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Autore: Egle    09/12/2021    3 recensioni
Le donne terrestri sono strane. Non che io abbia avuto occasione di familiarizzare con molte di loro, fatta eccezione per la terrestre dai capelli blu e la terrestre madre. Entrambe sono spiacevolmente inclini a manifestare tutte le fasi del loro umore, che variano dalla disperazione più totale per una storia strappalacrime che hanno visto in quella cosa che loro chiamano TV alla gioia più completa per un paio di scarpe in saldo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note della Beta.
Sorpresa! Dopo una pausa incredibilmente breve, Egle ha revisionato le tre storie promesse. Abbiamo deciso di raggrupparle in un'unica fic, dato che sono una il seguito dell'altra. Per mantenere la tradizione, la pubblicazione avverrà di giovedì.

Prima di lasciarvi alla lettura volevo ringraziare chi ci ha seguito fino all'epilogo di Squaring the circle, siete state incredibilmente gentili e di supporto. Così tanto che ci è venuto un po' il magone a pensare di non avere più niente di Bulma e Vegeta da pubblicare... quindi, come qualcuna già ha saputo, Egle sta mettendo in cantiere una nuova long. Yeeeeh!
MA conosco il mio pollo troppo bene, quindi vi prego di continuare ad essere di supporto lasciandole tanti commentini, in modo da aumentare le possibilità che la porti a termine (perchè ovviamente io non pubblicherò proprio niente finchè non avrà tra le mani la fic completa). 
Ora vi lascio alla lettura! Enjoy!





WHAT VEGETA KNOWS ABOUT EARTH WOMEN - PARTE 1
 

Le donne terrestri sono strane. Non che io abbia avuto occasione di familiarizzare con molte di loro, fatta eccezione per la terrestre dai capelli blu e la terrestre madre. Entrambe sono spiacevolmente inclini a manifestare tutte le fasi del loro umore, che variano dalla disperazione più totale per una storia strappalacrime che hanno visto in quella cosa che loro chiamano TV alla gioia più completa per un paio di scarpe in saldo.

Non ho mai capito se in saldo sta per il tipo di calzatura.

La femmina dai capelli blu spesso mi accusa di essere il colpevole di tali mutamenti di umore. Senza che io faccia nulla, per altro.

Due giorni fa è rientrata in piena notte. Teneva le scarpe in una mano. Il viso imbrattato da righe nere che le colavano dagli occhi. Ha fatto irruzione in cucina e mi ha guardato come se l’avessi sorpresa a mangiare il cuore ancora caldo di un amico.

Ho continuato a preparami un sandwich, ignorandola. Lei ha cercato di sistemarsi pateticamente il vestito, traballando poi verso il frigorifero. Si è versata un bicchiere d’acqua, rovesciandone gran parte sul pavimento.

“Non mi chiedi che cosa mi è successo?” mi ha aggredito.

Ho arricciato il naso. Non aveva il solito profumo di vaniglia, ma sottopelle le strisciava una sensazione spiacevole.

“Ma perché parlo con te! Come se te ne importasse qualcosa”

È marciata fuori dalla stanza, le scarpe abbandonate sul pavimento. Mi sono seduto al tavolo, ascoltando i suoi passi che si allontanavano. Ho dato un morso al mio sandwich tutto contento e poi ho finito il succo di frutta. Stavo per aggredire l’altra metà del panino quando lei è tornata in cucina come una furia. La sua faccia era priva delle righe nere.

“Io e Yamcha ci siamo lasciati” ha annunciato teatralmente, le lacrime le velavano gli occhi.

L’ho guardata senza dire nulla, ma doveva essere la cosa sbagliata da fare perché lei ha scostato una sedia e si è seduta al tavolo. Si è aggiustata i capelli dietro alle orecchie.

È rabbrividita. Per forza ha freddo: va in giro con tutta quella pelle scoperta e non ha abbastanza muscoli per produrre calore.

“Questa volta è finita. Davvero. Lui…” ha mormorato. Lo sguardo puntato sul tavolo. I denti mordicchiavano il suo labbro inferiore. “Lui ha conosciuto un’altra. Forse più di una, non lo so.” Ha allungato una mano e ha preso un pezzo del mio sandwich. Non l’ho incenerita solo per non dover sopportare le urla della terrestre madre domani mattina.

“Io lo sapevo che non stavamo più bene insieme. Sono mesi ormai che fingiamo che vada tutto bene. Non riuscivamo nemmeno più a parlare. Sai quando sei seduto al tavolo e ognuno guarda il suo smartphone sperando che la serata finisca al più presto?”

Certo, come no. Mi capita in continuazione.

“E poi cercavo scuse per non vederlo. Lui è cambiato… anch’io sono cambiata. Forse siamo solo cresciuti e abbiamo imboccato strade diverse” ha continuato, aprendo la confezione del pane e iniziando a preparare un panino. Ho spostato il piatto vuoto verso di lei in attesa.

“Mi dispiace solo per come è finita. Forse l’abbiamo tirata troppo per le lunghe. Avremmo dovuto essere più onesti mesi fa.”

Ha messo un sandwich nel piatto, tagliandolo poi a metà e prendendone una parte. Si è appoggiata allo schienale della sedia, masticando lentamente.

“Magari tra qualche tempo potremmo tornare a essere amici” ha detto. Si è tolta uno sbuffo di maionese dall’angolo della bocca. È rimasta zitta e io ho sperato che avesse finito.

Ho spinto di nuovo il piatto vuoto verso di lei e lei ha iniziato a preparare un altro sandwich.

“E’ solo che…”

Non aveva ancora finito.

“Beh, ora non sto bene. È la rottura, capisci? Sapere che lui non sarà più nella mia vita. Almeno non più come prima. Sapere che lui ha preferito un’altra… è qualcosa che comunque va a ledere la tua autostima.”

Ho fatto una smorfia quando mi sono accorto che stava aggiungendo i cetrioli al panino. Lei, crudele, ha continuato a infarcirlo, ignorando il mio disappunto.

“Forse devo solo darmi il tempo di star male”

Mi ha restituito il piatto e ho iniziato a mangiare, spostando poi verso di lei il bicchiere vuoto. L’umana si è alzata e l’ha riempito con dell’acqua fresca. Si è appoggiata al lavandino con la base della schiena. “E’ che sono sempre stata…” si è interrotta scuotendo la testa. I capelli blu le sfioravano le spalle. “Piuttosto sicura di me e pensavo che alla fine lo avrei lasciato io”

Si è coperta la faccia con le mani, emettendo una specie di lamento.

