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Autore: CedroContento    09/12/2021    3 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Mi prendono ancora in giro per quel dannato tordo! Ti sembro uno che se ne intende di uccelli io?! Chiedimi dei funghi, piuttosto, ma degli uccelli no!”
 
Oin
 

Volare era una sensazione stupenda.
Anche se, di fatto, Bilbo soffriva da sempre tremendamente di vertigini e potendo scegliere aveva sempre preferito starsene con i piedi saldamente ancorati alla terra ferma.
Per qualche motivo però, in quel momento, non aveva alcuna paura di cadere, visto che l’aquila si librava stabile e sicura tra le nuvole.
Alte montagne con le cime avvolte dalla foschia, vallate verdi, fiumi e laghi si succedevano uno ad uno sotto di lui. Sembrava tutto così piccolo e lontano, quasi irreale.
L’aria fresca gli scompigliava i capelli e davanti a lui vedeva lontano, senza ostacoli, fino alla linea dell’orizzonte, nel cielo mattutino colorato di rosa che si andava rischiarando.
 
Si era sorpreso non poco, un paio d’ore prima, quando artigliato dall’aquila al posto di precipitare giù nel vuoto era atterrato su un morbido letto di piume.
Per qualche motivo, le creature di Manwë, erano andate in loro soccorso.
Opera di Gandalf, scoprì poi.
“Grazie,” disse Bilbo al maestoso volatile che lo trasportava, anche se non era certo che l’animale potesse capirlo.
 
Proprio quando lo hobbit cominciò a sentirsi intirizzito e dolorante, le aquile scesero di quota.
Planarono in tondo, su un solitario picco di roccia, che sovrastava una valle profonda e lì, uno alla volta, depositarono ogni membro della compagnia di Thorin Scudodiquercia.
 
Bilbo fu tra i primi a toccare terra.
Dopo un rapido inchino di ringraziamento alla sua salvatrice, raggiunse Gandalf.
 
Lo stregone era chino su Thorin, che ancora giaceva privo di sensi.
Con il cuore attanagliato dall’apprensione, Bilbo dovette resistere alla tentazione di buttarsi a sua volta su di lui e scuoterlo per tentare di destarlo. Si costrinse a rimanere in disparte, dicendosi che Gandalf in quel momento era sicuramente più importante e utile di quanto non potesse essere lui. 
Udì lo stregone borbottare qualcosa a bassa voce, poggiando la mano sulla fonte del nano. Poi, Thorin aprì finalmente gli occhi.
 
Bilbo avvertì il nodo che sentiva nello stomaco sciogliersi, avrebbe volentieri pianto dalla gioia e per l’immenso sollievo.
Contro ogni previsione, ne erano usciti, erano riusciti a salvarsi tutti da quella situazione disperata. Erano vivi. 
 
“Il mezz’uomo,” si sforzò subito di dire il Principe dei nani, prendendo Bilbo stesso in contropiede.
Thorin aveva davvero chiesto di lui? 
 
“Lui sta bene. Bilbo è qui, è salvo,” rispose Gandalf pacatamente, incoraggiando con un cenno della mano Bilbo a farsi avanti. 
 
Dwalin e Kili, che già da un pezzo si agitavano impazienti a debita distanza, furono più veloci di lui a raggiungere Thorin.
Il nano mostrò la volontà di alzarsi e i due lo sostenettero, così a Bilbo non rimase altro che rimanere al suo posto, incassando la solita occhiataccia di Dwalin. 
Ma sfoderando un’energia che stupì tutti i presenti considerando le sue condizioni, Thorin
con un gesto stizzito si liberò dalle loro mani premurose per avvicinarsi a Bilbo: “Tu. Cosa credevi di fare? Ti sei quasi fatto uccidere!”
Istintivamente, lo hobbit arretrò, decisamente confuso. Non si era aspettato nulla di particolare, di sicuro non si era aspettato quello.
“Non ti avevo detto che saresti stato un peso? Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c’è posto per te tra noi?” lo rimproverò Thorin, avanzando minacciosamente verso di lui.
Non trovò parole per rispondere a quelle accuse, riusciva solo a pensare che fosse completamente senza senso che Thorin non solo non gli fosse affatto grato per avergli salvato la vita, ma ce l’avesse addirittura con lui! 
“Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia,” concluse Thorin, afferrando Bilbo tra le braccia, impedendogli di allontanarsi ancora, fosse anche solo di un mezzo passo. 
 
