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Autore: paige95    05/12/2021    4 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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L'innocenza dei tempi che furono 




 
Milat Super Speciality Hospital - Kabul, 23 settembre 2018
 
Era essenziale riuscire a comunicare con i militanti appostati alle porte del nosocomio. Karim era l'unico interprete disponibile per Christian, mentre il soldato era il solo americano che avrebbe potuto tentare un approccio diplomatico con i talebani; Beatriz sarebbe stata tenuta ad uno scalpitante silenzio oltre i tenebrosi veli del burqa. Al comandante dell'unità era stato assegnato l'importante compito della difesa, in caso di un eventuale attacco.
Per la seconda volta nell'arco di una manciata di giorni, Christian era in procinto di svestire abiti che erano diventati parte integrante della sua personalità fin dalla tarda adolescenza per indossare stoffe di un Paese lontano, ma tassello dell'anima di coloro che si prodigavano a renderlo un luogo vivibile. Si era accorto di ricordare ben poco della lingua afghana, gli anni di pace trascorsi accanto alla sua famiglia avevano assopito dolore e successi della precedente esperienza bellica. Il dottore del luogo gli aveva offerto speranze e gratitudine. Secondo Karim scorreva nel capitano Richardson il potenziale per riuscire ad ingannare i nemici: la carnagione olivastra richiamava i popoli d'Oriente, una buona predisposizione all'apprendimento insieme ad una notevole memoria lo avrebbero trasformato in un convincente natìo agli occhi degli spietati talebani. Dopo il drammatico episodio che Maryam era stata costretta a subire, Karim non nutriva particolare fiducia negli uomini in divisa, ma in presenza di Christian non provava diffidenza, si era dimostrato un fedele amico di Samuel, un americano buono e coraggioso.
La sola scossa efficace per superare l'oblio di una missione intentata era la tenacia congiunta alle conquiste di un eventuale successo. Christian non negava a se stesso di nutrire timore, lo mal celava, ma la donna che percorreva al suo fianco le strade del centro di Kabul non avrebbe comunque potuto coglierlo, era concentrata su altro, sulle vetrate smeraldine dell'università che riflettevano un sole alto incorniciato da un cielo limpido. Sulla facciata frontale del Campus di Kardan spiccavano i volti di due giovani studenti afghani - un ragazzo e una ragazza - sorridenti; due ricercatori fiduciosi nelle pari opportunità che quel luogo offriva loro. Il gentile tocco di Christian sul braccio la invitò a proseguire; il capitano aveva intuito l'oggetto dei pensieri della compagna di guerra, proprio per quella ragione stavano combattendo, lottavano per una missione umanitaria, le armi erano solo un mezzo non da tutti apprezzato. Esportare uguaglianza in Oriente era fra gli obiettivi degli occidentali. 
Il comandante Reyes aveva insistito affinché non si trovassero del tutto privi di una copertura, era suo dovere abbassare al minimo i rischi che avrebbero potuto correre, in caso contrario il consolato non sarebbe stato transigente. Gli elicotteri americani sorvolavano il cielo della città, senza tuttavia attirare l'attenzione dei cittadini, abituati ad un persistente traffico aereo ormai da decenni. Christian sapeva che su uno di quei velivoli Gwendoline manteneva con destrezza il controllo del mezzo, per quanto lei non avesse altrettanta fiducia nelle sue abilità; era stata lei stessa ad insistere, non avrebbe voluto assistere dalla base, sia che fosse stata una sconfitta sia una vittoria. Il perimetro del nosocomio era circondato da fuoco amico ben celato. Erano così riusciti a trovare un equilibrio tra pace e sicurezza, spettava al tenente Richardson dimostrare se fosse anche un piano convincente.
I metri diminuivano, erano sempre più vicini al loro traguardo, ancora pochi passi e trovare nuove alternative sarebbe stato impossibile. Beatriz dava l'idea di essere sempre meno convinta, ma l'azzardo di Christian era solo in parte la causa. Il tenente si bloccò non appena smise di avvertire il fruscio dell'abito del comandante al suo fianco. Nelle avvolgenti stoffe locali, la donna era del tutto irriconoscibile, aveva perso qualsiasi tratto dell'Arma occidentale; i lineamenti erano inesistenti, forme e colori annullati, l'unica tonalità era una macchia informe e scura che la copriva dalla testa fin sotto le suole. Beatriz forse non si accorgeva di aver perso persino la postura fiera del militare; era un'evidente oppressione psicologica che schiacciava persino un orgoglioso seal dell'esercito americano. Christian comprese le titubanze della collega, il disagio era palpabile nell'atmosfera; si premurò di chiederle come stesse, era arduo affrontare una missione moralmente abbattuta.
