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Autore: ShadowsOfBrokenGirl    28/11/2021    1 recensioni
Non riuscivo a smettere di guardarli, mi trasmettevano calore, speranza. Erano il qualcosa che cercavo. Erano l’unica bussola che potesse guidarmi verso un porto di pace. Un’ancora in quella tremenda tempesta che stava avvenendo intorno a me. Dentro di me.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chocola Meilleure, Houx, Pierre Tempête de Neige, Vanilla Mieux
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN’ ANCORA NELLA TEMPESTA

 La Tempesta - Parte 1
Chocola
 
Non avrei mai voluto che il sole sorgesse e mi strappasse via dalle sue braccia. Per tutta la notte eravamo stati avvinghiati e con le carezze e con decine e decine di baci ci eravamo giurati amore eterno. Avevamo chiesto scusa e ci eravamo perdonati, ci eravamo donati l’uno all’altro e per la prima volta eravamo diventati una cosa sola. In quel momento avevo capito come fosse riuscita Vanilla a cadere nella sua trappola. Era così facile e dolce appoggiare la testa sul suo petto e lasciarsi cullare dalle sue vuote promesse e dalle sue bugie. E come sapeva essere convincente, com'era vellutata la sua voce, come si coloravano di rosso le sue guance mentre dipingeva davanti ai tuoi occhi un radioso futuro che sarebbe stato cancellato presto da nuove pennellate, quando il suo desiderio lo avrebbe spinto verso altre Muse. 
 
Questa volta non ti lascerò. Non intendo rinunciare mai più a te.
 
Mi ero addormentata fingendo di credere che lo pensasse davvero e che potessimo ancora essere felici insieme, pur sapendo bene che era troppo tardi.
Ma quei dannati raggi di sole avevano fatto irruzione nel nostro idillio a rovinare tutto e a distruggere il mio sogno. Mi liberai dalle sue braccia e sollevai il busto, facendo attenzione a non svegliarlo, per mettermi a sedere accanto a Pierre. Volevo restare ancora un po’ ad osservarlo e ad imprimere nella mia memoria ogni piccolo dettaglio del suo corpo. Scrutai le lunghe dita affusolate che ora erano appoggiate sul lenzuolo di lino bianco e mi soffermai ad guardare, non senza una grande pena, le cicatrici che solcavano la sua bianca pelle lungo i polsi e gli avambracci. Erano terribili tracce delle torture a cui era stato sottoposto da Glace, delle terribili catene impresse sulla pelle che dovevano costantemente ricordargli che la sua vita e il suo corpogli appartenevano.
Percorsi con gli occhi tutti il suo corpo e sorrisi, notando il piccolo neo che aveva sotto il capezzolo sinistro e il ciuffo di barba bionda sul mento, che doveva essere sfuggito alla rasatura. Era quella l'intimità? Conoscere ogni dettaglio del corpo dell'altro, come se fosse il proprio? Questo voleva dire possedere qualcuno?
Mi sarei potuta svegliare ogni giorno accanto a lui, se le cose fossero andate diversamente. Per un attimo mi abbandonai a sognare come sarebbe stata quella vita che avevo appena sfiorato. Avremmo fatto colazione insieme tra le lenzuola, avremo litigato perché avevo lasciato il tubetto del dentifricio aperto o per altre sciocchezze, avremmo messo fine ad ogni litigio con un bacio.
Poteva mancarmi una vita che non avevo vissuto?
Me lo chiesi mentre osservavo i suoi occhi chiusi e i capelli scompigliati che illuminati dalla luce, che entrava dalla finestra, brillavano come oro. Per un attimo mi chiesi se avessi dovuto mandare a monte i miei piani e concedermi un’altra chance, ma scartai immediatamente quella ipotesi. Avrei voluto davvero seguirlo dovunque volesse portarmi, ma purtroppo ero condannata. Non ci sarebbe stato nulla che mi avrebbe convinto a ripensarci, nemmeno Pierre.
