, aveva cara la vita di quella giovane donna, ma lui era il primario del Metro General Hospital, non poteva fare preferenze!

Kilgrave infatti lanciò uno sguardo alla porta e vide l’assembramento di medici e infermieri che si era formato di fronte all’uscio, tutti in piedi e con le mani in mano. Alzò un sopracciglio, la sua coscienza selettiva sembrò manifestarsi.

“E va bene, potete occuparvi anche degli altri pazienti, ma riservatevi di controllare sempre la mia Jessica, almeno ogni ora.” terminò, uscendo dalla stanza.

Sapeva che lo avrebbero fatto solo per dodici ore, ma era meglio di niente.


Dodici ore potevano bastare.
Anche e soprattutto per andarsi a cambiare gli abiti.
Non era certo sua abitudine girare con vestiti imbrattati di sangue, men che meno con quello della sua Jessica.


La prima fase, quella degli anelli, fu facile. Gli bastò andare dal miglior orefice della città, per sua fortuna nemmeno così lontano. 

C’erano un numero cospicuo di clienti, ma per lui non sarebbe stato certo un problema.
“Questo negozio non vi interessa più, uscite tutti.” disse e tutti si defilarono senza fare domande.

 

“Ma, Signore, che modi!” borbottò l’orefice, rimasto oramai solo, al bancone.

Si inquietò non poco quando lo vide avvicinarsi con poche falcate.

“Tu vuoi crearmi due anelli in oro bianco e vuoi farli in questo modo...”


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Ottenere l’appuntamento dall’agente immobiliare per visitare la casa quel pomeriggio stesso per Kilgrave fu più facile che rubare le caramelle a un bambino.

 

Aveva deciso che il Queens sarebbe stato il luogo perfetto: appartato, tranquillo e immerso nel verde, ma anche a un tiro di schioppo da New York e dalle sue comodità.
 

Quella villa color biscotto, con il vialetto a forme esagonali e le due aiuole poste ai lati di un prato squisitamente inglese, tanto simile a quelli che abbellivano la sua amata Londra, lo aveva convinto fin dalle prime foto che aveva visto. 

 

L’agente lo aveva portato al suo interno dove aveva apprezzato lo stile rustico, ma con una sua eleganza di fondo.
Per com’era strutturata, la casa lo rimandava a quella dell’infanzia di Jessica, quella di cui lui le aveva chiesto di parlargli a lungo, memorizzando quanti più dettagli possibili.


Sì, quello sarebbe stato il loro nido d’amore perfetto.


“E questo è il soggiorno, ampio e accogliente, luminoso e con un sofisticato angolo bar di fronte alla porta finestra.” decantò l’ennesima stanza il solerte agente, ma il persuasore non aveva bisogno di sentire altro. “Se ora vuole seguirmi nella cucina, già completamente arredata…”

“La compro.” lo interruppe Killgrave.

“Apprezzo il suo interesse, ma ci sono ancora due famiglie interessate a vederla e…”


“Non hai capito. Io la voglio comprare subito. Ora. Vendimela e preparami un contratto, dove per i primi due mesi ti accontenterai di una piccola caparra…” lo istruì lui.


“Sì, signore,” obbedì remissivo l’agente, sfruttando il tavolo della cucina per estrarre dalla sua ventiquattrore il suo laptop e aprire il file dei contratti standard.  “Valore complessivo della villa: 1.750.000 dollari,” enunciò. “750.000 dollari da versare entro i primi due mesi dalla firma del contratto.”


“Andrew,” lo chiamò per nome Killgrave, leggendogli la targhetta sulla giacca rossa da venditore del mese.
Gli piaceva conoscere il nome delle sue vittime, gli dava un senso di maggior potere su di loro.


“S-sì?” balbettò quello, che ormai non era più a suo agio da un pezzo.
 

“Quando ho detto piccola caparra, intendevo davvero piccola,” ridacchiò Kilgrave. “Correggi l’importo da versare: 750… dollari.” precisò, aprendo il suo portafogli e gettandogli le banconote una a una sul tavolo. “Che ti pago subito. E ti dirò di più. In due mesi ti farò avere il saldo. Ecco perché oggi stai facendo un vero affare.”


