Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: EcateC    03/12/2021    2 recensioni
Sherlock e John hanno due modi molto diversi di pensare e valutare ciò che hanno intorno. Ma questa loro connaturata diversità invece di separarli, li unisce, li fortifica.
In questa storia sono dentro un'automobile, a notte inoltrata, in attesa che un uomo indagato di omicidio esca allo scoperto...
Questa storia partecipa all'iniziativa "Regali d'inchiostro tra i tavoli del pub" indetta dal gruppo Facebook "L'angolo di Madama Rosmerta".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



 

Alle care Darlene Stilinsky e Kamy Rossi,
Buon Natale

 





L'ultima volta che Sherlock aveva guidato un'automobile con il cambio automatico era accaduto  quattro anni fa, e ricordava l'episodio con livore. Per Sherlock, il cambio automatico era stata la vana invenzione di un pigro a beneficio di altri pigri, John cercava di spiegargli che era utile per la guida sportiva, ma lui non voleva sentire ragioni. E poi è noto che la pigrizia è madre di tante invenzioni.

Quella Mercedes dal cambio automatico aveva più pulsanti di un elicottero, squillava come un telefono e Sherlock era certo che Mycroft gliel'avesse prestata proprio  per fargli un dispetto. Con l'aiuto di John, comunque, era riuscito a metterla in moto (quattro tasti! Che inutile spreco di energia) e a parcheggiarla in un vicolo laterale e infossato tra due mura. La posizione era strategica e gli consentiva di sorvegliare le finestre dell'indagato. La macchina che li ospitava era nera, bassa e non troppo appariscente, perfetta per lo spionaggio.

Il luogo in cui erano appostati era conosciuto con il nome di Camden Town, un caotico quartiere mercantile a nord di Londra, che di notte diventava un centro di degrado per studenti, tossicodipendenti e gente alternativa. Un luogo in cui Sherlock non avrebbe mai voluto mettere piede.

Il caso a cui stavano indagando, infatti, riguardava la misteriosa sparizione di un noto avvocato per mano di un soggetto che, secondo l'apprezzamento di Sherlock, era in procinto di uscire dal palazzo di fronte e condurli dritti al luogo del delitto. Lui e John erano infatti rimasti dentro l'automobile per quasi due ore ad aspettarlo, ma costui si faceva aspettare, visto che erano già le due e trenta del mattino.

"Ok. Dimmi dieci nomi di città che iniziano con la Y."

Sherlock accennò un sorriso, meno male che in tutto ciò c'era John a fargli compagnia.

"York, Yokohama, Yamagata, Yakima, Yakushima, Yalta, Yuta... Mh, Yaounde."

"Yaounde?" ripetè John, con la bocca semiaperta, gli occhi stanchi.

"La capitale del Camerun" gli disse subito Sherlock.

"Oh, certo. Il Camerun, Africa. Lo sapevo" mormorò assonnato, strappandogli un sorriso.

"Ne mancano altre due, Youngstown e Yverdon, ma nel frattempo mi sono venuti in mente anche Yantaropoli e Yamamoto. Yorktown non l'ho detto perché mi sembrava troppo facile."

"Caspita. D'accordo, più difficile" lo sfidò John, Sherlock si accese di entusiasmo "Dimmi delle città che abbiano nel nome la A, la B, la E e... la L."

"A, E, B, L" ripetè Holmes, mettendo in moto le meningi.

A,E,B,L

O meglio, B,E,L,A.

"Belfast ovviamente, poi Belgrado, Barcellona, Baler, Brazzaville, Bellingham, Biella, El Bayadh, Elabuga, Lubecca... John, ce ne sono a migliaia."

"Wow" esclamò John, meravigliato "Sei incredibile, sei la persona più incredibile dell'universo, dico sul serio."

Sherlock arrossì, lusingato, ma cercò di non darlo a vedere.

"Ma a questa domanda sono certo che non saprai rispondere" lo sfidò John.

"Sentiamo subito" replicò convinto. In quel momento Sherlock avrebbe potuto strangolare anche un leone, tanto si sentiva sicuro.

"Qual è" iniziò John.

"Qual è" si ripetè Sherlock.

"Il pianeta più grande del Sistema Solare."

Sherlock imprecò mentalmente. No, questa non gliela doveva fare.

"Oh, andiamo!" ridacchiò John, vedendo la sua faccia arrabbiata "Questa tua avversione per l'astronomia non ha senso!"

"Fino a quando un marziano non verrà a casa mia per chiedermi una consulenza, io non mi preoccuperò di sapere nulla del suo habitat" gli rispose, alterato.

"Giove, Sherlock. Il pianeta più grande è Giove" gli disse John, bonariamente "E il più piccolo è Mercurio. E la Luna è un satellite."

"E il Sole è una stella."

"Bravo" gli sorrise, appoggiando il capo sul poggiatesta di pelle.

