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Autore: RLandH    01/12/2021    2 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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ECCOCI.
Scusate se sono scomparsa ma sono dovuta partire per località ignota per un po’ (dovuta poi – lo ho scelto io ahah) e poi, be, il mio cane ha deciso di mangiare la fibra del wi-fi, quindi indovinate chi ora è attaccata con il router improbabile del telefono?
Sì. Io.
Comunque vorrei ringraziare per le recensioni, ed il supporto, Farkas ed Edoardo811, ma chi ve lo fa fare?
Anche un cuore per chi legge/segue/ricorda/preferisce.
Ora, faccio una premessa, adesso, per come si conclude questo capitolo, il prossimo probabilmente sarà un po’ WTF (Non lo ho ancora scritto, ma sto decidendo se cominciare in media-res o continuare cronologicamente).
Oggi, abbiamo un disegno nuovo, ma lo posterò alla fine.


Un bacio
RLandH

 

 

Non si va in missione senza una profezia – o i commenti enigmatici di un dio tutore

 

“Stavo pensando ad una cosa” aveva dichiarato Mel, attirando l’attenzione di Jason, che era riemerso da un armadio – avevano deciso di cercare Stellan nel locale caldaie (sì, ne esistevano uno; Jason Grace aveva smesso di farsi domande).
“Dimmi” aveva dichiarato.
Mel lo aveva guardato con espressione seria, aveva una ditata di fuliggine nera che gli attraversava la fronte. “La Signora di Alfheim … ha incaricato Stellan di trovare uno skraeling, no. Uno di noi, nel ventesimo piano” aveva considerato.
“Hai idea di chi sia?” aveva chiesto Jason, da come aveva capito lui, che al venti fossero tutti a modo loro, stranieri. Mel aveva scosso il capo, nel farlo la treccia dritta era oscillata, “No. Penso Fred, lui è il figlio di Gerd. Da come mi hai raccontato il sogno, non credo che lei stesse pensando ad un barbaro uscito fuori da una profezia” aveva considerato Mel.
“Ha semplicemente dato l’indicazione a Stellan” aveva considerato Jason, “Forse non ha esplicitamente detto il nome di suo figlio perché … uhm … il Giardiniere, tecnicamente, lavora per Frey?” aveva proposto lui. Mel aveva sollevato le spalle, “Sì, può darsi, ma non volevo parlare proprio di questo.  Gerd ha chiesto al suo servitore uno skraeling da trovare … pensando forse a suo figlio, ma non credo che quello sia lo skraeling di cui ha bisogno” aveva sottolineato.
Jason si era morso il labbro, “Perché il sogno lo ho avuto io” aveva considerato.
Mel aveva annuito, “Probabilmente questo è il tuo wyrd, amico. Váli o meno” aveva dichiarato, prima di proporli di cambiare stanza.
Wyrd.
Jason non sapeva cosa significasse ma scommetteva che la traduzione fosse pesantemente vicina a: non ci interessa se devi pensare all’Holmagang il fato ha deciso che dovrai cacciare un cinghiale.
L’Olifante stava ancora suonando e tutto l’hotel stava cercando l’infiltrato – questo aveva trasformato l’intero posto in una bolgia con gente che strillava a destra e manca e correva in ogni dove.
Jason doveva dire che quello che lo aveva colto più di sorpresa era stata la felicità che aveva pervaso gli abitanti del Valhalla. Sembrano tutti eccitatissimi a quella personale piccola caccia, come se nessuno fosse sul serio impensierito all’idea di un’effrazione in quel luogo.

Avevano intrapreso la strada per le piscine, quando una figurava aveva fermato il loro avanzare, “Finalmente! È un po’ che vi cerco!” aveva esordito la voce. Era una valchiria.
Una giovane ragazza, forse coetanea di Jason, con un viso di rame, occhi scuri ma luminosi, il capo coperto da un hijab verde con fiori rosa, indossava solo parzialmente un’armatura, spallacci, ginocchiere, proteggi-gomito, per il resto sfoggiava una maglia di lana e pantaloni di jeans. Aveva anche un’ascia allacciata alla cinta, che le dava un’area minacciosa.
“La grande Samirah Al-Abbas!” aveva dichiarato Mel, con un sorriso aperto sul viso e tanto riconoscimento.
Jason la ricordava come la valchiria che spesso girovagava intorno al tavolo del piano diciannove e come quella che aveva portato un’anima, la stessa sera che Jason era arrivata.
La preferita di Odino.
Thumelicus di Confluentes[1] e Jason Grace, giusto?” aveva domandato retorica Samirah. “In carne e spirito” aveva risposto subito Mel, facendo anche un inchino.
Samirah lo aveva guardato con un certo stoicismo, “Il divino Bragi vuole vedervi” aveva dichiarato serafica. “Ora?” aveva chiesto Jason, facendo una circonferenza, appena, accennata, con l’indice, per indicare il caos che si stava stagliando ai loro lati. “Lungi sapere da me come funzionano il tempismo degli dèi” aveva risposto Samirah, nonostante il tono calmo della valchiria, Jason ci aveva letto dentro tanta compressione.
“Quindi il buon vecchio Bragi è tornato, eh? Si è stufato di tenere corsi agli universitari?” aveva chiesto Mel, affiancando Samirah.
“Non saprei, ‘stamattina si è presentato a colazione. Odino era felicissimo di vederlo, fino a che il figlio non gli ha sussurrato qualcosa” aveva spiegato subito la valchiria, “Ed ora questo” aveva aggiunto, ammiccando al suono cavernoso dell’Olifante che si dipanava in ogni dove.
“Hai paura di essere trascinata in un'altra missione pericolosa?” aveva domandato Mel. Samirah aveva riso, “Se il mio sesto senso funziona, questa volta non capiterà a me” aveva dichiarato, oscillando un po’ la testa, “Inoltre, sebbene stia ancora facendo il mio lavoro di valchiria, quest’anno ho gli esami finali, devo scrivere elaborati per l’università e sono entrata nella banda della scuola, per i crediti extra” aveva dichiarato.
“Oh, alle prossime cene, ci delizierai con qualche strumento?” aveva chiesto subito Mel.
Jason avrebbe giurato che il suo amico fosse stranamente accomodante ed interessato alla valchiria, tanto che questa si era fatta rigida per un secondo, “Oh, no è così con tutti. Non ci sta provando, inoltre, ha una fidanzata che adora il tennis-mortale” era intervenuto Jason.
“Oh, no, certo che no!” aveva strillato Mel, allontanandosi con un balzo dalla valchiria. Samirah era anche arrossita, immaginava più per il nervoso che per l’imbarazzo. “Non fa niente. Ma ho delle regole di vicinanza” aveva dichiarato, “Comunque, suono il triangolo, non credo allieterei molto” aveva stabilito lei. “Meglio di questo” aveva caldeggiato Jason.
“Credo che un lamantino in amore sia comunque un suono migliore” aveva dichiarato Mel, l’attimo dopo averlo pronunciato, quasi come una presa in giro, l’Olifante aveva smesso di roborare per l’hotel.
Sia grazie” aveva dichiarato Samirah, solenne.