“Sono una persona orribile” ha detto da dietro i palmi. Io ho allungato il piatto di nuovo vuoto verso di lei, sperando che capisse che avevo voglia di un dessert.

Lei ha scostato le mani e mi ha guardato. “Secondo te, sono orribile?”

Sono rimasto zitto, spostando ancora di qualche centimetro il piatto con la punta di un dito.

“No, ovvio… ovvio che non lo sono” ha decretato, allungandomi il bicchiere pieno d’acqua. Ha preso il piatto e lo ha messo nel lavandino.

“Grazie, Vegeta. Mi ha fatto davvero bene parlare con te.”

E poi se n’è andata.

 

***

 

Una cosa che ho imparato sulle terrestri femmine è che tendono a riunirsi e quando questo accade il livello del rumore si alza verso picchi difficilmente sopportabili. Stavo uscendo dalla gravity room dopo un allenamento particolarmente impegnativo. La spalla destra urlava dal dolore, il che era un bene. Voleva dire che mi ero allenato duramente.

Stavo attraversando il giardino per andare a farmi una doccia quando ho visto il branco.

Tutte con in mano delle borse contenenti cose in saldo. Prima o poi qualcuno dovrà spiegarmi che diavolo vuol dire.

Una si è sollevata gli occhiali da sole per studiarmi meglio. Un’altra ha iniziato a farsi aria con una mano.

“E questo chi è?” ha chiesto Occhiali da Sole e io ho iniziato a sentirmi a disagio, un po’ come quando la terrestre madre accorcia troppo le distanze e dice qualcosa di assurdo e fuori luogo.

“Vegeta. È un ospite delle Capsule Corp.” ha risposto l’umana dai capelli blu, raggiungendo le altre terrestri. Ha posato un vassoio con delle limonate sul tavolino e si è seduta. Ha accavallato le gambe. Tutte hanno accavallato le gambe, quasi fossero sincronizzate.

“Ehi, tu…” ha detto un’altra, facendomi un cenno. “Perché non vieni qui a sederti con noi? Bulma, dai invitalo!”

“Non è il caso. Vegeta non capisce bene la nostra lingua. È uno…” ha risposto lei, scoccandomi un’occhiata “…scienziato iraniano. È venuto qui per uno scambio culturale. Perché non ci fai vedere di nuovo l’anello?”

Doveva essere una frase in codice in quanto le altre hanno emesso tutte insieme – è incredibile come facciano le cose insieme, come una truppa ben addestrata – un gridolino, concentrandosi poi sulla mano di una.

Mi sono ritirato in cucina, decidendo che avrei dovuto mangiare qualcosa prima della doccia. Le sentivo parlare ancora attraverso la finestra aperta nell’altra stanza. Ho trovato delle alette di pollo nel frigorifero e ho iniziato a mangiarle, in piedi davanti al lavandino.

“Beata te, Connor è un sogno.”

“Lo so, ragazze. Sono stata fortunata… a questo proposito… Bulma! Connor ha detto che vuole organizzare una cena con un suo amico la prossima settimana. Avvocato. Mai stato sposato. Dice che sareste una coppia splendida.”

“Oh, Kate… non lo so. Io e Yamcha ci siamo lasciati solo da un paio di settimane. Credo sia ancora presto.”

“E soprattutto perché dovrebbe uscire con un avvocato quando ha quel pezzo di carne in casa?”

Risatine in coro.

Ho aperto il freezer per controllare se ci fosse un hamburger o un pezzo di carne che magari avrei potuto cucinare.

“Non è come pensi.”

“Ma che stai aspettando? Tutte dovrebbero farsi un giro di rock and roll con uno così. Scommetto che ce l’ha enorme.

“Glielo hai visto?”

“Cosa? NO!”

“E allora perchè sei arrossita? Bulma… racconta…”

“Beh, è un tipo molto sportivo… e a volte mette una tutina che non lascia molto all’immaginazione e… sì, credo ce l’abbia grosso.”

Altre risatine, questa volta più forti.

“Ti farebbe bene, tesoro”

“Ti sei già fatta troppo del male per quell’idiota. Tu sei fantastica e meriti di meglio.”

“Tu meriti orgasmi multipli, bambina.”

Ho aggrottato le sopracciglia, ascoltando la conversazione mio malgrado. Davvero le terrestri parlavano dei loro orgasmi con le amiche? Avrebbero dovuto parlare… non so… della continuazione delle specie o di qualche tattica mortale per uccidere un assalitore.

Altre risate.

“Come hai detto che si chiama?”
“Vegeta”

Cosa? Stavano parlando di me?

Ho abbassato lo sguardo sui miei pantaloncini quasi senza rendermene conto. Erano pantaloncini normali.

“Lui non è il tipo per una relazione.”

“Ma chi ha mai parlato di una relazione? Devi solo infilarti nel suo letto e farti sbattere finché non l’avrai in fiamme.”

Altre risate.

Ho lasciato più di metà delle alette di pollo e mi sono rifugiato in camera mia. Non ho mai pensato nemmeno per un secondo all’umana nuda nel mio letto.

 

***
Le donne terrestri seguono leggi della fisica tutte loro. Per esempio, esiste una strana correlazione tra la lunghezza della gonna e il tempo trascorso davanti alla porta di casa dopo un appuntamento. Più la gonna è corta, più lungo sarà il tempo passato davanti alla porta.

Più il tempo trascorso davanti alla porta è breve, più aumenteranno i sacchetti con cose in saldo il giorno seguente. Non capisco del tutto queste logiche, ma so che se il tempo trascorso davanti alla porta è breve, il giorno seguente la terrestre sarà di cattivo umore e sparirà per mezza giornata senza aggiustare i droni o la gravity room.

Se il tempo trascorso davanti alla porta è lungo, allora passerà tutta la giornata a consultare lo smartphone, sarà distratta e svogliata e non aggiusterà i miei droni e la mia gravity room.

In definitiva, per me era meglio che tutta questa storia degli appuntamenti non esistesse.