«Cos'hai?»
L'uomo scrutò gli occhi sinceri e imbevuti di lacrime attraverso la retina trasparente del burqa. Lo fissava nella speranza che cogliesse i suoi pensieri, anche se lui non avrebbe mai potuto conoscere i suoi tormenti. Era fuori tempo parlarne in quel contesto, al limite di un'azione di guerra che Christian aveva trasformato in un delicato cammino diplomatico. Beatriz scorgeva lo sguardo contrito dell'uomo, era sempre stato attento e premuroso, lo era stato fino al momento in cui le loro strade si divisero.
«Da quando è nato mio figlio, fatico a mantenere la calma in guerra. Se dovessi morire, ci rimetterebbe lui. È poco più che un bambino, per quanto suo padre non lo capisca ha ancora bisogno di me»
Aveva espresso pensieri scollegati appartenenti ad un contesto di cui Christian era all'oscuro. Riuscì solo ad empatizzare con il suo ruolo di madre, erano entrambi genitori e in quanto tali mancanze e timori erano identici lontani da casa. Non si premurò di approfondire la questione, le tese la mano e la invitò ad afferrarla.
«Beatriz, ti prometto che oggi andrà tutto bene»
Era sicuro di non sbagliarsi, era certo di trovare la soluzione prima di ricorrere alla violenza, alternativa che in qualche modo lei non aveva comunque escluso. Lo promise al suo comandante e a se stesso con convinzione. Aveva il dovere di far funzionare quella missione, di cui era il principale responsabile e mai avrebbe osato addossare a lei qualche colpa. 
Condividevano più di quanto avrebbe immaginato, l'amore per un figlio poteva essere capito solo da chi era padre o madre, da coloro che lo erano in coscienza. La sentì vicina come mai prima di allora, anche se in passato erano stati così prossimi da diventare un solo corpo. Le sorrise, era stato bello incontrarla a distanza di anni e condividere con lei nuove e diverse esperienze.  
Con dolcezza, la convinse ad afferrare il suo braccio e a proseguire. Le poche anime che percorrevano le vie della città nei dintorni dell'ospedale ignoravano il loro passaggio, erano riusciti a camuffarsi efficacemente tra la folla assumendo le sembianze di due giovani coniugi afghani diretti verso le porte del nosocomio occupato. 
Un paio di talebani altrettanto giovani vigilavano sull'ingresso principale dell'ospedale. Quando i militari li videro, non si lasciarono intimorire. Christian accelerò il passo suggerendo anche a lei il ritmo, dovevano simulare un'emergenza, all'interno di quelle mura bambini, donne e uomini avevano davvero urgenza di uscire; dovevano essere sfiniti, amareggiati, prossimi alla resa dopo mesi. Gli uomini armati imbracciarono i loro kalashnikov, si sentirono minacciati dalle figure sconosciute che si stavano avvicinando; non era così usuale che civili prendessero una simile spontanea decisione. Il seal non si identificò davanti a loro, ignorò le palesi minacce e tentò di simulare un dialogo in lingua afghana.
«Lei ha bisogno di assistenza»
Non spese molte parole per il timore di sbagliare, ma i due natii non furono convinti. Christian sottolineò l'urgenza delle condizioni della donna che aveva accanto, impiegò toni più concitati, ma la risposta fu tutt'altro che piacevole, ricevette un colpo ben assestato con il calcio dell'arma nella totale indifferenza dei passanti. L'afghano lo colpì all'altezza dell'orecchio privandolo del respiro per qualche istante. Il tenente avvertì la pressione di Beatriz sul suo braccio e rivoli di sangue caldo scendere lungo il collo. Non sapeva come si dicesse in afghano a cosa serviva una tale brutalità, si erano presentati con le migliori intenzioni e avevano scaturito comunque una reazione violenta. Ciò che i due talebani proferirono con disprezzo fu incomprensibile, li lasciarono passare e nonostante il dolore lancinante provato, il militare non si lasciò fermare alla prima difficoltà. Trascinò la compagna all'ingresso penetrando il varco concesso dalle guardie; preferì trattenere qualsiasi commento e lo stesso pensiero attraversò la mente di Beatriz che non smetteva di scrutare preoccupata la ferita di lui.
