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Autore: Nat_Matryoshka    13/12/2021    0 recensioni
"Si ferma un attimo, come per cercare le parole adatte. Vorrebbe sfiorarle una spalla, ma sente che è un momento privato che Valka ha deciso di dedicarle perché si fida di lei."
[Assassin's Creed: Valhalla | Eivor Varinsdòttir/vari personaggi]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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28. Notte stellata




“Non guardo le stelle da troppo tempo… forse da quando ero piccola.”

La voce di Eivor spezza il silenzio della notte, coprendo per un attimo lo scroscio morbido dell’acqua della cascata. Valka le fa strada, anche se non serve: ormai la conoscono bene entrambe. I rumori del villaggio si affievoliscono in lontananza man mano che raggiungono il rifugio e la notte si fa più fonda e impenetrabile, ma non più spaventosa. Poche cose sono ancora in grado di spaventarla, dopo una vita di battaglie come la sua.
Un rapace notturno grida qualcosa in una lingua che ancora non comprendono, e Valka distende una pelliccia sulla roccia bianca davanti a loro. Quando alza la testa cercando Eivor, la trova già persa a fissare il cielo.

“È stata mia madre ad insegnarmi le costellazioni. All’inizio ero felice anche solo per la possibilità di stare alzata fino a tardi insieme a lei… ma con il tempo ho imparato a conoscerle. ‘Ti aiuteranno quando andrai per mare’, mi diceva, e mi prendeva la mano per indicarmele.”

Si ferma un attimo, lasciando che l’amica inspiri l’aria della notte e raccolga il significato portato da quell’informazione prima di continuare. “Mi piaceva stare con lei. E anche l’idea di partire un giorno, e di seguirle come avevano fatto gli eroi delle sue storie. Mi faceva sentire importante.”
La sente, più che vederla, annuire.

“Quello che ci insegnano i nostri genitori resta sempre con noi. Anche se non ce ne accorgiamo, scava solchi profondi. Nel bene e nel male.”

Pensa a sua madre, alle parole d’incoraggiamento che le sussurrava all’orecchio quando la vedeva in difficoltà, al modo in cui maneggiava l’arco con sicurezza, senza mai staccare lo sguardo dal suo bersaglio. Si chiede se non ci sia qualcosa di lei nei gesti che compie ogni giorno, una traccia nascosta che solo chi conosceva bene Rosta potrebbe individuare e che persino a lei sfugge. Pensa a Svala, seduta davanti al fuoco nella sua capanna, e alla se stessa di otto anni che abbassava lo sguardo al suo cospetto, intimorita. Vengo a chiederti quello che hai visto, esordiva sua madre, e la veggente scuoteva il capo e si alzava a prendere qualcosa in un ampolla. Valka non c’era, o forse era lei a non averci fatto caso: aveva paura, a quel tempo. Il mondo era esaltante e spaventoso, il confine tra i due sentimenti era difficile da tracciare.

Prova a riconoscere le costellazioni di cui le parlava, alzando le dita per formare quelle strane figure che, secondo sua madre, servivano a misurare il cielo. Accanto a lei, Valka socchiude gli occhi, alza la testa lasciando vagare lo sguardo. In lontananza, un martello batte su un’incudine, seguito da un grido di gioia argentino che spezza l’aria a metà. Una voce di donna piena d’allegria, lontana ma contagiosa.

“Quando sono nata, mia madre già sapeva che dono mi sarebbe toccato in sorte. Lo aveva avuto prima di me, e sua madre prima di lei, e ad ogni nascita aspettavano di vedere come si sarebbero manifestati i segni. Chiudevo gli occhi, e i miei antenati mi sussurravano segreti all’orecchio, posti in cui avrei trovato oggetti che mi appartenevano. Sognavo bambini che sarebbero nati poco dopo, ossa e sangue e immagini che non sapevo decifrare, e mia madre mi prendeva la mano e sorrideva come solo lei sapeva fare.” Si volta verso di lei: la luna le illumina il viso solo in parte, ma Eivor conosce così bene le sue espressioni da vederle nonostante il buio. “Così, mi ha insegnato tutto quello che sapeva. Ad accogliere il sapere di Frejya, a non avere paura di ciò che sperimentavo nel sonno. Mi è stata accanto ogni giorno per aiutarmi a diventare quella che sono. E anche ora che non è più tra noi…” si ferma un attimo, come per cercare le parole adatte. Vorrebbe sfiorarle una spalla, ma sente che è un momento privato che Valka ha deciso di dedicarle perché si fida di lei. “… ma una parte di lei vive ancora, lo so. Mi è dispiaciuto lasciarla a riposare a Rygjafylke, ma portare i suoi insegnamenti qui mi ha resa felice. In qualche modo, sento di aver fatto la cosa giusta.”

