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Autore: JohnHWatsonxx    07/12/2021    1 recensioni
Raccolta di one-shots Johnlock in cui ogni capitolo è ispirato da una canzone dell'album 'Plus' di Ed Sheeran
1. The A Team -Post!Reichenbach
2. Drunk -Uni!lock
3. U.N.I. -Uni!lock
4. Grade 8 -post quarta stagione, What If?
5. Wake Me Up -Soulmate!AU
6. Small Bump -What If 3x3 pre-slash (Tw: aborto)
7. This -post quarta stagione
8. The City -Post!Reichenbach
9. Lego House -kid!lock AU
10. You Need Me, I don't Need You -Retirement!lock
11. Kiss Me -post quarta stagione
12. Give Me Love -Post!Reichenbach
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kiss me


Certe notti, quando la mente lo abbandonava, ascoltava il suo cuore battere e non pensava a niente. Dall’alto della sua stanza vedeva la luna, che lo sbirciava attraverso le tende trasparenti, e si chiedeva se mai si stancasse di fare sempre lo stesso giro e non cambiare mai. Ci aveva provato, lui, a girare sempre allo stesso modo, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ma aveva perso l’equilibrio ed era caduto, e non sapeva se fosse riuscito ad alzarsi.

Aveva tentato di essere un uomo comune ma, semplicemente, non lo era, e forse non lo sarebbe mai stato. Pensò a sua figlia, che dormiva in un lettino accanto al suo, in una stanza troppo piccola per due persone, e si sentì in colpa per non essere il padre che tutti vorrebbero, ma di essere questa persona, con pregi e troppi difetti, con rimorsi e sensi di colpa che la notte, quando non riusciva a dormire, gli mangiavano lo stomaco e il cervello e lo rendevano quel pezzo di carne senza pensieri che fissava la luna e cercava di non piangere per non svegliare la figlia. Era tutto così ingiusto: perché le persone a lui legate si erano ritrovate con qualcuno come lui? Perché non poteva semplicemente sparire senza far soffrire nessuno? Il mondo sarebbe stato meglio senza di lui.

Si girò dall’altra parte, dando le spalle alla luna. Rosie dormiva tranquillamente. I capelli biondi risplendevano alla luce della notte, incorniciandole il viso come fosse una figura angelica. Rabbrividì, nel vedere i suoi tratti su quel dolce viso. Aveva contagiato anche lei, con la sua crudeltà, aveva distrutto anche la sua vita, oltre che quella di sua madre. Si rannicchiò ancora di più sotto le sue coperte, senza distogliere lo sguardo da sua figlia. Come aveva potuto essere un padre così terribile, e un amico violento, un marito traditore, e un fratello disinteressato? E perché nessuno lo aveva incolpato? Era macchiato dei suoi peccati ma sembrava essere l’unico a vederli.

Cercando di non far rumore, si alzò. La sua testa era pesante e sentiva il bisogno di bere una buona tazza di tè, il prima possibile. La sua psicologa gli aveva consigliato di fare le sue attività preferite quando provava emozioni o cose negative, e alle tre di notte l’unica cosa che poteva fare era il tè. Scese piano le scale, saltando quel maledetto gradino che la ditta aveva montato male, dopo l’esplosione, e arrivò in salotto, senza sorprendersi nel vedere Sherlock sul divano, nella sua posizione da palazzo mentale. Lo ignorò, ed entrò in cucina.

Fare il tè era una di quelle cose che aveva sempre associato alla tranquillità, alla normalità, a tutto ciò che non era riuscito a raggiungere nella sua vita. Prese la teiera, perché odiava il bollitore elettrico anche se sapeva che quello non avrebbe fatto rumore, e accese il fuoco; si mise in punta di piedi per prendere il suo infuso preferito e due tazze, poi si poggiò al bancone e attese il fischio tipico. Versò il latte nella sua tazza e dello zucchero nell’altra, poi versò anche l’acqua bollente e vi immerse le due bustine. Cinque minuti dopo era in salotto, sulla sua poltrona, a respirare il vapore del suo tè caldo, mentre fuori stava cominciando a piovere. Sherlock aprì gli occhi in quel momento e lo raggiunse sull’altra poltrona, prendendo il suo tè dal tavolino.

