Piccole note prima della lettura: ehi! Grazie per aver aperto questa storia, spero vi piacci come a me è piaciuto scriverla. Ci vediamo a fondo pagina, buona lettura!
Training
Wheels
Mesi
prima, fu la stessa Caitlyn a portare Vi per la prima volta in quel
complesso
di appartamenti poco fuori dal centro di Piltover (e convenientemente
vicino
alla stazione di polizia). Una delle fortune di essere
l’erede di una delle
famiglie più facoltose della città era quella di
avere una rete di contatti
molto ampia e, secondo sua madre, asservita al
punto giusto: un paio di
chiacchere con qualcuno che doveva qualche favore a Cassandra Kiramman et
voilà.
Ovviamente
non ne aveva parlato direttamente con Vi. Da quel giorno, quel
maledetto
giorno, in cui si era ritrovata ad assistere alla morte metaforica
della sua
amata sorellina e alla nascita di Jinx, la zaunita si era decisamente spenta.
Non aveva un posto dove andare, nessuno da cui tornare per avere
rifugio o
semplicemente un posto dove dormire. Girare per Zaun era fuori
discussione
perché era ben conosciuta da tutti (l’erede di
Vander, così la chiamavano) ed
era praticamente un mirino su gambe, d’altra parte stare a
Piltover e convivere
con gli sguardi e nasi arricciati come se Vi fosse il più
puzzolente ratto del
sump non era di certo semplice. Un maledetto limbo in cui ogni passo
sembrava
un balzo nel vuoto, non lo scenario migliore dove ricominciare,
costruirsi una
vita praticamente da zero.
Anche
Caitlyn non se la passava granché. Dire che
l’assenza di Marcus avesse portato
scompiglio in tutta la catena di comando era un eufemismo; il lavoro si
era
quadruplicato, sia d’ufficio che di pattuglia. Inoltre, come
se non bastasse,
stavano venendo a galla tutte le scartoffie false, firme contraffatte e
la
generale corruzione che dilagava tra i ranghi più alti.
In
una realtà alternativa, Caitlyn sarebbe stata felice di
tutto questo. Adorava
il suo lavoro, adorava dare alla giustizia chi se lo meritava, ma
ciò che
provava era soltanto una profonda amarezza; derivata dalla certezza
cieca che
aveva riposto in quel sistema e di come quest’ultimo in
realtà fosse soltanto
il motore di tutti i problemi, e lei l’ennesimo ingranaggio,
fortunatamente
ignaro.
“Jayce
vuole darti l’incarico di sceriffo” le diede la
notizia così a bruciapelo che a
Caitlyn per poco non andò il tè di traverso.
Anche
se Vi non le aveva mai chiesto di farlo. Ma all’agente
non sfuggiva mai
alcun dettaglio: gli ennesimi lividi sulle braccia, le nocche spaccate
e le
bende fresche di sangue, le occhiaie scavate. Era abituata a soffrire,
a
sacrificarsi, a voler proteggere gli altri e a scordare sé
stessa per la
strada.
Non
sbagliava. Sì, era un piccolo spazio, ma dotato di tutti i
comfort necessari:
una cucina comunicante ad un salottino, un bagno, una camera da letto.
Il tutto
ammobiliato abbastanza dal renderla vivibile subito ma non abbastanza
da poter
dire che ci vivesse già qualcuno.
Gli
occhi di Vi si fecero inquisitivi. Si guardò attentamente
intorno, sfiorò ed
ispezionò con le dita più o meno ogni superficie
e cassetto disponibile della
casa, come ad accertarsi che fosse tutto vero, tutto sotto gli occhi
attenti di
Caitlyn, rimasta ferma sull’uscio, che accennò un
sorriso alla vista della
curiosità dell’altra.
“Ti
piace?”
“Molto”
stava aprendo i vari pensili della cucina, “molto elegante
come hotel. Non c’è
niente da mangiare però”, ed erano tristemente
tutti vuoti.
Caitlyn
ridacchiò all'idea che l’altra pensasse che questo
fosse un hotel; si chiuse
la porta alle spalle ed entrò nell’appartamento,
anche lei osservando con
meraviglia gli interni. C’era la carta da parati con dei
decori satinati, il
parquet e un piccolo caminetto davanti al divano. Era persino meglio di
come se
l’era immaginato.
