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Autore: Always_Potter    26/11/2021    2 recensioni
Quando Ryuk lascia cadere il suo quaderno sulla Terra, l’unica speranza dell'umanità è il primo detective al mondo... e una squadra non troppo scelta di Auror.
°*°*°*°
«No, aspetta, fammi capire. Tu hai passato gli ultimi vent’anni a fingere di non esistere, c’è gente seriamente convinta che tu sia un vampiro, e ho visto Robards sull'orlo delle lacrime perché ti sei rifiutato di apparire davanti al Wizengamot per quattordici volte. Ora lanci minacce in diretta televisiva, prendi il tè delle cinque con sei Auror e vuoi presentarti al primo sospettato? Il prossimo passo qual è? Invitare Kira a prendere parte alle indagini e diventare amici del cuore?!»
«Beh, all’incirca… sì, quello sarebbe il piano a lungo termine. Acuta come sempre».
La strega, allibita, accarezzò l’idea di piantare qualcosa di molto acuto nel cranio del detective. Tipo un coltello da cucina.
O una katana.
Avrebbe fatto un sacco di scena.
°*°*°*°
Un detective dal genio imbattuto.
Una Auror dalle abilità eccezionali.
Una quantità sterminata di bugie.
Il Mondo Magico ha di nuovo bisogno di essere salvato.
Genere: Fantasy, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15

Questione di logica

2 febbraio 2004

La mattina seguente, Harry accettò con riconoscenza il caffè che gli aveva portato Sophie.

«Il jet lag è tosto, eh?» ridacchiò la strega, adocchiando le occhiaie che facevano capolino dagli occhiali rotondi.

«Beh, almeno a me non ha preso lo stomaco» bofonchiò lui dall’orlo della tazza.

La ragazza rimestò il suo tè.

«… Ron?»

«Ron»

«Mi sembrava strano che saltasse la colazione…» fu il commento di Sophie, mentre frugava la stanza con lo sguardo: gli agenti giapponesi erano già arrivati, impegnati a smistare documenti e scrivere lettere. Draco, invece, si era rifugiato a fumare su un balcone.

«Chi cerchi?»

Harry, malgrado la stanchezza, la fissava di sottecchi con aria chiaramente divertita. La rossa si accigliò.

«Non lo so, chi dovrei cercare?»

«Beh, ho sentito buona parte della conversazione tra te e Malfoy…»

«Non stavi dormendo?»

«Non stavate urlando

Sophie sventolò una mano, come a liquidare la questione, e tornò a sorseggiare il suo tè a braccia conserte.

«… Quindi? C’è qualcosa che vuoi dirmi?»

«Harry» intimò la strega, «non ti ci mettere anche tu, per pietà»

«Ehi, sono tuo amico e tuo capo squadra, non posso essere curioso?» ridacchiò lui, dandole una spintarella amichevole col gomito.

«No, non sulle idiozie di Malfoy»

«Siamo tornati al cognome? Mi ferisci, sgorbio» si annunciò Draco, sfilandosi la giacca e abbandonandola su una poltrona.

«Oh, sia mai…»

«E poi, io non dico mai idiozie»

«La conversazione di ieri dice il contrario»

«La conversazione di ieri dice che stai sotto a un treno»

«Malfoy!»

«Cosa mi sono perso?» chiese Ron, entrato nella stanza con una mano sulla pancia e un’espressione sofferente.

«Niente»

«Draco fa il ficcanaso e Sophie fa la finta tonta».

La strega spalancò la bocca, scoccando ad Harry uno sguardo truce. «Mi sento tradita, sappilo».

Lui scoppiò a ridere, scuotendo il capo prima di posarle un bacio sulla fronte.

«Mi rifarò» promise, lasciando la tazza ormai vuota su un tavolino. «Ron? Andiamo?»

«Solo se lungo la strada mi dici su cosa fa la finta tonta» sorrise il rosso, intercettando il cuscino che gli aveva scagliato contro l’amica.

«Harry! Mi avevi promesso che ci saremmo allenati!»

«Dobbiamo fare qualche giro per il caso Misora, Soph… allenati con Draco»

«Non ho voglia» replicò istantaneamente il biondo. «Per di più, voglio familiarizzare con le scartoffie»

«Siete i peggiori» sbuffò Sophie, guardandoli a braccia conserte mentre, uno dopo l’altro, uscivano dalla suite. Malgrado l’irritazione e il suo normale malumore mattutino, Sophie si crogiolò in quel confortante senso di familiarità, portandosi alla bocca la tazza di tè bollente.

«Puoi allenarti con me».

La strega trasalì, voltandosi tanto bruscamente da far traboccare il tè.

«Dannazione, Ryuzaki!» sbottò, guardando la macchia che si allargava sul suo maglione.

«… Scusa?» fece il detective, poco convincente col minuscolo sorrisetto che aveva in volto.

Lei sbuffò, non riuscendo però a impedirsi di sorridere a sua volta.