Avevano seguito la valchiria dentro l’ascensore, nonostante Jason lo avesse preso ormai un certo numero di volte, doveva dichiararsi sempre stupefatto. Sam aveva sbuffato, chiudendo pollice e indice sull’attaccatura del naso, “Odio questo posto” aveva bisbigliato.
Doveva avere problemi a ricordare bene il piano, poi aveva sciolto la mano ed aveva digitato un tasto.
Piano quattro centonovantadue.
Per un secondo non era successo nulla, poi da una parete dell’ascensore, era sputato un cilindrino, sistemato in orizzontale, dove Samirah aveva posato il pollice.
Un campanello svelto aveva suonato. Il tubicino era rientrato e la salita era ripresa. “Una delle stanze ad accesso limitato, oh” aveva cominciato Mel. “Non ci entravo da quasi mille e cinquecento anni” aveva asserito Mel, pieno di gioia.
Jason guardava invece i piani. Erano in alto.
Voleva dire qualcosa?

Quando l’ascensore era arrivato, erano stati accompagnati da un campanello, di nuovo, e dall’apertura delle ante.
Davanti loro era apparsa un’ampia camera.  C’erano delle persone sedute su dei divanetti ad L, affrontati l’un l’altro. “Io vi lascio qui. Ho il giro di ricognizione da fare e devo andare al corso di volo; inoltre non potrei proseguire oltre. Buona fortuna, ragazzi” aveva dichiarato Samirah, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Grazie” aveva dichiarato Jason, anche Mel l’aveva imitato ed ambedue erano usciti dall’ascensore.
Non era stato necessario avvicinarsi troppo per riconoscere almeno una persona.
Madina era in piedi vicino ad un divanetto, indossava la maglietta dell’hotel, mancava una manica ed era completamente insozzata di sangue.
Lei però sembrava stare bene, anche se aveva un ematoma su una guancia e le mancava qualche porzione di corpo.
“Ehi! Siete arrivati!” aveva dichiarato subito, saltellando, letteralmente, verso Mel quasi saltellando. Aveva schioccato un bacio sulle labbra del fidanzato ed aveva abbracciato Jason. “Che giornata folle, che è stata oggi; ero lì, con una lama nella pancia quando è cominciato a suonare quel coso. Serio, ho proprio sperato di non morire; sapevo che ci sarebbe stato qualcosa di fantastico” aveva dichiarato Madina.
Jason aveva ricambiato l’abbraccio, trovandolo stranamente catartico.
Mel aveva intrecciato le dita a quelle della sua fidanzata, o almeno a quelle che rimaneva, “Oh, dèi meravigliosi!” aveva esclamato poi lei, girando con lo sguardo verso i divanetti.
C’era Bragi, seduto, con le gambe accavallate. Con i pantaloni cachi, il maglioncino sopra la camicia e le scarpe crema squadrate, dando l’impressione di un tranquillo bibliotecario.
In una mano teneva una piuma d’oca e nell’altra un quadernino, con un rilegatura in pelle.
Sembrava interessato ai loro scambi.
Affianco a Bragi, c’era Stellan, che iper-ventilava, mentre teneva tra le mani un ramo di sorbo. Il suo aspetto dal vivo era leggermente diverso dal sogno, nonostante tutti tremori che aveva avuto, era sembrato più in salute. Ora pareva, quasi, opalescente.
I capelli biondi erano sparati da tutte le parti, aveva il viso graffiato ed … emanava un forte odore di pino silvestre.
“Mio divino, signore, perdonate la mia figura” aveva manifestato subito Madina.
“Loro sono il mio ragazzo Thumelicus e il mio buon amico Jason” li aveva presentati subito la ragazza con un certo nervosismo. “Ho conosciuto già entrambi, cara” aveva dichiarato con gentilezza l’uomo, facendo oscillare la penna.
“Lui invece è il giovane Stellan, Brightflower, la causa del trambusto di questo pomeriggio” aveva dichiarato Bragi, calmo, indicando l’elfo.
Mel si era voltato immediatamente verso di lui, Jason aveva annuito, impercettibilmente. “Si è infiltrato qui da Alfheim” aveva dichiarato Bragi.
“Lo ha fatto lungo l’albero, non so neanche come sia scappato allo Scoiattolo!” aveva esclamato Madina piena di ammirazione.
“Cera d’api” aveva bisbigliato il diretto interessato.
Bragi aveva annuito, “Stellan, ci delizierà con un racconto preciso, appena sarà finita. Prima sedetevi con calma, manca ancora qualcuno” aveva dichiarato il dio.
I tre avevano eseguito l’ordine, accomodandosi al divano affrontato a quello di Bragi.
“Così è tornato nel Valhalla” aveva dichiarato Mel.
Jason non aveva ascoltato la risposta con attenzione, nello scambio che si era susseguito. Aveva osservato Stellan, con una gamba tremolante e gli occhi spalancati come quelli di un animale all’angolo di una strada che vedeva i fanali.
Ovviamente, Bragi doveva aver saputo della vicenda del Cinghiale. I piani di Gerd di tenerla nascosta dovevano essere sfumati.
L’Elfo continuava a far saettare lo sguardo da loro, al sorbo e alle ante dell’ascensore.
Il suono della campanella, che segnava l’arrivo di quest’ultimo, aveva distratto anche Jason, che si era voltato verso di esso.
Dietro le porte era apparsa la figura slanciata di Thrud, ai suoi fianchi, come piloni, c’erano due figure: Astrid, con quella sua espressione rigida come il ferro, e Fred, che aveva smesso la camicia da notte.
Ciaooo ziooo Braaagiiiii! Mia madre è ancora arrabbiata perché non sei venuto al pranzo due martedì faaa” aveva strillato Thrud, facendo ondeggiare la mano.
Bragi aveva sorriso, “Uhm … che ragazza adorabile” aveva sospirato Bragi, “Certo, tesoro, di a tua madre che io e Idunn saremo felici di venire la settimana prossima” aveva dichiarato a gran voce.
Come per Samirah, anche Thrud non era entrata, lasciando a Fred e Astrid fuori alla porta. Nessuno dei due aveva un aspetto sereno.
Avevano percorso i metri che li separavano come due condannati a morte.

