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Autore: EcateC    02/12/2021    1 recensioni
Università del Primo Ordine.
Rey è una studentessa lavoratrice, Ben Solo un assistente universitario temuto da tutti, severo e inflessibile.
I due, dopo un inizio poco incoraggiante, iniziarono a incontrarsi sempre più spesso...
Questa storia partecipa all'iniziativa "Regali d'inchiostro tra i tavoli del pub" indetta dal gruppo Facebook "L'angolo di Rosmerta".
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Finn, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alla dolce Cress, 

buon Natale.

 







L’Università privata del Primo Ordine aveva ormai soppiantato tutte le altre. La sua presenza era come una tirannia, si era espansa in tutti gli Stati Uniti e aveva schiacciato le altre università pubbliche, offrendo agli studenti servizi di gran lunga migliori e prestanti, ma costosissimi. Se da una parte la sua tecnologia era all’avanguardia, dall’altra le sue rette erano insostenibili e le commissioni d’esame spesso severe e ingiuste. Molti si iscrivevano senza finire il percorso, lasciando migliaia di dollari nelle casse del Primo Ordine inutilmente.

Finn, il suo storico collega e compagno di lezioni, le aveva raccontato che i professori erano tutti dei corrotti, delle persone classiste e ingiuste.

“Io li ho conosciuti da vicino, Rey” le raccontava durante la pausa pranzo, trascorsa all’aperto sui gradini dell’ateneo “Sono dei veri razzisti. Provano piacere nel bocciare gli studenti, ma solo quelli non raccomandati, naturalmente. C’è un assistente poi che è terribile, il peggiore di tutti.”

“Stai parlando di Hux?” domandò Rose, seduta accanto a loro “Mia sorella ha lasciato gli studi per colpa sua.”

“No, non Hux. Il suo amico, come si chiama…”

“Secondo me voi due esagerate” lo interruppe Rey, anche se dentro di sé si sentiva molto inquieta. Superare il temutissimo esame di Astrofisica le era necessario per mantenere la borsa di studio e, quindi, continuare a studiare. Lavorava nel tempo libero, faceva la cameriera tutte le sere per racimolare qualche soldo e procurarsi da vivere, ma la retta del Primo Ordine sarebbe stata comunque altissima e inesorabilmente fuori dalla sua portata. E d’altronde una ragazza sola e senza famiglia come lei non avrebbe potuto in alcun modo chiedere un prestito o fronteggiare il costo degli studi universitari senza un aiuto. Ma lei voleva diventare una naturalista, se c’era una cosa che amava quella era la natura, molto più della tecnologia tanto cara al Primo Ordine. 

Purtroppo però il primo giorno di lezione iniziò male, molto male.

Rey arrivò in ritardo, a lezione iniziata. Il Professor Snoke come di consueto non c’era, in compenso era di fronte alla lavagna un uomo giovane e molto alto, con una folta chioma e l’espressione severa.

“Chiedo scusa” pigolò Rey, interrompendo la lezione e stringendosi forte il borsone al petto “Ho avuto un problema con la bici.”

Dagli spalti, Finn la guardò con gli occhi sgranati. L’assistente invece si voltò con ancora la mano sollevata sulla lavagna, i suoi occhi scuri scivolarono su di lei per un momento.

“Dato che è già in piedi perché non viene qui, signorina?” la chiamò lui con tono indisponente “Il suo nome?”

“Rey” rispose la ragazza, nervosa.

Lui la incalzò con lo sguardo “Rey e…?”

Rey abbassò il capo ed evitò di rispondergli. “Come posso aiutarla, professore?”

Costui non smise di fissarla “Venga alla lavagna, signorina Rey dal nulla, e risolva questa funzione.”

Rey appoggiò la borsa per terra e guardò quell’intricata sequenza di numeri e simboli. L’uomo si piazzò accanto a lei, era alto circa venti centimetri in più, grosso il doppio.

“Non so risolverla” ammise Rey, sinceramente.