«Con questo, ho ufficialmente finito i maglioni» dichiarò, posando la tazza su un tavolino.

«Quindi? Vuoi allenarti?» ribadì L, evidentemente non molto affranto per il suo guardaroba.

Sophie sollevò le sopracciglia. «Davvero?»

«Perché no?» replicò il mago, scrollando le spalle.

La rossa rimase immobile, il davanti del maglione ancora teso fra le mani e un labbro tra i denti. Già, perché no?

Non avevano motivo per non duellare. Era stato divertente, le ultime volte. Non era niente di strano, si allenava sempre con Harry, Ron e Draco.

Con L non era niente di diverso, no?

No?

Sophie si passò una mano fra i capelli, sospirando. «O-ok, mi cambio e arrivo…»

Gli occhi del detective scivolarono sul suo maglione, e la sua bocca sottile si tese leggermente. Si grattò il capo, inclinato in quel modo che lo faceva sembrare un gufo. Rimase immobile, lo sguardo fisso e le labbra appena mosse in qualche parola muta, e la strega sospettò che tutto lo zucchero fosse riuscito infine a otturargli un’arteria.

Invece, un breve bagliore dorato più tardi il suo maglione era nuovamente pulito. Anzi, forse anche più morbido? E profumato?

Sophie fece un largo sorriso. «Grazie, Ryuza- ehi, aspettami!»

Si affrettò a seguire il mago, che stava imboccando l’ingresso con passo stranamente leggero.

 

Avevano iniziato con qualche botta e risposta pacato, una sfilza di incantesimi non troppo incalzanti e movimenti abbastanza rilassati. Per tutto il tempo, Sophie aveva mantenuto un sorriso lieve, sereno, e gli occhi brillanti anche nella luce austera della sala sotterranea.

Era…

Quando aveva duellato con lei la prima volta, aveva potuto cogliere lo sprazzo di una sicurezza micidiale, un abbandono quasi folle alla spontaneità con cui incantesimi e decisioni fulminee la guidavano. Duellava d’istinto, duellava di conoscenze talmente ben ingranate da venirle in aiuto come gli occhi attenti con cui sondava le sue mosse o i passi sicuri e leggeri con cui danzava sul campo da duello.

È il suo palco.

Un’ombra di divertimento dipingeva ogni suo gesto, ogni sua espressione. Anche nei momenti più tesi e difficili dei duelli, la ragazza sembrava lasciarsi andare.

Sì, perché padrona di sé, della situazione, quello lo era sempre. Era una forma di controllo sottile, impalpabile nei modi di fare un po’ sbadati, ma il detective poteva leggere benissimo oltre i suoi atteggiamenti rilassati: lo scrutare i presenti quando nessuno la guardava, la leggera tensione nelle sue spalle quando era stanca e qualcuno entrava nella stanza, i profondi sospiri di  quando rimaneva sola.

Solo in alcuni casi la vedeva abbassare la guardia: mentre leggeva un libro nella sua poltrona, quando aveva attorno i suoi amici, e quando duellava.

In quei momenti, Sophie lasciava la presa sugli eventi perché era pronta a tutto: era sicura di poter ricevere qualsiasi cosa fosse arrivata, sicura delle proprie capacità, dei propri riflessi, abbastanza da trascurare persino la strategia.

Abbastanza da muoversi come se giocasse, i capelli ondulati che seguivano i suoi movimenti come fiamme scure, la bacchetta tenuta come una matita mentre disegnava l’aria di colpi sferzanti e furbi, il volto illuminato dai blu, viola e scarlatti degli incantesimi e da un sorriso ferino.

Nella sua vita, il concetto di bellezza non lo aveva mai sfiorato, se non come costrutto sociale, come canoni estetici che potessero essere sfruttati – neanche troppo sottilmente – in svariati casi passati dalle sue mani. Sapeva riconoscere, o almeno credeva, ciò che le persone potevano trovare attraente o affascinante.

Nemmeno i più abili e accattivanti truffatori della sua agenda avevano però nulla a che vedere con quello: non uno di loro poteva in qualche modo eguagliare la luce che Sophie sembrava emanare, polarizzare la sua attenzione con quella esasperante facilità, far sembrare anche il più minuto dei vezzi un’informazione da memorizzare.

Se era questo che le persone chiamavano bellezza, allora…allora era bella, era davvero bella.

«D’accordo, basta così» decretò L, infrangendo l’ultima delle offensive in una cascata di scintille viola.

La strega non aveva nemmeno un accenno di fiatone. «Hai qualcosa in mente?»

Lui annuì, ma non si spiegò subito. Rifletté attentamente per qualche secondo, sotto lo sguardo incuriosito e impaziente di Sophie.

Le iridi ambrate erano racchiuse da un deciso cerchio castano scuro, aveva notato, e questo sembrava rendere il suo sguardo ancora più intenso, il giallo-dorato ancora più brillante. Le ciglia scure non facevano che accentuare il contrasto sull’incarnato pallido.

L represse il bisogno di scuotere via dalla testa quei pensieri.