 

“Oh bene, tutto il piano venti e qui al completo, mi pare di capire” aveva considerato Bragi, osservando i due nuovi venuti. “Astrid, giusto? Ci siamo conosciuti qualche secolo fa, alla mia gara di poesie” aveva ripreso il dio della poesia prima di dirottare lo sguardo verso Fred. “Sì. Ho scoperto che le rime baciate non piacciono poi molto” aveva risposto tetra Astrid.
“Temo invece che io e te non abbiamo mai avuto l’onore di conoscerci” aveva considerato Bragi, passandosi le mani sulla lunga barba intrecciata, con la stessa dedizione di un vecchio sapiente, “Ma immagino tu sia il figlio di Gerd, hai i suoi stessi occhi dolci” aveva dichiarato.
Quell’affermazione aveva fatto strabuzzare i, suddetti, occhi a Fred ed inarcare un sopracciglio scuro di Astrid.
“Sì” aveva dichiarato il ragazzo, “Frédéric di Clermont, monaco della chiesa di Santa Maria Principale[2]” si era presentato con un certo melodramma il mezzo-Jotun. Bragi aveva sorriso, mesto, “Se non ricordo male, fu distrutta una volta dai normanni” aveva considerato quello.
“Sì, la mia vita è uno stand-up comedy senza fine” aveva detto pigro Fred.
Mel aveva sciolto la presa dalla mano del suo fidanzato e si era lanciata letteralmente sul mezzo Jotun, quasi lo aveva fatto cadere, ma non lo aveva lasciato. Fred si era ritrovato anche una serie di baci sulle gote e adorabili smancerie varie. “Sono così felice di vederti!” aveva dichiarato Madina, piena di gioia. Davanti a tutta quella bontà, anche il viso sempre indisponente di Fred aveva dovuto sottomettersi. Era arrossito con vigore ed era riuscito a malapena a trattenere un sorriso; aveva ceduto, alla fine, ed aveva abbracciato la ragazza di rimando. “Sì anche io, Madina, ora staccati, però” aveva dichiarato, riconquistando un po’ del suo contegno.


Bragi non si era scomposto; essere un dio immortale doveva aver dato lui una certa tolleranza nel trattare adolescenti eterni. “Prego ragazzi, sedetevi” li aveva invitati dolcemente, prima di illustrare ai due nuovi venuti la presenza di Stellan.
Questi aveva sollevato una mano guantata, con un certo nervosismo, ancora incerto della sua posizione lì.