Una sera è rientrata con una mano gonfia e tumefatta. Le scarpe con il tacco erano abbandonate nell’ingresso. Si è diretta al frigorifero. Io ho spostato il piatto vuoto nella sua direzione, sperando che mi preparasse un altro sandwich. Uno senza cetrioli. Lei ha aperto il freezer e ha preso un sacchetto di piselli surgelati. Aveva addosso l’odore cattivo della paura. Di solito l’umana profuma di buono, soprattutto quando deve prepararsi per questi appuntamenti, ma quella sera la paura si espandeva da lei in ondate fastidiose.

Ha premuto il sacchetto sulla mano, senza guardarmi.

“Non dirlo ai miei genitori” ha sussurrato. Tremava. Ancora una volta si era vestita troppo leggera. Si è passata la mano sana sulla faccia, come a cancellare qualcosa.

C’era anche rabbia, ma la paura era più forte di qualsiasi altro odore. Mi aveva fatto passare la fame.

Mi sono alzato e ho messo il piatto nel lavandino. L’umana è rimasta ferma. Le ho preso la mano e ho tolto il sacchetto.

Era ridotta male. Le nocche erano tumefatte ed escoriate. Le ho controllato il pollice per assicurarmi che non fosse rotto. La ragazza almeno sapeva come tirare un pugno. Ho aperto il frigorifero e ho sostituito il sacchetto di piselli con una bistecca che sua madre avrebbe dovuto cucinarmi il giorno dopo.

L’ho fatta aderire al suo pugno, rammaricandomi dello spreco. L’umana ha emesso una specie di singhiozzo e poi ha appoggiato la fronte contro il mio petto. Credo che a un certo punto si sia messa a piangere perché la mia maglia è diventata umida.

Era la prima volta che qualcuno mi piangeva addosso. Non ero sicuro di quale fosse il protocollo corretto. Le ho dato una pacchettina sulla schiena. In fondo era solo una bistecca.

Doveva essere la cosa giusta da fare perché lei ha pianto ancora qualche minuto, poi si è alzata sulla punta dei piedi e mi ha guardato. “Grazie” ha mormorato, sfiorandomi la guancia con le labbra. L’odore della paura era diventato improvvisamente meno intenso e lei aveva ripreso a profumare di buono. Vaniglia, credo.

Se n’è andata senza aggiungere altro, stranamente silenziosa.

 

*

Il giorno seguente il suo umore era triste e fintamente allegro allo stesso tempo. C’erano stati alti strilli quando la terrestre madre aveva visto la sua mano a colazione. Lei aveva detto di aver chiuso la mano nella portiera della macchina, guardandomi. Io ho aggrottato le sopracciglia perché non era evidentemente vero. Una mano si riduce così solo per un pugno dato male, ma sono rimasto zitto perché non sono affari miei.

Lei ha sorriso debolmente nella mia direzione, non appena sua madre si è allontanata per prendere la cassetta del pronto soccorso. Io ho finito la mia colazione.
Due giorni dopo avevo un drone nuovo.

 

***

Questa cosa delle lacrime un po’ mi destabilizza. Non so mai come interpretarle se non come un modo stupido per disidratarsi. Ci sono state altre lacrime una sera. Era rannicchiata sul divano e indossava una felpa oversize e credo nient’altro. Mi sono fermato solo perché dal barattolo che aveva in mano proveniva un profumo delizioso. Qualcosa da mangiare che non avevo ancora provato.

Lei mi ha guardato con i suoi occhioni blu pieni di lacrime. “Yamcha è andato a convivere con un’altra” ha detto. Io mi sono seduto sul divano, sbirciando il contenuto del barattolo. Era una sostanza più solida rispetto alla gelatina. Aveva un aspetto cremoso.

Lei ha tuffato il cucchiaio dentro al barattolo e se n’è portata una grossa cucchiaiata alla bocca. Questo ha fatto rallentare le lacrime.
Quindi era anche qualcosa di miracoloso oltre che dal profumo invitante.

“Non fraintendermi. Io non sono più innamorata di lui. Non voglio essere la sua fidanzata, ma…”

Altro eccesso di singhiozzi. Altra cucchiaiata succulenta.

“Con me non ha fatto un passo del genere! Perchè? Che cos’ho che non va?”

Ha lasciato il barattolo sul tavolino e si è sporta per prendere una manciata di fazzoletti. Si è soffiata rumorosamente il naso. Io ho preso il barattolo annusandone il contenuto. Ho impugnato il cucchiaio che aveva usato l’umana e ne ho mangiato una cucchiaiata esplorativa. Era la cosa più deliziosa che io avessi mai assaggiato. Sapeva di casa e faceva nascere qualcosa dentro di te… adesso capivo perché cancellava le lacrime. Avrebbero dovuto prescriverlo a tutti gli infermi e ai sofferenti.

Le ho chiesto che cosa fosse.

“Uno stronzo” ha risposto.

Ho ripetuto la parola non riuscendo a farla collidere con quello che avevo in mano dato che mi aveva definito più volte allo stesso modo. Quindi anch’io ero una cosa deliziosa e da mangiare?

“Yamcha è uno stronzo” ha chiarito. Ha emesso uno sbuffo, guardandomi.

“Gelato al caramello salato” ha detto, alzandosi per andare in cucina. È tornata poco dopo con altro cucchiaio. Lo ha infilato nel barattolo, allungando poi le gambe sulle mie per essere più comoda.

Gelato al caramello salato mi sono ripetuto mentalmente per essere sicuro di averlo memorizzato. Abbiamo continuato a mangiare dallo stesso barattolo per qualche minuto senza parlare. Ho raschiato bene il fondo con il cucchiaio, rammaricandomi che fosse già finito.

“Vegeta?”

Ho mugugnato. Magari ce n’era dell’altro nel frigorifero.

Il respiro della terrestre si era fatto impercettibilmente più vicino. L’ho guardata e per un attimo mi sono perso in quegli occhi incredibilmente azzurri. “Tu mi trovi bella?”

Il suo respiro sapeva di gelato al caramello salato. Mi sono chinato verso di lei e le ho sfiorato le labbra con le mie. Anche quelle sapevano di caramello salato.

Ho posato una mano sulla sua nuca e l’ho attirata più vicina. L’ho baciata profondamente. Tutta la sua bocca sapeva di caramello salato e di qualcosa di indefinibile… qualcosa che aveva il suo profumo di buono.

Lei ha emesso un gemito contro le mie labbra, prima di alzarsi di scatto e allontanarsi dal divano. Si è tirata giù la felpa che aveva lasciato intravvedere un paio di mutandine rosa. Il suo respiro era accelerato.

Stranamente anche il mio.