"Una Nana Gialla..." aggiunse, guardandolo di lato.

"Addirittura!" esclamò John con fare scherzoso.

Sherlock sogghignò. Guardò l'ora sul cruscotto, erano le due e quaranta di notte... Era tardi, molto più tardi di quanto aveva preventivato. L'idiota che stavano pedinando doveva essersi addormentato o qualcosa del genere, anche se le luci erano accese. Forse aveva senso tornare a Baker Street, John dopotutto era sfinito, solo che Sherlock non voleva porre fine a quel momento così speciale. Malgrado l'ingombro del voltante e dei pedali dell'automobile, si sentiva comodo, piacevolmente intorpidito. Il suo cervello era sgombro da qualsiasi pensiero molesto e fuori regnava il silenzio, la piacevole quiete notturna.

Sherlock in quel momento si sentiva in pace, condizione più unica che rara per lui.

Merito anche del suo coinquilino, quel momento non sarebbe mai stato così magico, senza di lui. E John era visibilmente stanco, reduce da un doppio turno in ambulatorio, ma era sveglio con lui, vigile. Non si sarebbe mai concesso il lusso di dormire, era stato troppo segnato dagli orrori della guerra per lasciare un compagno solo nella veglia notturna. E poi aveva la tendenza a sacrificare i suoi bisogni per quegli degli altri, era un altruista.

Ed era suo amico.

Mancava forse una sigaretta a completare quel momento di gioia, o forse che John gli stesse ancora più vicino...

No.

Sherlock si auto censurò la mente e si guardò intorno per distrarsi. L'auto era nuova, probabilmente nessun autista di Mycroft aveva mai avuto il piacere di guidarla. Anzi no. Ora che ci faceva caso, era stata usata un paio di volte, visto che si intravedevano delle leggerissime ditate sul cruscotto tirato a lucido. Sherlock si chiese perché mai un autista avesse toccato ripetutamente il cruscotto in quel punto insolito. 

Spinse delicatamente un dito nella stessa posizione e subito percepì un clic sotto il polpastrello. Fece un mezzo sorriso, c'era un vano a scomparsa.

"Grazie, Mycroft" pensò, certo di trovarci dentro una pistola o qualche altra arma utile che suo fratello gli aveva fornito senza dirglielo, ma poi lo squillo di un cellulare interruppe le sue congetture.

John, seduto al suo fianco, aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca della giacca e aveva guardato lo schermo luminoso. Dal sorrisetto che fece, Sherlock intuì che doveva essere una ragazza. E in fondo, chi mai poteva scrivergli alle due di notte?

"Deborah?" azzardò pigramente, certo di avere ragione.

"No, Michael."

Quella risposta fece scoppiare la sua bolla di relax.

Sherlock si irrigidì e si voltò subito verso di lui, colto di sorpresa. Michael?

Non conosceva nessun Michael, o quanto meno nessun Michael associato a John. Iniziò a fare mente locale e a cercare tra i ricordi, ma nessun viso utile gli occorse alla mente. Forse l'aveva intravisto una volta e ne aveva archiviato il ricordo nella supposta (ed erronea) convinzione che costui fosse un soggetto del tutto irrilevante. Era possibile come ipotesi, aveva senso. Tuttavia, un uomo che manda un messaggio a John in piena notte e gli strappa perfino un sorriso, è tutto fuorché irrilevante. Il cuore gli si riempì di piombo.

"Chi è Michael?" gli domandò quindi, erano passati forse dieci secondi.

"Un mio amico" rispose John con semplicità, aveva il volto assonnato.

Un suo amico.

Sherlock smise di fissarlo, senza avvedersene aveva le sopracciglia ancora contratte. E perché mai quel suo amico poteva avergli scritto a quell'ora di notte? Cosa mai poteva volere? Una curiosità violenta divampò in lui e prese ad agitarlo.
Iniziò a scandagliare tutte le ipotesi: era chiaro che non era niente di grave o di urgente, visto John aveva sorriso e non è certo il tipo che sorride per le disgrazie altrui. 
Forse per motivi di lavoro? Ma cosa c'era da ridere? Un paziente esilarante? Magari un tizio approdato al pronto soccorso con un oggetto buffo ficcato in gola o ... Oh, no. Sherlock scacciò subito l'immagine. Ma forse quella era la strada giusta da imboccare.

Magari quel Michael aveva appena fatto sesso con una donna particolarmente bella e si stava vantando con il suo amico. A Sherlock questa ipotesi parve fondata, e poi gli piacque moltissimo. Solo che... John non è il tipo che ride per queste cose, pensò con una smorfia amareggiata. O meglio, John sorride, sta al gioco, ma non lo fa spontaneamente, si sforza solo per compiacere l'interlocutore. Non avrebbe riso in questa circostanza, da solo.