“A cosa stavi pensando?” chiese John.

“Il caso del barbiere. Cercavo di catalogare i diversi tipi di tagli che un rasoio può causare sul collo attraverso quelli che abbiamo visto nella scorsa settimana”

“Mh… quanti ne hai trovati?”

“ventisei”

La conversazione morì lì. Come c’erano notti in cui John non riusciva a pensare, c’erano notti in cui Sherlock non riusciva a smettere di farlo, ed era costretto a rimettere in ordine le stanze suo palazzo fino a notte fonda. E capitava, come in quel momento, che le due cose coincidessero. Accadeva sempre più spesso, da quando Rosie aveva iniziato le elementari. Finirono il loro tè in silenzio, ascoltando il rumore della pioggia farsi sempre più insistente.

“E se io me ne andassi?” chiese John ad un certo punto, mentre rimetteva le due tazze sul tavolino. La domanda gli scivolò fuori come se non fosse un problema, quando invece era il fulcro di tutto quello che odiava di sé. “Se io lasciassi te e Rosie qui, e sparissi dalle vostre vite?”

“Ti troverei” ribatté sicuro Sherlock “Ti trovo sempre”

“Si, ma se non volessi essere trovato?”

“Te ne vuoi andare?” il botta e risposta si fece stretto e intenso fino a quella domanda posta da Sherlock, che bloccò il fiume di parole di John.

“Non lo so” esalò piano, tanto che la sua voce venne quasi coperta dal temporale che si stava scatenando fuori dalla finestra.

“Non fare una cosa se non sei sicuro di volerla fare” disse allora Sherlock.

“Non è questo il punto. Io me ne voglio andare, ma ho paura che voi sentiate la mia mancanza, ed è questo che non voglio. Voglio scomparire e voglio che voi vi dimentichiate di me” confessò John, a cui venne un’improvvisa voglia di bere qualcosa di forte.

“Questo è perché pensi di sapere cosa sia meglio per noi, ma non lo sai” Sherlock incrociò le braccia e inclinò la testa, come quando deduceva i piccoli dettagli da un cadavere.

John abbassò lo sguardo sulle sue mani che, nervosamente, si stavano attorcigliando intorno alla maglia del pigiama, lasciandogli scoperto un lembo di pelle che non sfuggì allo sguardo attento di Sherlock.

“Tu non sai cosa è meglio per me come io non so cosa è meglio per te. Sono io che ho scelto di farvi tornare qua, e sei tu che hai scelto di accettarlo. Non ci troviamo qui perché minacciati o costretti, ma perché entrambi lo vogliamo. È questo che ti spaventa?” chiese il moro, mettendosi nella sua tipica posizione, con le mani in preghiera sotto al mento e incrociando le gambe.

“Mi spaventa che lei diventi come me” John non ebbe bisogno di specificare a chi si stesse riferendo.

“Non dire sciocchezze, John. Rosie non sarà mai come te”

“Ma si ritrova me come padre” sospirò “vorrei che non fosse così” aggiunse dopo.

Sherlock lo guardò curioso, chiedendosi da dove provenissero tutte le paranoie del suo amico, che dopo cinque anni non aveva ancora lasciato andare quello che era successo. Certo, anche lui a volte pensava ai suoi due anni di assenza e pensava di essere stato uno stronzo, come era certo che John non lo avrebbe mai perdonato del tutto per la sua finta morte. Ma così come non lo faceva John, neanche Sherlock lo faceva, quelle notti in cui le botte di John sembravano marchiarsi a fuoco sulla sua pelle. Erano cicatrici che a volte venivano riaperte dai ricordi, e sembrava che non volessero smettere di aprirsi, per ricordare a entrambi il male che si sono fatti.