“Buonanotte” ha detto, uscendo in fretta dalla stanza.

 

*

Il giorno dopo è venuta nella gravity room. È entrata mentre stavo bevendo un po’ d’acqua. Doveva dirmi qualcosa che dovevo ascoltare perché di solito quando interrompe il mio allenamento finiamo per litigare senza riuscire a parlare di altro.

“Riguardo a ieri sera…” ha iniziato, senza guardarmi. “Io credo che… dovremmo rimanere… sai, solo amici.”

Ho aggrottato le sopracciglia. Eravamo amici?

“Non che non mi sia piaciuto…” ha aggiunto in fretta, leggendo chissà cosa sul mio viso “In effetti… mi è piaciuto molto, ma sarebbe troppo complicato se noi…”

Noi cosa? Non capivo dove stesse andando a parare quel discorso. Le ho detto che dovevo tornare ad allenarmi. Lei è rimasta ancora un istante, incerta se aggiungere altro. Alla fine, è uscita richiudendosi la porta alle spalle.

 

***

Un’altra peculiarità delle donne terrestri è il rapporto morboso con lo smartphone. La terrestre dai capelli blu perde quello stupido aggeggio almeno cinquanta volte al giorno. Si aggira per la casa e il laboratorio, disperandosi. Poi grida qualcosa come Ehi, Google. Ho perso il telefono e quello si mette a suonare dall’altra parte della casa.

La suoneria dello smartphone è una delle cose più irritanti che io abbia mai sentito. E sono stato sul pianeta 7ngak dove ci sono dei vermi urlatori. So di cosa parlo.

L’altro ieri mi ha rovinato lo spuntino delle 11 p.m. Stavo per aprire il frigorifero quando l’aggeggio infernale ha iniziato a suonare. Era sul tavolo della cucina, che suonava e vibrava allo stesso tempo.

Mi sono avvicinato e ho visto sullo schermo la scritta Yamcha e la foto del deficiente.

Il mio pugno è scattato senza che me ne accorgessi, sfondando il vetro dello smartphone e il tavolo sottostante. Le gambe di legno si sono spezzate ed è caduto tutto sul pavimento con un gran fracasso. Ho guardato la mia mano come se non la riconoscessi.

La terrestre è arrivata, correndo, poco dopo. Indossava solo un pigiama semi trasparente e io mi sono chiesto per l’ennesima volta se prima o poi morirà congelata.

“Vegeta!” ha strillato di gran lunga più acuta della suoneria del telefono, che stava ancora inspiegabilmente suonando. “Che diavolo ti è preso?”

Si è inginocchiata raccogliendo lo smartphone dal pavimento. “Il mio telefono…”

Si è arrestata bruscamente. Ha osservato lo schermo attraversato da mille venature prima di tornare a guardarmi con un’espressione completamente diversa.

“Oh Vegeta” ha detto in modo poco promettente. Si è alzata in piedi, mordendosi il labbro inferiore “Non avevo capito che…”

Ho grugnito e sono andato ad allenarmi.

 

*

Tre giorni dopo avevo una tuta da combattimento nuova, ma non ho capito se le due cose fossero collegate.

 

*

Una settimana dopo è ricomparso lo sfigato. Lei non lo ha fatto entrare in casa. Gridava e piangeva. Lui ha cercato di prenderla per le braccia per parlare civilmente, ma lei lo ha spinto. Lui ha detto qualcosa a bassa voce e lei si è incazzata ancora di più. Io odio le persone che urlano.

Sono uscito dalla gravity room, asciugandomi il collo con un asciugamano. Si sono immobilizzati entrambi. Mi sono fermato anch’io, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. Non ho capito se mi stessero guardando male, quindi nel dubbio ho chiesto se ci fosse qualche problema. “No, nessun problema” ha risposto la terrestre femmina, facendosi più vicina.

Lo sfigato è risalito in macchina e se n’è andato.

“Grazie” ha detto lei, rilasciando rumorosamente il respiro.

Si è tirata indietro i capelli e ha scosso il capo. “Non so che quali fossero le sue intenzioni… io…vieni, ordiniamo una pizza” ha mormorato, precedendomi in cucina. Lo smartphone di nuovo in mano. “I miei sono via. Staranno via per le prossime due settimane. Mia madre ha convinto mio padre a prendersi una vacanza… vanno in un’isola caraibica. Per lui sarà un incubo” è andata avanti a parlare, mentre faceva scorrere il dito sullo schermo del suo cellulare nuovo.

“Ti prendo il solito?”

Ho grugnito, ma doveva essere una risposta soddisfacente perché lei poco dopo disse che aveva completato l’ordine.

Si è seduta sul nuovo tavolo della cucina e ha posato il telefono. Mi ha guardato per qualche istante studiandomi a fondo. Un po’ come le sue amiche quando mi avevano visto dopo l’allenamento e io non mi sono sentito improvvisamente a mio agio.

“Hai una ragazza?” mi ha chiesto all’improvviso.

Ho sbuffato.

Lei ha arcuato le sopracciglia, muovendo piano le gambe a penzoloni. Si è morsa il labbro inferiore e poi ha atteggiato le labbra in un sorriso che mi ha fatto fare qualcosa di strano allo stomaco. “Nemmeno una? Io credevo che… avessi una ragazza su ogni pianeta.”

Ho risposto che avevo un intero cimitero intitolato a mio nome su ogni pianeta. Lei ha ignorato la mia affermazione.

“Come sono gli appuntamenti alieni? Cosa fai quando vuoi corteggiare una donna?” mi ha chiesto poi.

Ho risposto che non ho bisogno di corteggiare le donne. Tutte le donne sono sempre state liete di soddisfare ogni mio desiderio senza che io dovessi fare nulla per conquistarle.

Lei ha gettato la testa all’indietro ed è scoppiata ridere. “Non è troppo facile così? Insomma, tu sei un guerriero… non ha più senso per te la caccia… il non sapere se riuscirai a catturare la tua preda… la sfida” ha detto, abbassando la voce in un sussurro. È scesa dal tavolo e si è avvicinata. La maglietta troppo corta le lasciava scoperta una parte di addome.

Il suo profumo mi ha invaso le narici. C’era qualcosa di piacevolmente inebriante nel suo odore.

“Che cosa faresti per conquistare me, ad esempio?” ha detto, guardandomi negli occhi.

Ho deglutito a vuoto.