Bilbo era così sorpreso da quanto stava succedendo che ci mise un momento ad elaborare che Thorin lo stava abbracciando.
E lo stava abbracciando forte davvero, e non era arrabbiato con lui!
Ancora mezzo intontito - per l’altra metà rincuorato - piano, fu conscio del fatto di essere tra le braccia di Thorin. Si sentì avvampare.
Il suo corpo massiccio lo avvolgeva completamente e Bilbo non sapeva proprio cosa doveva fare ora.
L’abbraccio era arrivato così inaspettatamente che si era ritrovato completamente colto alla sprovvista, non sapeva più che farsene di sé stesso: delle braccia che penzolavano stupidamente lungo i fianchi, della testa che lo ingombrava e i capelli davanti agli occhi, dei piedi troppo lunghi.
Ma non poteva starsene lì a farsi abbracciare come un pesce lesso, no? Doveva abbracciarlo anche lui?
Tutto ciò che gli riuscì di fare fu cingere a sua volta, come poteva, il busto imponente di Thorin. Gli diede due leggere pacche sulla schiena.
Stava davvero facendo pat pat a Thorin, come si poteva essere così imbranati?! 
 
Dopo non molto, Thorin sciolse l’abbraccio. Come uno stupido Bilbo aveva sprecato quell’attimo, facendosi troppi pensieri, e ora il momento era passato.
Thorin però gli sorrideva - il sorriso più dolce e bello che Bilbo avesse mai visto - e tenne ancora a lungo le mani salde sulle sue braccia, esaminandolo, forse per assicurarsi che non fosse ferito.
Vedendolo, sano e salvo, Bilbo dimenticò tutte le sue sciocche paranoie. 
 
“Scusa se ho dubitato di te,” gli disse piano Thorin, alzandogli delicatamente il mento e guardandolo come nessuno aveva mai fatto prima di allora. 
Bilbo avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa stesse passando per la testa del Principe dei nani, mentre lo sondava con tale intensità, così nel profondo, da togliergli il respiro. 
“No, anch’io avrei dubitato di me,” rispose, cercando di darsi un contegno. “Non sono un eroe, né un guerriero. E neanche uno Scassinatore,” aggiunse, senza riuscire ad impedirsi di lanciare un’occhiata di sottecchi a Gandalf, il quale ridacchiò sotto i baffi.
 
Il fruscio delle ali delle aquile che spiccavano di nuovo il volo attirò l’attenzione di tutti.
O meglio, quasi tutti. Quando Bilbo alzò nuovamente la testa verso Thorin, vide che il nano non aveva guardato, come lui e gli altri nani, gli uccelli alzarsi in aria per poi sparire tra le nuvole; Thorin stava guardando dritto davanti a sé, ad est, i suoi occhi erano stati catturati da qualcosa di lontano, sulla linea oltre la quale stava sorgendo il sole.
Guardò a sua volta in quella direzione e, piccola piccola, distinse una cima stagliarsi isolata in mezzo alla pianura. E ora capiva perché venisse chiamata ‘Montagna Solitaria’.
 
“Erebor. L’ultimo grande regno dei nani della Terra di Mezzo,” annunciò Gandalf. 
“Casa nostra,” aggiunse Thorin, senza sforzarsi troppo di trattenere l’emozione nella voce. 
“Un corvo!” esclamò euforico Oin alle loro spalle. “Gli uccelli stanno tornando alla Montagna!” disse, puntando in alto un dito, ad indicare un uccellino che volava leggiadro proprio verso oriente. 
“Quello, mio caro Oin, è un tordo,” lo corresse Gandalf. 
 
“Lo prenderemo come un buon auspicio,” disse Thorin, e Bilbo sentì il suo sguardo posarsi di nuovo su di sé. 
Ne incrociò gli occhi limpidi, mentre avvertiva le sue dita di intrecciarsi alle proprie. Nonostante il cuore che batteva all’impazzata, restituì la stretta senza impaccio, almeno questa volta.
 
