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Autore: whitemushroom    25/11/2021    3 recensioni
Se qualcuno chiedesse a Ryūrō Hirotsu di riassumere le ultime ventiquattro ore di lavoro, probabilmente l’unico modo possibile sarebbe quello di citare quello scrittore emergente d’oltreoceano che non gli dispiace affatto:
Osamu Dazai caga e Ryūrō Hirotsu pulisce la merda
Storia partecipante al contest per il dodicesimo anniversario del mitico thexiiiorderforum
Prompt: #"Una lettera perduta"
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryurou Hirotsu, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Bungou Stray Dogs
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: arancione
Prompt: "Una lettera perduta"
Avvertenze: spero di aver scritto bene tutti i nomi ...


The Time You Left

Se qualcuno chiedesse a Ryūrō Hirotsu di riassumere le ultime ventiquattro ore di lavoro, probabilmente l’unico modo possibile sarebbe quello di citare quello scrittore emergente d’oltreoceano che non gli dispiace affatto:

Osamu Dazai caga e Ryūrō Hirotsu pulisce la merda

Il molo 7 del porto di Yokohama non esiste più.
Nemmeno i gabbiani sorvolano l’area.
I piedi dell’uomo si muovono lentamente, evitando ciò che resta di un container aperto dalla sommità, il carico di cibo in scatola sparso per tutta la stradina che conduce alla darsena; ciò che resta di un uomo –forse l’addetto allo scarico- giace a mezz’aria su una delle lamiere, e solo il fumo acre che ormai avvolge tutta l’aria impedisce alle sue narici di essere assalite dall’odore del sangue fresco. Un altro uomo, uno chiaramente meno fortunato del suo compagno, è riverso a terra con entrambi gli arti inferiori tranciati di netto, lasciato a morire nel suo stesso sangue.
Con questo fanno ottantasette.
Se i suoi uomini non avessero messo in sicurezza l’area impedendo alla polizia o ai comuni civili di entrare probabilmente sarebbero almeno il doppio.
Ciò che non ha mai smesso di stupirlo nonostante gli anni è la sensazione che resta nell’aria. Non il silenzio, ma una specie di risonanza.
Non i passi nel vuoto, l’odore di sangue e carne carbonizzata, non il cuore che batte alla vicinanza di un predatore più forte ed aggressivo.
Il mondo intorno a lui vibra.
È un concetto che avrebbe difficoltà nello spiegare a parole, perché solo persone dotate di “abilità” sono in grado di acciuffare quella sensazione che resta sospesa tra il fondo della retina ed il battito del cuore, quella strana vibrazione che scivola tra ciò che resta degli edifici portuali ed i corpi martoriati ed in cui immerge Falling Camelia, il suo potere, per seguire quell’onda di devastazione fino alla sorgente. Ed è la sua stessa abilità a espandergli i sensi, a gridargli nelle tempie che chiunque abbia ridotto in quello stato degli uomini addestrati potrebbe avere facilmente il sopravvento anche su un uomo della sua esperienza.
La soluzione migliore, in quei casi, è accendere una sigaretta prima di mettersi al lavoro.
La prima regola che ha permesso a Ryūrō Hirotsu di poter vedere i propri capelli tingersi di grigio è quella di non discutere gli ordini dei propri superiori. Men che mai quelli del boss.
La seconda, non meno importante della prima, è quella di non intraprendere la scalata al potere. Ha seppellito abbastanza giovanotti rampanti dalle abilità promettenti e poco sale in zucca che hanno tentato di raggiungere i vertici della Port Mafia da sapere che il boss non concede il rango di generale a coloro che potrebbero, un domani, volergli saltare alla gola. La sua attuale posizione nel ramo della Lucertola Nera è più che sufficiente per levarsi ogni sfizio possibile –essere il titolare della più grande pinacoteca di Yokohama era un vecchio sogno nel cassetto- e forse è proprio per questo che il boss gli affida spesso alcune situazioni … spinose.
La terza regola, quella che a malincuore sarà costretto ad infrangere quando la cicca toccherà terra, è quella di non avere mai a che fare con l’universo che circonda il generale Dazai.


