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Autore: _Equinox    01/12/2021    3 recensioni
JayVik || Universo Arcane || PwP
Viktor esalò un respiro lieve, appena percettibile, quando avvertì le mani di Jayce sui propri fianchi ossuti. Chiuse gli occhi aurei, in lontananza sentiva della musica provenire dalla piazza di Piltover, ma per lui erano solo suoni ovattati e privi di senso — non sapeva nemmeno se avesse capito bene il nome del gruppo, qualcosa di bizzarro che aveva a che fare con ghiaccio e scimmie.
Genere: Angst, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Jayce
Note: Lime | Avvertimenti: PWP
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Viktor esalò un respiro lieve, appena percettibile, quando avvertì le mani di Jayce sui propri fianchi ossuti. Chiuse gli occhi aurei, in lontananza sentiva della musica provenire dalla piazza di Piltover, ma per lui erano solo suoni ovattati e privi di senso — non sapeva nemmeno se avesse capito bene il nome del gruppo, qualcosa di bizzarro che aveva a che fare con ghiaccio scimmie[1]. Le labbra dell'altro presero di nuovo possesso delle proprie e leggeri brividi gli percorsero la schiena: se avessero continuato in quel modo, probabilmente avrebbe perso il nume della ragione. Non seppe analizzare la serie di meccanismi che li avevano portati fino a quel punto, la sua mente brillante aveva smesso di funzionare nel momento in cui il giovane Talis lo aveva preso dalla vita per sollevarlo e farlo accomodare, con non poca grazia, sulla scrivania piena di scartoffie e progetti ancora da esplorare. Lo aveva sul serio divorato, avvolto con una foga tale da avergli permesso di mettere quasi in secondo piano il dolore alla gamba dovuto all’impatto con il legno del tavolo. 

La lingua del corvino aveva un forte sapore di alcool, il maggiore lo sentiva bene, e una voce nella sua testa gli diceva di allontanare il consigliere per farlo ragionare, perché quasi certamente non stava agendo in maniera lucida. Tuttavia, il resto del suo cervello, assieme all’esile corpo, gridava di continuare. La vita di Viktor era sempre stata difficile: un ragazzino di Zaun, con idee ambiziose che, per quanto fosse riuscito ad entrare in Accademia, viveva con la consapevolezza di essere un reietto. Nessuno, almeno ai suoi occhi, lo aveva guardato con uno sguardo desideroso, tutti erano troppo impegnati a lasciargli commenti commiserevoli e carichi di pietà: pietà, che sapeva, derivava dall’aspetto malaticcio, dal suo essere uno zoppo di merda, come una volta gli aveva detto qualcuno. Poi era arrivato Jayce, che, come un magnifico sole dopo la tempesta, aveva iniziato a riscaldare le sue giornate buie – e non solo. E il castano si era innamorato proprio di quella luce. Ma, si sapeva, un ratto di fogna come lui non avrebbe mai potuto eguagliare una creatura maestosa come il moro; così, a poco a poco, un senso di amarezza aveva iniziato a consumarlo dall’interno e i pensieri intrusivi avevano iniziato a sibilare, simili a delle serpi. Quel marcio, tuttavia, non poteva lasciarlo trapelare, o avrebbe compromesso certamente lui e tutti i progetti a cui stavano lavorando con costanza – e forse era proprio quella maschera che gli imponeva di stare chino sugli schemi e i grafici fino all’alba, poiché almeno nel suo laboratorio, in piena solitudine, non avrebbe dovuto fingere. 

Ma quella sera, una delle poche in cui aveva deciso di rientrare in stanza, qualcosa lo aveva travolto: proprio come la prima volta che si erano incontrati, il suo cuore aveva perso dei battiti nell’istante in cui il Consigliere aveva varcato la soglia d’ingresso, con uno sguardo da predatore che lo aveva penetrato fin dentro le ossa. Il fiato gli si era bloccato in gola e lui non aveva nemmeno avuto modo di proferire parola che Talis lo aveva preso per farlo suo. 

Viktor sapeva di provare attrazione per gli uomini, era una consapevolezza che portava con sé da un po’ ormai. E Jayce, dannazione, Jayce era uno dei più belli avesse mai incontrato, ed ora si trovava lì, che lo svestiva e gli baciava ogni centimetro di pelle candida. 

Ci fu solo un istante in cui il castano rinsavì da quel tocco ipnotico, non seppe grazie a quale criterio o legge fisica, viste le condizioni in cui verteva. 

«Jayce... Jayce, fermo» mormorò solo, cercando di bloccargli i polsi con scarso successo. Era troppo vicino al busto ortopedico, parte di lui che avrebbe preferito nascondere piuttosto che esporre così spudoratamente – una parte che, sapeva bene, rappresentava uno dei tanti segni del suo essere un miserabile. Ciononostante, l’altro non arrestò la sua vorace discesa verso il basso, senza lasciare una parte di pelle che non fosse stata sfiorata dalla sua bocca. 