Sorrise, con la mano salda in quella di Thorin, ebbe la sensazione che avrebbe potuto essere in grado di fare tutto. Dopo tanto tempo vissuto nell’insicurezza si sentì forte e ottimista come non era da molto. Soprattutto, si sentiva senza più alcuna paura per ciò che aveva in serbo per lui il futuro; sentiva che qualsiasi cosa fosse accaduta, non sarebbe più stato solo. 
“Hai ragione,” disse, “credo proprio che il peggio sia passato”.
 
 
 
Thorin avrebbe giurato di poter sentire Azog avanzare alle sue spalle e il suo intuito non lo aveva tradito, nemmeno quella volta: non avevano quasi fatto in tempo a mettere piede nella valle sotto la grande roccia che già l’ululare dei lupi aveva ripreso a tormentarli. 
L’orco pallido non aveva perso tempo a mettersi sulle loro tracce, sarebbe stato veloce a recuperare il grande vantaggio che l’intervento delle aquile aveva concesso al gruppo di nani.
Thorin era certo che avrebbe spronato i suoi mannari ad avanzare fino allo sfinimento, senza pietà, pur di riacciuffarli. Non che la magnanimità facesse parte della sua natura in altre circostanze.  
 
A peggiorare la situazione c’era il fatto che ci avevano messo davvero troppo tempo a discendere la Carrock (1) . Scoprirono che sorgeva al centro di un fiume; una volta attraversato il guado si sarebbero lasciati definitivamente alle spalle le Montagne Nebbiose per ritrovarsi nella valle che prendeva il nome da quel grande corso d’acqua che la attraversava: la Valle dell’Anduin.
Ma, cosa più preoccupante, pensò Thorin, si sarebbero trovati completamente allo scoperto. 
 
Discussero a lungo su come avrebbero dovuto muoversi, prima di avventurarsi nelle grandi praterie che li attendevano. Su una cosa erano tutti concordi: dovevano accertarsi della posizione precisa e del numero dei loro inseguitori; uno di loro avrebbe dovuto arrischiarsi e andare a controllare.
Prontamente, Fili e Kili si offrirono, ma la scelta più ovvia e sensata ricadde invece su un discreto Scassinatore. I mannari non avevano confidenza con l’odore degli hobbit, diversamente da quello che gli era ben più noto dei nani. 
 
Thorin si riscoprì a non essere affatto tranquillo per la scelta, ma non era riuscito a trovare una buona motivazione per dirsi in disaccordo con la maggioranza, e dentro di sé era ben consapevole di essere di parte; i sentimenti che provava non gli permettevano di essere obiettivo.
Si ritrovò ad attendere con ansia e il fiato sospeso che Bilbo tornasse. Tirò un sospiro di sollievo quando la sua chioma riccioluta ricomparve tra le rocce. Illeso. 
 
“Quanto è vicino il branco?” gli chiese, cercando di dissimulare al meglio l’apprensione che aveva provato.
“Troppo vicino, un paio di leghe non di più. Ma questa non è la parte peggiore,” disse lo hobbit, cercando di riprendersi dalla breve scalata che aveva dovuto affrontare per tornare dai suoi compagni nascosti tra delle rocce. 
“I mannari ci hanno fiutato?” chiese Dwalin. 
“Non ancora, ma lo faranno. Abbiamo un altro problema in realtà…”
“Ti hanno visto! Ti hanno visto?” lo interruppe ancora Gandalf.
“No, non è nemmeno questo, ma-” 
“Che vi avevo detto!? Silenzioso come un topo! Ha la stoffa dello Scassinatore,” sorrise lo stregone compiaciuto, incoraggiando un mormorio soddisfatto generale. 
“Dovete ascoltarmi, vi prego!” tentò di intervenire nuovamente Bilbo, cercando di farsi sentire al di sopra del vociare dei nani.  
“State zitti!” tuonò Thorin, facendo sobbalzare tutti, Scassinatore compreso. “Bilbo, parla pure,” aggiunse, più teneramente di quanto non volesse. 
Vide che Bilbo era arrossito e tutto sommato ne fu soddisfatto; era contento di non essergli indifferente.
 