“Sono
contenta che ti piaccia” sorrise di nuovo, “ci ho
messo un po’ a trovarla”.
“Davvero?”
Vi smise di rovistare nella dispensa tristemente vuota,
“l’avrai pagata un
sacco di soldi. Non che mi dispiaccia eh, ma per stare un po’
sole non serve
mica pagare” si sedette sul tavolo ma rivolta verso Caitlyn,
“a me basta un
letto, anche singolo. O uno sgabuzzino. Quello che ti piace di
più” le fece un
occhiolino.
Una
provocazione. Provocava perché sapeva che l’altra
diventata paonazza come
un’adolescente e la visione di lei imbarazzata non avrebbe
mai smesso di
divertire Vi, per nessuna ragione al mondo.
“Non
è un hotel, comunque” fece qualche passo verso il
tavolo, “è una casa”.
“Di
chi?” inarcò un sopracciglio confusa, non
spostando lo sguardo da davanti sé,
alla ricerca di una spiegazione nell’espressione
dell’altra. Caitlyn prese
delicatamente la mano di Vi, aprì leggermente le sue dita e
sul palmo poggiò la
chiave d’ottone, “tua, ora”.
Rimase
atterrita, in un attimo mille sentimenti contrastanti le attraversarono
gli
occhi e il viso. Per un po’ fissò
l’oggetto, incredula, cercando di mettere due
parole di fila e dire qualcosa ma senza riuscirci.
Alzò
lo sguardo e l’unica cosa che riuscì a dire fu
soltanto “perché”.
Il
tono con cui lo disse spezzò il cuore di Caitlyn. In quel
perché erano nascoste
mille sfumature: un iroso mi stai prendendo per il culo, un orgoglioso cosa
potrei mai farci in un posto del genere e infine, quello
più rumoroso di
tutti, io
non merito tutto questo.
“Penso
che” prese un respiro, “è arrivato il
momento di mettere qualche radice, hm? Lo
so, lo so, non dovrei prendere decisioni per te, sei perfettamente
capace di
farlo, ma …” afferrò la mano di Vi, la
stessa con la chiave, per stringerla
forte con la sua, “… per favore, accetta. Non
posso aiutarti a cancellare il
passato, ma posso aiutarti a costruire un futuro migl- “.
“Per
la grazia di Janna fai silenzio” gli si
gettò al collo in un abbraccio
quasi rabbioso e la strinse forte, affondando il naso nel collo
dell’altra.
Caitlyn rimase stordita per un attimo da quel contatto improvviso, ma
si
ridestò subito e ricambiò l’abbraccio
con la stessa forza. Non voleva dire
parole superflue e non voleva premere per una riposta, così
aspetto
pazientemente la sua decisione. Nell’attesa, le
passò la mano tra i capelli per
rassicurarla.
“Voi
piltoviani siete tutti uguali” ruppe il silenzio dopo un
po’, “sempre ‘sti gran
discorsi sul futuro, eh? Non potete farne a meno”, ma il
sarcasmo non riuscì a
nascondere il tremolio della sua voce.
Caitlyn
ridacchiò appena, “c’è chi
è più bravo di altri, ma sì.”
Si
separarono abbastanza da potersi guardare in faccia, ma senza schiudere
l’abbraccio, “voglio che tu sappia che non sei
costretta ad accettare” le carezzò
la guancia con il pollice, “solo che mi sentirei
più sicura a saperti qui che
in mezzo alla strada ad attaccare briga come al tuo solito”.
Vi
accennò un mezzo sorriso, “lo sai che vivere qui
non mi fermerà dall’attaccare
briga con qualche stronzo, vero?”
“L’avevo
tenuto in conto” ritornarono ad abbracciarsi, stavolta
Caitlyn poggiò la sua
guancia sulla spalla di Vi, “ma almeno saprei dove trovarti
per venirti a
tirare le orecchie, no?”.
“Hai
ragione” ammise, “va bene, cupcake, ma ad una
condizione: tu vieni a vivere
qui. Con me”.
Un bacio!