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Autore: storiedellasera    29/11/2021    3 recensioni
Zoe ha un terribile segreto, un senso di colpa che la divora dall'interno.
Non ha mai raccontato la sua storia, e ora decide di confidarsi con un suo amico.
Estratto dal racconto:
[...]posso subito parlarti di quando ho visto il fantasma… o vuoi subito sapere la parte peggiore?
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Zoe





Offrirmi da bere se vuoi che ti racconti la mia storia. E non sto parlando della solita sbobba che offri ai tuoi clienti, senza offesa, ma dell’Aultmore singolo malto invecchiato trent’anni che conservi per le occasioni speciali.

Voglio che tu tenga a mente che non ho mai raccontato a nessuno i particolari di questa storia, neanche alla polizia e a tutti i Sigmund Freud che ho frequentato nel corso della mia vita.

Ma sono debito con te: mi hai aiutata nei miei momenti più bui e mi hai permesso di suonare nel tuo locale.

 

Da dove vuoi che inizio?
Faccio finta che non ci conosciamo e parto dal principio? Mi chiamo Zoe e questa è la mia storia. Oppure posso subito parlarti di quando ho visto il fantasma… o vuoi subito sapere la parte peggiore?

Versami un altro bicchiere così posso iniziare.

 

Devi sapere che non ho sempre vissuto qui. Sono nata a Fresno e lì ho trascorso i miei primi sette anni di vita. Poi mia madre morì di meningite e io fui costretta a raggiungere mio padre.

I miei genitori divorziarono quando avevo due anni.

Non ho mai capito perché avessero deciso di separarsi. Forse mia madre si era resa conto che l’uomo che aveva sposato non era più il ragazzo romantico che le faceva battere il cuore. Un giorno sei giovane e innamorato… e il giorno dopo sei invecchiato, incastrato in un matrimonio che non vuoi più, con delle bollette e un mutuo che ti tengono sveglio tutta la notte, senza parlare poi dell’assicurazione sanitaria, dei debiti di gioco, delle multe arretrate…
Ora, a tutto questo casino, aggiungi una figlia appena nata che non fa altro che piangere notte e giorno, notte e giorno. Figlia che, per essere precisi, mio padre neanche voleva.
Una volta mi ha definita; il risultato di un bicchierino di troppo e di un preservativo di meno.

 

Versami un altro po' di whisky …siamo alla parte in cui la storia inizia a prendere una bruttissima piega.

Dopo la morte di mia madre fui costretta a trasferirmi nella casa di mio padre, in Oregon.

Dio… quanto odiavo quella casa.
Non mi è piaciuta fin dal primo sguardo. Non fraintendermi, apparentemente non aveva nulla di strano. Era una piccola dimora in stile coloniale, aveva le pareti bianche e un piccolo solaio al secondo piano. Un tempo aveva anche una veranda ma mio padre fu costretto a rimuoverla poiché un’infiltrazione di muffa stava divorando il legno dall’interno.

La casa cresceva praticamente nel bel mezzo del nulla. All’orizzonte potevo vedere una vecchia autostrada… e ancora più in là scorgevo le sagome delle montagne.

 

In altre parole, quella casa sembrava a tutti gli effetti una normalissima casa. Certo… un po' isolata dal mondo …ma normalissima.
Eppure qualcosa mi aveva nauseata fin dal primo sguardo. Non so dirti cosa fosse. Forse qualcosa che avevo avvertito nell’inconscio… sta di fatto che quella casa mi faceva venire i brividi.

Le cose peggiorarono quando entrai al suo interno: era buia e, per colpa dell’umidità, gelida.
Inoltre c’era uno strano odore dell’aria. Non era un odore ristagnante ma una traccia olfattiva appena percepibile. Non saprei descrivere bene quell’odore ma mi riportava alla mente l’ospedale in cui ricoverarono d’urgenza mia madre prima che morisse.

 

I primi giorni nella casa li passai come se mi trovassi in una sorta di bizzarro sogno senza fine.