Non vennero lasciati soli, una delle due guardie li scortò minacciandoli di sparare alle loro spalle. Avevano previsto quel risvolto, ma erano riusciti ad entrare, era quello in fondo l'obiettivo principale. Nonostante l'udito leso, Christian avvertì il pianto e la sofferenza di coloro che si trovavano in quel luogo rimbombare fra le pareti candide. Era una cappa di nebbia scesa su loro e sulle emozioni che erano in grado di provare con sincerità, un campo di battaglia chiuso fra quattro mura. Erano entrati con il macigno di una grande suggestione, ma la verità non si discostava dall'immaginazione. Le urla squillanti furono i rumori più impressionanti per il seal, erano sottili e infantili, delicate e innocenti. L'uomo arrestò il passo cercando di comprendere da dove provenissero. La canna del kalashnikov contro la sua schiena non fu clemente, premeva con più ostinazione provocandogli una smorfia e costringendolo ad avanzare. Christian non sapeva dove li stesse scortando, strinse forte la mano di Beatriz contro il suo braccio per il timore che li separassero, anche se era certo che lei se la sarebbe ugualmente cavata. La presa della compagna su di sé era leggera, pronta all'azione in caso di necessità. Il tenente ebbe la sensazione di essere più al sicuro lui di quanto non lo fosse lei l'uno a fianco all'altra. Il velo oscuro mascherava una tenacia che solo al capitano era dato conoscere. Beatriz mostrava delicatezza unicamente nel premurarsi che la ferita del seal non peggiorasse, ma il portamento restava vigile, privo di compassione.
Giunsero nei pressi di una stanza dalle porte scorrevoli. Fu Christian ad aprirle per evitare di dover comunicare con il talebano che si trovava alle sue spalle, rischiando così che la loro identità potesse comprometterli ulteriormente. Il militare non seppe cosa aspettarsi. A prima vista non individuarono alcuna traccia di vita; i loro passi risuonarono su un pavimento spoglio, ad eccezione di un esiguo numero di macchinari medici stipati in un angolo e ormai in disuso. Beatriz indugiò a proseguire, alzò la stoffa del vestito, sotto le suole si delineavano chiazze scure sfumate da riflessi scarlatti. Dalle pareti proveniva un odore acre di umidità e violenza. Quel luogo avrebbe dovuto ispirare vita, rinascita, invece appariva come l'angolo adibito alle esecuzioni degli indegni. 
Le porte si richiusero dietro di loro con un boato che li fece sussultare.
«Sembra ti abbiano creduto»
Scrutò premurosa il taglio che sanguinava sopra il lobo del compagno. Avrebbe voluto medicarlo, ma non aveva modo di farlo.
«Ora sei tu ad avere bisogno di assistenza»
Christian negò distratto, alcuni rumori oltre la parete attirarono la sua attenzione, insieme a loro era presente altro di animato. Era scettico circa le buone intenzioni di quegli aguzzini, un agguato poteva celarsi ad ogni angolo e lui era disarmato per sua scelta convinta, ma non indugiò a scoprire di cosa si trattasse. Ciò che gli era parso di percepire equivaleva a terrore e non si era affatto sbagliato: scorse sguardi di civili emaciati in attesa di una libertà effimera anche all'aria aperta. Una finestra nella mente rese limpida e pericolosa la decisione, ma i rischi valevano il tentativo. Ridare dignità a persone private della volontà avrebbe ripagato la temerarietà. Un uomo, in apparente buona salute, fu il primo ad accorgersi di loro; li scrutò per un breve lasso di tempo, quanto bastò per scorgere le fattezze di Christian, le quali, con un occhio attento, erano ben lontane dalla popolazione afghana. Era impegnato in azioni che ricordavano una visita medica, non indossava il camice, l'aspetto era trasandato e il portamento sfinito, ma muoveva con abilità e attenzione lo stetoscopio sul corpicino di un neonato tra le braccia della madre accomodata contro la parete. Il piccolo non si lamentava, come se sapesse che il pianto avrebbe potuto porre fine alla sua fragile vita in quel luogo. Consapevole delle povere condizioni di assistenza in cui lavorava, il medico invece sentì il bisogno di sfogarsi. I nati da poche ore non potevano ricevere le cure adeguate, lui poteva solo donare la vita, ma non era sufficiente se non veniva preservata. I due soldati riconobbero in lui un connazionale, Beatriz non ebbe il timore di uscire allo scoperto, lo aiutò ad identificarli liberandosi grata del burqa e mostrando la sua divisa militare. Erano sorti i presupposti per un dialogo tra loro che non fosse basato sull'odio.
«Siete americani?»
«Siamo ufficiali di Marina»
Un moto di sollievo percorse il medico. Erano volti sconosciuti, ma amici per natura. Nella delicata arena in cui si trovavano, il nemico era fuori dalla loro cerchia, erano estranei ed alleati, nulla che fosse strano in guerra. L'uomo era disilluso, non ripose complete speranze nei nuovi arrivati, la sua propensione al prossimo fu più forte; scorse il sangue grondare dalla ferita del marine, l'istinto gli suggerì di riporre gli strumenti del mestiere e di avvicinarsi di qualche passo ai soldati. 