“Volevo dire che c’è qualcos’altro là fuori,” riuscì finalmente a spiegarsi Bilbo. 
“Quale forma ha assunto?” chiese Gandalf, improvvisamente grave.
E senza che ci fosse bisogno di aggiungere altre informazioni, notò Thorin, ma ormai aveva smesso di stupirsi per queste sue omissioni di informazioni vagamente importanti. 
“Quella di un orso?” incalzò lo stregone. 
“Tu- Sai di che si tratta?” si sorprese invece Bilbo, più ingenuamente. 
Gandalf non rispose alla domanda, assorto, lasciò vagare lo sguardo sulla prateria che si srotolava ai loro piedi.
“C’è una casa, non è molto lontana di qui, dove noi potremmo trovare rifugio,” aggiunse pensieroso, dopo qualche istante di silenzio. 
“A chi appartiene la casa?” chiese Thorin, diffidente. “Amico o nemico?” 
“Nessuno dei due. Lui ci aiuterà… o ci ucciderà,” rispose enigmatico Gandalf, rivolgendo al nano un lungo sguardo penetrante. 
“Che scelta abbiamo?” chiese Thorin, indovinando già la risposta. 
“Nessuna”.
 
 
Così, Gandalf prese il comando della compagnia e guidò i nani attraverso l’Anduin.
I territori tra le Montagne Nebbiose e Bosco Atro erano verdi e lussureggianti. Faceva di nuovo caldo e, almeno quello, era un bel sollievo dopo il clima aspro delle montagne.
Ora, potevano avanzare comodamente tra l’erba alta puntellata di fiori di campo, querce e olmi, che offrivano un gradevole riparo quando si azzardavano a concedersi una breve sosta.
L’aria era deliziosamente profumata di garofani, che crescevano a gruppetti qua e là, quasi ci fosse qualcuno a coltivarli. Thorin notò anche, con una certa apprensione, le dimensioni decisamente fuori dal comune delle api che volteggiavano indaffarate attorno ai fiori.
 
Il basso risuonare di un corno lo riportò bruscamente ad un problema ben più grave. 
Di scatto alzò la testa verso Gandalf, in capo alla comitiva.
Lo stregone restituì lo sguardo e colse al volo il messaggio: “Correte! Svelti!” esclamò. 
 
Thorin lasciò che i suoi compagni lo superassero in modo da poter chiudere le fila.
Fortunatamente, non ebbe bisogno di convincere nessuno a spicciarsi, perfino Bombur stava correndo più veloce di quanto avesse mai fatto, arrivò addirittura a guadagnare le prime posizioni. 
 
Davanti a sé, Thorin distinse quella che doveva essere la loro meta: il tetto in legno di una casupola incastonata in un querceto, circondata da una siepe fitta e spinosa. 
“Forza, ci siamo quasi!” incitò gli altri, prima di voltarsi per controllare se poteva già scorgere i mannari.
Non vide alcun lupo, ma qualcosa, di forse anche più terrificante, stava guadagnando terreno nella loro direzione: una bestia enorme e rabbiosa, che somigliava in tutto e per tutto ad un orso bruno, con la sola eccezione che era grande almeno il doppio. 
“Correte!” urlò, e dovette tradire un certo allarme nella voce, perché diversi nani, istintivamente, si guardarono alle spalle, preoccupati. 
 
Thorin cominciò ad intravedere un pesante cancello di legno tra i rovi. Con uno scatto si portò in testa al gruppo per dare manforte a chi già lavorava per spalancarlo a suon di spallate.
Quando tutti furono all’interno del cortile, Thorin richiuse il cancello, assicurandolo con una trave, pur consapevole del fatto che non sarebbe stato un particolare intralcio per la bestia.
 
Non ebbe tempo di voltarsi, che l’animale, dall’altra parte, impattò sulle assi di legno.
L’intero cancello vibrò sotto lo sguardo ansioso di Thorin. Il legno scricchiolò e si incrinò, ma resse.
Rapido, girò sui tacchi e raggiunse i suoi compagni, che erano già riusciti a forzare il massiccio portone d’ingresso. Quello sì che avrebbe potuto bloccare l’orso.
 
Riuscì appena ad entrare, che udì le assi dietro di sé andare in frantumi.
Fece per chiudere veloce la porta, ma la bestia con due balzi li raggiunse e riuscì ad infilare il muso bavoso nell’ultimo spiraglio aperto.
Con ferocia e forza inaudite, il mostro faceva leva con la testa per farsi strada, mostrando le zanne aguzze.  
 
Come un solo uomo, tutti i nani si buttarono di peso sulla porta, e il peso di tredici nani ben piazzati non era di certo indifferente. Spinsero, finché finalmente non riuscirono a respingere l’animale e chiuderlo fuori una volta per tutte. Dall’interno della casa, la udirono ancora per molto agitarsi furiosa.
 