Lei è indietreggiata di un passo. “Oddio, scusa” ha detto, nascondendo il viso tra le mani “Non so che cosa mi sia preso. Ogni tanto mi si attiva l’atteggiamento troia e non so più quello che dico…”

Ha allungato una mano verso di me e mi ha accarezzato la spalla.

“Scusami” ha detto di nuovo. “Sto peggiorando le cose… per te… e non vorrei che le cose diventassero… sai… strane tra di noi. Amici?”

Le ho detto che noi non siamo amici. Non potremo mai essere amici. Lei è sembrata ferita per un attimo. “Hai… hai ragione, Vegeta. Scusami, io non… non volevo darti false speranze. Non succederà più.”

E poi è andata ad aprire la porta di ingresso. Era arrivato il ragazzo con le pizze.

 

Il giorno dopo c’erano tre sacchetti di cose in saldo. Per me.

 

***

Un’altra cosa che non capisco è lo strano rapporto con la macchina. La terrestre dai capelli blu è senza ombra un’ottima scienziata, ma ha la tendenza di riempire la sua macchina di stupide cose inutili. Come stelle e girasoli e altre cose insignificanti.

Avevo rotto tutti i droni in un’unica sessione di allenamento. Ero entrato in casa e avevo sbraitato che avrebbe dovuto aggiustarli subito perchè l’indomani mattina volevo riprendere al più presto l’allenamento. Solo silenzio. In cucina un biglietto che diceva che mi aveva lasciato la cena nel forno.

Ho perlustrato la casa, assicurandomi che non fosse da nessuna parte.

Ho infilato quello che restava dei droni in una borsa e mi sono messo in volo. Riuscivo ancora percepire il suo KI, seppur vagamente. L’ho seguita, individuando quella sua stupida macchina decappottabile a pochi chilometri dalla Capsule Corp. Mi sono fermato a mezz’aria e lei ha dovuto frenare di colpo per non investirmi e sfasciare la sua preziosa vettura.

“Vegeta” ha detto, portandosi una mano al petto. Si è appoggiata al volante, riprendendo fiato. Per fortuna la strada era deserta o avrebbe causato un incidente con le sue scarse abilità di guida.

Le ho detto che i miei droni erano rotti.

Ho aspettato che lei si mettesse al lavoro immediatamente ma lei si è limitata a guardarmi.

“Sei venuto a cercarmi” ha detto.

Ho annuito. Certo che sono andato a cercarla. Stupida donna. Non aveva capito che i miei droni erano fuori uso?

“Stavo per fare una stupidaggine. Lui… avrei dovuto dirgli di no subito” ha aggiunto.

Per me le sue parole non avevano alcun senso.

Lei ha scosso la testa e mi ha fatto cenno di avvicinarmi. Mi sono seduto sul sedile del passeggero e ho aspettato che lei rimettesse in moto. Ha fatto inversione, ma invece che tornare verso la Capsule Corp. ha puntato verso la zona collinare. Ha imboccato una strada sterrata e si è fermata a riparo di un gruppo di alberi. Si vedeva tutta la città, le luci si estendevano per miglia e miglia. Anche a quella distanza, quelle della Capsule Corp. erano facilmente riconoscibili.

Bulma si è slacciata la cintura e si è voltata verso di me. Ha esitato un istante prima di premere un pulsante che faceva tornare alla sua posizione originale la capote dell’auto.

“Continuo a ringraziarti ultimamente” ha detto, allungando un braccio verso di me. Le sue dita si sono soffermate sulla mia nuca e io ho avvertito un brivido. Probabilmente era solo il freddo.
“Sembra che tu ci sia sempre quando ho bisogno di te” ha sussurrato, prima di sporgersi verso di me e di baciarmi. Le sue labbra sapevano di buono… e il suo profumo saturava così tanto l’abitacolo da farmi dimenticare l’allenamento e i droni.

L’ho afferrata per la vita e l’ho trascinata sulle mie gambe. Lei ha emesso un gemito, circondandomi il collo con entrambe le braccia. Si è mossa su di me e ha fatto scorrere le mani suo mio petto. Poi si è scostata per guardarmi. Entrambi avevamo già il respiro affannato.

“Pomiciamo e basta”

Ho detto okay, prima di riprendere a baciarla. Ho fatto scivolare tentativamente il palmo lungo la sua camicetta e mi sono soffermato sul suo seno, pronto a sentirla urlare, ma lei si è stretta ancora di più a me. Le sue mani hanno afferrato il poggiatesta dietro di me.

Forse era passato un po’ troppo tempo dall’ultima volta… E con tutte le volte che l’ho vista in giro mezza nuda… sono mesi che mi tortura…

Mi sono costretto a far finta di nulla, ma…

Ho iniziato a baciarle il collo, chiudendo la mano sul suo seno. Lei ha emesso un gemito roco proprio accanto al mio orecchio. Le ho sbottonato la camicetta, accarezzandole poi la pelle calda. Lei ha singhiozzato di nuovo, muovendosi sulla mia erezione intrappolata dai pantaloni. Non sapevo esattamente che cosa volesse dire pomiciare, ma avevo la sensazione che stavamo per fare qualcosa in più di quello.

Ho ringhiato contro il suo collo, cercando il modo di annullare la distanza tra di noi, malgrado i vestiti… e l’abitacolo scomodo. Cazzo, sono un Saiyan e sono stato costretto a pomiciare in una cazzo di macchina terrestre.

Ho fatto scivolare le mani sulla sua schiena, accarezzandole la pelle calda. Lei si è mossa ancora, cercando di più… le sue dita tra i miei capelli… le sue labbra che sussurravano il mio nome… Ho slacciato il reggiseno con due dita e lei si è tirata indietro con un Oh.

Si è guardata il petto e poi si è coperta velocemente con le braccia. Le sue guance stavano andando a fuoco. Per la cronaca, l’ho già vista più nuda di così.

“Vegeta!” ha strillato, scivolando poi al posto di guida. “Vedo che sei un professionista”

A slacciare i reggiseni… beh… Mi sono abbandonato contro il sedile espirando a fondo. La mia erezione premeva dolorosamente contro il tessuto dei pantaloni.