«Sono il dottor Smith e lei è ferito»
Christian si ostinò a negare con il capo spostando l'attenzione da sé e dalla gravità della lesione che gli avevano procurato. Non era lui a patire e a soffrire, non era lui ad essere privato di cure accettabili da mesi. Dalla prospettiva del seal, le condizioni di quelle persone erano inumane e l'espressione rassegnata del medico rivelava più di quanto avrebbe potuto esprimere a parole.
Il dottore accarezzò il polso del neonato e forzò un sorriso verso la madre che lo stringeva al petto come se fosse il bene più prezioso, se non l'unica vita a cui aggrapparsi fuori dall'ospedale. Non poteva intervenire in altro modo, solo limitarsi a monitorare i parametri vitali dei suoi pazienti; i bambini rischiavano molto in quelle condizioni di incertezza, senza garanzia di nutrimento e di pace, restava solo l'affetto di una madre sfinita ed essa stessa priva dei mezzi per sopravvivere. Le puerpere non avevano alcun sollievo, la loro fragilità non veniva tutelata se non dai medici occidentali rimasti al loro servizio. L'uomo raggomitolò il piccolo in una copertina calda e iniziò a seguire con interesse lo sguardo del tenente mentre scrutava i dettagli del luogo, soffermando la propria attenzione su finestre e pareti.
«Se riuscite ad evadere, portate fuori prima i bambini e le donne. Ci sono neonati e giovani gravide che non riusciamo più a curare qui dentro»
Christian annuì pensieroso, mostrando un'indifferenza che non provava. Scrutò le più impercettibili movenze del piccolo di cui il dottor Smith si stava occupando con dedizione; era ignaro della guerra sanguinaria che si stava combattendo oltre le imposte, era all'oscuro del futuro privo di certezze che lo attendeva. Il bambino si limitava a stringere la stoffa sul petto della madre, l'unica fonte di sollievo che cancellava ogni timore.
 
La primavera aveva appena concesso il tramonto sulle spiagge della California. Il clima era già rovente, benché l'estate non avesse ancora fatto capolino. Con quel caldo la tenuta dell'ufficiale Richardson non era più così formale di ritorno dalla base nel Coronado. Da quando la moglie era in maternità, il rientro dal lavoro risultava più emozionante. Erano trascorsi solo pochi giorni dalla nascita della piccola Alisia, aleggiava sulla sua famiglia ancora un moto di entusiasmo e incredulità. 
Non annunciò il suo arrivo dall'ingresso di casa, si premurò di essere discreto; era un padre inesperto, ma aveva compreso subito l'irregolarità dei ritmi sonno e veglia, per moglie e figlia. Trovò la sua famiglia accomodata sul letto matrimoniale e inondata dalle sfumature rossicce del crepuscolo. Le persiane erano socchiuse, la nudità della compagna era semi oscurata nel gesto dell'allattamento. Dalla soglia della camera Christian scrutò la neonata quasi addormentata; la manina minacciava di scivolare dal seno turgido della madre. Katherine curava ogni singolo dettaglio della bambina, aveva posto la totale attenzione su di lei fino all'arrivo del marito. La neomamma dedicò appena un lieve sorriso all'ultimo arrivato. I coniugi si porsero un saluto silenzioso attraverso lo sguardo. Per Christian fu quello il momento di avvicinarsi a loro, scrutare i capelli appena accennati della piccola scommettendo su quale sarebbe stata la sfumatura definitiva, se più scura come la sua o un po' più tenue come quella della compagna. 
«Se la prendi, mi rivesto»
Katherine invitò il marito a chinarsi per accogliere la piccola tra le braccia, ma i riflessi dell'uomo non furono tempestivi, la figlia lo aveva catturato, perciò impiegò qualche istante a realizzare l'invito della moglie. Alisia attaccò subito la manina alla divisa di Christian; era sazia e assonnata, ma serena e protetta.
«Alisia ti vuole bene»
«Mia figlia ha solo quindici giorni, le voglio più bene io»
Le accarezzò la manina che giaceva inconsapevole sul petto del padre. Katherine si avvicinò alla sua famiglia più in ordine e pudica.
«Sì, Chris, ma guarda, quando un bambino sente di essere amato è tranquillo»
 
Christian ripensò alla frase della consorte e poi scrutò il neonato afghano tra le braccia della giovane madre. Era tranquillo davvero, ignaro di tutto grazie all'affetto dei propri cari. Si chiese se anche Alisia lo fosse tra le braccia di Katherine in sua assenza, aveva paura a scoprire la risposta. 
Pensò Beatriz a dissipare ogni dubbio sull'atteggiamento di Christian e a distoglierlo dalla sofferenza che stava facendo patire alla moglie e alla figlia con le sue numerose e recenti mancanze.