L’unica cosa che nelle settimane passate mi aveva impedito di perdere la ragione era stata la decisione di sacrificare la mia vita per un fine più alto.
Mi sollevai dal materasso e indossai la prima vestaglia che vidi appesa all’attaccapanni e dopo averla annodata in vita, andai a sedermi davanti alla toeletta. Afferrai la spazzola e mentre pettinavo ossessivamente i miei capelli, udii dei rumori alle mie spalle. Pierre si era svegliato e stava avanzando verso di me, a giudicare dal suono dei suoi piedi nudi sul pavimento. Passai la spazzola ossessivamente tra le lisce ciocche rosse, cercando di calmarmi e di rigettare indietro le lacrime che spingevano per uscire.
Era arrivato il momento in cui avrei dovuto dirgli addio e sebbene ne fossi assolutamente certa, non ero affatto pronta.
Pierre appoggiò le sue mani sulle mie spalle e mi diede un leggero bacio sulla testa. Le sue mani scesero e si fermarono sui miei fianchi, mentre le sue labbra sfioravano il collo con i suoi dolci baci. Il suo respiro, che accarezzava la mia pelle, mi faceva fremere e tremare. Chiusi gli occhi per un attimo, inspirando il suo profumo e cercando di imprimerlo nella mia mente per godermi quelle sensazioni che sapevo non avrei più provato.
Quando però abbassò il colletto della mia vestaglia, e iniziò a baciare la mia spalla nuda, tornai alla realtà e mi irrigidii all'istante. Scattai in piedi e nel farlo feci cadere a terra lo sgabello che, scontrandosi con il pavimento, produsse un rumore sordo. Quel frastuono sembrò rompere l'idillio che avevamo stupidamente creato e anche Pierre ne fu subito cosciente. Il suo sguardo fu sorpreso: aveva perso la sua solita espressione beffarda e aveva puntato i suoi occhi stupiti su di me. Mi scrutava, cercando di capire perché mi fossi scostata da lui in modo così brusco.
-E' ora che tu vada, Pierre-e aggiunsi:-Vanilla ti starà aspettando-
Ci mise un po' per assimilare quelle parole e per capire cosa volessero dire. Nel frattempo per evitare che notasse il dolore nei miei occhi, io gli diedi le spalle e cominciai a mettere ordine tra i nostri vestiti che erano sparsi alla rinfusa sul pavimento.
-Chocola proprio di questo dobbiamo parlare: io ho cambiato idea e non voglio più andare via con lei, quello che ho detto questa notte lo pensavo davvero. Potrò essere felice solo con te e per te vale lo stesso- mi confessò e vedendo che continuavo a rifiutarmi di guardarlo in faccia, mi ordinò di voltarmi verso di lui.
Continuai a raccogliere le sue cose e ad appoggiarle sul materasso sinceramente irritata dalle sue preteste. In Pierre montava sempre di più la rabbia e a un certo punto mi afferrò il braccio e mi tirò verso di lui perché facessi quello che mi chiedeva. -Ma che diavolo ti prende?-chiese stupito.
-Pierre credi per caso che noi donne siamo degli oggetti che puoi prendere e poi abbandonare in un angolo a tuo piacimento? Intendi spezzare il cuore di Vanilla come anni fa hai fatto con il mio? Sei veramente spregevole!-
-Ora ti preoccupi della tua amica? Stanotte non mi sembrava che ti importasse molto...- le sue parole mi fecero scattare e presa dall'ira lo schiaffeggiai. Raccolsi i suoi vestiti e glieli lanciai contro, urlandogli che doveva andarsene.
-Credi che non sappia che mi sto comportando come un vero bastardo? Lo so e mi odio per questo. Ma questa notte ho capito che ti amo e non posso lasciarti andare. E so che anche per te è lo stesso, ma a quanto pare sei troppo orgogliosa per mettere da parte la tua rabbia. -
Mi sedetti sul letto e tenni la testa bassa, mentre lui si vestiva in tutta fretta. Sebbene le sue parole mi avessero davvero irritato, il pensiero che mi stesse lasciando per sempre mi lacerava. Per un secondo pensai all'eventualità di mettere da parte il mio piano e iniziare davvero una nuova vita con lui. La mia ultima occasione di felicità era a portata di mano e mi sarebbe bastato allungare la mano e afferrarla. Ma avevo già deciso quale fosse il mio destino e in gioco stavolta c'era qualcosa di più importante della mia felicità e della mia misera vita.