La terrestre si è messa velocemente a posto i vestiti, anche se ero riuscito a lanciare un’occhiata al suo reggiseno di pizzo azzurro e alla porzione abbondante di pelle scoperta. Il suo seno mi riempiva completamente la mano… è una cosa che…

Ho stretto le mani a pugno, serrando forte gli occhi. Lei ha messo in moto e ha percorso la strada a ritroso fino alla Capsule Corp. È scesa senza rivolgermi la parola e si è diretta verso casa. Sulla soglia si è fermata, girandosi verso di me. Io avrei voluto dirle che i miei droni erano rotti, ma non mi sembrava dell’umore adatto.

Si è scostata i capelli dal viso, prendendo un respiro profondo. “Non ricapiterà” mi ha avvisato. Poi si è girata ed è andata in camera sua.

Il giorno dopo c’erano molte borse con cose in saldo in giro per casa. Nemmeno una era per me.

I droni erano ancora rotti.

 

***

Oltre a controllarlo in maniera compulsiva, le terrestri parlano con lo strano aggeggio che chiamano smartphone. Accostano la bocca al microfono e parlano, ma non c’è nessuno dall’altra parte che risponde, perchè dicono un paio di frasi e poi riattaccano senza aspettare la risposta. Ho cercato di capire che usanza fosse, ma non sono sicuro di averla compresa.

La mia terrestre in realtà rimane lì a parlare senza interruzione per minuti interi. Dopo un po’ accosta lo smartphone all’orecchio e ascolta la risposta, credo. Ma non c’è mai uno scambio… solo questi lunghi monologhi.

Tu pensi che ti stia parlando e invece…

Stavo per rientrare dopo l’allenamento, quando ho sentito la sua voce provenire dal bordo piscina. Ho impiegato un secondo per capire che in effetti fosse sola e che stava di nuovo parlando con l’aggeggio infernale.

Ho aspettato che smettesse di parlare prima di palesare la mia presenza.

Mi sono tolto la maglietta e mi sono avvicinato alla piscina.

La terrestre mi ha guardato da dietro gli occhiali da sole. Aveva addosso un costume rosso, che mostrava molte più parti di quelle a cui sono riuscito dare un’occhiata io, ma in qualche modo sembrava accettabile che lei lo indossasse all’aperto senza problemi.

Ho gettato la maglietta su una sdraio e poi mi sono infilato sotto la doccia. Già una volta mi sono buttato in piscina sudato e le sue urla mi rimbombano ancora nel cervello.

L’ho sentita trattenere il respiro. Sono entrato in acqua e ho fatto un paio di bracciate. L’acqua era fresca. Mi sono appoggiato al bordo e ho fissato lo sguardo su di lei.

Lei si è morsa il labbro inferiore. Potevo sentire il suo profumo anche da quella distanza.

Profumava di buono e di sole… me lo sono sentito addosso per giorni dopo l’affaire della macchina…

Mi ha guardato ancora per una manciata di secondi, ho sentito la sua indecisione… avrebbe voluto raggiungermi in piscina ma qualcosa la tratteneva. Alla fine, ha raccolto le sue cose e si è diretta velocemente verso la casa.

Ho emesso un ringhio, issandomi fuori dalla piscina. Erano giorni che mi evitava. Aggiustava puntualmente anche i droni in modo che io non avessi scuse per fare irruzione in laboratorio.

L’ho chiamata per nome, ma lei ha proseguito senza girarsi. Stavo per afferrarla per un braccio, quando lei si è voltata verso di me. “Devi smetterla, Vegeta” ha detto. Io mi sono immobilizzato. L’acqua grondava dal mio corpo, formando una pozza sul pavimento.

L’ho sentita trattenere il fiato. Le sue guance si coloravano di rosso. “Noi… noi dobbiamo smetterla. Io non sono il tipo, okay?” ha detto, la sua voce era ridotta a un sussurro. “Non… non vado a letto con gli uomini tanto per andarci a letto. Ci sono persone che riescono a fare sesso, senza coinvolgimento… io non…”

Ha scostato lo sguardo, sbattendo un paio di volte le palpebre. Non capivo se si stesse vergognando. “Andiamo a letto insieme. Poi tu non… tra di noi non funziona, ma tu devi rimanere comunque qui per combattere i cyborg. Complicheremmo troppo le cose.”

Le ho risposto che è stata lei a saltarmi addosso.

Lei si è morsa di nuovo il labbro inferiore. “Lo so. Mi dispiace. È stato stupido, soprattutto sapendo quello che tu… insomma, so di piacerti” ha detto.

Ho aggrottato le sopracciglia. Le ho detto che lei non mi piace.

Lei ha sorriso. Il suo sorriso prima o poi mi ucciderà. “Non essere sciocco. È ovvio che io ti piaccia… lo vedo come mi guardi”

Solo perché va in giro mezza nuda

“E sei sempre lì per me… dopo la rottura con Yamcha, dopo tutti quegli appuntamenti disastrosi… tu sei sempre stato lì per me.”

Io non ero lì per te. Io ero in cucina a mangiare e ho sopportato la tua fastidiosa presenza pur di cibarmi.

“E sei così geloso… il telefono rotto mentre telefonava Yamcha, l’altra sera… quando stavo andando da lui e tu ti sei precipitato a fermarmi… “

La terrestre ha smesso di parlare, scuotendo appena la testa. Si è sollevata sulle punte e mi ha dato un bacio sull’angolo della bocca. “Grazie, Vegeta, per aver lasciato che io vedessi questo lato di te…” ha sussurrato, prima di scostarsi.

L’ho guardata rientrare. Non avrei saputo che cosa rispondere.

 

***

Vorrei poter dire di essere un guerriero a cui basta mangiare, bere e allenarsi, ma dopo mesi trascorsi sulla Terra ho iniziato ad annoiarmi. Il mio corpo si è assuefatto agli allenamenti intensivi di tutti i giorni. Alla sera non ero così stanco da cadere sfinito sul letto.

Ho iniziato a esplorare i dintorni della Capsule Corp. in lunghi voli in solitaria. Poi ho beneficiato delle bellezze di una vita agiata, concedendomi nuotate in piscina e poi ho scoperto il valore di rilassarsi su un divano comodo, mangiando gelato.

Ero coricato sul divano, un braccio piegato dietro la testa, il barattolo del gelato vuoto posato sul tavolino. Ho sentito il suo profumo. Il rumore dei passi. Era a piedi nudi, come sempre in casa. Lei è comparsa vestita solo della maglietta oversize, una ciotola di gelato in mano. Subito mi è tornato l’appetito… per entrambi. Si è fermata un attimo sulla soglia, indecisa su cosa fare. Ha preso un respiro profondo e si è seduta dall’altra parte del divano. Le lunghe gambe rannicchiate contro al petto.