“Credo che se ne si andata,” sussurrò ad un certo punto Ori.
 
Esausto, Thorin si lasciò andare contro una parete, finalmente poteva riprendere fiato. 
“Quello…cos’è?” chiese ancora Ori. 
“Il nostro anfitrione, il suo nome è Beorn,” spiegò Gandalf, a cui era caduto il cappello dalla testa tutta scompigliata. 
“Il nostro anfitrione?!” esclamò Bilbo incredulo, drizzandosi di colpo. “Gandalf, dimmi che non abbiamo appena chiuso qualcuno fuori da casa sua!” esclamò lo hobbit, che chissà dove aveva trovato ancora energie per indignarsi. Alquanto adorabilmente, pensò Thorin.
“Non possiamo, sono cose che non si fanno, mi rifiuto!” 
Gandalf stesso non poté fare a meno di sorridere: “Dimentico sempre quanto sia sacra la casa per gli Hobbit!” rise divertito. “Farete bene a risposare qui stanotte, saremo al sicuro. E, Bilbo, non temere, domattina avremo modo di scusarci debitamente con il padrone di casa,” liquidò la questione lo stregone.
In fin dei conti non avevano poi molta altra scelta.
 
Distogliendo controvoglia lo sguardo dal grazioso viso contrariato di Bilbo, Thorin si guardò per la prima volta attorno.
Si trovavano in una grande sala semibuia, illuminata solo dal fuoco che crepitava in un camino enorme. I pochi mobili presenti erano smisuratamente grandi, anche se confrontati con quelli degli uomini. Si chiese che genere di individuo abitasse quel luogo, ma tenne il dubbio per sé, non voleva allarmare ulteriormente gli altri. 
 
In un angolo individuarono alcuni materassi, imbottiti di paglia ed erica, e anche qualche coperta di lana, piegata e impilata ordinatamente.
Fu lì che, senza indugiare oltre, sfiniti com’erano, si sistemarono alla meglio per riposare. 
 

Thorin vegliò a lungo, steso nel suo pagliericcio. Aveva dormito poco e di un sonno leggero e agitato.
Quando non fu più in grado di sforzarsi a tenere gli occhi chiusi, osservò per un pezzo gli anelli di fumo che Gandalf - che non si era sistemato accanto a loro, ma era rimasto seduto all’enorme tavolo – plasmava a piacere in ogni dimensione con la sua lunga pipa.
Ad un certo punto non tollerò più nemmeno di stare sdraiato e si unì allo stregone, non senza cedere ancora alla tentazione di guardare, fosse anche solo un istante, Bilbo che dormiva tranquillo. 
 
“Che essere è Beorn?” indagò Thorin, prendendo posto di fronte a Gandalf e tastando le tasche interne alla ricerca della propria pipa. 
“È un mutatore di pelle,” rispose lo stregone, offrendogli del tabacco. “Alle volte è un grosso orso nero, altre volte un omone grande e forte. L’orso è imprevedibile, ma con l’uomo, forse, ci si può ragionare,” spiegò, alzando le folte sopracciglia grigie e cespugliose. “Tuttavia, non è che faccia salti di gioia per i nani”.
 
Fumarono in silenzio, finché dal di fuori non udirono qualcuno affaccendarsi nel cortile. 
 
Con l’albeggiare, pigramente, tutti i nani si destarono. Presto avrebbero dovuto affrontare il proprio ospite. 
 
 

“Bene, ci siamo tutti?” chiese Gandalf, quando i membri della compagnia si affollarono attorno al tavolo gigante. 
“No, Bilbo fa il tiratardi!” disse Bofur, già vispo di prima mattina.
“Mmmh, questi hobbit sono proprio abituati troppo bene,” brontolò Dwalin. 
“Ci penso io,” disse Thorin, individuando con lo sguardo un fagotto solitario tra i giacigli abbandonati. 
 