Commisi il grande errore di alzare lo sguardo e guardarlo per l'ultima volta: era lì in piedi che si stava abbottonando i bottoni della camicia sgualcita. Lui ricambiò il mio sguardo e lesse la pena infinita nei miei occhi velati di lacrime. Per un breve attimo la sua espressione si addolcì, ma la comprensione che lessi nelle sue iridi azzurre durò appena qualche secondo. Serrò la mascella, tirò un profondo respiro, strinse i pugni e improvvisamente i suoi occhi lasciarono trasparire solo tutta la rabbia che stava provando.
-Non sarei mai dovuto venire- queste sarebbero state le ultime parole che avrei mai sentito dalla sua bocca, il più triste e duro degli addii.
Lui girò sui tacchi e se andò via per sempre. In quel momento avrei tanto voluto cancellare la nostra ultima notte dalla mia memoria. Mi ero già abituata all'idea di dover rinunciare a lui ed ero pronta a farlo, soprattutto dopo aver scoperto che stava per lasciare Extramondo con Vanilla. Ma rivederlo di nuovo e concedermi a lui solo per perderlo di nuovo era davvero troppo per me. Mi sentivo come se fossi trafitta da milioni e milioni di coltelli e avrei voluto solo gridare tutto il mio dolore. La mia unica consolazione era che non sarebbe durato a lungo, mi sarei liberata presto di quella enorme pena.
Mentre le lacrime rigavano il mio volto, aprii il comodino alla ricerca del diario di mia madre. Nelle ultime settimane quel libro era diventato una vera ancora per me, l'unica a cosa cui mi ero aggrappata per evitare di perdermi nel caos che sembrava volermi inghiottire in ogni momento.

Un giorno, mentre mi stavo struggendo, si era semplicemente aperto: dopo tutto forse mia madre aveva davvero previsto che il lucchetto si aprisse, quando più avrei avuto bisogno di lei. Le sue parole mi avevano guarito, mi avevano accarezzato il cuore e mi avevano dato un nuovo scopo. Aprii l'ultima pagina, che ormai conoscevo a memoria per quante volte l'avevo letta.
Qualunque cosa accada, ricorda che tu sei stata il frutto dell'amore e  non credere a quello che diranno perché ti assicuro che d'amore è composta ogni fibra del tuo corpo.
In un momento in cui sentivo che non esistesse nessuno in tutto il pianeta che non mi disprezzasse, mi ero rifugiata nella dolce dedica di mia madre e nel suo amore puro che non poteva essere morto con lei.
Recitai a voce alta l'ultima frase che era scritta con una calligrafia tremolante in fondo alla pagina: -Ed è perché ti amo che compio questo sacrificio, per consegnarti un mondo migliore in cui tu possa essere felice. Mi addolora ma purtroppo perché tu possa stare al sicuro, io devo andare via.-
Nel suo diario mia madre mi aveva raccontato la sua travolgente storia d'amore con il re degli Orchi: lo aveva incontrato nei boschi della Foresta Proibita e all'inizio non sapeva chi fosse. Quando ha scoperto la sua identità, era troppo tardi perché era già perdutamente innamorata e sorda ad ogni avvertimento. I loro incontri erano diventati sempre più frequenti e si era fatta stregare dalla dolcezza, che di tanto di tanto compariva negli occhi di ghiaccio di Glace.
Potevo capire benissimo cosa avesse provato perché anche io avevo cercato un amore sincero in due iridi fredde, pregando che il fuoco che talvolta ci legevo non servisse a ingannarmi.