«Facciamo una prova» disse infine. «Non rispondere agli attacchi»

«Non… rispondere agli attacchi?» ripeté la strega, visibilmente perplessa. «Nel senso?»

«Non devi parare, non devi schivare, non devi contrattaccare». A quel punto, Sophie lo guardava come se gli fosse spuntata un’altra testa. Il mago sospirò.

«Non ho intenzione di colpirti, ma tu devi cercare di non difenderti.»

L’avversione della strega si manifestò nel migliore dei suoi bronci. «Ma non ha senso» protestò, senza fare nulla per nascondere il tono lamentoso.

Il detective la fissò, vagamente innervosito: non amava particolarmente spiegare per filo e per segno i propri piani, ma si arrese a illustrare il suo piccolo test. «Se al secondo turno degli esami d’ammissione dovessi incrociare la bacchetta con Light, non possiamo rischiare che si renda conto delle tue reali capacità, dato che il duello dovrebbe essere un tuo punto debole».

La rossa, seppur riluttante, annuì. «Beh, in effetti, se mi deve credere inoffensiva…»

Non serviva avere chissà quali capacità d’osservazione per capire che il solo pensiero le si incastrasse in gola. «Va bene, facciamolo» sentenziò ciononostante, il familiare cipiglio di sfida in volto.

L le fece un cenno d’intesa, poi un incantesimo dorato saettò dalla sua bacchetta. Inutilmente, perché uno scudo blu si erse quasi all’istante di fronte a Sophie, deviandone la traiettoria; entrambi seguirono la scia con lo sguardo, immobili, prima che lei gli rivolgesse un imbarazzato sorriso di scuse.

Imperturbabile, il detective ci riprovò. Del resto, non si aspettava certo che la Auror gettasse istantaneamente i suoi riflessi e il suo istinto ben addestrato al vento.

Lanciò un altro paio di incantesimi, e la strega evocò un altro paio di scudi. Poi, accigliata, strinse la presa sulla bacchetta: all’attacco successivo, non si difese. Però schivò, schiaffandosi subito una mano in fronte.

«Scusa, cazzo, scusa, scusa».

«È un lavoro graduale, ma provaci» commentò mite L, studiando i suoi movimenti.

Ogni traccia di serenità stava rapidamente scivolando via dai suoi lineamenti, e vide come la ragazza tendeva rigidamente il braccio dominante: non per essere più pronta nella risposta, al contrario, per cercare di ostacolarsi. Eppure, a ogni attacco ricevuto, Sophie finiva inevitabilmente per parare, rispondere, deviare in poche frazioni di secondo.

Dopo dieci minuti, L la bloccò con un sospiro.

«Sophie»

«Lo so, lo so, ci sto provando!» sbottò la ragazza, il volto paonazzo e le mani strette a pugno. Non lo stava guardando in faccia, il naso arricciato e l’espressione contrariata che solitamente gli facevano venire una gran voglia di sorridere erano rivolti al pavimento.

L si ritrovò a cercare le parole giuste e un tono pacato, cose a cui raramente prestava la minima attenzione. «Sophie, hai capito che questo incantesimo non è destinato ad arrecarti danno, no?»

Lei gli rivolse un’occhiata di fuoco. «Certo che ho capito, non sono stupida, Ryuzaki… con Light, però…»

«Non pensare all’attacco, al duello, pensa solo al fatto che questo incantesimo non possa farti del male»

«Ok, ma Light-»

«Fidati di me.»

Avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole un attimo dopo averle dette.

Prima di tutto non sapeva perché lo avesse detto, non aveva alcun senso.

Quella era una questione di pura logica, di consapevolezza e controllo di sé, non una questione di fiducia. E poi il solo pensiero che qualcuno si fidasse di lui era assurdo: le persone non si rivolgevano a lui perché ispirasse fiducia, ma perché era il migliore.

Logica, le avrei dovuto dire di essere logica, si corresse mentalmente. Sophie però, alla fine, annuì.

L strinse leggermente la presa sulla bacchetta.

Poi la alzò, di nuovo: mentre formulava mentalmente l’incantesimo, gli occhi della strega non lasciarono i suoi nemmeno per un istante. Solo quando la scintilla dorata saettò a pochi metri da lei, la vide chiudere gli occhi, istintivamente.

La scintilla, però, la attraversò senza lasciare alcuna traccia.

Fu quasi comico vederla sbirciare cautamente da un occhio aperto, e tastarsi la pancia con aria perplessa. Gettò le braccia in aria con aria vittoriosa. «Ce l’ho fatta!»

«Dopo diciassette tentativi» le ricordò il detective.

Lei, imbronciata, chiese di fare un altro tentativo.

«No» sospirò il detective, rintascando la bacchetta, «semplicemente, eviteremo che Light finisca assegnato a te durante l’esame».

Le spalle della strega cascarono visibilmente a quelle parole.

Del resto, non potevano rischiare che Light si insospettisse: se davvero era Kira, era già sufficientemente all’erta. Non sarebbe stato un bene se Sophie fosse nel suo mirino, sotto mentite spoglie o meno.