E allora? Possibile che...? Sembrava impossibile, eppure tre indizi fanno una prova: messaggino, tre di notte e sorrisetto. 

"Un amico tipo Deborah?" gli chiese quindi con una voce straordinariamente ferma, lo sguardo dritto davanti a sé.

Questa volta John si voltò verso di lui e Sherlock colse che era sbalordito.

"Cosa!? No? Cioè, Deborah è stata una con cui sono uscito" farfugliò, trasecolato "Lui è solo un amico, insomma, uno di quelli da birra e partita."

"Non me ne hai mai parlato" gli fece notare Sherlock, placidamente.

"Forse perché non siamo mai venuti in argomento" gli rispose, svegliandosi del tutto "Non era certo un segreto, Sherlock."

"Certo che no" concordò con lui, assottigliando lo sguardo.

"Insomma, non sei l'unico amico che ho, non ci trovo niente di strano ad averne degli altri, giusto?" il tono di John sembrava interrogativo e preoccupato al contempo.

"Giusto- gli rispose Sherlock, mentendo spudoratamente.

"Bene."

"Benissimo."

Sembrava che stessero facendo una gara a chi ostentasse più disinvoltura. Con la coda dell'occhio Sherlock notò che John era intento a rispondere al messaggio. Aguzzò la vista e cercò di capire le lettere che stata digitando velocemente: P,I,A,C...

Ma le dita di John inaspettatamente esitarono. Il medico si fermò, bloccò la tastiera e si mise il cellulare in tasca.

"Mi ha visto" pensò subito Sherlock, irritato "Allora ha qualcosa da nascondere".

"Da quanto tempo vi conoscete tu e Michael?" cominciò l'interrogatorio con nonchalance, avvolgendo inavvertitamente il nome Michael da una coltre di asprezza.

John esitò prima di rispondere (Ah!) "Da sempre."

"È un amico di infanzia?"

"Sì, più o meno."

"Perché più o meno?" domandò rapidamente.

"Perché... Perché non eravamo così piccoli" replicò John con un'alzata di spalle.

A ogni risposta la sua voce era esitante e sottile, come se avesse bisogno di riflettere prima di rispondere, e non erano certo domande difficili. John stava chiaramente mentendo. Sherlock tornò a guardare fuori verso il panorama decadente e deprimente della bassa Londra, ma aveva le orecchie tese, la vista aguzza. John al suo fianco sospirò leggermente e dal finestrino dell'auto Sherlock potè vedere che si era passato una mano tra i capelli corti. Fece per prendere il bicchiere di caffè americano che aveva inserito nel portaoggetti, ma poi cambiò idea prima ancora di sorseggiarlo. Non gli piaceva perché era troppo zuccherato, ma allo stesso tempo non voleva sprecarlo, forse per una reminiscenza delle ristrettezze patite in Afghanistan. 

Sherlock sorrise di fronte a quel tenero conflitto interiore, solo che poi il cellulare squillò di nuovo e il sorriso gli morì letteralmente sulle labbra. John però non si mosse, non fece nemmeno l'atto di prendere il cellulare, sembrava raggelato.

Era così nervoso che la sua tensione risultava contagiosa. 

"Perché non guardi cosa dice il tuo amico Michael?" gli domandò subito Sherlock, senza guardarlo.

"Mh, perché non è niente di importante, insomma stiamo pur sempre aspettando un presunto assassino."

Santo cielo, era proprio come aveva temuto. Erano amanti e John era bisessuale. Sherlock ricordò tutti i motivi per cui aveva pensato -sperato- che lo fosse. A volte gli era parso così evidente che si era trattenuto dall'esultare, altre volte si era sentito terribilmente scoraggiato in proposito, come se la sola idea fosse folle. Tanto valeva parlare a chiare lettere.

"Da quanto tempo andate a letto?"

"Oddio, Sherlock!" esclamò John, rovesciandosi due sorsi di caffè sui pantaloni.

"Non c'è niente di male se ci vai a letto, me lo puoi dire" cercò di rassicurarlo, parlando più velocemente del solito "Puoi anche vestirti da donna e andare al supermercato in tanga, non ti giudicherei male."

"Grazie ma no, hai del tutto frainteso" gli rispose bruscamente, sembrava arrabbiato.

Sherlock lo guardò senza capire "Ribadisco che per me non ci sarebbero problemi"

"Oh, nemmeno per me se tu vuoi iniziare" gli rispose John, a tono.

"Iniziare a fare cosa?" gli domandò a bruciapelo, ma lesse la risposta direttamente nei suoi occhi: a scopare.

"A metterti il tanga" sviò invece John, troppo premuroso per dirgli certe cose in faccia. 

"Ah, no" replicò quindi "Grazie, ma per adesso sto bene così."

L'espressione di John si raddolcì "Allora niente tanga per nessuno dei due."