Volete dell’Idromele, ragazzi?” aveva chiesto Bragi, calmo. “Io no, grazie, signore” aveva risposto per primo Jason, che aveva ancora in bocca il sapore di quello che aveva bevuto, prima di essere decapitato, da Fred.
Anche gli altri avevano declinato, rigidi e preoccupati. L’unica che aveva accettato era stata Madina, con un sorriso disteso. Non era sciocca e da come stringeva la mano del suo fidanzato, Jason aveva dedotto avesse compreso la preoccupazione che albergava in loro, ma pareva più rilassata rispetto tutti.
Forse perché non aveva partecipato all’idromele del primo-pomeriggio assieme a loro, o forse era la sua natura.
“Allora, mie giovani eroi, siamo qui, per una serie di situazioni spiacevoli che ci hanno coinvolto” aveva cominciato il dio, posato. “Oggi, sfortunatamente, dovrò fare le veci del mio caro padre che ha avuto altro intoppo. Nulla che interessi noi, per ora” aveva dichiarato quello.
Madina aveva ridacchiato, “Intende che sarà affidato ai ragazzi del piano diciannove” aveva commentato lei, senza malizia.
Bragi aveva fatto schioccare le labbra, “Non ho avuto modo di conoscerli, ma ho sentito solo belle storie” aveva commentato, mentre allungava una mano poi, per dare una pacca sulla spalla di Stellan.
“Ma voi siete qui per questo giovane elfo qui e la sua signora, Gerd” aveva aggiunto Bragi, putando gli occhi, chiari, sulla figura di Fred.
“Una missione! Oh, dei del cielo, una missione” aveva dichiarato Madina, quasi saltando su dalla poltrone, “Sono passati cento anni dall’ultima” aveva raccontato, piena di vita.
Poi aveva dato uno sguardo ai suoi compagni, “Perché non parete sopresi?” aveva chiesto, confusa.
“Effettivamente, sì” aveva considerato anche Bragi. Jason si era fatto rigido ed aveva direzionato il suo sguardo verso Fred, il monaco lo aveva preceduto, “Riguardava mia madre” aveva stabilito lui cupo.
Bragi aveva accettato la menzogna di buon gaudio, “Be, sì … Ecco lascerò a Stellan spiegare cosa è successo” aveva dichiarato.
L’elfo aveva raccontato la vicenda che Jason aveva sognato, evitando di citare l’uscita pomeridiana di Gerd con la jotun Jarnsaxa – sebbene Jason scommetteva fosse una manovra inutile, Bragi aveva preso il caffè nello stesso posto delle due – si era però premurato di aggiungere del suo tentativo di incursione nel Valhalla, senza molto successo.
“Sul serio? Hai scalato Yggdrasill con i rampini?” aveva chiesto stupita Astrid, aveva gli occhi scuri quasi luccicanti, cosa che aveva fatto avvampare Stellan – curiosamente gli elfi non arrossivano rosso sangue, ma una tonalità più tenue.  
“Poi, sì, ecco, non sono un grande stregone, ma mi destreggio nell’Alf Seidre, almeno in quanto modo di comunicare con la natura” aveva dichiarato, facendo oscillare il ramo di Sorbo, ancora sano nella sua mano – Jason ricordava che lo aveva chiamato Aiden.
“Bene, cerchiamo il barbaro che vuole la bella Gerd” aveva stabilito Bregi.
Stellan aveva passato il ramo di sorbo a Madina, che era stata la prima a raccoglierlo; non era successo nulla di particolare, lei lo aveva ondeggiato, quasi speranzosa accadesse qualcosa, ma non era capitato.
“Peccato” aveva sbuffato, prima di allungare il ramo verso il fidanzato. Mel lo aveva preso senza particolare enfasi, sicuro che non sarebbe accaduto nulla, così era stato infatti.
Aveva allungato il rametto verso Jason, lui di rimando, lo aveva preso con una mano tremolante. Non era successo nulla, si era sentito, vergognosamente, più leggero.
Astrid lo aveva raccolto dopo di lui, anche lei rigida, “Oh, grazie alla gloria degli Asi!” aveva ammesso lei poi, quando nulla era successo.
“Oh, Saul a Damasco” era stato il commento spento di Fred, strappando il ramo dalle mani della sua amica. Tra le sue dita olivastre, il ramo aveva quasi preso vita, cominciando prima a vibrare e poi ballare, quasi. “Bene perfetto!” aveva stabilito Astrid.
“Io e Mel ti accompagneremo alla riceva di Gullinsburti” aveva stabilito Madina invece, mettendo una mano sulla spalla del suo fidanzato.
“Tecnicamente, verrei anche io” aveva dichiarato Stellan con coraggio, “Quattro è un numero sfortunato, no” aveva dichiarato Madina, allora; poi si era rivolta verso il suo fidanzato, “Duello mortale, amore, per decidere chi accompagnerà Fred?” aveva chiesto Madina, prima di crucciare le sopracciglia.
Mel sembrava pensieroso, molto pensieroso.
Jason lo aveva guardato ed aveva trovato il germano ricambiare il suo sguardo; aveva ricordato la conversazione che avevano avuto nel locale caldaie neanche un’ora prima. Mel aveva annuito, quasi ad invitarlo.
“Dovrei dire una cosa” aveva dichiarato Jason, sentendo l’attimo dopo la presa ferrea – e le unghie, anche oltre i jeans dei pantaloni – di Astrid sulla coscia, però, quello non l’aveva affatto fermato.
Jason aveva raccontato il suo sogno, o almeno il suo coinvolgimento in esso, anche se da semplice spettatore.
“Molto curioso” aveva commentato Bragi, anche se il suo tono sembrava in qualche modo distante, i suoi occhi erano puntati da qualche parte oltre le loro spalle, Jason non aveva bisogno di voltarsi per scoprire che fosse un semplice punto vuoto. Era con la mente che galoppava veloce, con qualcosa che loro non dovevano capire.
“Hai sognato altro?” aveva chiesto poi curioso, Jason aveva risposto con una parziale onestà, raccontato di aver sempre e solo veduto i suoi amici. “Ho anche cercato di indurre una visione post-mortem” era intervenuto Fred, posando la mano sull’elsa della sua spada Flusso di Angoscia.
“Un caso unico …” aveva esaminato Bragi, aveva distolto lo sguardo dal rassicurante vuoto per puntare gli occhi su quelli di Jason. Era passato molto, moltissimo, dall’ultima volta che un dio aveva guardato Jason così, con serietà immensa e dritto negli occhi – anche il suo precedente incontro con il medesimo Bragi, o quello con Kym, non lo avevano scosso così.
Aveva sentito brividi saltargli lungo la schiena.
Sapeva cosa stava per succedere … Lo sapeva anche Astrid visto che aveva stretto la presa sul suo ginocchio, così tanto da aver fatto impallidire le nocche, così tanto che Jason aveva potuto sentire le unghie raschiare la carne, attraverso il tessuto dei jeans.
“Io credo che tu, giovane Jason Grace, debba accompagnare Stellan e Fred” aveva stabilito.
Anche l’elfo lo stava guardando, dal momento che non possedeva più il sorbo, non faceva altro che tendere ed arricciare le dita preda di un tic nervoso.
“Credo fosse come avevo detto io” aveva considerato ad alta-voce Mel.
Fred era lo skraeling di cui Gerd aveva bisogno, ma non quello che il destino aveva scelto … quell’infame compito toccava a Jason, ancora. Anche dopo la morte.
Astrid si era lamentata in una lingua aspra e dura, probabilmente quella dei Thule.
“Probabilmente era Skuld che sussurrava nei tuoi sogni” aveva considerato Madina, “La Norna addetta alle predizioni del futuro” aveva spiegato poi, dopo aver colto la confusione – che ormai doveva essere parte integrante della sua stessa natura – sul viso di Jason.
“Questo mi ricorda che … credo voi abbiate bisogno della profezia di una Vǫlva. Penso, che per una facezia come questa, le norne non si scomoderanno” era intervenuto Bragi.
Jason aveva deviato lo sguardo dal dio, quando aveva sentito quella parola, con un certo imbarazzo.
Jason si era voltato verso Mel e Madina, preferendo, vigliaccamente, evitare lo sguardo tetro – più tetro – di Fred che ancora guardava il ramo ballerino e Astrid che probabilmente lo stava maledicendo in tutte le lingue che aveva imparato nell’ultimo millennio.
“Conosco la Vǫlva giusta. Visioni profetiche precisissime. Sono settecento anni che non può più Scommettere alla Battaglia Reale di Natale” aveva dichiarato Mel, alzandosi in piedi.
“Be, sì, prima cominciamo a fustigarci, prima finiremo di sanguinare” aveva dichiarato tetro Fred, alzandosi anche lui. Stellan li aveva imitati, con un certo nervosismo.
“Oh, ragazzo, tieni, finché sei qui indossa questo … così la gente si ricorderà di non cercare di ucciderti” aveva dichiarato Bragi, lasciando all’elfo giardiniere un elmetto, era di ferrò molto lucido, nonostante il colore fosse un’panna opaco, sulla parte frontale, c’era un simbolo, probabilmente una runa, composta da una stanga dritta, attraversata d’obbliquo da un altro trattino, più breve.
Not” aveva letto Stellan, osservando il simbolo, “Il bisogno” aveva aggiunto.
Bragi aveva annuito, “Mie giovani eroi, è stato per me un piacere parlare con voi, vi invito a proseguire per questa missione, di cui godrete di tutto l’appoggio che Asgard in tempi complicati, come questi, può darvi” aveva dichiarato, prima di congedarli, passandosi le mani sulla portentosa barba.
Astrid si era morsa un labbro, “Jason tra sei giorni deve essere presente ad un holmagang con me” aveva dichiarato.
Bragi non era sembrato poi molto stupito da quella confessione, probabilmente già conoscente. “Sì, avevo sentito qualcosa. Fanciulli, posso tentare di mitigare l’animosità di Váli, forse posso convincerlo a posticipare l’incontro per darvi il tempo, visto il grande sacrificio che Asgard ti sta ora chiedendo” aveva ponderato il dio della poesia.
“Abbiamo giurato di essere lì” aveva ricordato Jason, avendo finalmente il coraggio di guardare Astrid, che di rimando aveva deciso di puntare tutte le attenzioni sul dio.
“Sull’onore?” aveva chiesto Bragi, c’era angoscia ed un po’ di speranza – che non lo avessero fatto – nella sua voce. “Lo abbiamo fatto” aveva confermato Jason, lugubre, mentre Astrid ispirava profondamente.
“Io … io sono certo, Jason Grace, che tutto abbia una ragione” aveva provato il dio, “E non vedo l’ora di scrivere i miei nuovi versi su di voi. Giovedì terrò un convegno sull’introduzione alla mia nuova opera, comunque: Edda-in-Versi2.0 se voleste partecipare” aveva dichiarato.
“Spero di essere morto” aveva risposto sfacciato Fred.
Astrid aveva sospirato.
Jason era rimasto calmo, Madina aveva aggrottato le sopracciglia. “Be, tranquillo, amico; la morte è una delle poche ragioni che viene accettata per la mancata partecipazione ad un duello” aveva sussurrato Mel al suo orecchio.
Stellan sembrava oltremodo sconvolto.