«Ryuzaki, mi spiace…»

La voce sommessa della strega attirò nuovamente l’attenzione di L, facendogli aggrottare appena la fronte. «Non devi dispiacerti per essere un’ottima duellante. Io stesso non riuscirei a compiere questo esercizio facilmente»

«Sì, però…»

Il detective la osservò guardare nervosamente a terra, un gesto totalmente inusuale per lei. Per l’ennesima volta, quel giorno, L sospirò.

Sospirò non tanto perché la strega fosse esasperante, quanto perché lui stesso era esasperante, nel darle corda a quel modo. Sprecare tempo, a quel modo. «D’accordo, alleniamoci ancora… ma resta il fatto che duellare con Light dovrà essere l’ultima spiaggia, intesi?»

Il volto di Sophie si rianimò istantaneamente, mentre balzava in posizione d’attacco. «Intesi!»

Il sorriso che gli rivolse, sincero e determinato, zittì ogni remora sullo star perdendo tempo.

 

***

 

5 febbraio 2004

«E-Expelliarmus!»

L’esaminatore guardò la ragazzina dai corti capelli biondi riuscire effettivamente a disarmare il suo avversario. Lo sconfitto doveva essere sorpreso quanto lui, data la confusione che aveva dipinta in volto mentre la strega gli restituiva la bacchetta con un inchino profondo.

Un peccato.

Il mago schioccò la lingua sul palato, per nulla impressionato dalla performance nonostante la vittoria, e cercò su un registro il nome di Hikari Lewis: non stava andando esageratamente male, a dirla tutta, ma i suoi duelli mancavano d’inventiva, la sua bacchetta tremava costantemente ed era decisamente troppo tesa.

Al corso Auror se la sarebbero mangiata a colazione.

Scosse la testa, dando un rapido sguardo agli altri studenti per decidere con chi accoppiarla per il prossimo scontro, tutt’ora fortemente incerto sul punteggio da assegnarle. Il grande cortile circolare in cui si trovavano era il cuore pulsante dell’Accademia, e come ogni anno era pieno di giovani aspiranti matricole, distribuite lungo le marcature incise nella pietra per indicare i campi da duello.

Controllò rapidamente che tutte le barriere magiche che li circondavano reggessero, assicurando che i duellanti non si interrompessero gli uni con gli altri e che lui e i suoi colleghi potessero comunque intervenire dall’esterno. Proprio in quel momento, un ragazzo dall’aria trasandata e le occhiaie pesanti mandò l’opponente a schiantarsi contro la parete della loro cupola.

Di nuovo.

Lo trovò subito nell’elenco: Hideki Ryūga, come il cantante che adoravano le sue figlie. Storse il naso, pensando che probabilmente era qualche riccone che non voleva usare il suo vero nome. In ogni caso, Ryūga sembrava immensamente tediato, ed effettivamente non aveva fatto altro che falciare avversari da quanto era iniziato l’esame, con una facilità estrema.

Beh, benvenuto nel club, avrebbe voluto dirgli. Che i test d’ingresso fossero una noia mortale non era una novità, e l’esaminatore si maledisse per aver perso una scommessa e aver dovuto prendere il secondo turno. Durante gli scritti, perlomeno, avrebbe potuto leggersi un libro senza che qualche studente rimanesse sfregiato o venisse mandato in coma.

«Signore, c-con chi dovrei duellare ora?»

Ah, già.

Era ancora la strega minuta con la voce sottile, che ora si stava torcendo le mani come se fargli quella domanda le fosse costato tutte le sue energie. L’uomo cercò rapidamente un esaminando libero, e stava per chiamare il ragazzo dalle occhiaie nere e l’umore cupo quasi quanto il suo, quando un lampo smeraldino attirò il suo sguardo.

Ah, Yagami, quello che sembrava un ragazzo promettente: voti eccellenti e raccomandazioni stellari dalla Mahōtokoro, un test d’ingresso ineccepibile, e non sembrava affetto da qualche grave dipendenza. Proprio come Ryūga, stava terminando in modo pulito e ineccepibile di annientare il suo ennesimo sfidante.

«Il tuo prossimo sfidante è il numero 125» decretò infine l’esaminatore, e una piccola rana di carta saltellò via dal tavolino a cui era seduto per andare a informare anche l’altro ragazzo.

L’esaminatore sospirò e puntellò il mento su una mano, seguendo distrattamente il duello di due streghe esageratamente appassionate di Fatture Orcovolanti: mentre cercava di capire qualcosa di quel nugolo di piccoli orchi alati, iniziò a meditare su cosa avrebbe potuto mangiare per cena.

«Ehi, Hikari, come sta andando?»

«O-oh, Light! Ehm, non… non molto bene, temo».

L’esaminatore sbirciò annoiato Lewis, che era stata raggiunta da Yagami e ora sembrava sul punto di prendere fuoco. Ah, gli adolescenti.