“Ma davvero?” rispose lui, sarcastico “Provi allora ad accendere quel prototipo di droide” le ordinò, indicandole il robot tondeggiante che era appoggiato sopra la cattedra. Rey si voltò e scosse la testa, sentiva lo sguardo di quel molesto assistente pungerle la schiena. Nell’aula non volava una mosca.

“Non so accenderlo” ammise, umiliata di fronte alla classe.

“Ci provi almeno” insistette lui, fronteggiandola.

“Ho detto che non lo so fare” gli rispose Rey, arrossendo, ma guardandolo dritto negli occhi. Lui sostenne il suo sguardo con altrettanta intensità.

“C’è almeno qualcosa che sa fare, signorina? Dato che si concede il lusso di arrivare in ritardo alle lezioni, mi aspettavo una mente straordinaria” la prese in giro, spietato.

Proprio in quel momento entrò un altro giovane assistente, suo coetaneo ma dall’aria decisamente più amichevole.

“Dottor Ben Solo!” esclamò con tono baldanzoso “Il Professor Snoke è in linea al telefono, vuole parlare con lei.”

Il chiamato lo guardò sospettosamente “Ne è proprio sicuro, dottor Dameron?”

“Certo collega” gli rispose l’altro con ovvietà. Ben guardò un’ultima volta la studentessa di fronte a sé e poi uscì dall’aula a passo svelto.

Rey non potè trattenere un sospiro di sollievo.

“In realtà non sono così sicuro che fosse il professor Snoke, ragazzi” esclamò Dameron alla classe, scatenando l’ilarità generale dei discenti.

Tutti risero, Rey guardò Finn e gli fece segno di uscire.

“Ehi, voi due!” li chiamò Dameron “Avrò anche salvato la signorina, ma ciò non significa che potete saltare le lezioni!”

Ma sia Rey che Finn erano già scappati.

 

“Non metterò mai più piede in quell’aula, mai più!” esclamava Rey con enfasi, ancora rossa per l’umiliazione e la rabbia “Hai visto come mi ha trattato? Che razza di serpente a sonagli.”

“Ma perché non hai acceso quel robot?” le domandò Finn “Sapevi farlo, perché non l’hai fatto?”

Rey alzò le spalle “Perché avrei dovuto? Per stare al suo gioco? Per far sì che lo usasse come suo schiavo?”

“Rey, è un robot. Capisco che la tua anima cruelty free sia molto accentuata, ma da qui a difendere delle macchine…”

Rey decise di non rispondergli e cambiare argomento. Quella giornata era già stata sufficientemente pesante così, senza che ci si mettesse anche Finn.

“Ma quanto è sbruffone quel Dameron?”

“È mio amico” rispose Finn, orgogliosamente “L’ho conosciuto quando lavoravo per Snoke. È un tipo… in gamba, diciamo.”

“In gamba, sì” sorrise Rey, Finn si era appena preso una cotta. “Passo un attimo a casa, oggi al lavoro ho il turno del pomeriggio.”

“D’accordo, dai. Io vado a lezione, ci sentiamo!”

“Ciao, Finn” lo salutò, prendendo la bicicletta “Ci sentiamo.”

E poi, giunta finalmente nella solitudine del suo monolocale piccolo e disadorno, Rey potè smettere di sorridere. Quel momento alla lavagna era stato orribile. Quell’assistente l’aveva umiliata gratuitamente davanti alla classe solo perchè lei doveva lavorare per campare. E si vedeva.

Era difficile vivere così, era molto difficile. Si sentiva stanca e demotivata, ma si rese conto che non aveva altra scelta che quella di andare avanti.

Tutti i giorni, andare avanti. Vedeva le altre ragazze e non si riconosceva in loro. Tutte erano fidanzate, tutte erano bellissime, tutte erano prese a postare selfie sui social network o ad andare a ballare, tutte cose che Rey non sapeva nemmeno cos’erano. Tutto ciò che lei faceva era lavorare, studiare e inaffiare le sue numerose piantine che aveva disseminato nel suo disadorno monolocale, l’unico accenno di arredamento che poteva permettersi. Ma era meglio così, preferiva le piante agli oggetti.

Si riposò un po' e poi uscì, pronta per fare il turno del pomeriggio al bar.
 

