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Autore: Shoshin    08/12/2021    2 recensioni
Pezzetti di infanzia, di adolescenza, disordinati e caotici come la vita stessa.
Le promesse che vanno mantenute, che non vanno sottovalutate mai, che si mescolano in modo semplice o più solenne in mezzo al tempo che scorre.
{Missing Moments dell'infanzia di Sari e Oji e altri personaggi della serie Ticking Away}
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Misako Kurata, Nuovo Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Sari Hayama
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ticking Away'
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V.


«Prometto di amarti e onorarti per il resto della mia vita».

Aveva stretto la mano della moglie, attendendo che il dottore uscisse dal suo studio con il referto. Aveva detto loro di attenderlo lì, mentre scriveva.
Sarebbe cambiato tutto, dopo aver avuto quel foglio tra le mani, oppure non sarebbe cambiato nulla. Lui sperava nella seconda ipotesi, anche se il dottore aveva già anticipato che qualcosa c’era.


«Prometto di stare al tuo fianco in salute e in malattia».

Non sarebbe venuto meno alle sue promesse. Accarezzava il dorso della mano della moglie con il pollice, silenzio tra loro. Non avevano niente da dire se non pregare che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Esito dell’esame: positivo.
Tumore al seno.
«Dovremo fare una biopsia.» Aveva detto il dottore, prima di congedarsi con un inchino.
Chisato aveva abbassato lo sguardo senza lasciare la sua mano.
«Bene. Abbiamo da fare, dobbiamo impegnarci con tutti noi stessi affinché tu stia meglio». Chisato aveva annuito e lui aveva pensato che non erano quelle le parole che aveva pensato di dire, che erano uscite taglienti come lame, fredde, come se non provasse nulla. Avrebbe voluto dire che l’avrebbero superata, sarebbero riusciti a sconfiggerlo, che sarebbe stata bene, alla fine, come stava bene dopo ogni trasferimento al quale lui la obbligava a sottostare.
Sospirò, senza aggiungere null’altro.
«Dovremmo dirlo a Kintaro».
Toshio aveva deglutito e mosso i primi passi verso l’uscita dell’ospedale.


«Prometto di starti a fianco per tutto il tempo, Chisato».

Kintaro era nato in una fredda notte di novembre, in un giorno di pioggia incessante, nella città di Kyoto.
Si sentiva il rumore della pioggia battere contro il vetro della finestra della sala parto. La mano di Toshio stretta in quella di Chisato. Spingi, le dicevano. E lei stringeva con maggior forza le sue dita, facendogli male, ma faceva finta di niente. Era lì, per lei. Per loro.
Toshio aveva fatto tutto come andava fatto. Aveva trovato una moglie sana e forte, con il consenso dei suoi genitori, aveva trovato lavoro subito dopo l’università e ora assisteva alla nascita di suo figlio.
«Kintaro Ichiro, Chisato. Così sarà sempre un ragazzo forte e sano». Aveva scelto il nome, qualche mese prima, e la moglie gli aveva sorriso, gli aveva annuito, l’aveva baciato accarezzandosi il ventre dove la vita aveva cominciato a crescere.


«Prometto di crescerti al meglio delle mie possibilità, spero di fare un buon lavoro».

L’aveva stretto tra le braccia, aveva la testa fasciata da un cappellino azzurro, una coperta dello stesso colore. La testa appoggiata al proprio braccio, le mani sotto la sua schiena. Lo portò vicino al viso, gli depose un bacio sulla fronte, un altro sulla guancia. Mio figlio. Sorrise, cullandolo.

Quando tornava a casa dal lavoro, non mancava mai del suo abbraccio.
«Giochiamo!» Diceva il figlio. E per quanto fosse stanco, si sedeva a terra insieme a lui e giocavano fino a che la cena non fosse stata pronta.
Soldatini, macchinine brum brum, dinosauri.
Spesso gli portava qualcosa.
Qualcosa che potesse lenire tutte quelle ore lontano da lui, quei viaggi di settimane che facevano sì che la sua famiglia stesse senza di lui.