Occhi grandi dentro orbite marcate, spigolose, che fanno capolino sotto una pelle troppo bianca.
Due mani minuscole che sbucano da sotto le maniche di un cappotto un po’ grande per quel corpo, così lungo e nero che gli ricorda i vampiri dei film americani.
Ciò che resta della darsena e delle guardie portuali è la cornice che circonda quella figura minuta di forse sedici anni (ma anche qualcosa di meno, sarà l’abito a farlo sembrare più grande) che con un calcio carico di rabbia spezza il collo ad un marinaio che ha avuto la sfortuna di non morire immediatamente nell’inferno rosso e nero che scivola ruggendo lungo tutto il molo 7.
Il rumore delle ossa, il flebile lamento dell’uomo e l’odore della morte ricordano a Hirotsu che il giovane predatore davanti a lui è l’incarnazione definitiva delle due perversioni del generale Dazai: i suoi innumerevoli tentativi di suicidio e la raccolta di orfanelli.
Perché solo un folle desideroso di morire avrebbe potuto prelevare dalla strada un ragazzino deviato come Ryūnosuke Akutagawa e addestrarlo come esecutivo della Port Mafia.
Dal lungo soprabito nero, Rashōmon vive.
Falling Camelia vibra, riconoscendo davanti a sé la fonte della devastazione, sibilando nell’aria come solo due abilità aggressive possono fare. Hirotsu ha impiegato anni per piegare e piegarsi ai propri poteri, a renderli tutt’uno col suo corpo, ad accettare e sottomettere quell’energia devastante che lo accompagna dal primo giorno della sua venuta al mondo, ma questo non vale per le saette di tenebra che guizzano dall’abito scuro e circondano il loro padrone come zampe di un ragno. Sottili strali rosse saettano da un’estremità all’altra della forma combattiva di Rashōmon, la stessa energia assassina che ha assalito e preso la vita di quasi novanta uomini in nemmeno un’ora.
Poche persone nella Port Mafia potrebbero contrastare un’abilità grezza e priva di briglie come quella che gli si para davanti. Un paio potrebbero persino soverchiarla.
E il vecchio Hirotsu purtroppo non rientra in nessuna delle due categorie.
“LUI DOV’È?”
Non il peggiore scenario possibile.
Avrebbe potuto aggredirlo senza nemmeno parlare.
“NON PUÒ ESSERE SCOMPARSO NEL NULLA!”
Non finisce nemmeno di parlare che gli strali di Rashōmon si estendono fino a pochi metri da lui. Atterrano su ciò che resta del corpo di una donna in divisa e la aprono in due, sbranandola come cani affamati. Piccole iridi grigie seguono il loro stesso potere, ma Hirotsu sa che il ragazzo ha un controllo limitato sul proprio potere.
Cioè, in realtà lo sanno più o meno tutti.
Così come sanno che il giovane Akutagawa è il cane del generale Dazai, e solo e soltanto il generale Dazai riesce a tenerlo al guinzaglio.
Il che lo riporta alla seconda parte di quella giornata di merda.
“Ragazzo, credo sia inutile ricordarti che non si … scompare … dalla Port Mafia da un giorno all’altro”.
Sussurra le parole, le sceglie con calma. La minima affermazione sbagliata potrebbe farlo ritrovare senza un arto, e anche se tutti i suoi uomini facessero irruzione per salvarlo non arriverebbe a nulla. Perché lo sa anche quel mucchietto d’ossa malnutrito che nessuno, lì dentro, scompare.
Scompare solo chi muore o chi tradisce.
Ed Osamu Dazai non fa chiaramente parte della prima categoria. Quel diavolo dell’inferno è famoso per flirtare con la morte senza mai andarci a letto.
Il giovane si china, a metà tra uno scatto ed un istintivo gesto di sofferenza, mordendosi il labbro inferiore. “Ancora non riesco a credere che il mio maestro se ne sia andato”.
E anche a quella distanza Hirotsu riesce a sentire quel senza di me che non verrà mai pronunciato e che involontariamente gli fornisce l’aggancio di cui aveva bisogno. “In realtà, ragazzo, sono stato incaricato dal boss di frugare nell’appartamento del generale per trovare qualche indizio. Ammetto che ancora brancoliamo nel buio, ma ho trovato qualcosa di interessante”.
Rashōmon svanisce come neve al sole quando Hirotsu estrae dalla giacca una lettera un po’ sgualcita, recante il nome del ragazzo in ideogrammi vergati alla bene e meglio con un pennino rovinato. Basta un battito di ciglia perché il giovane Akutagawa faccia un salto nella sua direzione e gliela strappi con prepotenza di mano, per poi aprirla con la voracità di un cane che si butta sulla scia del profumo del padrone. L’uomo osserva ogni mutamento in quel viso ossuto, perché la sua sopravvivenza e la fame distruttiva di Rashōmon dipendono solo dal contenuto scritto su un foglio da stampante piegato in quattro.
Poche, semplici parole scritte nella grafia incomprensibile dell’ex generale, appaiono da sotto la busta ormai stracciata e buttata per terra.
 