Magari posso farmi una zuppa di miso?

«Preferisci parlare in inglese? Sai che non è un problema»

«No, figurati! Devo migliorare dopotutto, no?»

«Hai ragione»

Ce l’ho del miso a casa, sono abbastanza sicuro.

«C-comunque, tu stai andando benissimo!» L’esaminatore si trattenne dal ridacchiare. «Io sono una frana, ti invidio…»

Beh, in effetti…

«Sono sicuro che stia andando meglio di come dici, non ti preoccupare… e poi c’è sempre Pozioni, non è così?» replicò con un occhiolino il ragazzo, facendo praticamente sprofondare la Lewis.

Molto affascinante ragazzo, complimenti.

«B-beh, sì… se solo avessi un’idea di come sia andato il test scritto…»

«Uhm… non ti posso promettere di ricordare tutto, ma se ti va dopo l’esame potremmo provare a ripercorrere le rispose assieme, che ne dici?»

L’esaminatore tolse gli occhi dal duello e li posò sui due adolescenti.

Yagami sorrideva con aria sicura di sé, rilassata, mentre Lewis si stava riavviando compulsivamente i capelli biondi dietro le orecchie.

«E-ecco, sei gentilissimo, ma devo proprio tornare a casa da mia nonna… ecco, ceniamo sempre assieme, ci tiene molto».

Oh, peccato, pensò l’esaminatore, quasi scuotendo il capo per il dispiacere.

«Non ti devi scusare… abiti con tua nonna, quindi?»

Lei assunse un’espressione strana, le labbra piegate in un sorriso di circostanza. «Ehm, sì… s-siamo solo noi due, ecco, perciò mi dispiace lasciarla da sola».

L’esaminatore aggrottò la fronte, e Light parve pensare per qualche momento. «Capisco, beh è bello che passiate un po’ di tempo assieme ogni giorno… in questo periodo mio padre lavora tanto che mi sembra quasi si non abitare nella stessa casa, mi manca cenare con lui».

Certo che trovare dei ragazzi così colmi di pietà filiale, al giorno d’oggi…

L’esaminatore, corrucciato, cercò di ricordare quando fosse andato a trovare i suoi genitori l’ultima volta.

Hikari Lewis, nel mentre, sembrava starsi mordendo la lingua per non dire qualcosa, chiudendo seccamente la bocca con aria imbarazzata un attimo prima di parlare. Yagami sembrava divertito.

«Cosa?»

«N-no, nulla, io… è solo che ci pensavo anche l’altra volta e…» L’esaminatore si sporse appena verso i ragazzi, dato il baccano che stavano facendo le duellanti di fronte. «Tuo padre è per caso… il Sovrintendente Yagami? Il capo delle indagini su Kira?»

Ah, ecco dove l’avevo già sentito.

«Caspita, sei informata!»

«M-mi dispiace!»

«Figurati, dopotutto ho un cognome abbastanza particolare, me lo sarei chiesto anche io… e poi, è bello sapere che non sono il solo a tenersi informato sul caso Kira»

«Certo che sì! Voglio diventare una Auror, dopotutto!» esclamò con fervore la giovane, facendo quasi ridacchiare l’esaminatore. Light Yagami, invece, la guardava colpito, un misto di curiosità e interesse nello sguardo.

Proprio due piccioncini, annuì l’esaminatore, chiedendosi che tipo di appuntamenti avrebbero fatto i due: cena e fascicoli sui crimini più recenti a lume di candela?

A proposito di cena, che diavolo si sarebbe mangiato quella sera? Perché il miso era finito, ora che ci pensava, ed era un bel problema.

«Hikari, posso chiederti una cosa?»

Magari poteva fare un salto al discount a qualche isolato di lì, non era molto distante.

«E-ehm, ok?»

Però sarebbe stata una noia tornare fino a casa da lì.

«Perché vuoi fare l’Auror?»

Che?!

L’attenzione dell’esaminatore tornò immediatamente alla conversazione tra i due.

«Non vorrei offenderti, ma… onestamente non sembri il tipo di persona che si presterebbe a un lavoro tanto pericoloso, specialmente ora che Kira è in circolazione»

L’esaminatore sbarrò gli occhi: Light Yagami aveva appena sganciato la bomba, e ora c’era da vedere come l’avrebbe presa la strega. Lui non avrebbe mai fatto una domanda del genere a una ragazza che gli interessava.

La bionda sembrò ponderare la domanda con attenzione, le sottili sopracciglia aggrottate. «So di non essere…» iniziò, ma la sua voce si spense subito. L’esaminatore tese maggiormente l’orecchio, ormai seduto sul bordo del suo sgabello. «F-forse non sono la persona più adatta per questo mestiere, e-e so di avere ancora tanto lavoro da fare ma… i-i miei genitori-» la strega serrò le labbra, interrompendosi improvvisamente. I suoi occhi erano fissi a terra, e l’esaminatore era abbastanza sicuro che sarebbe scoppiata a piangere se li avesse alzati. «Ho deciso di diventare Auror per loro, per quello che non ho potuto fare… per vend-» Hikari ammutolì di botto, il volto pallido e un sorriso tremulo in volto.