"A quanto pare no. Però tu vai a letto con questo Michael."

"Sherlock..." esclamò John, stancamente.

"La risposta è sì."

"Perché lo vuoi sapere?"

Sherlock non rispose, non ebbe nemmeno l'ardire di guardarlo negli occhi. Questa poteva essere un'occasione d'oro, poteva dirgli che era innamorato di lui, oppure sviare magistralmente l'argomento e tacere per sempre. E così fece.

"Quando hai capito di essere interessato anche agli uomini?"

John sospirò leggermente e alzò le spalle come a dare atto della sua resa.

"Ho avuto qualche esperienza al college. Sai come succede durante le feste, eravamo tutti ubriachi fradici, qualcuno era pure impasticcato e... Lo sai, insomma. Si perde la testa, ci si lascia andare."

No, Sherlock tecnicamente non lo sapeva perché non aveva mai presenziato a feste del genere, però le immaginava in modo più che vivido. E immaginò anche un John universitario mentre si lasciava andare con un fortunato che era lì per caso. 

"E da quel momento ho detto "perché no"- aggiunse John, rispedendolo sulla Terra "Non che io sia gay, perché le ragazze mi piacciono molto. Però quando capita, lascio che capiti, e lui è un ragazzo interessante."

Sherlock avrebbe voluto annuire ma non lo fece. Quella sensazione che morde allo stomaco, di cui aveva letto così spesso nei libri, ora stava rodendo lui. Gelosia, sconforto, rassegnazione.

Era ovvio. Come poteva John considerare interessante lui in quel modo? Prenderlo anche solo in considerazione in quel modo, considerare la possibilità che anche loro due potevano... 

Gli sembrava impossibile anche solo pensarlo. Un semplice bacio gli sembrava un traguardo impossibile.

"E tu?"

Sherlock piegò il capo verso di lui, tanto per fargli capire che era in ascolto, ma tacque.

"Io ti ho detto di me" insistette John "E tu? Non ne abbiamo mai parlato."

"Sai bene che non ho niente da raccontare" gli rispose sostenuto, apparentemente privo di imbarazzo o amarezza. John aveva spostato lo sguardo sul cibo che aveva preso d'asporto e si era appoggiato allo sportello della macchina col braccio destro. Faceva finta di niente ma aveva capito, John era bravo a comprendere l'animo umano.

"Queste alette di pollo fanno schifo, comunque- cambiò discorso, stropicciando il sacchetto unto per chiuderlo e riporlo di lato "Ricordami di non comprarle più in quel chiosco, è già la seconda volta che mi faccio fregare."

"Sono un caso umano, secondo te?" gli chiese Sherlock, con placida rassegnazione. John lo guardò e gli sorrise.

"Ma no che non sei un caso umano- gli rispose con comprensione "Ognuno ha il suo percorso, i suoi trascorsi. Le cose possono succedere come non succedere e spesso non dipende nemmeno da noi, per cui non farti troppi problemi su questo, davvero."

"In realtà io non mi faccio problemi, è la gente che se li fa per me."

John annuì e sorrise con aria consapevole "Sì, capisco cosa vuoi dire, ma fai bene tu. I guai sono altri e te lo dice uno che considera quell'aspetto della vita molto importante."

Sherlock accennò un sorriso. Amava John e adorava sia la sua capacità di farlo sentire importante, più grande degli altri, che quella inspiegabile di entrare in comunione con le sue paure e scacciarle via. Si chiese se lui ne fosse consapevole, ma ne dubitava, era così modesto.

"Questo, John, è il tuo pregio più grande" lo informò Sherlock, cogliendolo alla sprovvista.

"Quale? Sopportarti?" scherzò John, con un bel sorriso.

"Rassicurare" lo sorprese Sherlock "Empatizzare con le persone. Sei davvero bravo nel farlo."

John rimase colpito e si raddrizzò sullo schienale "Lo pensi davvero?"

"Sì, davvero" gli rispose, con lo sguardo perso nel vuoto.

"Grazie, non ci ho mai fatto caso" banalizzò con semplicità, come se tali qualità fossero scontate. Ah, per John erano molto più impressionanti le sue abilità deduttive, ci avrebbe scommesso. Ma forse era un bene, perché se si fosse mai reso conto di quanto fosse speciale, probabilmente se ne sarebbe andato tanto tempo fa, conscio di meritare di meglio. E Sherlock non poteva permettere che se ne andasse. Aveva bisogno di lui e della sua empatia, del modo in cui gli diceva "magnifico" e del modo in cui comprendeva le emozioni degli altri senza bisogno di segnali, piste o indizi clinici. John comprendeva e basta, e questo sì che era magnifico.