Dovevo abituarmi alla mia nuova vita e una parte di me si rifiutava quel cambiamento. Ricordo che camminavo per tutta la casa senza uno scopo preciso. Mi sentivo come un pesce in una boccia che non ha altro da fare se non nuotare in uno spazio angusto e vuoto.

Mio padre era sempre freddo e distanze con me, non che bramassi affetto da lui… anzi …preferivo quel suo carattere schivo e silenzioso.
Ciò che odiavo di lui però era il suo essere spilorcio.

Non ho mai incontrato, in tutta la mia vita, un uomo avido come lui. Teneva al minimo il riscaldamento della casa, anche nei giorni più gelidi… Dio, quanto ho sofferto il freddo in quel periodo. Inoltre mi permetteva di mangiare solo i suoi avanzi.
Dormivo in sala, il mio letto era un divano con sopra delle coperte.

 



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Non so dirti quando mi accorsi per la prima volta che c’era qualcosa di orrendo in quella casa.

Del resto, all’inizio non ci fu un evento eclatante come un’apparizione o un poltergeist.

Eppure ricordo che più tempo passavo in quella casa e più sentivo una certa angoscia crescere dentro di me. Probabilmente la mia mente aveva percepito qualcosa: un rumore nel cuore della notte, un’ombra scivolare negli angoli più bui delle stanze, uno sguardo fisso su me…

Sono convinta che avevo già percepito molte volte quei terribili dettagli… ma erano così labili che il mio cervello a stento riusciva a registrarli.

Ero angosciata e non sapevo il perché.

Ma un giorno… ricordo che era mattina e faceva più freddo del solito …mio padre era dovuto uscire di corsa, credo per un’emergenza al lavoro, e rimasi da sola tra quelle quattro mura.
Fuori c’era la nebbia. Dalle finestre potevo vedere quel banco biancastro fluttuare e scivolare sul giardino. Mio padre, nonostante il suo essere incredibilmente taccagno, mi permetteva di prepararmi un the di tanto in tanto. E io quella mattina avevo un disperato bisogno di calore.

Ero in cucina a riscaldare l’acqua sul fornello quando, improvvisamente, sussultai.

Sussultai senza alcuna ragione apparente. Non avevo visto nulla, non avevo sentito nulla… eppure i miei sensi si erano messi in allerta. Iniziai a tremare mentre la paura mi scorreva sotto la pelle in forma di brividi.

Il mio inconscio si era accorto di qualcosa… allora, con il cuore che mi batteva all’impazzata, iniziai lentamente a guardarmi attorno. Non sapevo di preciso cosa stessi cercando.
Tesi le orecchie e mi parve di udire un debolissimo suono, un suono simile a un sussurro che mi diceva; aiuto.

Mi assalii il panico e corsi via dalla cucina. Saltai sul mio letto-divano e mi nascosi sotto le coperte… come le coperte avessero il potere di rendermi invisibile o di proteggermi da chissà quale pericolo.

 

Non dissi nulla a mio padre dell’accaduto… del resto non sapevo se quel sussurro era reale o solo frutto della mia immaginazione. Non è forse vero che i bambini hanno una fervida fantasia?

Nonostante questo, mio padre aveva intuito qualcosa. Mi fissava con sospetto e, di tanto in tanto, alzava lo sguardo in direzione delle pareti come si aspettasse di trovare… ecco …qualcosa fuori posto.

 



⁓•⁓•⁓•֍•⁓•⁓•⁓



 

Ormai ero traumatizzata e facevo più attenzione a tutti i piccoli rumori e particolari che avvertivo nella casa… e iniziavo a dar loro un significato sempre più orrendo e fantastico: una macchia di muffa non era più una semplice macchia di muffa. Uno scricchiolio di un vecchio mobile non più un semplice scricchiolio.

Ero sempre in allerta… ma così facendo sprofondavo in una spirale di paura e angoscia sempre più forte. Mi auto-condizionavo. Ero diventata il mio nemico numero uno, la mia principale fonte di terrore.


Le notti divennero lunghe e piene di incubi.
Tutti gli psichiatri che ho frequentato concordano che la mia fobia si formò proprio durante quelle notti. Si chiama nictofobia, sai cos’è? In poche parole, è la paura del buio.

