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Autore: GiunglaNord    12/12/2021    3 recensioni
1° Capitolo della serie: "Tienimi le mani, non annegherai".
La Vigilia di Natale è un momento magico che inevitabilmente colpisce il cuore di ciascuno di noi. La Vigilia di Natale scandisce il passare del tempo: si contano le persone rimaste, quelle che sono andate avanti o rimaste indietro. Si ricordano volti gentili, mani amorevoli, ma anche momenti che avresti preferito non vivere, anni che avresti voluto non percorrere. Sebbene in questo periodo dell'anno ci venga imposto di essere felici, è un nostro sacrosanto diritto scivolare nell'inquietudine e nella malinconia, perché la Viglia è un tempo magico e se la magia praticata sia buona o cattiva spetta solo a noi determinarlo. Così accade anche a Hermione Granger nella notte di Natale del 1998, un anno terribile, pieno di dolore e perdite. All'inizio della nostra storia, Hermione non sa cosa farsene di quella magia: se ne sta seduta a contemplare la neve cadere. Tuttavia i ricordi di alcune vigilie passate la condurranno per mano verso...questo scopritelo da soli, scartando uno dopo l'altro i piccoli regali che vorrei dedicare a ciascuno di voi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tienimi le mani, non annegherai'
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Capitolo 1.
 
Remembrance, like a candle, burns brightest at Christmastime.
I ricordi, come le candele, bruciano di più nel periodo natalizio.
(Charles Dickens)
 
La neve scendeva copiosa, rilucendo contro la notte. Danzava lieve per poi posarsi a terra, dove aliti di vento gelido la risospingevano in aria per qualche secondo prima di farla tornare nuovamente al suolo. Sembravano giocare, il vento e la neve, o perlomeno così aveva sempre pensato Hermione da piccola, quando con i suoi genitori andava a sciare sul continente.
Partivano subito dopo Natale per poi tornare in tempo per la ripresa della scuola: così per dieci anni. Poi, improvvisamente, tutto era cambiato e quei momenti così intimi, così familiari, erano quasi svaniti.
Quando Hermione Granger aveva varcato la soglia del mondo magico sapeva di aver trovato un grande tesoro; quello che allora non aveva compreso era che, nel bene e nel male, avrebbe dovuto dire addio ad una parte di sé.
Non l’aveva mai rimpianta troppo in fin dei conti, anche perché non ne aveva avuto il tempo impegnata com’era a tentare di tenere in vita Harry Potter, ma adesso quella mancanza si faceva sentire e con una certa dose di dolore, ad essere sincera.
Probabilmente gran parte di quel male era dovuto al fatto di non essere riuscita ancora a rintracciare i suoi genitori, persi da qualche parte in Australia, senza alcun ricordo di lei.
Ed ecco che allora osservare la neve inscenare il suo grazioso spettacolo le provocava un malessere sordo, incastrato malamente da qualche parte sotto lo sterno.
Era la vigilia di Natale del 1998, il primo Natale dopo la fine della Seconda Guerra Magica.
 
Hermione sospirò pesantemente, stringendosi le ginocchia con le braccia e continuando ad osservare quei minuti cristalli di ghiaccio seduta sul largo davanzale della finestra nella sua stanza da Caposcuola.
Sentiva tutto il peso di quella vigilia schiacciarle il petto e non poté impedirsi di lasciar scivolare una piccola lacrima sulla guancia.
Aveva rifiutato con gentile fermezza l’invito di Molly ad andare alla Tana, così come si era sperticata per giorni a far valere le sue ragioni con Ron, Ginny e Harry.
Alla fine, di fronte alla sua pacata ostinazione, avevano desistito non senza un certo carico di tristezza.
Aveva scritto a Molly una lunga lettera nella quale cercava di motivare la sua scelta, ma dubitava di esserci riuscita, perché, in fondo, non ne comprendeva bene le ragioni neanche lei.
Probabilmente era solo paura, una vigliacca paura. Non voleva vedere quel posto vuoto a tavola, lo sguardo perso di George, gli occhi rossi di Molly e le sue mani che tremavano davanti alla dolorosa abitudine di apparecchiare anche per Fred. Non avrebbe potuto sopportare di guardare Arthur prenderla per le spalle e mormorarle deboli parole di conforto. Il dolente stupore dei fratelli Weasley che ancora non erano riusciti a lasciare davvero andare un pezzo del loro cuore nella nostalgia del tempo e lo sguardo colpevole di Harry.
Aveva avuto davanti agli occhi quella scena per lunghi mesi e non si sentiva più in grado di farvi fronte, dispensando amorevole vicinanza a chiunque ne avesse bisogno.  Si sentiva  svuotata come una zucca ad Halloween e in procinto di accartocciarsi su se stessa, stremata.
Meglio rimanere a Hogwarts da sola, con quei pochi che avevano deciso di fare ritorno, con coloro che, come lei, non avevano più una famiglia da chiamare casa.
Era evidente che i pochi studenti che avevano scelto di rimanere a scuola erano ragazzi che avevano perso molto, troppo, durante la guerra. Giovani i cui genitori erano periti nelle rappresaglie dei Mangiamorte, giovani i cui genitori avrebbero passato quella malinconica vigilia in prigione. La maggior parte di quest’ultimi appartenenti alla casa di Serpeverde.
Sospirò nuovamente.
Non pensava che il loro dolore avrebbe fraternizzato con il suo.
Quell’angoscia la poteva vedere ogni giorno sui volti corrucciati, nelle pieghe della bocche che una volta erano state arroganti e che ora invece sembravano non sapere più neanche piegarsi in un sorriso.
Il loro smarrimento arrivava a lei attraverso occhi bassi e passi svelti.
Anche alcuni Cornovero e Tassorosso ostentavano quella triste medaglia.
Che lei si fosse unita a quella schiera di vinti aveva dell’incredibile.
 