Al macchinista sembrava di impazzire, il che era esilarante: se si fosse immaginato sull’orlo della pazzia, avrebbe di certo immaginato se stesso circondato da ingranaggi, forse senza nemmeno più un briciolo di umanità, e non in una situazione come quella, dove, inerme, stava lasciando che un Consigliere (Per quanto da poco ricoprisse quella carica) entrasse in tale intimità con lui.  

«Sei bellissimo, Vik» 

I suoi occhi dorati brillarono e, allo stesso tempo, si ricoprirono di un velo lucido e trasparente: se si fosse trattato di menzogne, non avrebbe voluto saperlo, preferendo lasciarsi cullare da quel dolce veleno. La voce di Jayce era un balsamo benefico che leniva tutte le ferite passate – forse ne stava creando di nuove, tuttavia il castano continuava ad ignorare il dolore che i baci, le carezze e le spinte dentro di sé avrebbero comportato più avanti.  

Il corvino si stava facendo strada in lui con vigore, imprimendo i segni delle unghie sui fianchi, e cos’altro avrebbe potuto fare Viktor se non aggrapparsi a quelle spalle ampie e forti per sorreggersi – o per sentirlo, anche per un singolo istante, completamente suo. Si lasciò sollevare, non era difficile per un uomo della stazza del più giovane prendere in braccio un corpo scheletrico e malandato, e gli intrecci di lingua continuavano, via via più complessi e passionali. In quel momento, erano solo loro, nel semibuio di una stanza caotica – quasi quanto chi ci viveva dentro – a stento illuminata dalle luci di una città avvolta da una vorticosa melodia; in tutto quell’ammasso di elementi, gli occhi dei due uomini si incontrarono. L’ambra calda e mielosa del più grande si unì all’oro pallido del collega: si dissero tutto senza parlare, lasciando furono i loro corpi a comunicare – morsi, graffi, gemiti, ogni cosa stava rappresentando quella follia in maniera magistrale. 

«Jayce... Jayce... Cazzo...» 

Difficilmente il castano si lasciava sfuggire quel tipo di imprecazioni – credeva, in cuor suo, che per esprimersi chiaramente non fosse necessario essere volgari – eppure, «Dannazione», il Consigliere gli stava facendo crollare ogni certezza. Non si trattava della sua prima volta con qualcuno, ma non poteva di certo definirsi sessualmente attivo. I pochi rapporti che aveva avuto erano stati con uomini di bell’aspetto, che però avevano accettato non per lui, quanto piuttosto per i soldi. Si era sentito un miserabile, eppure sapeva che non ci fossero alternative per entrare in intimità con qualcuno. Se non altro, fino a quella sera. 

«Vik... Oh Vik, sei meraviglioso. Dovresti vederti...» 

Il maggiore arrossì, lo seppe perché le gote gli sembravano andare a fuoco, dopo quell’affermazione. Il compagno lo guardava e sorrideva – non un sorriso pietoso, bensì uno carico di amore, desiderio. La sua mano grande gli stava accarezzando uno zigomo spigoloso e lentamente saliva, fino a spostargli una ciocca di capelli via dalla fronte. Con le sottili dita, Viktor percorse il profilo del braccio ampio e forte, poi accarezzò il cuoio del bracciale, al centro del quale risplendeva la pietra azzurra. Infine, lasciò che l’altro gli prendesse il polso, per baciarlo mentre continuava a spingere e a masturbarlo con la destra. 

I respiri pesanti di entrambi indicavano fossero prossimi all’orgasmo e allo stesso tempo sentivano di non volersi fermare. Le guance del corvino, rese ruvide dal leggero filo di barba incolta, stavano graffiando il collo pallido del più grande. Il fiato caldo, ancora colmo di note alcoliche, gli causava dei brividi di eccitazione che sfociavano nel suo basso ventre, dove il minore si stava occupando della sua erezione – cercava sempre di bilanciare le spinte con i movimenti della mano e c’era qualcosa nei suoi modi che prima o poi avrebbe fatto cedere il collega. Un dubbio, di quelli neri e oscuri che lo consumavano da dentro, si insinuò nella mente del castano: Jayce era bravo, troppo bravo, aveva quell’esperienza che si guadagnava dopo aver avuto numerosi partner a letto. L’idea di qualcun’altro con lui gli fece ribollire il sangue nelle vene e, senza rendersene conto, aveva affondato i denti nella pelle mulatta, stringendo come se fosse stato un felino randagio con la propria preda – si allontanò solo quando il sapore ferroso del sangue gli bagnò la lingua e il gemito gutturale del Consigliere lo scosse. Si rendeva conto, Viktor, di starsi comportando avidamente, guidato da egoismo e cupidigia. Non sapeva (O forse sì) se quello che stava vivendo fosse qualcosa di reale o se, in fondo, non fosse stato l’alcool a decidere solo per uno di loro – perché lui, oh, lui avrebbe sempre scelto Jayce, lo aveva capito nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati. Ma per quanto riguardava il collega, circondato da quell’aura gloriosa e da persone altrettanto luminose, prima tra tutti Mel Medarda, non avrebbe saputo dirlo. Si stava sentendo amato, desiderato, apprezzato, eppure non poteva fare a meno di domandarsi quanto fosse reale e se, l’indomani, il corvino non si sarebbe pentito di ogni parola e di ogni gesto. 