***

 

La prima settimana trascorse senza che Rey se ne accorse nemmeno. Studiava, lavorava e tornava a casa. Non aveva poi tanto altro da fare. Ogni tanto vedeva Finn e Rose, quando poteva faceva una passeggiata, nient’altro. La sua vita sembrava che non avesse altro da offrirle.

E poi incontrò lui di nuovo, l’assistente del primo giorno. Era seduto da solo di fronte al portatile, aveva un’aria seriosa e malinconica al contempo. Rey chiese al suo collega di andare a servirlo al posto suo, ma questi rifiutò.

“Oh, cielo!” esclamò “Ma quello lo conosco, è il figlio di Han Solo! Dico bene Erredue?”

Il suo inseparabile amico annuì, era muto ma ci sentiva perfettamente.

“Han Solo?” esclamò Rey, sorpresa “Il pilota di Formula 1?”

“Oh, sì!”

“Non sembra affatto il figlio di un pilota…” mormorò Rey, guardandolo di sbieco “Mi domando come sia sua madre.”

“Ti conviene andare da lui" le fece notare Trepiò "Ti sta guardando insistentemente.”

Rey si voltò di scatto e vide proprio che quel tizio la stava osservando. La stessa sensazione di imbarazzo e disagio che provò in aula la pervase, avrebbe voluto togliersi il grembiule da cameriera e fuggire, non farsi più vedere. E invece andò da lui col taccuino per le comande in mano.

“Ciao, cosa ti porto?” gli chiese atona, senza guardarlo.

“Un caffè” le rispose lui, senza staccarle gli occhi di dosso “Io ti conosco. Tu sei la ragazza che non sapeva nemmeno risolvere una funzione costante.”

“Un caffè” rispose piatta, ignorandolo “Arrivo.”

 

Il giorno dopo e quello dopo ancora era successa la stessa cosa. Quel ragazzo si era presentato all’incirca alla stessa ora e le aveva sempre ordinato un caffè. Aveva un costoso ed elegante computer del Primo Ordine ed era sempre vestito con un completo nero. Aveva un aspetto raffinato e distinto, ma allo stesso tempo formale e ingessato. La formalità è protettiva, erige barriere e tende a mettere a proprio agio le persone timide e introverse. Lui doveva essere uno di quelle.

“Ti porto il solito caffè?” gli domandò Rey

“Sì, grazie” le rispondeva senza aggiungere altro, sempre davanti al pc.

Col passare dei giorni, quell’incontro al bar ormai era diventato un appuntamento fisso.

Lui veniva sempre, ma non osava aggiungere una sola parola in più oltre a “sì, grazie” e “arrivederci”. Rey non capiva se la sua era davvero timidezza o se era semplicemente snob e sprezzante. D’altronde non sembrava il tipo d’uomo che rivolgeva la parola alle studentesse o, peggio, alle studentesse senza soldi che facevano le cameriere.

Qualunque fosse il vero motivo, aveva smesso di farle paura. 

 

***

 

“Quindi, la terza legge di Keplero” esclamò Finn col libro di astrofisica in mano “Il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole. Okay. Quindi, se il periodo di rivoluzione è 10, per esempio, allora… Ehm… Il quadrato di 10, quindi 100, è proporzionale al cubo della sua distanza dal Sole. Quindi se la distanza dal Sole è 5, il cubo di 5 è…125, quindi 100 è proporzionale a 125? Aspetta no” si fermò Finn, Rey iniziò a ridere “Come può 100 essere proporzionale a 125? Oddio, non ci capisco niente! Rey cosa ridi! Abbiamo l’esame e tu ridi!?” 

“Finn, Rey e l’astronomia orbitano proprio in due galassie differenti.”

Finn le sorrise e si sedette sull’erba vicino a lei “Puoi gentilmente orbitare nella mia galassia per darmi una mano?”

Rey gli tese la mano e lui le porse subito il grosso tomo. Diede uno sguardo a quelle complicate regole e poi lo guardò.

“Credo che vada imparata a memoria e basta” gli disse con tono arrendevole.