«Deve sapere, dottore, che il tenente Richardson sta elaborando proprio ora il piano di evacuazione»
Le sfuggì una punta di rimprovero e ammirazione per la tenacia con cui il collega pensava di riempire i nervi scoperti di una strategia improvvisata. L'espressione del seal era addolcita dai ricordi, ma concentrata sulla delicata missione di cui stava per prendere le redini.
«Dottor Smith, conosce la planimetria di tutti gli ingressi?»
«Le mostro quelli più vicini a quest'ala dell'ospedale»
Il medico si congedò dai suoi pazienti e offrì massima disponibilità al capitano. Prima di seguirlo, Christian indugiò sullo sguardo contrariato della compagna al suo fianco.
«Beatriz, conta quanti neonati sono presenti in questa stanza»
«Da quando sono io a prendere ordini da te?»
«Per favore»
Gli accennò un sorriso irritato, nonostante il seal non mostrasse alcun segno di arroganza. 
 
 
Periferia Ovest di Kabul, 23 settembre 2018
 
Gli elicotteri sfrecciavano incuranti nel cielo di Kabul. Per Maryam udire lo sferzare delle eliche era doloroso. Era nata quando la guerra dilagava ormai da un paio d'anni nelle sue terre, non conosceva altri scenari, eppure li desiderava. Nulla avrebbe potuto restituirle l'affetto della madre, strappata alla vita con quella stessa inspiegabile violenza. 
Karim le aveva fatto cenno di una missione militare a cui lui stava contribuendo; avrebbe potuto sperare in una missione di pace se il medico in persona era coinvolto, ma i soldati americani non avevano la fiducia della ragazza dopo il patimento che aveva subìto dalle forze armate. Sfiorò il ventre più per istinto che per amore materno, lo avrebbe strappato se fosse stato in suo potere. Si limitò a stringere la stoffa e a scrutare il mullà mentre era impegnato nel suo lavoro. Era certa l'avesse notata, ma non abbassava la concentrazione. Era un vasaio minuzioso, lavorava l'argilla con abilità. Da quando la moglie era rimasta vittima dell'attentato, non scorgeva più delicatezza nei gesti dell'uomo, era diventato grossolano, attento, ma severo. Era cambiato anche nei confronti dei figli, Maryam pativa il lutto del padre raddoppiando quello di una figlia rimasta orfana di madre per mano della crudeltà umana.
 
«Mamma. Ho paura»
Una giovane donna in lunghi abiti di cotone la avvolgeva, proteggendo la bambina dal freddo e da cupi rumori lontani. Dietro il niqāb chiaro la piccola percepiva baci sui capelli fulvi. Maryam manifestava lievi tremori contro il petto della donna; di lei scorgeva solo gli occhi, l'espressione le era preclusa, ma poteva immaginarla attraverso le pieghe della pelle ambrata.
La bambina stringeva nel palmo una mezzaluna e una stella accostate in un’unica figura[1], dono della madre, un'eredità di famiglia, un cimelio a cui lei era stata destinata in tenerissima età. 
Gli occhi rassicuranti della donna si posarono su un'ombra bianca che si chinò verso di loro. Maryam percepì una carezza sulle dita, proprio su quelle che custodivano tra loro il simbolo. La donna fece appena in tempo a dischiudere le labbra per pronunciare qualche parola, il buon medico la anticipò sussurrando affettuoso. 
«Mi occupo io di lei»
Fu una promessa sincera, nata dal petto di un uomo che aveva affondato le mani nella sofferenza.
 
Il ciondolo che Maryam non aveva smesso di indossare era un simbolo coranico, manifestazione di ciò che sentiva di aver tradito. Avrebbe voluto domandare perdono alla madre, ovunque si trovasse immaginò la delusione nei confronti della figlia. Maryam e Farah condividevano il medesimo destino, ma il suo era stato più crudele rispetto a quello della donna che l'aveva generata. 
Non era sicura che suo padre amasse sua madre, ma la rispettava, si rispettavano come se avessero scelto il loro futuro, anche se così non era stato. Non avevano scelto il compagno, era stato loro imposto subendo la decisione delle rispettive famiglie. 
Vederlo così perduto senza la moglie commosse Maryam, esisteva qualcosa di prezioso nel loro rapporto che era morto insieme a lei e che lui non riusciva a superare. Lei era profondamente devota alla Legge che lui predicava con fermezza. Quando era giunta la notizia, il mullà aveva trascorso giorni in Moschea. La figlia non ricordava le sue lacrime, ma non riusciva nemmeno più a riconoscerlo; rappresentava la guida spirituale di un villaggio, ma in quei mesi non riusciva neppure a condurre se stesso. Era destabilizzato, il fulcro intorno a cui ruotava era venuto a mancare. 