Ma non poté pensarci troppo, perché un violento orgasmo lo colse nell’attimo in cui avvertì il seme caldo del piltoviano dentro di sé. Erano venuti quasi contemporaneamente, cercando di trattenere le voci contro le loro pelli. Il tempo, nella stanza dell’Accademia, sembrava essere immobile, proprio come loro che, sudati e ansanti, rimanevano abbracciati. 

Now it's three in the mornin' and I'm tryin' to change your mind 
Left you multiple missed calls and to my message, you reply 
"Why'd you only call me when you're high?" 

In lontananza, alcuni versi di una canzone risuonavano lente. Sicuramente il concerto era ancora in corso, ma loro, presi da altro, non avevano prestato molta attenzione al festival di Piltover. Solo quando Jayce uscì dal suo corpo, Viktor realizzò che quella era davvero bella musica – non che fosse un esperto, chiaramente, ma la melodia e le parole (Soprattutto, le parole, lo affascinavano). Credeva che quel brano fosse perfetto per descrivere quanto avevano appena vissuto e, ingenuamente, sorrise. Se avesse avuto un po’ più di sicurezza in sé, avrebbe condiviso quel pensiero a voce alta; tuttavia, rimase in silenzio, preso da mille paranoie e dalla paura di risultare inopportuno. 

Così, mentre la voce del cantante di quella band dal nome bizzarro – Arctic Monkeys, finalmente se lo era ricordato – proseguiva, il castano lanciò un’occhiata al compagno. Voleva dirgli tante cose, forse troppe, eppure sembrava che le parole gli morissero in gola. Cosa avrebbe dovuto fare, in quella situazione? Cosa si diceva, dopo un amplesso?  

«Jayce, senti...» provò, senza tuttavia finire la frase. Il corvino era già in piedi, alla ricerca dei suoi vestiti, con un’espressione confusa dipinta sul volto. Appena vacillante, recuperò la camicia e il gilet – i pantaloni li aveva tenuti addosso tutto il tempo, in effetti.  

«Vik...»  

Negli occhi del minore, che ora lo stava guardando, il macchinista lesse paura, una paura di cui non riusciva a capire l’origine. Il suo mondo, assieme a quella breve pace interiore che aveva raggiunto, crollò e lui si sentì sprofondare. Credeva di aver raggiunto la luce, invece, ancora una volta, era più vicino all’oscurità. Nudo, fragile e patetico, si rese conto che la sua paura più grande si era realizzata. Scattò in piedi, come se per un attimo avesse dimenticato la propria condizione fisica: tuttavia, per quanto si provi ad ignorare qualcosa, questa non va mai via concretamente. Il lancinante dolore alla gamba destra lo fulminò violento. Proprio come quando da bambino aveva abbandonato la stampella per inseguire la sua prima creazione, in quel momento aveva lasciato la razionalità per raggiungere il sole luminoso davanti a lui, bruciandosi. O quasi, perché, contrariamente a quanto successo da piccolo, non si trovava a terra – il calore di Jayce lo aveva avvolto un secondo prima sfiorasse il pavimento. 

«Scusami. Ti-Ti prendo la stamp-» 

«Non te ne andare!» 

La voce era venuta fuori di un paio di toni in più rispetto a quanto aveva calcolato, però con una maggiore risonanza. Il minore si era immediatamente irrigidito vedendo quel corpo fragile raggomitolato tra le sue braccia.  

Ci furono istanti di pesante silenzio, durante i quali i singhiozzi del giovane di Zaun si stavano facendo strada – bassi, carichi di emozione. Con le unghie provava ad andare alla ricerca di un appiglio, senza in effetti trovarlo nella confusione. 

«Viktor, non dovevamo. Io... Io non dovevo. Scusami» 

«Sei un idiota, Jayce Talis. Un completo idiota» 

Il corvino si mise in piedi, tenendo ancora il collega appoggiato a sé in modo che non cadesse, poi tornarono sul letto. 

«Anche se per finta, anche se sei ubriaco, ti prego... Concedimi solo stanotte» sussurrò Viktor, che, in tutti i modi, si sforzava di tenere alto quelle ambre vitree che aveva al posto degli occhi. Non avrebbe voluto piangere, era convinto diventasse ancora più brutto, quando lo faceva, perché le sue occhiaie – di norma già profonde e marcate – diventavano ancora più evidenti. 

E non seppe se per pietà o per misericordia, ma Jayce lo strinse a sé, avvolgendolo ancora con il tepore del suo corpo. 

«Non me ne vado, Vik. Non lo farei, non con te» 

Allora, anche se per poco, la musica tornò a suonare, assieme ai loro corpi che, nell’amarezza dell’alcool e delle lacrime, ricominciarono quella dolce e lussuriosa danza. 


[1]: piccolo cameo degli Arctic Monkeys (Perché se gli Imagine Dragons hanno creato i loro alter ego in Arcane, non vedo perché non possano farlo altre band)

   
 
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