Ha acceso la TV su un canale a caso. Io la guardavo abbastanza intensamente per metterla a disagio. Non l’ho toccata. Non ho fatto nulla, a parte guardarla. Dopo un paio di minuti, lei ha sbuffato, posando la coppetta sul tavolino e voltandosi verso di me.

“Cosa?” ha detto sgarbata.

Mi sono stretto nelle spalle. La terrestre ha alzato un po’ il volume della TV riprendendo a mangiare il gelato. Dopo un paio di cucchiate è tornata a lanciarmi un’occhiata.

“Te ne puoi andare? Sto cercando di rilassarmi dopo una giornata difficile”

Non ho risposto, allungando una mano per prenderle un piede. Lei è trasalita ma non si è scostata. “Che stai facendo?” ha detto, la mia mano che percorreva la sua pelle fresca in una carezza invitante. Lei ha emesso un piccolo sospiro, abbandonandosi contro i cuscini del divano. La maglietta è risalita lungo le sue cosce, lasciando scoperta una porzione invitate di pelle.

“Vegeta, ti prego… vai in camera tua” ha sospirato, diventando sempre più languida alle mie carezze. Ho fatto scorrere Il palmo sul il dorso del suo piede, salendo poi verso la caviglia.

Ho risposto che se voleva che me ne andassi, poteva sempre spostarmi.

Lei ha spinto il piede contro la mia gamba, sfuggendo alla mia presa. “Puoi restare. Ma tieni le mani a posto” mi ha avvertito, tirandosi più giù la maglietta. Ha finto di concentrarsi di nuovo sulla TV, prima di lanciarmi un’occhiata.

“Che cosa facevi di solito? Sai… quando eri uno dei mercenari di Freezer. Come passavi il tempo?”

Mi sono stretto nelle spalle, dicendo che ammazzavo quanta più gente possibile e terrorizzavo tutti gli altri. Lei ha sbuffato. “Non avevi mai del tempo libero?”

Mi allenavo. Non c’era altro. “Non avevi amici… gente con cui… sai, uscire? Andare a bere qualcosa?”

Ho detto che gli amici sono patetici, che non ero interessato a quel genere di cose.

Lei ha inclinato la testa, guardandomi. “Quindi, io sono la tua prima amica?” ha chiesto.
Ho ringhiato che noi non potremmo mai essere amici. Lei ha incurvato le labbra nel sorriso furbo che mi fa sempre incazzare. “Se non hai mai avuto amici, come fai a essere sicuro che noi due non lo siamo? Passiamo del tempo insieme… ci preoccupiamo l’uno per l’altra… mangiamo il gelato perfino dalla stessa ciotola” ha detto, indicando il cucchiaio che avevo in mano. Beh, lo aveva lasciato incustodito sul tavolino…

Ho replicato che essere suo amico non rientrava nelle mie priorità. Lei ha giocherellato con il bordo della maglietta, mordendosi il labbro inferiore. “Allora, cosa lo è?” ha detto. Stavo per rispondere battere Kakarot, massacrare i cyborg, diventare Super Saiyan, ma il suo tono era… non era quello che voleva sapere.

Mi sono allungato sul divano, avvicinandomi. Lei si era fatta impercettibilmente più piccola. I suoi occhi incredibilmente azzurri erano capaci di rendere i miei pensieri confusi.

Erano dello stesso colore di alcuni laghi dall’acqua pura. Il suo piede si è appoggiato contro la mia gamba. Ero tentato di toccarla ancora, ma lei si sarebbe ritratta. Mi sono limitato a sovrastarla con la mia presenza, il mio calore si riverberava sul suo corpo. Potevo quasi percepire il battito del suo cuore che si era fatto più veloce.

“Vegeta” ha sussurrato. “Mi…”

La sua voce ha vacillato mentre posava le mani sulle mie spalle. Le ha fatte risalire lentamente fino al mio collo, sporgendosi verso di me.

“Mi… inviteresti ad uscire?” ha sospirato. Le sue gambe posizionate ai lati del mio corpo. Le mie mani affondavano nel cuscino dietro di lei. In quel momento avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto, quindi ho risposto di sì. Lei mi ha sfiorato le labbra con le sue, un tocco leggero che ha fatto nascere un ringhio nelle profondità del mio petto.

Ho afferrato la sua vita con un braccio, trascinandola sotto di me. La mia bocca sulla sua. Le mani che si facevano strada sotto la maglietta leggera, toccando quanta più pelle nuda riuscissi ad arrivare. La mia erezione che premeva contro di lei…

Lei si è contorta sotto di me, le sue gambe agganciate ai miei fianchi. La sua bocca sapeva di buono… di gelato al caramello salato.

“Tesoro”

“Cazzo” ha mormorato, dandomi una violenta spinta all’indietro e lanciandomi giù dal divano. Si è tirata giù la maglietta fino a coprirsi le ginocchia, mentre la madre terrestre entrava nella stanza con un piatto pieno di biscotti.

“Li ho appena sfornati” ha detto, posando il piatto sul tavolino. Deve aver percepito qualcosa nell’aria perchè ha osservato prima me poi la figlia. “Va tutto bene?” ha domandato esitante.

“Sì”, ha detto Bulma, la voce un po’ più stridula rispetto al solito. “Vegeta stava facendo l’idiota” ha aggiunto per suonare più convincente.

La terrestre madre mi ha guardato con disappunto. “Non litigate” ci ha ordinato, prima di uscire.

Io ho lanciato un’occhiata alla mia terrestre, ma lei ha sollevato un sopracciglio piena di disappunto. “Non provarci neanche. Potrebbe tornare da un momento all’altro”

Si è alzata, le labbra strette in una linea sottile. “Domani sera. Niente divisa da combattimento. Scelgo io il posto.”

Mi sono chiesto di che diavolo stesse parlando. Lei si è chinata verso di me, il suo respiro contro il mio orecchio. “Ti piacerà… te lo prometto” ha sussurrato.

Io ho cercato di afferrarla per farla sedere sulle mie gambe ma lei è stata veloce a sottrarsi. Avrei potuto sopraffarla fisicamente, ma lei non… non me lo avrebbe permesso. L’avrei solo fatta incazzare.
Mi ha sorriso mentre indietreggiava verso la porta e poi usciva.