Solo che... Come poteva non essersi accorto dell'amore che provava per lui? Possibile che lo sapesse e facesse finta di niente? Forse non lo voleva ferire con un rifiuto. E forse sarebbe stato molto più opportuno affrontare un rifiuto che mantenere viva un'insensata scintilla di speranza. Non sarebbe mai andato avanti, altrimenti.

"Cosa c'è che non va, adesso?" gli chiese John, a proposito di empatia. Sherlock lo guardò intensamente.

"Nulla" gli rispose subito "Perché?"

"Sembri turbato" disse come se fosse ovvio.

Sembro turbato? Sherlock era stupito. Non aveva assunto nessuna espressione turbata, non aveva fatto nulla per tradire il suo effettivo turbamento, di questo ne era più che certo.

"Sono molto tranquillo- mentì sfacciatamente, forse dopo cinque secondi di troppo, ma John sorrise.

"No, non lo sei" lo contraddisse, sembrava quasi divertito "Ma se non vuoi parlarne, non insisto."

Sherlock lo guardò  e poi spostò lo sguardo in avanti, perso a riflettere. Ma come faceva?

"Ma come fai?" gli domandò, senza potersi trattenere.

John aggrottò le sopracciglia, confuso "A fare cosa?"

"Questo" gli rispose brusco "Da cosa avresti capito che c'è qualcosa che non va?"

"Allora qualcosa che non va, c'è."

"Rispondimi, John" disse Sherlock, frustrato "Non ho un'espressione triste, non ho il battito accelerato, non ho gli occhi lucidi, non ho le pupille dilatate, non tamburello con le dita sul cruscotto, non sospiro, non guardo l'ora, non ho tirato giù il finestrino, non ho acceso una sigaretta, non ho fatto nulla per lasciar trasparire le mie emozioni, eppure tu le hai capite comunque. Come ci riesci?"

John adesso pareva sorpreso. Aveva abbassato lo sguardo, probabilmente per meditare su una risposta convincente, ma la realtà era che non lo sapeva nemmeno lui.

"Si vede, credo- banalizzò, stringendosi nelle spalle -Non è che uno deve avere sempre delle tracce o degli indizi visibili per capire come sta una persona che... Insomma, una persona a cui tiene"

Una persona che...? Stava per dire "una persona che ama"? 

"Si capisce dal tuo sguardo che c'è qualcosa che non va" terminò John, sperando di risultare convincente.

Sherlock era certo di avere il suo solito sguardo neutro, indecifrabile. Intercettò i propri occhi azzurri nello specchietto retrovisore e gli parvero uguali, gelidi e inespressivi come al solito.

"Non noto nulla di particolarmente rilevante nel mio sguardo" gli disse, rigido.

"Invece si vede benissimo che sei giù" insistette John, con ovvietà.

"Ma da cosa!?" avrebbe voluto gridargli in faccia, esasperato. Gli pulsava forse una vena da qualche parte? Gli tremava una palpebra? Era arrossito...!? No, non si sentiva le guance accaldate, per fortuna. Ma allora? 

"Forse è un problema che ho io" disse a voce alta, rispondendo sia all'amico che a se stesso "Non capisco quello che prova la gente-

"Certo che lo capisci."

"Lo capisco se ci sono dei sintomi, degli indizi tecnici e clinici che rivelano le loro emozioni" lo corresse "Ma non come fai tu."

"Ma in realtà anche io lo capisco da degli indizi clinici" John sottolineò la parola come se la cosa lo divertisse "Solo che gli indizi che noto io non sono gli stessi che vedi tu, e quelli che vedi tu, io non li noto, quindi tecnicamente siamo pari. O meglio, tu sei sempre più avanti, visto che noti centinaia di cose in più di me e molto più rapidamente."

Il discorso era contorto ma chiaro. John come al solito cercava di smorzare le sue stranezze mettendo in discussione le proprie capacità, ma Sherlock sapeva che il discorso non era così semplice. Astrattamente John poteva anche avere ragione, ma concretamente Sherlock era conscio di non essere come gli altri. Il che la maggior parte delle volte era un vanto, ma alcune rare volte (come questa) era un cruccio. La noiosa, banale e sconcertante normalità per l'essere umano era un porto sicuro.

"Ascolta, prova a guardare me" lo stupì John, guardandolo negli occhi "Cosa noti nel mio sguardo?"

Sherlock si sentì come se avesse mancato un gradino durante una discesa. Si voltò verso e guardò quegli occhi vellutati che conosceva, cercando come al solito di non lasciar trasparire alcuna emozione.

"In quello sinistro ti sei operato una quindicina di anni fa, probabilmente per un glaucoma" sentenziò senza esitare.

John fece un bel sorriso "Fu una scheggia, però sì, fantastico. Comunque intendevo qualcosa di meno concreto, più sul piano delle emozioni. Davvero non capisci cosa sto provando in questo momento?"