 

 

 

“La state facendo tutti tragica” aveva dichiarato Fred, incrociando le braccia sotto al seno, “Io non ho tempo, io non c’entro niente. Aiutare qualcuno mi ha già messo abbastanza nei guai” aveva stabilito arrabbiata Astrid. “Sei troppo buona, tesoro, per pensarlo davvero” aveva squittito Madina, tirando una guancia della sua amica, facendola ridere.
“Sentite, io non vi conosco, se siete qui, siete certamente tutti degni di ogni merito” aveva cominciato a parlare tremolante Stellan.
Mel stava invece guardando il frenetico scorrere dei piani. Il Valhalla aveva cinque centoquaranta piani sicuri ed altrettante porte per i vari mondi, per cui, prendere l’ascensore era come farsi un giro nel labirinto – o almeno così aveva capito Jason.
“Però per la mia signora è importante; il matrimonio tra lei e suo marito non è sempre …” aveva cominciato Stellan, ma Fred aveva parlato più forte, “Ti prego, non voglio sapere della vita sessuale di mia madre” aveva dichiarato perentorio. L’elfo aveva taciuto, “Comunque è necessario ritrovare Gullinbursti, non solo perché è una creatura dolce. Ma è una creatura forgiata da Brokkr, lo stesso che ha creato il Martello di Thor, non credo, ecco, che sia da prendere così sottogamba una sua sparizione” aveva dichiarato l’elfo.
Era caduto nell’ascensore un momento di puro silenzio; nonostante il loculo fosse spazioso, Jason lo sentiva affollato.
“Lo ritroveremo” aveva rassicurato l’elfo, sorridendoli e posandoli una mano sulla spalla. Stellan aveva annuito, “Inoltre, ecco, io, temo davvero quello che possa succedere. Gullinbursti è una delle luci dei nove-mondi” aveva bisbigliato quest’ultimo.
Fred si era voltato di scatto verso Mel, con un dito puntato, “Non dire niente!” aveva strillato. Mel, aveva fatto una smorfia e sollevato le mani in senso di resa.
Madina aveva guardato la scena confusa – ignorante dell’ipotesi del suo fidanzato sul fatto che il cinghiale del verro potesse essere uno dei motivi dell’eterno giorno della terra degli elfi.

Jason aveva rivolto uno sguardo ad Astrid, l’espressione austera sul viso e gli occhi verdi tumultuosi. “Mi dispiace” aveva sussurrato.
“Lo dici, spesso, vero?” aveva risposto Astrid, fredda, come una stilettata. Jason aveva annuito, colpevole.
“Non è colpa tua, la storia di Gullinbursti … se le Norne ti hanno scelto, non puoi sottrarti. O meglio puoi farlo e pagarne il peso” aveva detto Astrid, “Ma di Váli, sì. Di Váali sì” aveva sottolineato lei, burbera. “Sì, quello è colpa mia. Abbiamo giurato solo di presentarci lì – chiederò al divino Váli di cambiare le condizioni, dicendo che lo servirò fino al Ragnarok e oltre” aveva stabilito Jason. Lo aveva detto di getto, ma pensava che fosse giusto.
Astrid era stata buona con lui, le aveva fatto da Pigmalione, lo aveva aiutato ad Idavol, lo aveva fatto sentire meno solo, nella sua condizione e lo aveva aiutato, anche quando Jason stava combinando qualcosa di stupido – come salvare un lupo mezzo-jotun.
Astrid lo aveva guardato, intensamente, “No” aveva stabilito perentoria. “Forse tu godrai nel fare il cavalier servante, ma io mi prendo le mie responsabilità” aveva aggiunto. “La situazione di Váli è colpa tua, ma il mio coinvolgimento è colpa mia. Ho questo brutto vizio non riuscire ad abbandonare le persone” aveva dichiarato lei.
Madina si era sporta per abbracciarla, “Perché sei buona come il pane” aveva dichiarato, dandole un bacio sulla guancia “E per questo ci stia comunque accompagnando dalla volva” aveva aggiunto.
“Un pane un po’ bruciato ai bordi, così ha un sapore cattivo” aveva aggiunto Fred, guadagnando una pestata di piede letale.
“Avevo un amico con lo stesso, be … difetto fatale” aveva considerato Jason, pensando a Percy.
Lui invece, lui era quello che non agiva mai tempestivamente e rifletteva troppo sulle sue decisione, rimuginava troppo[3]; decisamente, decisamente la morte lo aveva cambiato.
Con Váli ed il lupo era stato l’istinto, lo stesso atavico istinto che Lupa lo aveva sempre invitato a seguire e che al campo aveva cercato di limitare, mitigare.
Era stupido e nonostante tutte le conseguenze, Jason non si sentiva in colpa – si sentiva in colpa per aver coinvolto Astrid, ovviamente, ma non per aver salvato il lupo-jotun.
Senza considerare che si era sentito, letteralmente, trainato in quella direzione, ancora prima concretizzare quello che stava facendo.
“Solo fino alla Vǫlva, poi andrò allo Spazio-Chase e probabilmente chiederò alla combriccola del piano diciannove di allenarsi” aveva stabilito Astrid, ricomponendosi.

 

Quando le porte dell’ascensore si erano aperte, la prima cosa che aveva investito Jason era stata una zaffata di carne cruda miste a spezie, poi gli occhi erano venuti in suo soccorso.
In puro ferro luccicante, si poteva vedere, chiaro come sotto il sole, una cucina industriale ed un mucchio di valchirie intente a lavorarci dentro, in una cacofonia di chiacchiere, urletti ed ordini gridati a gran voce.
“Benvenuti nel posto più bello del Valhalla” aveva dichiarato Mel, entrando in cucina.
Un sibilo aveva tagliato l’aria ed un coltello aveva sfiorato l’orecchio del germano, evitato Jason per altrettanti pochi centimetri e si era conficcato nell’ascensore.
Stellan aveva urlato senza vergogna – giacché lui da un coltello poteva essere ucciso
“Non sono ammessi Einherjar qui” aveva impartito subito una voce. Era stata una donna a parlare, capelli rosso fiammante, che scendevano dritti fino ai fianchi, viso duro e di ferro ed occhi fiammeggianti. Era molto alta, con spalle ampie ed il fisico di una body-builder, aveva delle fattezze eleganti, a modo suo, sebbene l’aspetto somigliasse a quello di qualcuno abituato a piegare persone come fossero sedie sdraio – a Jason aveva ricordato un po’ Clarisse.
Indossava una cotta di ferro, sulle spalle un pesante mantello fatto di piume bianchissime, a rovinare l’immagine da virago era in grembiule nero con la scritta in rosa shocking: Bacia la Cuoca – ma solo quello.
Sfoggiava una collana d’oro, larga e dall’aria pesante, attorno al collo taurino.
“Salve mie meravigliose signore!” aveva dichiarato con scioltezza Mel, “Non vi disturberò, avrei bisogno solo di qualche porro” aveva provato.
La valchiria aveva le sopracciglia, altrettanto rosse peperone,  crucciate, “Cosa devi farci Thumelicus figlio di Harmin?” aveva chiesto, mentre una valchiria, una ragazzetta giovane e magra scivolava fra loro per recuperare il coltello dalla parete dell’ascensore. Si era salutata sia con Mel, sia con Madina come vecchie amiche ed aveva lanciato uno sguardo interessato a Stellan.
“Be, lo sai Boudicca, sono pazzo per i porri” aveva dichiarato lui, avvicinandosi – Jason aveva deglutito al nome della valchiria – “No, in realtà devo andare da una vǫlva” aveva ammesso.
Boudicca aveva sbuffato, “E vieni a prendere dei porri, da me? Sai, cosa, piccolo screanzato? Vai. Non voglio neanche sapere, ma se tu o i tuoi amici  mettete in disordine la mia dispensa, vi pentirete di non essere a passare lo straccio a casa della divina Hela” aveva dichiarato la valchiria.
Mel le aveva ringraziata di cuore, spronando gli altri a farlo anche.
“Tranquilla, faccio io da scorta” era intervenuta una voce per Jason, nota.
All’angolo dei suoi occhi, seduta allo spigolo di una lunga tavola di ferro, c’era Thrud, armata di pela-patate ed una piramide di tuberi al fianco.
“Quando c’è da lavorare la piccola dea fugge sempre” aveva ghignato un’altra valchiria, ma Thrud non aveva dato cenni di esserne infastidita in alcuna maniera.
Beudicca aveva annuito, “Sì, tanto quando peli le patate con la buccia tiri via pure tre quarti della parte buona” aveva sentenziato.