 

 

 

***

Le donne terrestri hanno una strana concezione della privacy. Io non posso entrare nella camera della terrestre dai capelli blu, non posso sedermi a bordo piscina se lei è lì con le sue amiche, perché devono parlare, non posso nemmeno passare nella stessa stanza se lei sta parlando con lo smartphone. Lei, però, può fare irruzione in camera mia.

“Vegeta” ha strillato. Mani sui fianchi. “Ti ho aspettato di sotto per venti minuti e non sei nemmeno vestito.”

Certo che non sono vestito, sono appena uscito dalla doccia.

Lei ha espirato profondamente, pronta per un nuovo round di strilli. “Vestiti. Subito. Sai quanto…”

Ho lasciato cadere l’asciugamano che era assicurato alla mia vita. Lei si è zittita. Mi ha guardato. Mi ha guardato molto bene. Si è coperta gli occhi con le mani, la sua faccia stava andando a fuoco.

“Ma che stai facendo?” ha gridato ancora più forte.

Me l’ha detto lei di vestirmi.

Lei ha indicato un paio di borse in un angolo della stanza con un dito, l’altra mano copriva ancora gli occhi.

“Ti ho preso dei vestiti nuovi” ha detto.

Ho tirato fuori dalla borsa un paio di pantaloni e una camicia, che difficilmente sarebbero stati utili durante un combattimento. Non offrivano alcun tipo di protezione e impacciavano nei movimenti. Ho detto che non li avrei indossati.

Lei ha distanziato un po’ le dita per guardarmi di nuovo. Non so cosa l’abbia turbata, ma si è affrettata a richiuderle. “Sei ancora nudo” ha constatato. “Va bene” ha esalato “Ti spiego come funzionano le relazioni qui sulla Terra. Due persone si conoscono, si piacciono, decidono di uscire insieme … fare insieme cose… andare a cena fuori, al cinema… fare attività che consentano loro di conoscersi ancora meglio per capire se sono compatibili… se si piacciono ancora, dopo essersi conosciuti meglio, portano la relazione su un piano più fisico…e poi se si piacciono ancora… non so, vanno a vivere insieme… cose così…”

Si è azzardata a lanciarmi un’occhiata. “Hai capito che cosa ti ho detto?”
Ho scrollato le spalle. Ho risposto che noi passiamo già del tempo insieme, che mangiamo insieme tutti i giorni…

Mi sono avvicinato. Lei ha continuato a guardarmi. Le ho sfiorato la vita con le dita. Indossava un vestito leggero… troppo leggero, come al solito. La stoffa era scivolosa sotto al mio tocco… faceva venir voglia di strapparla per poter accarezzare la pelle calda.

Ho percorso la sua vita con le dita, facendo poi aderire il palmo alla base della sua schiena. Lei stava trattenendo il respiro.

Ho detto che noi abbiamo già portato la nostra relazione su un piano più fisico. Mi sono chinato per sfiorarle il collo con la bocca. Lei ha emesso un gemito, stringendosi di più a me. Ho fatto scivolare una mano al di sotto della sua gonna. Molto corta.

Ho detto che noi stavamo già vivendo insieme.

“Non… vivono insieme come noi” ha sussurrato, arcuando leggermente la testa all’indietro per darmi libero accesso al suo collo. Le mie dita sono risalite fino alle mutandine di pizzo. Altri gemiti di piacere.

“E se…” ha iniziato, mentre seguivo la scollatura del vestito con le labbra. Ho fatto scivolare le spalline sottili dalle sue spalle, scoprendo più pelle e baciando il seno al di sopra del reggiseno. “E se poi litighiamo?” ha detto, il respiro le usciva in ansiti rochi.

Le ho risposto che noi litighiamo già continuamente.

“Ma se… se litighiamo così tanto da non volerci più vedere” ha aggiunto, mentre le mie dita scostavano il bordo delle mutandine e iniziavano ad accarezzarla. “Se… tu dovessi incontrare un’altra. O io un altro.”

Le ho detto che lo avrei ammazzato. Il vestito è caduto a terra in una pozza di porpora. Lei ha sussurrato il mio nome. Mi sono inginocchiato di fronte a lei e ho percorso il suo addome con le labbra. Le mie mani che esploravano il suo corpo, sentendola rabbrividire sotto il mio tocco.

“Ma se non funzionasse…”

Le ho risposto che non l’avevo mai vista non far funzionare qualcosa. Lei si è morsa il labbro inferiore, appoggiandosi di più contro di me. Ho abbassato il bordo delle sue mutandine continuando a baciarla. La sua pelle sapeva di buono.

“Se tu volessi qualcosa non complicato, senza impegno, io…”

Mi sono scostato per guardarla. Lei ha aperto gli occhi, il respiro accelerato.

Le ho chiesto se credesse davvero che con lei potesse essere una cosa non complicata. Lei si è morsa di nuovo il labbro. Le ho chiesto se credesse davvero che con me potesse essere una cosa non complicata.

Lei ha scosso la testa. Ho incurvato le labbra in un mezzo sorriso.

“Ora basta domande” ho detto, facendo scivolare le mutandine lungo le sue gambe.

 

*

Le donne terrestri sono insolitamente languide e affettuose dopo essersi accoppiate. Forse è una reazione chimica che scatta nel loro corpo. Le stavo accarezzando la pelle nuda della schiena, quando si è sollevata su un gomito per potermi guardare in viso.

“Lo credi davvero? Quello che hai detto prima…”

Ho accostato la bocca al suo orecchio e le ho detto che avrei davvero potuto farglielo…

Lei ha riso, colpendomi una spalla. “Non quello! Intendevo… della cosa complicata”

Mi sono coricato di nuovo sul materasso. Le ho detto che non saprei come potrebbe essere non complicato tra di noi. Sono un alieno, come dice lei, ma non sono completamente stupido.

Lei mi ha sfiorato la mandibola con la punta delle dita. “E ti va bene ugualmente?”

L’ho afferrata per la vita e l’ho attirata sotto di me. Gli occhi azzurri mi fissavano con aspettativa. Ho risposto di sì.

“Le cose non complicate mi annoiano” ho sussurrato. Le mie mani si muovevano sul suo corpo. Lei ha sospirato languidamente. L’ho baciata profondamente, prima di scostarmi. Le ho detto che c’era solo una cosa che non capivo.

“Cosa?”

“Che diavolo sono le cose in saldo?

   
 
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