E non mi sto riferendo alla paura del buio che hanno i bambini. Sto parlando di una condizione patologica che è in grado di gettarti nel più atroce dei terrori quando va via la luce.
Nel buio, se sono sola, non sono più in grado di muovermi o di ragionare. Inizio a tremare e… sai cosa?! Chiudo gli occhi… non darmi della matta …ma la paura che provo in quei momenti mi costringe a chiudere gli occhi, anche se mi trovo nel buio più totale.

Il fatto è che, in quei momenti, sono così sconvolta che temo di rivedere di nuovo un fantasma al mio cospetto.

 

Durante quelle terrificanti notti me ne stavo da sola, nascosta sotto il letto-divano, a sbirciare da oltre coperte la sala immersa nell’oscurità. E sussultavo ogni volta che sentivo dei rumori… e oggi so benissimo che quei rumori non erano semplici scricchiolii della casa.


Una notte pioveva… pioveva a dirotto.

La luce dei lampi irrompeva nella sala. Faceva brillare ogni cosa e questo era ancora più terrificante del solito. Io ero sempre nascosta sotto le coperte.

Tremavo dal freddo e dalla paura. Mio padre dormiva nella sua stanza, al piano di sopra.

Un fulmine cadde vicino alla casa e… credo di aver lanciato un urlo in quel momento.

Tesi bene le orecchie e, per moltissimo tempo, udii solo il frastuono della pioggia che si abbatteva sulla casa. Poi, lentamente, un altro suono si unì a quello della pioggia.
Era un suono strano e ovattato. Molto debole ma, con mio sommo orrore, scoprii che proveniva dall’interno dell’abitazione.
Dopo alcuni minuti compresi che si trattava del pianto di una donna. Era sommesso e lontanissimo, inoltre aveva uno strano eco… forse metallico, non saprei dirlo.
Ricordo solo che quasi svenni dalla paura.

La notte si riempì di suoni agghiaccianti: lievi tintinnii metallici si alternavano al lamento della donna. Io ero uno spettatore paralizzato, incapace di reagire in alcun modo… costretta a sentire ogni cosa.

Poi dei tonfi sordi… probabilmente passi …iniziarono a farsi sempre più vicini.

Non capito da dove provenissero. Il temporale continuava ad abbattersi sulla casa e questo confondeva il mio udito. Pensai che qualcosa di invisibile fosse entrato nella sala, del resto sentivo qualcuno camminare eppure non vedevo nulla.

Poi iniziai a sentirmi osservata. Ero distesa su un fianco e non avevo la minima intenzione di compiere alcun movimento. A stento respiravo.
Muovevo solo gli occhi in ogni direzione. La paura mi stava facendo impazzire.

Sapevo, non chiedermi come, ma sapevo che qualcuno mi stava guardando.
Fu un lampo a rivelare ogni cosa. Il bagliore durò meno di un istante, eppure riuscii a notare il volto che spuntava dal pavimento.

Era terrificante…
Quel volto era stato deformato oltre i limiti dell’osceno e del raccapricciante. Aveva perso diversi denti e solo qualche ciuffo di capelli le erano rimasti in testa. Un occhio era vitreo, come quelli che hanno i morti e la sua pelle era in parte ustionata e in parte… non saprei descriverla. Sembrava decomposta.

Quando mi vide aprì la bocca, forse per urlare, e mi fissò con uno sguardo che non dimenticherò mai… uno sguardo carico di una sofferenza immensa.
La paura si impadronì di me. Non ero più consapevole di quello che stava accadendo. Ricordo solo che iniziai a gridare così forte che persi la voce per due giorni.
Balzai via dal divano e corsi lungo le scale che portavano al piano di sopra. Ero così sconvolta che non alcuna memoria di quella breve fuga. Non ricordo se salii i gradini a due a due, com’era mia abitudine, non ricordo se la stanza da letto di mio avesse la porta chiusa o aperta.
Non ricordo se le mie grida avessero svegliato mio padre o se era già sveglio. Non ricordo nulla.