 

Era stata Thrud a condurli nella dispensa. “Mi avete proprio salvato – odio i turni in cucina” aveva dichiarato la valchiria, “Speravo che lo zio Bragi mi tenesse a chiacchierare con voi” aveva aggiunto, con le braccia conserte.
Jason era ammirato dalla dispensa che il Valhalla offriva, era grande come un ipermercato, composta da scaffali, celle frigorifere ed ogni reparto immaginabile. Solo la sezione per i cereali occupava quattro scaffali in altezza ed almeno un chilometro in lunghezza. “Non si sfamano fino all’eternità infinite anime con solo un cinghiale, anche se al nonno piace dirlo” aveva chiarito Thrud, notando il suo sguardo.

Mel era sparito nella sezione orto-frutta in cerca dei suoi porri, Stellan li era andato dietro – guidato dal fatto che probabilmente Mel sembrava l’unico consapevole di ciò che faceva.
Madina ed Astrid erano ammirate tanto quanto lui. “Non ero mai entrata qui” aveva dichiarato la seconda, “Be, ora so da dove tira fuori Mel la farina; quella che la stanza produce quando la immagini non ha lo stesso buon sapore di quella che usa lui” aveva dichiarato la figlia di Ullr.
Thrud si era avvicinata a Jason, dopo aver lanciato uno sguardo, non poì così ammonitorio a Fred, che stava prendendo senza pietà delle barrette di cioccolata da nascondere sotto il farsetto.
“Ti va di parlarmi del pasticcio in cui ti sei infilato con i miei zii?” aveva chiesto, non c’era molta dolcezza nella sua voce.
“Bragi mi ha reclutato per una missione” si era giustificato Jason, “Oh, be, sei nel Valhalla da due giorni … ma non sono stupita” aveva confessato lei, grattandosi sotto il mento, “Con quel simpaticone di Váli?” aveva chiesto.
“Ho avuto un alterco … tra sei giorni avremmo un holmagang a primo sangue” aveva cercato di minimizzare la cosa.
Thrud gli aveva tirato un buffetto sulla collottola, “Profilo Basso, Jason! Avevo detto profilo basso!” aveva ringhiato, stava tenendo un tono basso e quello era l’unico motivo per cui non stesse gridando. “Cosa racconto a Kym?” aveva sussurrato quella.
“Kym?” aveva domandato confuso Jason, non che la terribile signora dei mari non fosse da tenere in considerazione, ma a lui, pareva una delle ultime personalità di cui doversi preoccupare, o almeno sicuramente dopo Vali o Gerd.
“Sì!” aveva risposto Thrud, “Cosa le dico? Scusa, hai presente il semidio per cui rischiamo di scatenare una guerra infra-pantheon, sì, lui si è messo a sfidare mio zio, quello a cui ne mare ne fuoco possono arrecare danno?” aveva chiesto retorica Thurd.
Ne mare ne fuoco?
Jason aveva avuto un brivido, perché aveva ricordato lui, i versi della Profezia dei Sette[4], ma allo stesso modo, dopo un primo momento di panico, aveva … calmato. Ne il mare, ne il fuoco; nessun accenno alla tempesta.
“Perfetto ragazzi, ho i porri” aveva dichiarato Mel, tornando da loro, con le braccia piene di pori, alle sue spalle il giovane Stellan lo stava imitando.
“Okay, vi scorto fuori, non voglio sentire Beodicca lamentarsi poi” aveva dichiarato Thrud, attirando l’attenzione, “In realtà dovremmo andare nelle stanze delle valchirie” aveva considerato Mel.
“Chi vuoi incontrare?” aveva chiesto Thrud.
“Kráka”  aveva risposto Mel; la figlia di Thor aveva emesso una risata soffocata, “Oh poveri voi!” aveva dichiarato.

 

I piani ordinati per le valchirie, sia quelle einherjar sia quelle appartenente alla stirpe degli dei – ed anche quelle mortali che non potevano vivere nel loro mondo – erano molto diversi dagli altri piani dell’hotel. Ne occupavano tre, con corridoi lunghissimi.
Differentemente dagli altri piani, tutte le camere delle valchirie erano senza porte, tra i soffitti e le pareti c’erano scale a chioccia che collegavano gli spazi senza bisogno di ricorrere all’ascensore. Per il resto c’erano un sacco di cianfrusaglie in giro e ragazze, alcune passeggiavano da un parte all’altra in pigiama e altre non erano neanche del tutto vestite.
Jason nel vederle aveva avuto un ricordo del suo tempo nel Collegio Maschile, i piani dedicati alle Valchirie sembravano un grande dormitorio.
“Questo posto è fantastico” aveva dichiarato senza mezzi termini Madina, “Anche se mi dispiacerebbe non averti intorno sempre, saresti un ottima valchiria” aveva concordato il suo fidanzato, si era sporto per darle un bacio sulla tempia, un porro era fuggito alla fuga ma era stato intercettato da Jason.
“Scusate, io non posso proseguire” aveva dichiarato perentorio Fred, quando una giovane donna, dalla pelle caramello, curve generose e capelli biondo tinto, umidi e gocciolanti, aveva appena attraversato il corridoio con solo un asciugamano addosso.
“Peccato che la profezia serve a te” aveva dichiarato Astrid, prendendolo a braccetto.
“Kráka è la centotreesima porta sulla destra. Mi raccomando non entrate in quella a sinistra” si era raccomandata Thrud.
“Non vieni con noi?” aveva chiesto Jason. “Oh, no, vi aspetterò nella mia stanza, duecento dodici B del piano superiore, mi farò una bella vasca rilassante, tanto Kráka ha il vizio di tirarle per le lunghe” si era congedata, tirando con una mano indietro i voluminosi capelli.
“Ah, non pensarci, bella, sei di turno in cucina, solo perché sei la figlia del Potente Thor non te la caverai!” era stata immediatamente rimproverata da un’altra.