Il matrimonio che aveva destinato alla figlia era un futuro a cui sarebbero andati incontro anche in presenza di quella donna. Non era giunta fino alla bottega per giustificarsi, per criticare le scelte dei genitori, anzi la madre non sarebbe stata fiera di lei in quelle condizioni. Grazie al buon esempio dei suoi genitori era fiduciosa sul rapporto che avrebbe intrattenuto con il futuro consorte, non l'aveva mai spaventata sposare un uomo di cui non era innamorata e che conosceva solo per il tempo di un saluto. Maryam aspirava al rispetto, così le avevano insegnato, presupposto destinato a cadere dopo la violenza che aveva subìto. Aamir non era malvagio, ma sarebbe stato inconcepibile accettare una donna incinta di un altro uomo.
«Papà»
Il palmo della ragazza giaceva ancora sul ventre a pugno, stavolta fu l'unica fonte da cui trarre il coraggio di deludere suo padre. Avrebbe preferito la sorte della madre, pur di evitare il dolore che stava per infliggergli. Il mullà la scrutò con pacatezza terminando di modellare il bordo del vaso. Riponeva grande precisione nella sua professione, un modo per allontanare dalla mente il peso dei pensieri e delle preoccupazioni causate anche da avvenimenti recenti. 
«È vivo quell'americano?»
Maryam colse disprezzo nella sua voce, lui di certo avrebbe preferito non lo fosse. Suo padre era rigido, ma non insensibile nei riguardi della vita altrui; stava nascondendo un grande spavento, aveva rischiato di perdere anche la figlia e non era ancora a conoscenza del fatto che in passato il rischio era stato altrettanto presente. Maryam in qualche modo sentiva che una parte di lei si era frantumata e il mullà non avrebbe mai più potuto ritrovarla. La ragazza stava per farglielo notare con dolore, con il rischio che non avrebbe capito, che l'avrebbe disconosciuta e abbandonata ad un destino atroce.
«Sopravviverà grazie al dottore»
La giovane si premurò di non mostrare confidenza nei riguardi di Karim, era determinata a non coinvolgerlo. Il mullà non colse le iridi lucide della figlia, la notizia lo lasciò insoddisfatto. Controllava che l'argilla fosse cotta a pochi passi dal forno, stava incanalando la concentrazione altrove per non aprire il discorso su coloro che definiva invasori, gente irrispettosa, portatori di disordine. Maryam non voleva provocarlo, conosceva la sua opinione a riguardo e l'aveva sempre rispettata, anche se dopo aver conosciuto Samuel era sempre più arduo condividerla. Gli americani, a parere dell'uomo, erano una fonte di disgrazie, la moglie era morta davanti all'ambasciata statunitense, non era un caso a parere suo. Non sapeva ciò che un americano aveva inferto a sua figlia, forse l'avrebbe addirittura protetta, ma era una remota possibilità.
«Samuel non ha...»
Colpe, avrebbe desiderato dire, ma non lo fece. Si interruppe certa che ogni parola potesse risultare inutile, il flebile tono di voce non sarebbe stato convincente, non era nelle condizioni psichiche migliori per trovare le argomentazioni più efficaci. Tolse la mano dal ventre con un gesto lento che contrastava con il nervosismo, una parte di sé era rassegnata. Il mullà la scrutava in modo sostenuto, la sua era finta indifferenza; conosceva a memoria ogni posizione della figlia e l'ultima che aveva assunto non era abituale.
«Papà. Devo dirti che...»
Un rumore alle spalle della ragazza attirò l'attenzione di entrambi e scosse i nervi già tesi. Karim si era scontrato con un paio di vasi facendoli ondeggiare pericolosamente. Il mullà non si preoccupò del rischio corso sui suoi lavori, la presenza di Karim lo impensierì. Il medico del villaggio era ancora imbrattato del sangue dell'amico giornalista, in quelle condizioni si rivolse al padre della giovane.
«Avevamo deciso di comunicartelo insieme, ma Maryam era talmente impaziente da distogliermi dai doveri»
Quella che rivolse alla ragazza sembrò un'occhiata complice, invece fu un duro rimprovero, tanto che lei ebbe l'istinto di muovere un passo indietro, non aveva mai subìto tanta severità da parte sua. La intimorì, le discussioni avute a tal proposito le tornarono in mente ed era convinta di doversi ormai rassegnare alla volontà dell'uomo - di un altro uomo che avrebbe deciso al suo posto del futuro che le sarebbe spettato, contro il suo personale ma non legittimo volere. 
«So che lei è promessa...»