Rammento solo che mio padre, con mia immensa sorpresa, si dimostrò molto affettuoso con me. Era la prima volta che lo vedevo comportarsi in quel modo.

Mi permise di dormire nel suo letto mentre lui, da bravo papà, scendeva a controllare se c’erano dei mostri al pian terreno. Scese di sotto… e lì ci rimase fino alle prime luci dell’alba.

 



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Dopo quella notte non ci più alcun suono bizzarro e nessun’altra apparizione.

Tutto sembrava essere tornato alla normalità.

Ma ormai ero traumatizzata e iniziavo ad avere problemi di insonnia. Lo shock aveva indebolito la mia mente e il mio fisico. Ero pallida, mangiavo a stento e non parlavo con nessuno.

Le mie maestre erano molto preoccupate per la mia condizione. Io non riuscivo a rendermi conto della loro apprensione, così come non riuscivo a notare il nervosismo e la paura che, nel frattempo, aveva iniziato a tormentare mio padre.

Tutto questo accadeva durante l’inverno.

 

Fu in una giornata di primavera che la polizia entrò in casa.

Un mucchio di agenti si riversò nella sala e nella cucina. Uno di loro si avvicinò a me. Io ero seduta a un tavolo a intenta a disegnare.

Il poliziotto si dimostrò estremamente cordiale e dolce. Mi misero una coperta e mi portarono fuori.

Mi fecero sedere sul retro di una vettura. Lì conobbi colei che poi divenne la mia prima psichiatra infantile. Non ricordo cosa mi disse… ma le sue parole riuscirono a distendere i miei nervi.

 

Dal finestrino della vettura vidi gli agenti scortare via mio padre. L’avevano trovato sul retro della casa, indaffarato con le pulizie di primavera.
Era stato ammanettato e, mentre veniva fatto accomodare su una volante della polizia, un agente gli stava leggendo i suoi diritti.

 



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Il processo a mio padre durò circa sei mei.

Gli diedero l’ergastolo senza condizionale, ma il procuratore voleva per lui la pena di morte. Mio padre non scontò nessuna delle due sentenze: si impiccò nella sua cella con una coperta qualche mese dopo il suo arresto.

Nel suo scantinato segreto trovarono i resti di quattro persone, più sette corpi fatti a pezzi e seppelliti attorno la casa.

Fu accusato di sedici omicidi ma fu ritenuto colpevole della morte di undici donne. Infatti non furono mai ritrovati i corpi delle altre persone scomparse.

 

Mio padre era un sadico malato.

Rapiva le persone e le portava nel suo scantinato che si era costruito per soddisfare le sue atroci perversioni. L’aveva insonorizzato e riempito di… chissà cosa.

E io non mi ero mai accorta di nulla... tutte quelle volte che sentivo un rumore, la mia mente da bambina gli attribuiva un significato sovrannaturale.

Non ho mai voluto sapere i dettagli: non ho mai voluto sapere cosa faceva alle sue vittime, come aveva fatto a costruire e a nascondere così bene lo scantinato oppure come si procurava la candeggina per lavare via il sangue.
Però rammento il commento di un poliziotto, uno di quelli che fecero irruzione nella casa e scoprì per prima la stanza sotterranea.

Quel poliziotto disse che fu incredibile che una delle sue vittime, nonostante tutte quelle catene e uncini che la tenevano bloccata, fosse riuscita in qualche modo a liberarsi e a trovare la botola nascosta in sala.

Era quasi riuscita a fuggire ma il mostro di mio padre, durante quella notte di pioggia, riuscì a catturarla e a riportarla nella stanza degli orrori.

 

Vedi, caro mio, i poliziotti non sanno che fui io ad avvertire mio padre di quel tentativo di evasione.

Pensavo di aver visto un fantasma… invece era solo una povera disperata che mi implorava di aiutarla. Se fosse stato per me, lei sarebbe riuscita a scappare… di questo ne sono sicura.

Capisci perché non ho mai raccontato a nessuno questa storia?

Ora, ti chiedo di lasciarmi un po' da sola.

   
 
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