Quando aveva scoperto di essere incinta, proprio qualche giorno prima dell'Incoronazione, era terrorizzata e aveva accettato con grande sollievo l'aiuto di Glace che si era offerto di portarla via al sicuro nel palazzo degli Orchi. Lì la sua favola si era ben presto trasformata in un terribile incubo e lei aveva avuto ben presto l'impressione di essere più una prigioniera che un'ospite. A sue spese aveva scoperto che Glace aveva sedotto un'ingenua ragazzina, solo perché aveva bisogno di un erede per il suo regno e aveva capito che avrebbe dovuto fare qualsiasi cosa per mettermi al sicuro.
Appena sono nata delle streghe mi hanno portato via da lei e l'hanno lasciata in una grande sala scura senza darle nemmeno le cure di cui necessitava. Per molte settimane è rimasta in uno stato di torpore, smarrita e spaventata, certa che il mio destino fosse segnato. Anche quando è guarita dalla sua tristezza, non riusciva a trovare alcuna soluzione per portarmi via da lì. Gli anni passavano e Glace stava già provvedendo affinché mi venisse insegnata la magia oscura, perché diventassi una strega potente e potessi aiutarlo a portare a termine la conquista del pianeta. Mia madre sapeva che doveva eliminare Glace prima che riuscisse nel suo piano malefico e che doveva farmi evadere prima che mi corrompesse, tuttavia come avrebbe potuto farlo da sola? 
Poi un giorno la soluzione a tutti i suoi problemi si era manifestata sotto forma di un piccolo orfano. Mi aveva per caso visto giocare con un ragazzino, che sembrava la fotocopia in miniatura di Glace: aveva gli stessi occhi e come poté sperimentare un potere davvero enorme e di gran lunga superiore al mio. Era l'unico che avrebbe potuto prendere il mio posto e anche se sapeva che non era giusto coinvolgere un ragazzino innocente, sembrava essere l'unica possibilità per salvarmi. Aveva convinto Glace ad accogliere il bambino a palazzo, parlandogli del suo impressionante potere e a quel punto non restava che cancellare ogni traccia della mia esistenza. Aveva inviato una lettera a mio nonno e alla sua miglior amica per chiedere loro di accogliermi e crescermi al suo posto, nascondendomi la mia vera natura. Mi aveva fatto un incantesimo affinché dimenticassi gli anni trascorsi tra gli Orchi e aveva fatto lo stesso a tutti gli abitanti del Palazzo perché non si ricordassero di me e credessero che fosse quel ragazzo, Pierre, l'unico erede del regno di Glace. Questo era avvenuto la notte in cui mi aveva fatto scappare dal palazzo e si era sacrificata per uccidere il re degli Orchi e salvare me e tutto il pianeta. Qualcosa però doveva essere andato storto perché, pur essendo riuscita a distruggere il suo corpo, Glace aveva continuato a vivere in una forma onirica ed extracorporea. Era riuscita a privarlo del suo potere, ma non a distruggerlo del tutto e ora stava per tornare. 
-Tranquilla, mamma, porterò io a termine quanto hai iniziato. Glace non farà più del male a nessuno-dissi risoluta.
 
Mi alzai dal letto, mi sedetti davanti alla scrivania e presi la carta da lettere. Prima di andarmene per sempre da questo posto, che era stata la mia casa per molti anni, dovevo una spiegazione ad una persona nella speranza che lui -almeno lui- mi perdonasse. Avevo pensato tante volte a quello che gli avrei scritto eppure ora trovavo molto difficile riportare sulla carte le emozioni, che avevo vissuto nelle ultime settimane. Prima di tutto gli rivelai il grande segreto sulle mie origini di cui ero venuta a conoscenza e quanto questo mi avesse sconvolto: scoprire di essere un Orco per metà e di essere figlia del re Glace mi aveva gettato in un abisso di paure, incertezze e vergogna. A rendere il tutto più difficile era stato il fatto che l'unica persona con cui avrei voluto condividere quel fardello mi aveva ripudiato e non aveva voluto saperne più nulla di me. E quando avevo perso il nostro bambino ero caduta in una spirale di sensi di colpa, dolore e rabbia dalla quale credevo non sarei mai uscita. Gli spiegai che non me la ero sentita di raccontargli la verità, perché temevo che lui non mi avrebbe accettata. Fin da piccoli ci avevano insegnato a temere e odiare gli Orchi: cosa avrebbe fatto, se avesse scoperto di averne sposato uno? Così avevo tenuto tutto questo per me e alla fine ero riuscita ad accettarmi. Anzi aver scoperto le mie origini era stato alla fine quasi un sollievo: avevo sempre avvertito un senso di irrequietezza, una rabbia a cui non ero mai riuscita a dare un nome. Mi ero sentita spesso un po' diversa e avevo cercato di nascondere questi sentimenti che provavo, simulando un'allegria e una vivacità che non sempre mi appartenevano. Quando avevo scoperto finalmente chi ero e a cosa ero destinata mi ero sentita in pace.