Vendicarli? Stava dicendo vendicarli?

L’esaminatore era atterrito, incredulo a quella storia: quella minuta strega dall’aria innocente stava intraprendendo una carriera del genere per vendetta? Forse l’aveva sottovalutata.

Anche Yagami pareva essere scosso dalla rivelazione, giudicando da come la stava fissando in silenzio. Lo vide chinarsi leggermente sulla ragazza, sorridendole comprensivo mentre posava una mano sulla sua spalla. Lei sussultò.

«Mi dispiace…» sentì mormorare il ragazzo.

L’esaminatore volse rapidamente lo sguardo altrove, imbarazzato di assistere a una scena così delicata. Quasi saltò sulla sedia quando, dall’altra parte del cortile, trovò Ryūga intento a fissarlo trucemente: con un attimo di ritardo, si rese conto che il mago stesse fissando Hikari e Light, non lui.

Sospirò di sollievo.

Nel mentre, Light stava suggerendo a Hikari di procedere con il loro esame.

«Oh, s-sì, direi che hai ragione» concordò, la strega. «Però il numero 125 non si è ancora presentato…» spiegò, una nota di panico nella voce.

L’esaminatore storse il naso.

Ma se state parlando da dieci minuti abbondanti?

Light rise, e con la coda dell’occhio lo vide sollevare il suo piccolo origami a forma di rana. «Scusa, te lo dovevo dire prima! Sono io il numero 125».

In quel momento, le due streghe delle Fatture Orcovolanti passarono alle mani, e l’esaminatore saltò dalla sedia per andare a dividerle.

Che giornata.

 

Sophie si bloccò, presa in contropiede.

Pensava che stesse andando tutto alla perfezione: far interessare Light alla sua storia, guidarlo lentamente alla consapevolezza che la piccola Hikari potesse essere mossa da motivazioni non troppo distanti da quelle di Kira, e poi…

Cazzo.

Duellare con lui era esattamente quello che Sophie e L volevano evitare fin dall’inizio, e invece eccoli qui.

Però…

Però, dopo ore di duelli talmente noiosi da far fremere la sua bacchetta d’impazienza, la prospettiva di mettere alla prova l’esercizio di concentrazione e controllo fatto con L la incuriosiva più del dovuto. E poi, non poteva certo rifiutare un duello di punto in bianco, no?

Nel peggiore dei casi, L aveva detto che avrebbe interrotto il duello a qualche modo, onde evitare che la strega rimanesse fulminata da qualche incantesimo a cui Hikari Lewis non avrebbe dovuto saper sfuggire.

“Fidati di me”.

Un sorriso sovraeccitato dipinse le labbra piene della ragazza. «Oh, che bellezza!»

Light la guardò per qualche secondo, poi rise: la sua risata, come ogni suo gesto, era attraente, elegante, spontanea. «Pensavo non ti piacesse duellare». Le sue parole, quelle invece dissimulavano commenti sottili, dai margini affilati, intrisi di furbizia.

Non gli sfuggiva alcun dettaglio.

«Beh, non è la mia specialità… e-e mi dispiace se sarò un po’ noiosa ma… ecco, penso sarà interessante duellare con te» spiegò la strega, di gran lunga più a suo agio nel guardarlo negli occhi rispetto a qualche minuto prima.

Lui sorrise con quel sorriso brillante che sembrava sfoderare con tanta facilità. «Cercherò di andarci leggero»

Sophie esibì un broncio perfetto sul volto a forma di cuore di Hikari. «N-non troppo, però, ok?»

La leggera risata di Light si levò nuovamente nell’aria, mentre si disponevano ai capi opposti delle linee che demarcavano la zona di duello più vicina. «D’accordo, Hikari, d’accordo».

Sophie prese posizione in modo un po’ goffo, rigido, atto a perdere il baricentro e, mentre guardava il volto divertito, quasi intenerito di Light, pensò che quella sfida non sarebbe stata poi così difficile. Tenere la guardia abbassata con lui sarebbe stato sicuramente più semplice che farlo con un detective di fama mondiale e il suo sguardo penetrante.

Light, dopotutto, era solo uno studente, per quanto eccezionale: uno studente reso malleabile da una ragazza un po’ ingenua e, probabilmente, infatuata.

Se anche non fosse stato così, si ripeté Sophie, L era presente proprio per quello: non distolse lo sguardo da Light, ma era abbastanza sicura che il detective li stesse già osservando.

“Fidati di me”.

L’esaminatore, quello che aveva origliato lei e Light con la discrezione di un ippogrifo imbizzarrito, innalzò la cupola attorno a loro.

«D’accordo…» disse Light, dopo l’elegante inchino di rito. «Tre, due, uno… Expelliarmus!» il suo primo attacco fu rapido, sì, ma leggero proprio come si aspettava. Non mancava di grazia e perfetta esecuzione, ma era palese che fosse stato addolcito, privato della lapidaria efficienza di un vero duellante.