 

“Stavo pensando una cosa” aveva detto Jason, mentre percorrevano il corridoio, poco prima di dover evitare un arriccia capelli abbandonato per terra, vicino una spada corta che somigliava interessatamente ad un gladio. C’erano anche valchirie romane?
“Ho paura di chiedertelo” aveva risposto subito Astrid. “Sappiamo, scusa Stellan, che una delle preoccupazione della divina Gerd fosse quello di essere uscito con la Jarnsaxa” aveva considerato Jason. L’elfo era arrossito – in quella maniera sinistra che non era rosso – degli elfi, per essere stato colto sulla sua palese omissione. “Ma ovviamente la Jotun c’entra qualcosa. Non può mica essere che non sia così, no?” aveva chiesto con tono retorico Fred.
“Anche Gerd è una jotun” aveva dichiarato Madina, tirandoli una gomitata leggera e complice, “Nessuno sta saltando a conclusioni” aveva specificato.
“La mia signora sì, notava che la cosa fosse troppo coincidenziale” aveva dichiarato l’elfo timoroso, lanciando sguardi di sottecchi a Jason, realizzando quanto la portata del suo sogno significasse. Lo aveva letteralmente spiato. “Magari, hanno solo lasciato il cancello aperto ed il maiale è scappato” aveva dichiarato Fred, “Ed adesso è ad Alfheim ha grufolare in giro” aveva aggiunto.
Stellan lo aveva guardato, pieno di imbarazzo, “Magari” aveva bisbigliato – lui e Gerd non avevano testato quella possibilità.
“Aspettiamo la profezia? Non ha senso fare il conto senza l’oste” aveva stabilito Mel, sicuro di se, mentre contava le porte.
“La conosci bene questa v
ǫlva?” aveva domandato Mel, non c’era gelosia o incertezza nella sua voce, “Oh, be, sua madre, come lei era una valchiria ed è stata la mia valchiria” aveva dichiarato con un certo calore nella voce il guerriero Germano. “È sempre speciale il rapporto tra una valchiria e la sua anima salvata” aveva considerato Mel, “Per i primi tre anni … poi si dimenticano completamente di te” aveva sentito il bisogno di sottolineare Fred, guadagnando un’altra pedata brutale da Astrid.
“Be, sono comunque oberate di lavoro” aveva giustificato la cosa Madina.
“Poi non è vero … io sono rimasto in contatto con la mia Valchiria fino a che non è morta, circa, pace al suo spirito, e poi con sua figlia” aveva sottolineato Mel, con voce piena di dolcezza.
“Anche io” aveva considerato Astrid, “E capiterà anche a te Jason, visto che era zia Thrud” aveva precisato.
“Sempre se non finite schiavi di Vá-ahhhh” Fred non era riuscito a finire la sua cattiveria, quella volta.
“Ma esattamente con Vulva[5] a cosa vi stare rifendo?” aveva chiesto Jason, sicuro di aver pronunciato male la parola; ne era stato certo l’attimo dopo che un ilarità infantile aveva inondato tutti quanti, incluso Stellan.
Non quello che stai pensando!” lo aveva rimproverato Astrid, “Devi cominciare a studiare meglio l’Edda” lo aveva rimproverato Astrid, “Indovina!” aveva invece risposto Mel, “Nel senso Volva è l’indovina; loro sono in grado di interpretare i sogni, scorgere spicchi di future e leggere le rune” aveva specificato.
Jason ancora rosso di imbarazzo aveva annuito.
Immaginava la Vǫluspá, la veggente che aveva riportato la profezia del Ragnarok come la Sibilla Cumana e le Vǫlve come aruspici o … sì, indovini.
“Comunque avrebbe fatto ridere una vulva che prevede il futuro” aveva commentato Mel; aveva perso un porro, dopo una gomitata ammonitrice della sua fidanzata.

 