Alzai lo sguardo e vidi un ritratto che ci ritraeva insieme. Mi ricordavo che era stato realizzato poco dopo il nostro matrimonio, quando eravamo ancora convinti che l'amore con il tempo potesse sbocciare da solo. Nell'ultima parte della lettera gli chiesi scusa per tutti gli anni che aveva sprecato al mio fianco e per tutto il dolore che gli avevo inflitto. Speravo potesse perdonarmi un giorno. Infine gli spiegai le ragioni per cui avevo deciso di sacrificarmi per uccidere Glace e salvare l'intero Regno. Se non ero stata una brava regina da viva magari lo sarei diventata da morta. Lo pregai inoltre di regnare nel migliore del modi, cercando di unire gli Orchi sotto il suo scettro e di eliminare l'inutile odio che aveva diviso per troppi anni questo pianeta. Firmai lo scritto e lo infilai in una busta che sigillai con la ceralacca. Suonai il campanello e dopo qualche minuto si presentò una cameriera. Quando arrivò, rimase sulla soglia con in volto una smorfia sorpresa e spaventata, com'era comprensibile, dato che qualche settimana fa in un impeto di rabbia le avevo vietato di tornare nella mia stanza. La raggiunsi in tutta fretta e le consegnai la lettera, ordinandole di portarla al re Houx soltanto all'indomani. Lei annuì e poi si congedò ed io capii che era arrivato il momento di prepararmi.
Andai in bagno e aprii la fontana, facendo scorrere l'acqua calda. Quando il vapore cominciò ad espandersi per tutta la stanza e a ricoprire le mattonelle, gli specchi e l'arredo del bagno, chiusi il rubinetto. Mi sfilai la vestaglia che feci cadere a terra e mi immersi nella vasca. Mi chiesi come avrebbe reagito Houx, dopo aver letto la mia lettera. Ma ben presto i miei pensieri si soffermarono su qualcun altro e mi apparve davanti agli occhi il volto di Pierre. Sarebbe mai venuto a conoscenza della ragione per cui lo avevo respinto e del sacrificio che avevo compiuto? Ne avrebbe sofferto almeno un po'?