Sophie evocò uno scudo piuttosto pigro, che non riuscì ad assorbire a pieno l’impatto dell’incantesimo e la costrinse a stringere la presa sulla bacchetta. Si curò anche di scivolare indietro di qualche centimetro, prima di strillare: «Stupeficium!»

Light parò l’incantesimo con una nonchalance che dava maggiore idea di quali fossero le sue reali capacità, così come lo fu l’arabesco disegnato magistralmente a mezz’aria per farle tremare la terra sotto i piedi. La strega riconobbe un incantesimo complesso e applicabile in un’interessante varietà di scenari, ma facilmente schivabile in circostanze normali.

In quel momento, invece, Light doveva vedere Hikari inciampare nel terreno dissestato.

«De-defodio!» balbettò poi la giovane, scavando una breccia nel cemento spezzato che ora copriva parzialmente la visuale dell’avversario, già pronto con uno Schiantesimo sulla punta della lingua.

Non si gioca con il cibo, Yagami.

Light si stava comportando come promesso, andandoci più che leggero, garantendole molto più tempo di quanto sarebbe stato lecito in un regolare duello, concedendole spazi e azioni che avrebbe potuto vanificare in pochi secondi.

Però…

Però, avrebbe potuto semplicemente disarmarla.

Forse non vuole ferire il mio orgoglio, si disse paziente, lanciando qualche altra debole fattura e riparandosi con un urletto dietro un albero. Sbirciò il volto di Light, apparentemente concentrato e vagamente divertito.

Forse.

In quel momento, la strega non poté farne a meno, non poté proprio trattenersi dal fare un piccolo test.

Così, ignorando la vocina che la metteva in guardia dal prendere le manie di L, si Disilluse.

Osservò l’espressione di Light incrinarsi per un istante, gli occhi assottigliarsi appena quando la vide scomparire nel nulla. Poi esibì un’espressione nuovamente gioviale, un sorriso piacevolmente sorpreso. «Perciò… hai da migliorare gli incantesimi offensivi e difensivi… ma sai disilluderti! Forse ti ho sottovalutata, Hikari.»

Non sembra mentire, sembra quasi imbarazzato di non averlo previsto… rifletté Sophie, studiando le reazioni del ragazzo mentre si spostava lentamente lungo l’area di combattimento, ben attenta a non far cadere detriti che la tradissero.

Light, gli occhi castani che studiavano con attenzione la scena, mormorò qualcosa sottovoce: un piccolo pezzo di cemento si polverizzò a mezz’aria, sollevando una nuvola che investì in pieno Sophie.

Nel momento in cui la polvere ricalcò i contorni invisibili del suo corpo, la ragazza rotolò goffamente a terra per evitare un fascio di luce blu. Tossì la povere che le era entrata nel naso, concedendosi un breve sogghigno: non le era sfuggito il lieve, quasi impercettibile accelerare del ritmo con cui stava duellando il suo sfidante… Light si stava scaldando.

«La Disillusione richiede una concentrazione non indifferente» le fece notare il mago, e lei lasciò che l’incantesimo le scivolasse di dosso mentre si rialzava frettolosamente e provava un attacco inutile.

«Aguamenti!»

Uno scudo azzurrino si evocò senza che Light muovesse le labbra. «Experlliarmus» scandì invece, e stavolta Sophie si lasciò sfuggire quasi del tutto la bacchetta.

Ancora una piccola spinta.

«Bombarda!» lo strillo fu più scenico che altro, dato che la strega aveva lanciato l’incantesimo non-verbalmente con qualche istante di anticipo… centrando però un punto abbastanza distante da Light.

Abbastanza distante da essere sintomo di una pessima mira.

Abbastanza vicino, e rapido, da provocarlo, da irritare qualcuno che stava concedendo tempo a un duello che avrebbe potuto vincere in pochi secondi.

Se Sophie aveva indovinato il tipo di persona che era Light, quell’inaspettata, piccola minaccia avrebbe incrinato il suo sorriso di porcellana. Nel migliore dei casi, gli avrebbe fatto salire il sangue alla testa.

Mal trattenendo un sorriso divertito, aguzzò la vista per spiare il volto di Light.

E il sorriso le morì sulle labbra. Una sensazione di gelo la investì come una doccia fredda, e improvvisamente quello non era più un gioco, un test: per un terribile, terribile attimo, vide delle crepe nella porcellana.

Forse… forse era solo un riflesso, un gioco di luce, o un frammento della sua immaginazione, che a posteriori si sarebbe quasi convinta di non aver visto.

Eppure.

Eppure vide il modo in cui Light cercò il suo sguardo con risentimento, la bocca piegata in una smorfia rigida che non aveva nulla di attraente.

“Punizione, Winchester!”