Un turbinio di fiocchi davanti alla finestra le fece sbattere forte le palpebre e fu come cadere in un pensatoio ricolmo di ricordi, i suoi.
 
Una piccola Hermione correva accaldata, le guance rosse e gli occhi ardenti verso… i suoi amici. Quella vigilia le aveva regalato un bene prezioso, che non aveva mai realmente posseduto. Troppo intelligente, troppo integerrima, troppo strana per avere delle amicizie nel mondo babbano. Troppo insicura per poter lasciare andare quel muro di saccenteria contro il quale gli altri bambini si scontravano bruscamente.
E anche lì, nel suo vero mondo, aveva rischiato di rimanere sola, intrappolata nelle sue origini non conformi, nelle sue capacità così vivaci, nel suo orgoglio.
C’erano voluti un Troll di Montagna e un mostruoso cane a tre teste per sbriciolare il suo guscio e farsi vedere agli altri per quello che era realmente: una bambina coraggiosa e immensamente generosa. E i suoi regali erano stati raccolti da due bambini strani, diversi. Come lei.
Era felice. Felice di sentirsi finalmente parte di qualcosa, di appartenere a qualcuno, di essere necessaria a qualcuno.
La vigilia di Natale del 1991 le aveva insegnato il potere salvifico dell’amicizia.
Era tornata a casa dei suoi genitori con il cuore traboccante di gioia e novità. Una nuova vita da spiegare a mamma e papà.
 
Hermione si mosse a disagio, un po’ arrabbiata con quella bambina che era tornata a casa contenta, ma  che fremeva per ritornare indietro. Se avesse saputo che quello sarebbe stato l’ultimo Natale passato con la sua famiglia, forse avrebbe fatto di tutto per non perdersi neanche un minuto di quella effimera fortuna.
Mordendosi le labbra per non piangere, seguì con il dito un ghirigoro di ghiaccio formatosi sulla finestra. Splendeva come un piccolo diadema. Un innocente gioiello che la condusse in un altro ricordo.
 
Una ragazza si guardava allo specchio incredula: una Hermione splendente la salutava dallo specchio, con un sorriso speciale a ornarle il volto. Stava diventando una donna e non se n’era mai accorta prima di allora. I contorni del suo viso avevano perso la morbidezza tipica della fanciullezza per lasciarle contorni più decisi e uno sguardo più consapevole. Il corpo, rivestito di seta rosa, mostrava i segni del passare del tempo, con quelle curve appena accennate e quel seno ancora acerbo.
Anche il suo cuore suonava una musica diversa, più accelerata e caotica del solito.
La vigilia di Natale del 1994 le aveva regalato un sogno romantico che, qualche ora prima, era sfumato in un sogno appena più ardente a causa di un bacio rubato sulle rive ghiacciate del Lago Nero. Quella vigilia di Natale le aveva elargito il suo primo batticuore e la lusinga del corteggiamento. Un sogno reso meno luminoso da quel retrogusto amaro per non essere stata considerata degna di nota da un certo amico che la sapeva rendere infinitamente felice, ma anche infinitamente furibonda.
La giovane Hermione di allora non poteva sapere che quel Natale avrebbe segnato l’inizio di un periodo buio e tempestoso, dove quel canto accelerato e caotico sarebbe spesso passato in secondo piano: in quel momento niente poteva offuscare l’emozione di vedersi e sentirsi bella.  A quindici anni, anche se sei la strega più brillante della tua età, a volte sentirsi all’altezza è tutto ciò che conta. 
Volteggiare, ammirata da tutti, insieme a Victor l’aveva colmata di una leggerezza che non aveva mai provato, che non si era mai concessa. Si sentiva inebriata, come se invece di succo di zucca stesse bevendo costoso vino elfico.
 
Ma quella sensazione durò poco: la morte di Cedric decretò la fine dell’innocenza.
Il male esisteva e li stava cercando freneticamente.
Hermione ora lo sapeva: quando il male ti tocca, ti lascia una ferita sempre aperta. Ti lascia una cicatrice che prude e si spacca e un cuore un poco più nero e malandato.
 
 
   
 
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