“Imparare a memoria senza capire è sbagliato” esclamò una voce profonda alle loro spalle, la sua imponente figura fece loro ombra. Sia Rey che Finn si voltarono di scatto, ammutoliti.

“Non è difficile, ragazzi” disse loro Ben “Keplero ha semplicemente spiegato che esiste un rapporto costante tra il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta e il cubo della sua distanza dal Sole, indipendentemente dal fatto che si prenda in considerazione l’orbita di Giove o quella di Mercurio, per dire. E questo perché più un pianeta è lontano dal Sole, più la sua orbita sarà estesa e più quindi sarà il tempo che impiegherà per percorrerla. Ed è ovvio, se ci pensate.”

Finn sbatté le palpebre, imbarazzato “Sì, ehm, in effetti sì. Grazie, Prof.”

Ben passò il manuale a Rey. “Prego” mormorò, lanciandole uno sguardo stentoreo che lei non ricambiò.

Quando lui se ne fu andato, i due amici ripresero a respirare.

“Cosa diavolo è appena successo?” esclamò Finn, stravolto.

Rey era ancora voltata a guardarlo.

“Ma tu l’avevi sentito?” continuò lui “Secondo me si è materializzato alle nostre spalle come Harry Potter!”

“È molto silenzioso in effetti…”

“Troppo” sentenziò Finn “Secondo me è un vampiro.”

“Ma smettila!” ridacchiò Rey, spingendolo scherzosamente a terra.

 

Il pomeriggio seguente, Rey si era decisa di parlargli. Aveva un pretesto perfetto, dopotutto lui continuava a presentarsi nel locale come un habitué e stava diventando ridicolo continuare a fingere di non conoscerlo.

“Ciao” lo salutò in maniera informale, forse troppo informale dato che era comunque un assistente, e se ne pentì l’istante successivo “Grazie per stamattina, con Finn intendo.”

Lui la guardò, sembrava stupito. “Ciao” le rispose meccanicamente “Prego.”

Rey si rese conto che la conversazione sembrava finita lì. Si sentì arrossire.

“Ti porto il solito caffè?”

“Sì” mormorò lui, sembrava paralizzato.

“D’accordo” annuì lei, voltandosi immediatamente, col cuore che batteva forte nel petto. 

“Rey” la fermò lui, inaspettatamente. La ragazza si voltò di scatto con un’espressione meravigliata. Mai avrebbe detto che lui si ricordasse il suo nome.

“Se vuoi superare l’esame, non ti soffermare troppo sulle nozioni teoriche” le rivelò Ben, in modo avventato “La pratica è la parte davvero fondamentale.”

Rey non sapeva cosa pensare, come reagire o come rispondere. Si sentiva solo tremendamente imbarazzata.

“Grazie” si limitò a dire.

“Dillo anche al tuo fidanzato” mormorò lui.

“Il mio? No, Finn no-non è il mio fidanzato, Finn è gay” gli rivelò tutto d’un fiato. Ben sbarrò gli occhi.

“Ah, scusa. Non intendevo…”

“Non fa niente” mormorò rapidamente Rey, rossa in viso “Ti porto il caffè?”

“Sì, grazie” le accennò un debole sorriso.

E detto questo Rey corse via. Si mise dietro il bancone col cuore che galoppava, le mani che tremavano leggermente. Inorridita, si rese conto di stare indossando un maglione sformato con il pianeta terra stilizzato che sorrideva. Era un dono che aveva ricevuto dai convegni per i diritti dell’ambiente, simpatico ma decisamente poco adulto e femminile. In testa poi aveva la stessa acconciatura sbilenca che si era fatta otto ore fa. Doveva essergli sembrata un cartone animato o qualcosa del genere.

Preparò in fretta il caffè e glielo portò al tavolo. Lui sollevò la mano e le loro dita per un breve momento si sfiorarono.

 

***

 

Le settimane trascorsero, gli appelli d’esame erano alle porte. Era capitato più di una volta che Rey e quel giovane assistente si incontrassero non solo al bar, ma anche per puro caso in giro per l’ateneo. Sembrava quasi che fossero uniti da una forza invisibile e magnetica. Rey, quelle poche volte che gli aveva parlato, si era resa conto che non era il mostro che tutti credevano, che lei stessa aveva creduto. Certo, sembrava avere un talento per rendersi odioso e detestabile agli occhi delle persone, ma Rey sentiva che c’era dell’altro, il suo sguardo le comunicava dell’altro. 