Kilgrave non mentiva: anche se in maniera poco ortodossa, era determinato a far le cose correttamente.

 

Nel lasso di quel tempo avrebbe trovato più e più ricchi polli da spennare nel corso di serate a poker in cui si sarebbe divertito come un folle ad aggiudicarsi la vittoria con le combinazioni più improbabili, la sua preferita era un due e un sette.

 

Andrew apportò le dovute modifiche e, sfruttando la stampante di cui era dotato lo studio, il contratto fu stampato e firmato da Kilgrave, che poteva dirsi il fiero proprietario di una villa da sogno avendo speso una somma davvero esigua.

Almeno per il momento.

 

A sera inoltrata, Kilgrave aveva fatto ritorno all’ospedale per vegliare il sonno di Jessica e intanto si riposava un po’ anche lui, su una sedia scomoda, lontana anni luce dai materassi in piuma d’oca e ai guanciali di seta a cui era abituato.
Ma lei valeva il prezzo di un risveglio con le ossa incriccate.

 

Ristabilito di nuovo quello stesso comando del giorno prima, il persuasore approfittò dell’ultimo giorno a sua disposizione per recuperare le chiavi della villa, ritirare gli anelli e, visto che il tempo c’era, anche personalizzare un po’ la casa, con qualche foto, e soprattutto occuparsi del guardaroba di Jessica.

Una Principessa deve vestirsi come tale. No. Non una Principessa. Una Regina.


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Il mattino successivo, Kilgrave era molto emozionato per quanto stava per succedere. Emozionato, ma anche preoccupato.

Naturalmente, non aveva chiuso occhio tutta la notte, di nuovo. La sedia scomoda, unita alla paura che qualcosa fosse andato storto, lo aveva tenuto sveglio e in balia di mille rovinosi pensieri. Ma una parte di lui era contenta che quell’incubo volgesse alla fine e che il loro nuovo inizio potesse finalmente concretizzarsi. Se tutto fosse andato secondo i piani, entro ventiquattro ore sarebbero stati insieme in quella nuova casa che stava tuttora finendo di sistemare.
 

Quando il Primario e la sua numerosissima equipe uscirono dal reparto di terapia intensiva e si appropinquarono verso di lui, Kilgrave si alzò di scatto.
“L’avete svegliata?” domandò al Primario, che annuì.

“Sì, è andato tutto bene” lo rassicurò, facendolo sorridere. “Ma come le ho anticipato, la signora soffre di amnesia e ora si trova in stato confusionale”.

“Posso vederla?” domandò, secco.

“No, signore, sarebbe meglio…”

Voglio vederla”.

Certo, signore”.

 

Kilgrave aprì la porta, col cuore che gli pesava nel petto. Jessica era stesa sul letto che guardava il soffitto, ma spostò subito lo sguardo non appena lo vide.
 

“Oh, Jessi” esclamò lui con tono sollevato, accorrendo verso il suo letto “Jessica, tesoro mio, come stai? Hai bisogno di qualcosa? Se sapessi la paura che ho provato” le sussurrò, abbracciandola con delicatezza “La mia Jessica”.

Costei aggrottò le sopracciglia e indietreggiò col busto per guardarlo negli occhi.

“E tu chi cazzo saresti?” gli chiese, sentendosi ancora più confusa.
 

Kilgrave tacque, preso in contropiede. Poi si voltò verso i medici rimasti alla porta “Non si ricorda nemmeno di me” lamentò, come se la cosa fosse colpa loro.

“Non si ricorda nemmeno di se stessa, signore”.

“Fatela tornare com’era prima!” ringhiò Kilgrave, arrabbiato “Subito!”

Il Primario e gli altri dottori si mossero goffamente, attivati dal potere mentale del persuasore, ma poi quest’ultimo sembrò tornare in sé.

“No, fermi, fermi” li bloccò, con un cenno nervoso della mano. Fece un sospiro e tornò a sedersi di fronte a lei.

Okay, era stato un duro colpo vedere Jessica guardarlo come se lui fosse un perfetto estraneo. Gli era stato spiegato con dovizia di particolari lo stato in cui riversava la sua amata, eppure sperare in una specie di miracolo era stato istintivo.
Ma dopotutto non era quello che voleva?
Una Jessica smemorata era la parte fondamentale del suo piano.