"No, ma con la logica ci posso arrivare" gli rispose Sherlock "Sei incredulo del fatto che io non riesca a comprendere cose che per te sono evidenti, probabilmente mi reputi una sorta di automa, un robot che si disinteressa totalmente dei sentimenti altrui e che non si fa alcuno scrupolo nel parlare."

"No, ferma il treno, questo non l'ho mai pensato" lo interruppe prontamente "Sei tu che pensi questo di te stesso, non io."

A dire il vero, nemmeno Sherlock non pensava questo di se stesso. I sentimenti degli altri per lui non erano calpestabili o insignificanti. Se feriva le persone, non lo faceva di proposito, tuttavia la gente si offendeva ugualmente, sembrava non capire la differenza.

"Grazie per non pensarlo, allora."

"Ti pare che potrei pensarlo? Sherlock, avanti" lo spronò John, il suo tono sembrava estenuato "Possibile che... Insomma... Non ti accorgi dell'effetto che fai alla gente?"

Oh, questo era un colpo di scena. Sherlock lo guardò, colpito "Certo che me ne accorgo. Indispongo le persone, le ammutolisco."

John arrossì lievemente "Non solo quello" mormorò tra i denti.

"Cos'altro?" lo guardò, voltandosi del tutto verso di lui.

John scosse la testa, sembrava imbarazzato "No, lascia stare."

"No, ti prego" insistette, acceso di legittima curiosità. Cercò di ragionare, ma le sue facoltà mentali in quel momento erano sballate dall'estasi della speranza. Se si vuole descriverlo con una metafora, nel suo palazzo mentale c'era appena stato un terremoto. 

John sembrava imbarazzato, ma perché? Perché? Perché? Perché? 

"Sherlock... Tu hai capito che Molly è innamorata di te, vero?"

"Certo che l'ho capito, si vede lontano un miglio" gli rispose così velocemente che quasi si mangiò le parole. Tenne gli occhi chiari fissi su di lui, la scintilla della speranza divampò a dismisura.

"Okay" mormorò John, sembrava misurare quel fatto "E da cosa l'hai capito?"

Sherlock esitò, i sentimenti di Molly erano così ovvi che quasi gli risultava difficile spiegarlo. E perché diavolo stavano parlando di Molly!?

"Da mille cose, sono talmente tante che non riesco nemmeno ad elencartele" iniziò con foga "Dalla frequenza e dal modo in cui mi guarda, dal fatto che cerca di rendersi più attraente in mia presenza, dal fatto che tende a sorridermi. Si sforza anche di essere simpatica e gentile, ma poi si rende conto di quanto sia inutile e smette. Soffre per colpa mia e mi dispiace, ma io non l'ho mai illusa né ho fatto in modo che si innamorasse di me. Tanto meno me ne sono approfittato per portarla a letto."

"E perché no?" gli domandò allora John "Non fraintendermi, sei stato un gentiluomo a comportarti così, ma vorrei sapere perchè. Molly è carina in fondo."

"Non ho mai detto che non lo sia" gli rispose Sherlock, confuso. Perché diavolo stavano ancora parlando di Molly? 
Oddio, no, non voleva mica consigliargli Molly?

"È anche una ragazza intelligente" continuò John. 

La risposta era drammaticamente corretta: Voleva consigliargli Molly.

"Almeno secondo i miei parametri" precisò, continuando il discorso "Ma ecco, se ti frena il fatto che lei sarebbe la prima, fai male. È talmente pazza di te che non gliene importerebbe niente, forse non se ne accorgerebbe nemmeno. Sarebbe solo felice, in un modo che posso facilmente immaginare."

"Lo so, John. Infatti non è questo a frenarmi."

"E allora cos'è? Preferisci forse gli uomini? È questo?"


 

***

 

John lo stava fissando con tanto d'occhi. Aspettava quella fatidica risposta come se ne andasse della sua stessa vita, come se fosse una boccata d'ossigeno sotto il mare. 

"Ti prego, Sherlock, rispondimi" lo supplicò mentalmente "Per una volta non essere così misterioso, per una sola volta."

"Non lo so."

"Non lo sa!" pensò il medico, esasperato. Ma d'altronde un cervello maestoso come quello di Sherlock doveva gestire la sessualità in modo molto più sofisticato e analitico rispetto agli altri. In un modo che (come al solito) andava al di là della sua comprensione.

"Ah, immagino che per te non sia facile" banalizzò, in difficoltà.  

"No, ti posso garantire che non lo è" gli rispose Sherlock, criptico come al solito.

"Se posso aiutarti in qualche modo, dimmelo. Lo faccio volentieri."

Con un bacio, una scopata, un pompino, qualsiasi cosa.