Una cosa in ogni caso doveva ammetterla: da quando l’aveva conosciuto, non si sentiva più sola. In un modo o nell’altro lui c’era, Rey sentiva la sua vicinanza discreta e rassicurante, ormai si era abituata a tutti quegli incontri fortuiti e improvvisi. Ogni tanto lui azzardava qualche raro, timido sorriso e Rey si rese finalmente conto che la sua era proprio timidizza, non arroganza o disprezzo. Ben, così si chiamava, oltre a non essere un mostro, era anche molto solo. Preferiva ascoltare piuttosto che parlare, la sua stazza imponente e la sua cultura non lo avevano reso prepotente o pieno di sè. E poi...

“Tu mi devi perdonare, Rey, ma da quando ti ho visto…” Ben si interruppe, come a cercare le parole “È come se tutto il mio universo fosse cambiato. Non mi fraintendere, non mi è mai successo con nessun’altra prima d’ora e quando dico mai… Intendo proprio mai.”

Rey lo fissò, senza trovare le parole per rispondere.

“Unisciti a me” le propose, porgendole la mano ampia e affusolata “Facciamo un giro. Parlami di qualcosa, voglio solo ascoltarti.”

Rey guardò quella mano e poi guardò lui, incredula. La stava supplicando con lo sguardo.

“Ti prego” aggiunse infatti, a bassa voce.

Era tutto così sbagliato! Non avrebbero dovuto palarsi fuori dalle aule universitarie. Appartenevano letteralmente a due schiere opposte, erano uno l’opposto dell’altra, ma forse era solo l’apparenza che li faceva sembrare così diversi. Forse, dentro al cuore, fin nell'anima, era uguali.

“Forse abbiamo iniziato col piede sbagliato” constatò, afferrandogli la mano “Io sono Rey, molto piacere. E tu sei?”

“Ben” le rispose.

“Ben” ripetè lei, sorridendo. 


***

 


Giunse infine il giorno dell’esame e Rey si presentò puntuale. Il primo che vide fu lui, alla destra del Professor Snoke, un uomo danaroso e dall’aspetto viscido.

Quando si sedette di fronte alla cattedra, l’idea che dietro a Snoke ci fosse anche Ben la rassicurò moltissimo. L’esame iniziò e a Rey venne istintivo guardare sempre verso di lui a ogni domanda che Snoke le poneva. E poi…

“Signorina, le sue conoscenze sono a malapena sufficienti” le disse il professore, accompagnando l’ingiustizia con un ghigno perfido.

“Cosa!?” esclamò lei, indignata “Ma…”

Ma Ben di fronte a lei le fece subito segno di no con la testa, al che Rey si zittì. 

“Se mi risponde bene a questa domanda” continuò Snoke, maligno ma ignaro “Le darò la sufficienza, altrimenti dovrà tornare la prossima volta.”

Rey si sentì morire, era in gioco la sua borsa di studio.

“Mi dica signorina, che cosa tiene insieme tutti i pianeti e tutti gli elementi?”

Rey assottigliò lo sguardo e poi guardò Ben, lui si indicò furtivamente il bicipite.

La Forza” rispose correttemamente lei, facendolo sorridere.



 



Note
Dedico con tutto il mio affetto questa storia a Cress Morlet, che nella sua letterina aveva proprio chiesto una Reylo AU. Cara, considerala come un regalo di Natale anticipato dalla sottoscritta, spero con tutto il cuore che ti sia piaciuto! <3
Niente, spero che questa storia vi sia piaciuta e che abbiate almeno intravisto i nostri amati Reylo nelle mie parole. Ho cercato di fare diversi occhiolini alla saga e per questo chiedo venia a tutti gli astronomi, gli astrofisici e gli scienziati se qualche riferimento è scorretto.
Buon Natale a tutti,
Ecate






 

 

   
 
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