Il primo trasferimento era stato organizzato poco prima dei tre anni di Kintaro. Il successivo a cinque anni. Quello dopo a sei.
«Devi per forza essere una trottola, Toshio?» gli aveva domandato la moglie, chiudendo l’ennesimo scatolone, negando con la testa. «Non possono inviarti a una sede e fartici rimanere?»
Chisato odiava tutti quei trasferimenti, tutti quei viaggi che non mancavano mai alla sede centrale di Tokyo. E più gli anni passavano e meno stava a casa.
«Non davanti al bambino, Chisato. È lavoro. Vuoi vivere? Devo guadagnare mentre tu stai a casa con il bambino». Sospirò, portandosi le dita agli occhi.
Chisato si morse un labbro, senza rispondere.
«Papà, io non voglio andare via». La voce di Kintaro raggiunse le sue orecchie. «Vedi?» Si voltò verso la moglie. «Sente te lamentarsi e ti emula. Cosa vuoi che ne capisca un bambino di sei anni. Dovresti tenere a freno la tua lingua».
Diede le spalle al figlio e raggiunse la sua camera, chiudendo la porta con un tonfo.


«Prometto che farò di tutto pur di non diventare come te. Tu sei tutto quello che io non voglio essere».

Aveva sentito qualcosa all’altezza del petto ascoltando le parole uscite dalla bocca del figlio.
Lui ci aveva provato, Kintaro era diventato un ragazzo in gamba, aveva fatto quello che lui pensava potesse essere un buon lavoro. Era educato, sorridente, espansivo. Aveva però un po’ troppo la lingua lunga, diceva ciò che pensava, farlo in un posto di lavoro importante, come era il suo caso, non era visto di buon occhio.
«Io mando avanti la famiglia!» Aveva esclamato, battendo una mano sul tavolo. «Tu l’unica cosa che fai è andare a buttare delle monetine dentro dei videogiochi inutili che non ti porteranno da nessuna parte con i tuoi amici senza testa!»
«L’unica cosa che fai tu è lavorare e poi scaricare la tua frustrazione qui a casa! Fatti un’esame di coscienza e vediamo chi sono le persone senza testa
«Non ti permetto di parlarmi così, sono tuo padre e provvedo a te e alla tua crescita!»
«Anche Hayama, il padre di Sari, provvede alla famiglia, ma non scarica le sue frustrazioni sulla moglie e sui figli! Impara un po’ come si sta al mondo!»
Toshio aveva stretto i pugni. «Chi, la famiglia dell’attricetta? Senza fare nulla sicuramente hanno un sacco di soldi. Quello non è lavoro!»
Gli occhi di Kintaro erano diventati due fessure. «Hai ragione. Al mondo lavori solo tu». L’aveva guardato, sguardo arrabbiato, di sfida. «Io resto».
Aveva visto la sua schiena quando aveva preso la porta di casa per uscire fuori e scappare per le vie di Tokyo.
«Lo sto perdendo». Aveva sussurrato, abbassando lo sguardo verso il tavolino.
«Lo hai già perso, Toshio». Chisato non aveva aperto bocca durante tutto il litigio, lo stava guardando fisso, senza alcun tipo di emozione.
«È colpa di Tokyo, della sua ragazzetta. Fortuna che andiamo via». Aveva buttato fuori.
Chisato si era avvicinata e aveva appoggiato una mano sulla sua spalla. «No, Toshio. La colpa è soltanto tua».


«Prometto…»
...soltanto parole al vento.





Buonsalveh! \0/
Dopo aver pubblicato la shot sulla famiglia di Kintaro in EHC (qui il link), abbiamo sentito il bisogno di continuare a seguire Toshio, almeno un pochino.
Abbiamo la sensazione che sia cambiato nel tempo, anche se è stato sempre un po’ rigido. Come si può notare dai flashback, Toshio era felicissimo per la nascita di Kintaro e si era ripromesso che l’avrebbe cresciuto al meglio delle sue possibilità. È andato un po’ tutto alla deriva con gli immancabili trasferimenti. Lui ha messo al primo posto il lavoro, e anche giocare con il figlio, come faceva ogni volta che tornava a casa, ha cominciato a diminuire nel tempo e piano piano si sono allontanati tutti e due l’uno dall’altro.
L’ultimo flash, quello che chiude la storia, è ambientato (ma penso che i più accorti lo abbiano capito subito) prima del trasferimento da Tokyo, prima che Kintaro vada a casa di Oji e gli dica quella mezza frase, per raggiungere poi Sari in palestra.
Bene! Speriamo vi sia piaciuta ♥ Abbiamo anche uno scorcio di Kintaro da bimbolino appena nato ** Era già l’ammmoreh ♥
Lov iuh
Shoshin




   
 
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