Probabilmente mentre io stavo pensando a lui, lui stava scappando via da Extramondo con Vanilla pronto a iniziare una nuova vita. Ero contenta che lui fosse riuscito a mettersi in salvo e speravo che potesse trovare la felicità, ma allo stesso tempo l'idea che Vanilla potesse renderlo più felice di quanto non fosse stato con me mi distruggeva. Le lacrime cominciarono a scendere lungo il mio viso e poi caddero nella vasca, finendo per evaporare via. L'unica cosa che mi consolava era questa, che tutto il mio dolore sarebbe sparito con me. Quando uscii dalla vasca, passai la mano sullo specchio per togliere lo strato di vapore che lo copriva e nel riflesso a un tratto apparve il mio viso. Osservai la mia pelle pallida e i cerchi intorno agli occhi.  D'un tratto mi tornò alla memoria tutto il disprezzo che avevo visto nel suo sguardo, prima che se ne andasse via. Mi odiava, era evidente. Ma forse se avesse saputo la ragione per cui lo avevo allontanato mi avrebbe guardato con più indulgenza. Cosa avrebbe provato, quando in una uggiosa domenica pomeriggio, il mio fantasma sarebbe tornato a infestare la sua mente? Avrebbe ricordato l'amore o il disprezzo? Mi chiesi se sarebbe mai tornato su Extramondo, se avrebbe mai scoperto la vera ragione per cui gli avevo detto addio. Avrebbe mai saputo del mio sacrificio, della mia morte? Avrebbe versato almeno una lacrima per me? Avevo deciso di non dedicare a lui nessuna lettera, essendo certa che non l'avrebbe comunque mai letta. Tuttavia in quel momento corsi nella mia stanza ancora in accappatoio per afferrare un foglio e mettere per iscritto quello che provavo. Avevo bisogno di aggrapparmi alla vana speranza che un giorno l'avrebbe letta e avrebbe compreso il mio gesto e che magari mi avrebbe smesso di odiarmi. Dopo aver chiuso la lettera e aver scritto a chiare lettere il nome di Pierre sulla busta, mi sentii più leggera.
Diedi un'occhiata fuori dalla finestra e vidi come il tempo fosse rapidamente cambiato. Il cielo che prima era turchese era repentinamente diventato plumbeo e una gran quantità di nuvole scure e minacciose si erano addensate. Forti raffiche di vento muovevano le alte cime degli alberi e sembravano volerli sradicare dal suolo e lanciarli via. In un punto lontano le nuvole erano così scure che coprivano anche le più alte torri del palazzo degli Orchi. Glace doveva essersi risvegliato e mancavano solo poche ore prima che si nutrisse di tutti i cristalli neri che avevano raccolto per lui e diventasse invincibile. Dovevo approfittare di questo momento o non avrei avuto più altre chance. Era arrivato il momento di agire. Mi vestii in tutta fretta e corsi ad afferrare il pugnale che avevo opportunamente nascosto in una teca. Presi la boccetta che conteneva il veleno e con un panno lo stesi sulla lama lucente. Guardai con grande soddisfazione come il liquido avesse corroso lo straccio, danneggiandolo permanentemente. Poi infilai la lama in una fondina magica e me la legai stretta in vita, nascondendola sotto la mia spessa gonna di velluto nero. Era stata mia madre ad avermi suggerito quella idea: nel suo diario avevo trovato degli appunti in cui lei parlava di un letale veleno, che si trovava solo in una remota radura di un bosco sul monte Leto. Procurarmelo non era stato facile, ma se fossi riuscita a raggiungere il mio scopo ne sarebbe valsa la pena. Ripensai a mia madre: non si sarebbe mai aspettata che usassi in quel modo le informazioni che aveva scarabocchiato rapidamente su un foglio. 
Uscii sul balcone dopo aver dato una rapida occhiata alla mia stanza e mi accorsi che c'era una strana atmosfera nell'aria. Le nuvole erano diventate ancora più scure e il vento agitava i miei capelli nell'aria. Dopo aver tratto un respiro profondo, spiccai il volo nel cielo e corsi incontro all'oscurità.

Mi scuso per l'enorme ritardo, ma alla fine ho deciso di dividere in due parti questo capitolo dedicato a Chocola e ho quasi ultimato la seconda parte che dovrebbe uscire al massimo tra due settimane. Quanto al capitolo volevo che Chocola riuscisse a trovare un motivo per risollevarsi in se stessa e che non fosse semplicemente salvata da Pierre, inoltre ho pensato che potesse essere bello che decidesse di portare a termine il piano di sua madre. Nel prossimo capitolo scoprirete se ce la farà oppure no. Tra l'altro spero che apprezziate il fatto che Chocola, per quanto innamorata perdutamente di Pierre e desiderosa di seguirlo, in questo capitolo non si fidi completamente di lui e gli rinfacci i giochetti con cui ha preso in giro sia lei che Vanilla. Fatemi sapere che cosa ne pensate e se vi è piaciuto questo capitolo. 
 
  
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