"Qualsiasi cosa, Sherlock" gli disse con lo sguardo, ma lui non lo stava più ricambiando. Aveva di nuovo quell'aria abbattuta di prima. Che cosa stava pensando? Quale pensiero profondo e complesso stava elaborando il suo cervello in quel momento? John non si capitava, Sherlock era un genio. Anzi, più che un genio, era... Sherlock. E possibile che un uomo straordinario come lui non si fosse mai reso conto della passione travolgente che ispirava negli altri? Perdiana, Molly si sarebbe gettata sotto una macchina per andare a letto con lui anche solo una volta! Irene Adler lo stesso e perfino quello psicopatico di Moriarty l'aveva guardato in modo equivoco.

No, Sherlock non si rendeva conto di quanto fosse bello, così alto e slanciato, con quegli occhi incantevoli e quella sua eleganza innata. Era consapevole delle sue abilità intellettuali, naturalmente, ma non aveva mai realizzato quanto queste potessero risultare attraenti agli occhi di un uomo normo dotato. 

O forse lo aveva realizzato, ma non gliene importava un fico secco. Abbacinava la gente e se ne andava, spariva, completamente (apparentemente?) disinteressato a ottenere quel briciolo di approvazione sociale tanto bramato dagli esseri umani.

E poi non aveva mai avuto esperienze e questo era semplicemente incredibile, straordinario.

Un uomo così avrebbe potuto avere chiunque, eppure non aveva mai avuto nessuno. Questo sì che era straordinario, l'ennesima cosa straordinaria che si sarebbe dovuto appuntare su Sherlock Holmes.

Ma, probabilmente, avere un'intelligenza sopra alla media era un problema per lui. Ai suoi occhi tutti dovevano apparire ottusi, prevedibili, noiosi, e di conseguenza poco attraenti. John si disperò in silenzio, chiedendosi perché l'universo non gli avesse fornito delle sinapsi come quelle di Sherlock.

"Tu però mi stai nascondendo qualcosa, John" intervenne il suo amico di punto in bianco, con voce affilata "Sei reticente, hai iniziato un discorso e non l'hai concluso perché hai tirato in ballo Molly, ma io non volevo parlare di Molly. Hai detto che non mi rendo conto di quello che pensano le persone su di me, di quello pensi tu. Cosa intendevi?"

John si sentì bollire sotto i vestiti. Cosa poteva dirgli, adesso? E possibile che lui non avesse mai notato quanto fosse incredibile? 

"Vuoi davvero saperlo?"

"Lo vorrei, sì" gli rispose subito, i suoi occhi chiari lo pungevano.

"D'accordo, però promettimi una cosa. Indipendentemente da quello che ti dirò, vorrei che la nostra amicizia non subisse alcuna ripercussione negativa. Le cose non devono cambiare tra noi."

Sherlock si irrigidì "È una cosa tanto brutta?"

John lo guardò, interdetto. Brutta? Brutta!

Basta, doveva dirglielo, era arrivato il momento. Provava dell'attrazione fisica per Sherlock, ma se lui voleva mantenere ferma la loro amicizia così com'era, se ne sarebbe fatto una ragione. Lo avrebbe amato in modo platonico, con la voce e con lo sguardo, esattamente come faceva Molly, esattamente come aveva fatto finora. Ma doveva dirglielo, era da codardi tacere e poi non era un reato, non sarebbe morto nessuno, a parte... beh, il suo cuore.

"No, il fatto è che non è brutta per niente" gli disse, stringendo forte il bicchiere di cartone "Solo che tu ora sai che io sono bisessuale, per cui..." John si interruppe. Merda, era difficile. Fece un bel respiro "Oddio, Sherlock, davvero devo continuare? Non l'hai già dedotto da solo?"

Ma Sherlock non gli rispose. Sembrava ammutolito, sconcertato, e questo mortificò John più che mai. Nemmeno di fronte a dei cadaveri mutilati il suo geniale coinquilino aveva mostrato alcun segno di turbamento, e ora eccolo lì, inorridito. Oh! Gli venne in mente l'episodio in cui gli aveva chiesto di fargli da testimone per il matrimonio con Mary. Sherlock si era "bloccato"  ed era impallidito esattamente nello stesso modo. "Di bene in meglio" penso, con un sospiro grave, ma doveva continuare il discorso.

"D'accordo, parlo io. Ecco, tu... Tu sei unico" farfugliò John, iniziando ad arrossire "Questo tuo modo di capire le cose è strabiliante e la gente normale ne rimane intrigata, affascinata. E sì, a volte hai delle uscite che spezzano le ginocchia e sfido chiunque a non sentirsi un emerito idiota vicino a te, però ecco, a quanto pare qui siamo in parecchi a considerarti straordinario, anche se forse la cosa non ti importa."

"John" lo chiamò Sherlock, ma il medico lo interruppe.