“Sono felice che tu sia qui. Ravensthorpe non sarebbe la stessa senza di te,” afferma Eivor, e sente che non avrebbe potuto confessarlo altrimenti. Le vuole bene perché è sempre stata parte della sua vita e dei momenti importanti, e perché sa di potersi fidare di lei in maniera incondizionata. Valka sempre pronta a dare una mano, che ha capito tutto di lei e Randvi e le ha lasciato solo consigli gentili, senza giudizi a sorreggerli.
Valka sorride, e inaspettatamente le si avvicina ancora. Quante volte hanno condiviso lo spazio attorno al laghetto, nel silenzio verde e azzurro delle belle giornate primaverili? Valka puliva le pelli o sistemava i suoi strumenti, Eivor faceva il bagno, lasciandosi cullare da quell’atmosfera rilassata. Poche parole, la sicurezza di poter lasciare quel silenzio intatto, senza doverlo per forza trasformare in una conversazione per non sentirne il peso. Una veggente, la loro guaritrice, ma prima di tutto un’amica. E in tempi del genere, avere amici fidati è molto più di quanto la vita sia disposta a concedere a quelli come lei.

È l’atmosfera che si è creata a spingerla ad alleggerirsi il cuore. Quando ci ripenserà, giorni dopo, si chiederà come ha fatto a tenersi quel peso dentro per anni, senza provare mai ad affidarne una parte a chi le vuole bene, anche solo per sentirsi consolare. Perché si carichi di quei pesi costantemente, testardamente, quasi a dover scontare una pena autoimposta.

“A volte vorrei essere meno arrabbiata. Da bambina… dopo che è successo tutto, non riuscivo a non avercela con mio padre,” mormora, spostando qualcosa a terra con il piede, un ramo o un sasso, non fa differenza. “Ogni volta che ripensavo a quella sera, invece di piangere ero invasa dalla furia. Come è potuto succedere, mi chiedevo, com’è possibile che abbia fatto quello che ha fatto? Non riuscivo a capacitarmene. E dopo la rabbia arrivava il dolore, sordo, che non riuscivo nemmeno a sfogare. Ce l’avevo con lui perché era stato così stupido da non capire le vere intenzioni di chi aveva di fronte, ce l’avevo con la sua lealtà, con quello che aveva fatto… e la rabbia tornava, in un circolo infinito. A volte immaginavo il Padre di Tutti che gli chiudeva in faccia le porte delle sue sale, e quell’idea mi confortava. Nutriva la mia furia. Non…”

Si interrompe per prendersi la testa tra le mani. Sente le lacrime lottare per farsi strada oltre i suoi occhi, ma ha imparato così bene a trattenerle da ignorare il groppo che le stringe la gola. Inspira, un rantolo tremante, triste. “Non so nemmeno io cosa pensassi. So solo che soffrivo. E avrei voluto che qualcuno condividesse il mio peso. Come posso essere un capo, una vera jarlskona, se non riesco nemmeno a sconfiggere il mio passato?”

“Eivor…”

Valka espira piano, ed è come se completasse l’azione che l’amica ha iniziato. Le prende una mano – dita piccole che curano, che spalmano unguenti e tracciano segni, cosa hai visto, Veggente? Cosa puoi dirci del Padre di Tutti e della Madre della Magia? – e stringe la sua, regalandole un po’ del suo calore. Con un polpastrello asciuga una lacrima caduta su un dito. E quando parla di nuovo, la sua voce è sicura. Antica.

“La sopraffazione è l’arma dei codardi. Di chi rifugge il confronto perché sa di non poter offrire nulla all’altro, e non sa che farsene di ciò che riceverebbe. E chi è codardo non vuole conoscere, né capire, né costruire, si limita a usurpare senza pietà… ma tutto ciò che hai guadagnato, la tua conoscenza, le tue conquiste, le hai vinte da sola. Con la forza, e la pazienza.” Gli angoli della sua bocca si incurvano appena. Si gira per guardarla, sfila la mano dalla sua presa e la alza, sfiorandole la fronte con due dita, come fa sempre quando le disegna il viso per i rituali. Un gesto che le trasmette sicurezza. Eivor chiude gli occhi, si lascia andare, grata di esserne ancora in grado.

“Ogni singolo abitante di Ravensthorpe dovrebbe sentirsi orgoglioso di averti come capo, Eivor. Io lo sono.”

Resta così ancora per un attimo, con gli occhi chiusi e il profumo della notte che le avvolge, e il canto dei rapaci che si perde in lontananza, una chiamata e una risposta. Il calore di Valka si sposta dal suo viso di nuovo alla sua mano, stringendola con gentilezza. E ci sono ancora stelle da guardare, lassù, con il cuore più leggero e i pensieri che si spostano come le nuvole, che ora permettono di ammirarle meglio.
 
   
 
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