Fai
il
bravo



Quanti istanti rimangono così? Potrebbero essere passate anche due ore.
Hirotsu trattiene il fiato per non disturbare quello sguardo che attraversa il foglio per tutta la lunghezza, torna indietro, poi di nuovo avanti, rilegge le parole rivolgendo il pezzo di carta controluce a cercare di scoprire qualche altra parola scritta con un inchiostro trasparente. Si porta la lettera vicino al volto, quasi a sfiorarla con la punta del naso, un dedalo di strani pensieri che guizzano dietro le orbite e di cui l’uomo può solo immaginare il contenuto.
Dicono che l’ormai ex generale faccia questo effetto.
Ti tira nella merda per poi indossare con eleganza l’abito del salvatore.
Tiene i suoi cani stretti con un collare che nemmeno riescono a vedere, e non appena fa un passo gli portano persino il guinzaglio per andare a passeggio con lui.
Il giovane Akutagawa sta letteralmente scodinzolando davanti a tre lettere buttate su un foglio, non certo un’immagine rassicurante per i suoi uomini -anche la recluta più giovane e priva di poteri non darebbe alcun credito ad un ragazzino che assume quell’espressione ebete non appena riesce a ripiegare con cura la lettera ed a nasconderla nel soprabito.
Non ci sono più i giovani di una volta …
“Il boss ha detto che vuole vederti. Dovrai spiegargli di questo macello” mormora, capendo che è il momento di trasformare lo scampato pericolo in un altro buon tiro rilassante. “Ma lo conosci. Ci passerà sopra. Credo abbia anche una promozione per te”.
“Sul serio?”
“Ovunque sia il tuo maestro, tu sei rimasto qui. E la fedeltà si premia”.
Con un bel collare nuovo, s’intende. Di quelli col nome del boss sulla medaglietta.
“Fila a renderti presentabile. A pulire questo disastro ci penso io”.
E, quando il ragazzo si allontana brontolando qualche frase sconnessa tra i denti, Hirotsu non può fare a meno di notare che ha ripreso di nuovo la lettera da sotto i vestiti e le sta dando l’ennesima occhiata.
Quell’Akutagawa non arriverà a farsi venire i capelli bianchi.


Quarta regola dell’invecchiare in un cartello criminale: per quanta merda tu stia spalando, non lamentarti. C’è sempre qualcuno a cui è andata peggio.
“Situazione?”
Al telefono la voce della signora Kōyō è affaticata. Il che non promette nulla di buono.
“Ottantasette vittime accertate, ma la situazione è rientrata. Credo”.
“Vorrei avere anche io una letterina magica per far sparire il mio problema, Hirotsu. Qui è volato un centro commerciale”.
“E ora?”
“È qui con me. Dorme. Per ora.” mormora, abbassando la voce di diversi toni. “Non gli ho mai dato così tanti tranquillanti”.
“Riesce a riportarlo a Yokohama?”
“In aereo con Chuuya senza Dazai a tenere il guinzaglio? No grazie. Se si calma torno da sola col treno”.
Se Ryūnosuke Akutagawa, il ragazzo in grado di evocare demoni assassini dai propri abiti, è considerato il simpatico barboncino da compagnia del generale Dazai … Chuuya Nagahara ne è il mastino per le arene da combattimento. Un cane rabbioso pensato per controllare la gravità a piacimento, col risultato che quando va fuori controllo la Port Mafia non conta le vittime, ma direttamente le città.
Le giunture doloranti ringraziano Hirotsu di non essere stato mandato a fermare quello scherzo di natura in grado di far volare edifici con la stessa facilità con cui lui riesce a farsi la barba.
“Sono stanca di ripulire i casini di Dazai, amico mio” sussurra la donna. Un lieve rumore dall’altra parte del telefono, un borbottio confuso che drizza i peli dietro il collo del vecchio.
Si placano subito, uno o due mugugni indistinti, e la voce della signora Kōyō riemerge dopo un paio di secondi e qualche parola rassicurante verso il giovane che ha faticato tanto ad addormentare. “Quel bastardo lo ha fatto apposta, me lo sento. Sa quanti problemi ci daranno i suoi cani e li ha lasciati liberi”.
Hirotsu guarda i corpi ancora abbandonati nel vicolo, sente l’odore della carne lasciata a marcire, ed i ratti che adesso trovano il coraggio di uscire dai loro nascondigli per reclamare una fetta di quella meravigliosa devastazione. Forse, prima che i suoi uomini vengano a ripulire il macello, arriveranno anche i cani.
Quelli randagi, quelli veri.
Quelli meno pericolosi, perché ringhiano a tutto e tutti. Quelli che non uggiolano quando non trovano il padrone, che anche un vecchio come lui riesce a capire.
Quelli che di problemi non ne danno mai.
“Hirotsu?”
Si deve essere perso nei suoi pensieri.
Succede sempre così, ad una certa età.
“Ottimo lavoro con Akutagawa. Sei ancora il miglior falsario che io conosca”.
Quinta regola di sopravvivenza: i giovani con fenomenali poteri cosmici vanno gestiti con un pizzico di sale in zucca.
E un commento di una delle donne più belle del Giappone vale quasi quanto un apprezzamento del boss.
  
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