«Maryam, lasciaci soli»
Il mullà accantonò il lavoro che stava svolgendo e incatenò lo sguardo a quello di Karim. La conversazione stava assumendo toni ufficiali, l'uomo sembrava accomodante, ma fermo nella sua posizione di guida. Persino il medico si ritrovò ad avvertire un moto di soggezione, la reazione dell'interlocutore fu inaspettata, anche se prevedibile; tentò di chiarire i presupposti di quel confronto improvvisato.
«Non volevo...»
«Non discuto del suo futuro davanti a lei»
La ragazza in questione non avrebbe pianto, avrebbe resistito, gli ormoni di una gravidanza indesiderata non avrebbero vinto su di lei. Prima dell'arrivo di Samuel forse sarebbe addirittura stata d'accordo con il padre, avrebbe accettato la sua dovuta esclusione da simili accordi, ma ora non poteva permettersi che le venisse tolta la possibilità di esprimere il suo parere, di ribellarsi innanzitutto alla volontà di Karim. Era infuriata con il tempismo del dottore, le aveva in qualche modo tolto l'opportunità di essere libera, pur proteggendo la sua vita. Non riusciva a provare piena gratitudine verso il medico di Herat. Karim si mostrò dispiaciuto per la scelta del padre, in ogni caso avrebbe desiderato averla accanto, comunicare insieme la decisione presa, seppur a senso unico, ma pur sempre da un adulto che aveva qualche anno in più di esperienza.  Karim le comunicò con un fugace sguardo quanto fosse mortificato. Maryam lo colse e si allontanò da loro affranta. Il dottore era ancora intento a scrutare il passo lento della ragazza che si stava allontanando, quando il mullà affondò nel cuore della questione.
«Perché vuoi sposarla?»
«Sulayman, non ho qualcosa da offrirti in cambio di Maryam, solo il bene che le voglio»
Aveva rivelato molto più di ciò che avrebbe voluto. Aveva ammesso di intrattenere con lei un rapporto lontano dal controllo del padre, al mullà non era dato sapere di quale natura, ma percepiva un legame stretto tra i due. Fissò severo il medico, temeva di chiedere se fosse lui la causa della gravidanza che aveva stravolto i piani futuri della figlia.
«Mi ha mentito»
«Lo abbiamo deciso insieme. Le ho consigliato di mantenere il riserbo, a lei avrei pensato io»
Il mullà non chiese il nome del padre del nascituro. Fu preso alla sprovvista dal comportamento del dottore, sapeva fosse un uomo altruista e responsabile, ma non riuscì a comprendere quanto fosse realmente coinvolto nelle condizioni di Maryam; fu Karim stesso a non rivelarlo e il padre della giovane preferì non chiedere, nella certezza di poter strappare al medico una nuova promessa. 
 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
Quando Karim raggiunse la ragazza, la trovò in un potente stato di agitazione. Piangeva per la rabbia accanto al pozzo d'acqua che sarebbe costato la sua libertà legandosi ad Aamir. L'impotenza era il male peggiore a cui era costretta a sottostare. Non aveva mai alcuna voce in capitolo, nemmeno davanti a Karim che diceva di volerla rendere libera. Non faceva più così tanta paura pensare alla libertà, ma per lei continuava a non esserci; Karim sosteneva fosse il territorio ad impedirle una vita diversa, ma era casa sua e casa era in ogni luogo si trovassero il padre, il fratello e il ricordo vivo della madre. Non avrebbe mai pensato di lasciare l'Afghanistan. 
Karim comprese solo in parte la reazione della giovane, ma ebbe l'istinto di allontanarsi con dispiacere. Desiderava condividere con lei la gioia di saperla finalmente al sicuro sotto la sua protezione. Era consapevole della vita che le stava offrendo, ma Maryam avrebbe dovuto immaginare che al suo fianco non avrebbe mai più subìto alcun tipo di umiliazione. L'intenzione di lasciarla ai suoi pensieri c'era, ma sentì il dovere di rassicurarla sul futuro che l'avrebbe attesa. Provò ad avvicinarsi per consolarla sfidando qualsiasi legge sacra vigente fino alla celebrazione del matrimonio. La giovane non gli fu grata, lo spinse via contrariata tirandogli un pugno sul petto. Il medico indietreggiò per rispetto, più che per offesa o per dolore inferto.
«Maryam. È stato molto comprensivo. Credo abbia capito il tuo stato»
«Cos'hai ottenuto? Contrattare alle mie spalle??»
Lo sguardo di Karim sfiorò il ventre della ragazza e lei lo ricambiò con ardore. Il dottore notò una luce nuova negli occhi della ragazza, ne era fiero. Avrebbe voluto sorridere, ma trattenne qualunque considerazione che avrebbe potuto infervorare la sua ira. Comunicò con lei attraverso pacati sussurri per provare a calmarla.