Avevano raggiunto la porta, come le altre era una quadratura in un muro senza la porta.
Sì poteva vedere l’interno, notevolmente più grande della stanza di Jason, con buoni due ambienti. In quello visibile, che appariva come un soggiorno c’era una donna.
Aveva alzato gli occhi verso di loro, erano di brace, un castano ribollente da apparire quasi rosso. Jason era rimasto intimorito. Kráka, se quello era il suo nome, non era la donna più bella che Jason avesse mai visto – aveva visto Venere, aveva visto le sue figlie, nessuna donna arrivava per lui alla bellezza di Piper, probabilmente mai una avrebbe raggiunto quello, ai suoi occhi – ma aveva qualcosa che aveva visto raramente, la compostezza e la regalità.
Guardandola, Jason aveva pensato all’aurea austera di Reyna quando si presentava in senato con il manto porpora alle spalle e alle lezioni storia, così, pensava, Livia Drusilla doveva apparire.
L’incarnato di Kráka non era bianco come la polvere, come una donna del nord, ma era scottato dal sole, un po’, una sfumatura più crema.
Non indossava un abito elegante, in vero, non indossava neanche un vestito, erano reti da pesca, di corda, di infiniti e diversi colori, con maglie fitte, che drappeggiavano il suo corpo.
la donna aveva un corpo snello, con braccia toniche senza grasso, ma un accenno di muscolatura, un collo di cigno, dita lunghe acconciate al grembo.
Era seduta vicino un’arpa, con una gran cassa incredibilmente grande.
I capelli erano castano-dorati, erano portati sciolti e liberi come la natura voleva, come aveva notato raramente alle donne nel Valhalla fare.
“Mel” aveva detto la donna alzandosi, in piedi era flessuosa e più alta di quanto Jason avesse immaginato, era più alta di lui, di Thrud, forse rivaleggiava con Boudicca, “Sono felice di vederti” aveva dichiarato con voce melodioso.
“Kráka anche io” aveva esclamato lui, con gioia, chinandosi su ginocchio. Poi gli aveva presentati tutti con garbo ed in ultimo aveva presentato la donna a loro, non l’aveva chiamata però come si era rivolta fino a quel momento.
“Lei invece è la mirabolante Aslaug Sigurdsdottir” aveva detto con orgoglio. Fred e Stellan aveva trattenuto il respiro, Astrid aveva chinato rispettosa il capo, mentre Mel si era sbracciata in ode di ammirazione per una tale valente valchiria, guerriera e regina.
Lei aveva sorriso accomodante, senza perdere quella sua aria però imperiale, “Come posso aiutarvi?” aveva chiesto.
“Sì, mia buona amica, non veniamo qui per piacere. Al mio amico Fred serva una predizione per il futuro, abbiamo portato dei porri come pagamento, so quanto ti piacciono” aveva dichiarato Mel.
“Qualcosa che posso avere quando voglio e come voglio?” aveva scherzato Aslaug, facendo arrossire tutti, “Non preoccuparti, Mel, per un vecchio amico … posso provare ad aiutarvi” aveva considerato, mentre dava cenno ai due giovani di scaricare i porri sul tavolo.
“Non ho avuto sogni, ne il mio occhio vede bene, qualcosa temo sia accaduto” aveva considerato, “Ma posso, provare ad interpretare le rune” aveva valutato.
Si era voltata verso di loro, con aspettativa.
“Vuoi … Lei non ha personali?” aveva chiesto Astrid, “Ne ho, legno, pietra, ferro … materiali magici impronunciabili, ma è il vostro di futuro. Il legame personale aiuta incredibilmente” aveva risposto la Volva.
“Uhm … io non ho quelle cose, lo sai” aveva risposto Fred, mortificato, guardando Astrid.
Jason non sapeva neanche a cosa stessero facendo riferimento. “Io … ehm … non le ho portate” aveva dichiarato Stellan grattandosi il dietro, Madina aveva scosso il viso e Mel si era guardato le scarpe.
“Grande Odino” si era lamentata Astrid, da una tasca della sua pelliccia messa a nuovo aveva tirato fuori un sacchetto di pelle, “Adesso, sarò ufficialmente tirata in mezzo” si era lamentata.
“Le hai comprate? Le hai fatte? Con cosa?” aveva chiesto Aslaug.
“Olmo. Le ha create un mio amico, per me, lui era un praticante di seidr e alf-seidr … io no, però” aveva ammesso Astrid, cupa in viso, con un tono melanconico.
Kráka aveva annuito, raccogliendo il sacchetto, “Legno potente. Da quello che è nata la prima donna; quale runa manca?” aveva domandato, “Nessuna” aveva risposto la guerriera. Le sopracciglia perfettamente curate della Volva si erano incrinate, “Non va bene. Ogni set dovrebbe avere una mancanza a testimoniare della sofferenza subita” aveva dichiarato.
“Sono morta prima di compiere diciassette anni, direi di averlo ampiamente dimostrato” aveva risposto burbera Astrid. La Volva non aveva fatto una piega, se non un sorriso mesto, poi si era voltata verso di loro, “Chi è il più coinvolto?” aveva chiesto.
Fred aveva indicato Jason, lui Stellan e l’elfo il mezzo-Jotun. “Stellan e Fred sono stati incaricati dalla Signora di Alfheim, mentre Jason ha sognato l’incarico” aveva spiegato Madina.
Kraka aveva annuito, “Va bene, allora, il figlio di …” aveva cominciato, poi si era interrotta, venendo l’espressione di panico che si era dipinta sul viso di Jason e di Astrid, “… Dello straniero” aveva concluso la Vǫlva, ma un guizzo di curiosità era salito sul viso, prima di concentrarsi su Mel, che li guardava interrogativi. “Dicevo, lo straniero, sì, il figlio dello straniero, pescherà la runa da togliere” aveva dichiarato, facendo ticchettare il sacchetto come se fossero i numeri della tombola.
Jason aveva allungato una mano, infilandola nella bisaccia, aveva sentito sotto le punta delle dita il legno freddo, era stato tentato di raccogliere la prima tessera, ma poi aveva sentito qualcos’altro a spingerlo infondo, così aveva cercato fino a che con il tatto non aveva trovato quella che secondo lui era giusta.
“Non dirmela” aveva dichiarato Aslaug.
“Cosa è, tipo, un trucco da mago da strada” aveva dichiarato Fred, offeso. “Meglio. Molto meglio” aveva risposto Kráka, prima di richiudere il sacchetto ed agitarlo nelle sue mani, si era alzata e si era diretta verso il tavolo della stanza, facendo accatastare tutti i porri da un lato, “Mi raccomando ragazze, non sembra ma con questo ortaggio si posso accalappiare ottimi partiti” aveva detto, strizzando l’occhio ad Astrid – che era arrossita. La donna si era allontanata, recuperando poi da un lato, posata, ad un muro una scopa a cui aveva fatto cadere la parte della sagina, rivelandosi così come un bastone con una biforcazione finale, “Sì, non mi rende molto onore” aveva ricominciato.
Aslaug aveva aperto il sacchetto ed aveva fatto rovesciare le rune, ma queste non avevano toccato il tavolo, erano rimaste sospese a mezz’aria, come le mani della indovina, in posizione orante.
Aveva mosso le dita della mano libera, mentre un sibilo era uscito dalla sua gola, parole troppo basse e veloci per essere interpretate, il bastone da stregona era luccicato di una luce dorata accecante.
“Ragazzi, giù” aveva gridato Aslaug, non avevano ricevuto il comando fino a che i tasselli di rune avevano cominciato a schizzare per la stanza come schegge impazzite.
Jason si era lanciato a terra, afferrando Astrid con lui.
Fred era caduto nell’azione, ma aveva evitato i proiettili. Madina li aveva evitati con grazia, Mel era stato colpito su una spalla, causa la vicinanza con la strega, mentre Stellan in pieno petto, finendo poi a terra tra i lamenti.
“Interessante” aveva esordito Aslaug, osservando il tavolo.
Stellan, Jason e Fred si erano avvicinati, l’ultimo massaggiandosi il gomito su cui era caduto. L’elfo invece era sorretto da Madina, che lo aveva aiutato ad alzarsi. Astrid e Mel erano rimasti in silenzio, dietro.
Jason aveva spiato alcune rune erano finite sul tavolo, anziché in giro per la stanza.
“So cosa c’è scritto, ma … cosa vuol dire?” aveva chiesto Stellan, con ancora la voce impastata di dolore e la mano sullo stomaco.
Aslaug aveva annuito, voltandosi verso l’elfo, “Parliamo del pagamento prima” aveva dichiarato, “Pensavo i porri lo fossero” aveva dichiarato Fred.
“I porri erano per leggere il vostro futuro, non per dirvelo” aveva dichiarato ovvia lei.
Astrid aveva sospirato pesantemente.
Jason era cereo, guardando quei simboli che per lui erano ignoti, mentre sentiva quasi bruciante nella mano la runa esclusa. “Cosa vuole?” aveva chiesto Stellan, pieno di timore.
Kráka aveva sorriso: “Facile. Un paio di brache villose.”

 

 

 

 

Kráka, di cui non sono molto felice; https://www.deviantart.com/rlandh/art/Kráka-the-Seer-899338267

Fred in tutto il suo cupo splendore; https://www.deviantart.com/rlandh/art/Frederic-of-Clermont-899511843

 



[1] Nome Romano dell’odierna Coblenza.

[2] Nome antico di quella che è, oggi, è la Cattedrale di Notre-Dame du Port. (Chicca inutile, ma la prima crociata è partita da Clermont; Fred è stato un crociato ma è morto durante la quarta)

[3] A quanto pare questo è il difetto fatale di Jason – cosa che, bo, mi sembra molto lontano da Jason. Avevo sempre pensato fosse il suo grossissimo spirito suicida (insieme al bisogno di essere l’eroe TM)

[4] Ovviamente Jason fa riferimento al fatidico verso “Fuoco o tempesta, il mondo cader faranno” [semicit.-] in realtà anche quella di Thrud è una profezia presa dalla Gylfaginning presente ne l’Edda in Prosa(Quella di Snorri), che al momento Jason non sta leggendo.

[5] Volva si legge, in islandese, grazie a quel segnetto sotto la O come Vulva. In italiano fa ridere (se hai 12 anni o sei me), ma anche in inglese.

   
 
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