Vide i suoi occhi, in mezzo alla nube sollevata dall’esplosione, in mezzo a una coltre di polvere e terra che avrebbe dovuto ostruirle la vista. Vide uno sguardo minaccioso, assassino, un’ombra che fece tremare una parte di lei sepolta a fondo. Perché lei sapeva, lei aveva visto e vissuto di prima mano cosa potesse seguire a uno sguardo del genere.

“Come stanno i tuoi genitori, Winchester? Oh, ma certo… non possono più insozzare il nome di maghi, non è vero?”

L aveva ragione quando diceva che era una strega che duellava d’istinto, perché la guerra e tutti gli ossessivi allenamenti che ne erano seguiti le avevano ingranato certe reazioni nel cervello, le avevano lasciato sottopelle dei movimenti automatici, instillato una percettività con cui non sempre la sua logica poteva tenere il passo.

L aveva ragione a preoccuparsi, dopotutto, perché Sophie non si accorse nemmeno di aver alzato la bacchetta, in un movimento che avrebbe dovuto essere troppo rapido per Hikari Lewis. Non si accorse del detective, che aveva seguito quello scontro con la fronte sempre più aggrottata, la mano stretta sempre più forte sulla bacchetta, la mascella sempre più rigida. Non si accorse nemmeno di avere un incantesimo pronto sulla punta della lingua, uno di quelli che solo l’Auror Sophie Winchester avrebbe saputo utilizzare.

“Inutile, inutile, inutile INUTILE FECCIA!”

Vide uno spettro dipinto sulla figura di Light, lo spettro di un passato che le fece venire la pelle d’oca e rivoltare lo stomaco.

Non di nuovo.

Vide Light alzare la bacchetta su di lei…

“CRUCIO!”

… Ma non fu né la sua voce, né quella di Light, a tuonare: «Reducto!»

La strega sobbalzò, inciampando nei suoi stessi piedi e cadendo all’indietro mentre una scia bluastra saettava davanti al suo naso.

Per un attimo, tutto fu silenzio, Sophie improvvisamente cosciente del suo respiro ansimante, della pavimentazione incrinata che le aveva bruciato i palmi delle mani, della voce indignata dell’esaminatore che stava riprendendo L.

«Numero 22! Si duella all’interno delle aree delimitate!»

«Oh, mi perdoni, devo aver frainteso le marcature…»

«Le toglierò due punti per questo!».

Sophie, vide L annuire con un cenno dondolante. Il suo sguardo penetrante, però, era fisso su di lei.

La strega sbirciò Light, ora perfettamente visibile grazie all’adagiarsi dei detriti: era ancora in piedi, bloccato nella posa in cui l’incantesimo di L l’aveva interrotto, prima che potesse terminare l’arco discendente della propria bacchetta. Niente di intimidatorio nella sua figura, nessuna traccia dell’ombra sinistra che Sophie aveva intravisto.

Ignorando il tumulto interiore che le stava facendo esplodere il cuore in petto, Sophie si affrettò a far rotolare la bacchetta fuori dall’area consentita, approfittando del fatto che Light stesse studiando L con aria perplessa.

«Oh…» sospirò drammaticamente.

«Hikari, tutto ok?» le chiese Light, avvicinandosi in fretta per aiutarla ad alzarsi.

«S-sì, ma mi è sfuggita la bacchetta, ho perso…» spiegò sconfortata, indicandola mentre si spolverava i vestiti. «N-non che mi aspettassi niente di diverso, eh! S-solo…»

«Ehi, dai, non stavi andando così male!» la rincuorò il mago, raccogliendo la sua bacchetta con un movimento fluido e posandogliela fra le mani sporche di terra. «Anzi, mi hai proprio sorpreso con l’Incantesimo di Disillusione, e il Bombarda, poi!»

«Oooh, mi dispiace moltissimo, Light, ho decisamente esagerato con quello! È che sono andata nel panico e non sapevo più che cosa usare…»

«Figurati, anche se per un attimo ho davvero pensato che mi avresti preso!»

Sophie mise il pilota automatico, lasciando che quel Light, col sorriso gentile e i modi affascinanti, chiacchierasse animatamente del loro duello e di tutto quello che avrebbero potuto migliorare. Continuò a rispondergli con risatine e sguardi accesi d’interesse, lasciando che la tensione che le irrigidiva le spalle passasse per timidezza, incapace di capire che cosa avesse visto pochi minuti prima.

La strega non riusciva però a impedirsi di cercare la figura di L con la coda dell’occhio.

“Fidati di me.”

Mi dispiace.

 


LUMOS

Helo again!

Capitolo un po’ lunghetto un’altra volta ma va bene così, perché ho riscritto la parte centrale venti volte visto che mi annoiava.

Poi ho pensato a un esaminatore annoiato dalla vita e che dovrebbe andare a trovare la mamma e ha iniziato ad annoiarmi di meno LOL

So che il finale è un po’ confuso, but stay tuned ;3

Non ho riscritto di nuovo il significato dei vari incantesimi, ma per chiarificazioni sono sempre qui \(°^°)/

Un abbraccione virtuale <3

NOX

 

 

 

  
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