"No, aspetta, lasciami finire finché ho il coraggio di parlare" insistette, agitato "So che tu non provi lo stesso per me e va bene così, lo capisco. Io provo davvero a starti dietro e a seguire i tuoi ragionamenti, ce la metto tutta, ma ho spesso l'impressione di rallentarti e questo mi dispiace moltissimo. Vorrei solo rendermi utile ed essere degno della tua genialità, ma probabilmente non lo sono. Però sappi che l'adoro come se lo fossi, perché tu sei straordinario, Sherlock, e fai bene a essere selettivo."

E detto questo, John bevve un bel sorso di quella bevanda fredda e melensa per ammorbidirsi la gola. E dire che un tempo era stato caffè. 

"Ecco, fine del discorsone" cercò di sdrammatizzare e in effetti si sentiva libero come un fringuello, con un bel peso in meno sulle spalle. Ma ecco che, in modo del tutto inaspettato, notò che un uomo era appena uscito dal palazzo fatiscente che stavano osservando. Costui aveva il cappuccio della felpa calato sul viso e un'aria sospetta.

"Sherlock, guarda! È il nostro uomo!" lo indicò con un cenno del capo "Metti in moto l'auto, ti ricordi i tre passaggi?"

Ma prima che John potesse avvedersene, Sherlock si era proteso verso di lui e aveva appoggiato le labbra sulle sue.

Il suo cuore si riempì di una violenta meraviglia, lo stupore fu tale che gli spalancò gli occhi. Ma l'attimo di splendido sconcerto durò poco. John si spinse subito verso di lui, la leva del cambio (inutile) gli si conficcò fastidiosamente nello stomaco, ma lui se ne fregò. Gli cinse un fianco con una mano e con l'altra affondò tra i suoi capelli scuri e morbidi, le sue labbra si erano già completamente dischiuse su quelle di lui.

Oddio, cosa stava succedendo! Riusciva a stento a pensare, ma doveva approfittarne prima che Sherlock cambiasse idea, doveva prendere tutto ciò che poteva. Gli sfiorò le labbra con la lingua e insinuò un ginocchio tra le sue gambe, ma Sherlock si staccò.

"Ti ricordi quando ti ho spiegato che differenza c'è tra una mente sintetica e una analitica?" gli domandò con voce stentorea. John era in stato confusionale ma annuì.

"C'eravamo appena conosciuti" mormorò, senza togliere le mani dal suo corpo.

"Sì ed è stato il momento più bello della mia vita, con l'eccezione di questo, naturalmente" aggiunse velocemente, John gli sorrise con stupore -Sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto, John Watson, e se sono così preciso quando studio i casi è anche merito tuo. Le tue osservazioni mi conducono sempre nella strada giusta e la tua presenza mi fortifica, con te vicino mi concentro meglio, sono più sicuro di me stesso e ti prego di non pensare nemmeno per un istante che mi rallenti perché non è così, sarei la metà di quello che sono, senza di te. In conclusione io ti amo. Da molto tempo ormai e mi chiedo come hai fatto tu a non capirlo."

John sbatté le palpebre "Io...?"

Ti amo. Sherlock Holmes gli aveva detto ti amo.

"Avresti dovuto capirlo prima" continuò rapidamente Sherlock "Credevo lo sapessi."

"Io?" ripetè John, basito "Sherlock, sei tu l'investigatore geniale qui, tu avresti dovuto capire ciò che provo io."

"Ma sei tu quello empatico che capisce i sentimenti degli altri così, per magia."

Empatico? Magia? John si sentiva sballottato da tutte quelle scoperte come se fosse in una bomboletta, e poi aveva le labbra marchiate a fuoco dai suoi baci, era piena notte, ed era davvero troppo per lui.

"Non l'avrei mai ritenuto possibile" gli disse sinceramente "Mi sento così tardo rispetto a te."

"Ma no, non lo sei" lo confutò dolcemente Sherlock, guardandolo negli occhi "Sei magnifico, John, sei fantastico."



 

 



Note
Questa storia era stata pubblicata tempo fa su Wattpad. L'ho ripresa in mano, l'ho messa a nuovo e ripulita, e ne ho approfittato dell'iniziativa dei regali di Natale sul gruppo Facebook per dedicarla a due Johnlock Shippers: Darlene Stilinski e Kamy Rossi. Quest'ultima tra l'altro mi ha anche regalato il banner che vedete sopra in modo del tutto inaspettato, grazie <3  Non posso non pensare nemmeno a Relie Diadamat, che è stata la prima ad averla letta. Anche se non partecipi all'iniziativa, tra i miei pensieri c'eri anche tu.
Sappiate che ho iniziato a leggere i racconti di Conan Doyle e ho sentito una lampadina accendersi nel punto in cui Sherlock (quel Sherlock, l'originale!) arrossisce e sorride di fronte ai complimenti di John. L'ho trovata una cosa di una tenerezza disarmante.
Spero che questa storia vi sia piaciuta e che i personaggi vi siano sembrati IC.
A presto, 
Ecate
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: EcateC