Cauto, Thorin si avvicinò a lo hobbit, che ancora dormiva beatamente.
Si chinò su di lui e per un momento non si sentì più del tutto certo di volerlo svegliare così in fretta.
“Bilbo…” lo chiamò, senza troppa convinzione. Come previsto, il suo nome sussurrato non bastò a strapparlo dal suo sonno profondo.
Thorin ne contemplò l’espressione serena e distesa, che da diversi mesi ormai non gli apparteneva più quando era sveglio e afflitto dai guai.
Non avrebbe mai pensato che nel corso della sua vita avrebbe avuto tanta voglia di guardare, solo guardare, qualcuno così. In continuazione, registrandone ogni gesto, ogni più piccola espressione.
A Thorin tornò alla mente la prima sera che aveva visto il suo Scassinatore, quando aveva messo subito in chiaro con Gandalf che non sarebbe stato responsabile per la sua incolumità. Chi avrebbe detto che un giorno l’incolumità di Bilbo invece sarebbe stata così fondamentale per lui.
“Bilbo,” ripetè, spostandogli una ciocca riccioluta dal viso.
Bilbo sorrise nel sonno e Thorin non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
 
D’un tratto, un sonoro schioppo arrivò dal cortile esterno. Quel rumore secco e improvviso spaventò lo hobbit che balzò a sedere con uno scatto.
Thorin, ancora chino su di lui, e più distratto del solito, non fu abbastanza pronto per evitarlo e le loro teste impattarono violentemente. 
“Ahi!” si lamentò Bilbo, premendosi il palmo della mano sulla fronte. “Thorin, cosa…? Ahia!” esclamò, stringendo gli occhi e massaggiandosi la pelle arrossata. “Ma tu non ti sei fatto male?” chiese sbirciando Thorin che non aveva quasi battuto ciglio.  
“Noi nani abbiamo la testa dura,” rispose quello senza scomporsi, afferrando le mani de lo hobbit, costringendolo a scostarle per esaminargli la testa.
Gli sarebbe venuto un bel bernoccolo. 
“Almeno lo ammetti, finalmente!” fece Bilbo. 
 
L’espressione che si dipinse sulla faccia del nano fu così buffa che a lo hobbit, nonostante le fitte di dolore che si irradiavano dalla fronte, scappò da ridere.
Thorin si ritrovò a fissare inebetito le labbra di Bilbo aprirsi in un sorriso bellissimo. La voglia di rubargli quel sorriso con le proprie di labbra si fece sentire impellente. 
Non riuscì proprio a scacciare dalla testa il pensiero che non avrebbe mai permesso a nessuno di cancellare quel sorriso dal mondo, non avrebbe mai permesso che a Bilbo accadesse nulla di male. 
 
 
“Ah, bene, Bilbo, eccoti qui,” li accolse Gandalf, quando raggiunsero il resto della banda, che già si affollava davanti alla porta d’ingresso. “Allora, questo richiederà una gestione delicata. Dobbiamo agire con molta prudenza, l’ultima persona che lo ha spaventato è stata ridotta a brandelli,” spiegò lo stregone, prendendosi poi il tempo per una pausa ad effetto. “Io andrò per primo e, Bilbo, tu vieni con me”. 
“Ah! Ehm… è una buona idea?” chiese Bilbo, riluttante.   
“Sì,” disse Gandalf, quasi a sott’intendere che lui non aveva mai cattive idee. Questione opinabile, se lo avessero chiesto a Thorin. 
 
In quel caso particolare, però, anche se la cosa non gli piaceva, Gandalf aveva ragione: Bilbo era una persona deliziosa, se c’era qualcuno che aveva una qualche possibilità di ingraziarsi Beorn nessuno poteva essere una scelta migliore di lui.
Con un sospiro rassegnato fece un cenno di incoraggiamento con la testa a Bilbo.
 
“Voi altri invece restate qui, e non comparite fino al mio segnale,” si raccomandò lo stregone. 
“Bene, aspettiamo il segnale!” confermò con decisione Bofur. 
“Aspettate il segnale!” sottolineò Gandalf. 
Un attimo dopo, scassinatore e stregone varcarono la soglia, non prima che quest’ultimo si fosse raccomandato ancora una volta di uscire con cautela, e a coppie - ad eccezione di Bombur che, vista la stazza, contava per due.
 
“Sì, ma quale sarebbe il segnale?” chiese Bofur, dopo che Gandalf fu uscito.
 

 
  1. Carrock è il modo in cui Beorn chiama la grande roccia su cui è atterrata la nostra compagnia. Nel libro viene descritta anche una gradinata, costruita da Beorn stesso, che permetteva di salire e scendere con facilità (su).
 
   
 
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