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Autore: Kodama_    03/12/2021    4 recensioni
Davanti a Inej si spalanca il nulla: incombe minaccioso sotto e sopra, una valanga priva di fondo, boato di silenzio (paura). Non è né notte né giorno, non ci sono le stelle, o la luna. Non è neanche tempesta, mancano il cielo cupo e le nuvole gravide di pioggia. A Inej quel vuoto ricorda il mare, disumano e profondo.
(Storia partecipante alle seguenti iniziative: 'regali di inchiostro fra i tavoli del pub', organizzata dal gruppo facebook 'L'angolo di Madama Rosmerta')
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inej Ghafa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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A Greta Blackjessamine ♥

Quando la corda finisce


C’è una piattaforma sospesa nel vuoto. È un semicerchio in legno scuro, ampio quanto basta a contenere i suoi piedi minuti.

Davanti a Inej si spalanca il nulla: incombe minaccioso sotto e sopra, una valanga priva di fondo, boato di silenzio (paura). Non è né notte né giorno, non ci sono le stelle, o la luna. Non è neanche tempesta, mancano il cielo cupo e le nuvole gravide di pioggia. A Inej quel vuoto ricorda il mare, disumano e profondo.
Sopra questo mare, sopra questo nulla, agganciata alla piattaforma su cui Inej poggia, c’è una corda. È un filo dorato, un capello che traccia una linea, un solco, un bagliore iridescente nel grigio di cui non si distingue la fine, l’altro capo.
Inej respira. Serra le palpebre (buio), pensa ai suoi genitori (luce), apre gli occhi di scatto (coraggio) e avanza il primo passo (scalzo).
È abituata a camminare su una corda, da sola. Adesso però è diverso, perché sotto di lei non c’è la terra, non c’è una superficie pronta ad accoglierla, a frantumare le sue ossa. Adesso c’è il nulla che continua, il vuoto-mare muto ed eterno che si dipana come una ragnatela, che attraversa la sua anima. Perdere l’equilibrio significherebbe cadere per sempre, senza schianto. E per un funambolo non esiste vergogna più grande.
Quindi Inej prega e si concentra, rendendo grazie a un Sankto per ogni passo che non scivola, per ogni passo che rimane saldo sulla corda tesa come la sua fronte, sotto i talloni, fra gli alluci.
Un vento freddo le sferza il viso. Folate irruente incidono la pelle, intrufolandosi sotto i vestiti, sui seni, fra le cosce. Folate che ricordano mani, mani che lei vorrebbe allontanare, mordere a sangue, spaccare, tranciare all’altezza dei gomiti.
Le onde voraci dell’oceano vuoto tentano di agguantarle le caviglie, arpionandosi a lei come uncini per poi trascinarla giù mentre il tempo avanza indifferente.
Il nulla la violenta, la deruba e Inej, nuda ed esposta, perde il privilegio della voce, del silenzio, di scegliere, di rifiutare. Il vuoto ingloba il suo corpo, il suo volto, il suo cuore e Inej, impotente e disincarnata, può solo continuare a camminare (spalle dritte, non cadere, non cadere, non cadere).
E Inej non cade, però perde tutto. Perde tutto, tranne l’equilibrio.
Inej cammina su quel segno impalpabile di grafite, fatto di conchiglie, vista offuscata e portamento fiero, in balia dei lividi, delle fruste, dei contratti vincolanti, delle bocche avide sulla sua pelle, finché vede qualcosa dall’altra parte: la fine della corda.
C’è una nebbia confusa: sagome brulicanti, amorfe, prive di nome - somigliano a lei.
Inej accelera, l’impazienza che per la prima volta tradisce l’espressione adiafora con cui ha cucito sulla corda un passo dopo l’altro, un tremore delle guance in cui emergono lo strazio di quello che ha subito, l’ingiustizia e il dolore di non avere nessuno a cui chiedere aiuto - ancora pochi attimi, è quasi arrivata, è lì.
La corda si spezza, traditrice. O forse è lei a scivolare, a sabotare se stessa. Viene travolta dal vuoto sotto, intorno, dentro, il vuoto disumano che la chiama, che la esige.
Inej
va
giù.
Chiude gli occhi.


Qualcosa arresta la caduta, e Inej si ritrova a penzolare nel nulla.
I guanti scuri di Kaz la tengono stretta per i polsi. Inej lo guarda sorpresa, e Kaz scuote la testa.
A reggere Kaz per le caviglie c’è Jesper, che le urla un ‘come andiamo, Inej?’ da dietro la sua spalla, prima di farle l’occhiolino. Wylan soffoca uno strillo spaventato, aggrappato alla schiena di Jesper come un koala per impedirgli di sprofondare nel vuoto. Nina cinguetta un ‘tira, mio bel fjerdiano!’, prima di scoppiare a ridere isterica mentre Matthias impreca perché per Djel, non è possibile che succeda sempre qualcosa.

Inej non ha più la corda sotto i piedi, ma adesso a sorreggerla c’è quella specie di corda umana sbilenca, cozzante e squilibrata, che però la tira su.
Ansimanti, frastornati, si ritrovano tutti e sei a pochi centimetri dal precipizio, salvi.
''Grazie,'' dice Inej, non appena ritrova il fiato - e la voce, e il corpo, e il cuore, si riappropria di parte di ciò che l’abisso le ha tolto, ricostruirà il resto. Grazie.
Poi si alza. Spalle dritte, scarpette di gomma ai piedi e pugnali più affilati del vento che l’ha violata.
In equilibrio, su una corda, Spettro, non più da sola.


Note di Cora
Ciao Greta! Perdonami per questa cosa orrenda al volo, ma ci tenevo tanto a farti un regalino visto che adoro follemente tutto quello che scrivi hahaha. Grazie per aver letto (mi dispiace, spero di tornare con qualcosa di decente!) e niente, grazie per scrivere e per condividere qui ogni tuo lavoro!
E ovviamente grazie a tutt* voi per essere arrivati sin qui!
See ya! ♥
   
 
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