«Tra pochi giorni dobbiamo incontrare l'imam per prepararci al matrimonio. Tuo padre esige solo una condizione: il rispetto della Legge»
«Di quale Legge stai parlando?? Io ho infranto la Sharia. Aamir non accetterà mai lo scioglimento delle trattative tra le nostre famiglie»
«Tuo padre mi ha assicurato che parlerà con Aamir quanto prima»
«Lui non può sciogliere un contratto di matrimonio senza conseguenze»
Maryam posò i palmi sul bordo del pozzo che non le sarebbe mai appartenuto per diritto nuziale. Sospirò sconsolata, si sentiva preda di tutti, meno che artefice di se stessa.
«Tu sei folle»
«O affezionato. Ho detto a tuo padre che tengo a te e non ho mentito»
«Sei completamente pazzo, dottore. Se Aamir scopre che sono incinta, uccide entrambi»
«Correrò il rischio»
«Perché? Sono solo una donna»
Stavolta Karim non si sottrasse dal rivolgerle un sorriso paterno. Si avvicinò a lei quanto bastò, anche con il rischio di essere respinto ancora una volta. Recuperò una mano della giovane tra i suoi palmi in profondo segno di rispetto e catturò i suoi occhi celesti.
«Grazie a tua madre. Era una donna brillante. Meritava di meglio. Non ho potuto aiutarla, ma con te sarà diverso. È sempre stato diverso, da quando eri solo una bambina. L'ho promesso a Farah, le ho detto che mi sarei occupato io di te. Così è stato e così sarà, finché mi sarà concesso di farlo. Non impedirmelo, ti prego»
L'aveva istruita da quando era solo una bambina con il beneplacito della madre. Maryam non era al corrente dell'implicito patto tra la donna e il medico. C'era sempre stata una promessa tra loro, di cui chiunque era all'oscuro. Fu una rivelazione talmente grande e commovente per la giovane da lasciarla senza fiato, persino il gentile tocco di Karim su di sé risultò impercettibile. La madre le voleva offrire un futuro diverso dal suo ed ora Maryam non aveva nemmeno più il timore di credere che fosse più dignitoso. Il medico le era stato accanto per un motivo, il camice bianco dei suoi ricordi di bambina, l'angelo custode che aveva vegliato sulla sua famiglia era sempre stato lui. Non l'aveva mai abbandonata e il calore paterno che le aveva offerto nel corso degli anni le era rimasto impresso nella carne. Il pensiero dell'uomo era stato presente anche negli istanti più bui della sua breve vita.
Il rumore delle eliche costrinse Karim all'urgenza. Non avrebbe voluto lasciarla con quella notizia, avrebbe voluto raccontare del profondo rapporto fraterno che lo legava a Farah, ma non c'era tempo né per il ricordo né per la malinconia, solo per recuperare tutto ciò che era ancora possibile salvare: persone e affetti in un mondo di odio e di violenza. 
«Devo andare»
Portò la mano della ragazza al petto in segno di deferenza e amorevolezza. Mentre lo vide allontanarsi, Maryam pensò al ciondolo che conservava sotto il niqāb; sarebbe potuto diventare il suo mahr, un perfetto simbolo della loro unione, una benedizione da parte della donna che aveva intrecciato le loro vite; era molto più della rappresentazione di una tradizione e di una religione, esso era la prova di un legame indissolubile contro cui lei non avrebbe mai vinto, nemmeno per salvaguardare l'incolumità di lui.
«Karim»
Il tono con cui lo chiamò fu dolce, in lei non vi era più ombra della furia che aveva travolto l'uomo poco prima. Il medico si voltò senza esitazione.
«Samuel sta meglio»
«Avviso il tenente Richardson. È una bellissima notizia»
 
Buonasera a tutti, cari lettori e care lettrici!
Non sono sparita, ma sono stata travolta da tutto, compresa la difficoltà a scrivere.
Spero sempre che la trama fluisca, i tasselli da incastrare sono tanti e ci tengo che il quadro complessivo sia chiaro. 
Mi auguro anche che la reazione dei personaggi sia verosimile, la cultura e gli eventi che narro sono lontanissimi da me e ho sempre il timore di commettere errori. 
Ho lasciato tutte le frasi in italiano, ho evitato l'arabo per rendere più fluida la lettura, specie negli scambi tra afghani e americani, benché entrambi parlino arabo in quella occasione.
Mi scuso per l'attesa e vi ringrazio tanto per la pazienza. ♡
Un abbraccio grande,
Vale
 

[1] Simbolo della religione musulmana.
 

 
   
 
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