Aveva avuto un momento di debolezza e si era lasciato sopraffare dalle emozioni, cosa insolita per lui, da sempre così freddo e calcolatore.

Ricambiò lo sguardo di Jessica e le sorrise.



 

Jessica si strinse nelle spalle e si guardò intorno. Era in una camera singola, spaziosa, ben arredata, con un enorme schermo al plasma sul muro. Di fronte a lei, c’era una schiera di infermiere e infermieri in piedi  e ai lati del suo letto uno squadrone di dottori. L’unico che in quella camera affollata non aveva il camice bianco, era l’uomo seduto al suo fianco, un tizio molto bello ma dall’aria inspiegabilmente inquietante.

“Dove sono?” domandò a tutta quella gente riunita di fronte a lei. Fu di nuovo quell’uomo a risponderle.

“Sei in un ospedale, cara. Hai avuto un incidente”

Jessica lo guardò male, c’era qualcosa in quel tipo tutto pettinato che la inquietava e irritava terribilmente.

“Grazie al cazzo che sono in ospedale” gli rispose male, le venne naturale “Ma perché, chi siete voi? Cosa mi è successo?”

Probabilmente, nemmeno la regina Elisabetta aveva un’equipe di medici numerosa come quella.

L’uomo di prima parlò di nuovo, sembrava quasi il portavoce della banda.

“Jessi” la chiamò, sfiorandole la mano. Ma quel semplice e delicato contatto la fece trasalire. Senza avvedersene, Jessica indietreggiò e diede un potente strattone contro il letto, così potente da sradicare le grosse sbarre che rovinarono al suolo con un tonfo ferroso. Tutti sobbalzarono e lei le guardò con una smorfia esterefatta.

“Le ho solo sfiorate” protestò, confusa “Ma che diavolo?”

“Jessica” cercò di calmarla Kilgrave.

“Ma che cazzo sta succedendo!?” si animò lei, sempre più agitata “Dove cazzo mi trovo!? Cos’è questa roba?”

Fece per strapparsi i cavi di sanitari di dosso, ma Kilgrave al suo fianco le coprì la mano con la propria.

“Calmati” le ordinò con tono intenso, il cipiglio concentrato “Calmati, va tutto bene”.

Jessica lo soppesò con lo sguardo.

“Va tutto bene” ripeté lui a bassa voce, avvicinandosi con cautela “Va tutto bene, Jessica, ci sono io ora”.

Kilgrave riuscì ad abbracciarla e lei miracolosamente non oppose resistenza. “Presto ti racconterò tutto, sta’ tranquilla”.

Jessica chiuse gli occhi e inspirò forte il suo profumo. Un odore fresco e muschiato che le era decisamente familiare. Si rese conto che lo conosceva.

“Chi sei tu?” gli chiese infine.

Kilgrave sorrise tra sé e sciolse l’abbraccio, una freccia di vittoria gli saettò nello sguardo.

“Sono tuo marito, naturalmente.”




TBC

 


Note delle autrici
Dovete sapere che molto tempo fa (macché, non è nemmeno un mese, siamo state due razzi ahah) , Ecate scrisse a Lu dicendole: ‘sto riguardando un episodio di JJ e mi venuta un’idea: e se il bus investisse Jessica anziché Kevin? E per l’impatto lei perdesse la memoria e lui si fingesse il suo fidanzato?’ Lu rispose col più entusiasta dei ‘waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh!!!’ del suo repertorio e aggiunge ‘Ma se è Killy vorrà fare le cose in grande, perché solo fidanzato… se si fingesse direttamente il marito?’ Ecate rispose con un ‘Ti andrebbe di scriverla insieme?’ Lu esultò con un ‘waaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh’ ancora più grande e il resto è storia… quella che stiamo scrivendo!! Sappiate che Lu non ringrazierà mai Ecate abbastanza!
Questa sarà quindi una storia a 4 mani, ci saranno luci e ombre, momenti divertenti e altri più tristi, il tutto cercando di rispettare il carattere dei nostri due inevitabili, Jessica e Kevin!
Con la speranza che la nostra idea vi piaccia, vi salutiamo con affetto!
Lu&Ecate


 

   
 
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