“Non puoi cambiare il passato. Nessuno può” disse quindi Sherlock. “Quello che puoi fare è non rimuginarci su e migliorare il tuo presente e il tuo futuro. Pensaci, John, cosa succederebbe se te ne andassi? I ricordi non si cancellano sparendo dalla faccia della terra. Io ne so qualcosa”

John sospirò. Sapeva che il suo amico aveva ragione, ma in quel momento sembrava difficile credergli. Senza rispondergli si alzò, e fece per andarsene, ma Sherlock lo bloccò per un braccio.
“Promettimi che non te ne andrai” chiese, e il suo tono di voce era completamente cambiato. Quando John si voltò, anche il viso di Sherlock era cambiato.

“Sto andando a dormire” rispose innocentemente.

Il volto di Sherlock si deformò ancor di più: la sua bocca era piegata all’ingiù e i suoi occhi sembravano brillare in mezzo a tutto quel buio. John riusciva a vedere solo lui, in quel momento. Lui, e i lampi fuori dalla finestra.

“John. Per favore” implorò. La stretta intorno al braccio di John si fece più forte, e lui capì.

“Non me ne vado” rispose, senza smettere di guardarlo negli occhi.

In quel momento accaddero due cose: la prima, un fulmine squarciò il cielo, e il tuono che ne seguì fece tremare tutto l’appartamento e, secondo, tutto questo rumore fece scattare una molla nel cervello di John che, senza pensare, come stava facendo da tutta la sera, si avvicinò a Sherlock e premette le labbra sulle sue.

Sherlock lasciò la presa sul braccio di John, rimanendo impassibile per un attimo, abbastanza da far dubitare John di quello che stava facendo. Ma poi il dottore sentì una mano sfiorargli delicatamente la schiena e arrivare sul collo, dove si fermò per spingerlo più vicino a lui. L’impeto di quel gesto portò John ad aprire leggermente la bocca e leccare le labbra dell’altro per separarle. Sherlock sembrò sperduto, perché esitò di nuovo, ma le mani di John intervennero a incorniciargli il volto per guidarlo, e quando anche Sherlock si lasciò andare fu, per entrambi, come respirare dopo un lungo periodo di apnea.

Il medico fece un altro passo avanti, appiattendosi contro la figura longilinea dell’altro che, per essere più comodo, tirò i capelli corti di John per fargli alzare un po’ di più il viso. Sherlock era rannicchiato sulla figura per permettersi di baciarlo al meglio, vista la differenza d’altezza, mentre John spostò le mani dietro la schiena, per appoggiarsi ed evitare di cadere.

Non si riusciva a capire dove iniziasse l’uno e finisse l’altro, perché il buio della notte copriva le due figure. C’era silenzio, nel salotto: persino la pioggia aveva smesso di cadere, rispettosa di quel momento, e anzi, sembrava che le gocce d’acqua si fossero fermate a mezz’aria, come nelle foto. Solo Sherlock e John si muovevano, baciandosi per quelli che sembrarono secoli, fino a che non mancò il respiro, e anche a quel punto presero l’uno il respiro dell’altro e così via, come il più naturale dei cicli.

Una mano di John tornò sulla guancia di Sherlock, per allontanarlo leggermente con l’urgenza di guardarlo negli occhi.

“Non me ne vado” ripeté “non se mi baci così”

Sherlock era un uomo di scienza, ma giurò di aver sentito il suo cuore perdere un battito. Sorrise.

“Allora vieni qui” disse, e lo spinse di nuovo sulle sue labbra, quel posto dove tutto andava bene.





NdA. Ho un esame tra sei giorni e ho passato tutto il giorno a scrivere. Forse è la mia storia preferita della raccolta, anche perchè questa è la mia canzone preferita di Ed Sheeran. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Dopo non so quanto tempo finalmente riesco a vedere la fine di questa storia, e forse mi mancherà. Fatemi sapere se vi è piaciuta, magari con una recensione:)
-A
 
   
 
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