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Autore: GiunglaNord    13/12/2021    2 recensioni
1° Capitolo della serie: "Tienimi le mani, non annegherai".
La Vigilia di Natale è un momento magico che inevitabilmente colpisce il cuore di ciascuno di noi. La Vigilia di Natale scandisce il passare del tempo: si contano le persone rimaste, quelle che sono andate avanti o rimaste indietro. Si ricordano volti gentili, mani amorevoli, ma anche momenti che avresti preferito non vivere, anni che avresti voluto non percorrere. Sebbene in questo periodo dell'anno ci venga imposto di essere felici, è un nostro sacrosanto diritto scivolare nell'inquietudine e nella malinconia, perché la Viglia è un tempo magico e se la magia praticata sia buona o cattiva spetta solo a noi determinarlo. Così accade anche a Hermione Granger nella notte di Natale del 1998, un anno terribile, pieno di dolore e perdite. All'inizio della nostra storia, Hermione non sa cosa farsene di quella magia: se ne sta seduta a contemplare la neve cadere. Tuttavia i ricordi di alcune vigilie passate la condurranno per mano verso...questo scopritelo da soli, scartando uno dopo l'altro i piccoli regali che vorrei dedicare a ciascuno di voi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tienimi le mani, non annegherai'
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Capitolo 2
 
Natale
 
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.
 
-G. Ungaretti-
 
 
 
Hermione si mosse a disagio, un fastidioso spiffero d’aria a tormentarle la carne delicata del collo. Avrebbe dovuto annodarsi una sciarpa, ma non si sentiva ancora pronta ad abbandonare la sua postazione davanti alla finestra: in fondo ci stava comoda, una cosa posata in un angolo e dimenticata da tutti.
Alzò verso l’alto i lembi della camicia e quel gesto la riportò ad un’altra vigilia, una vigilia in cui, improvvisamente, una profonda e incontrollabile angoscia si era mescolata alla gioia di non aver sperato invano.
 
Ricordava come fosse ieri l’estenuante attesa di ricevere notizie dal San Mungo, lo sguardo allucinato di Harry, la tormentata atmosfera che si respirava a Grimmauld Place: tormento che sembrava nutrirsi dello spirito ammaccato del suo proprietario, Sirius Black, e degli altri occupanti occasionali, spettri di un tempo passato che cercavano di lottare contro la tragedia imminente.
 
Sirius Black odiava il freddo. Odiava gli spifferi d’aria che quella casa ostile gli rovesciava addosso a tradimento: gli ricordavano le dita inconsistenti dei Dissenatori che giorno e notte l’avevano ghermito per dodici, interminabili, anni. Aveva sempre il collo avvolto in tarlate sciarpe di seta, vestigia di un prestigioso passato ormai morto e sepolto.
Sirius Black il cuore sporcato di male lo aveva davvero: non si può rimanere così tanti anni a contatto con la paura senza esserne irrimediabilmente macchiati. Un’ombra polverosa gli era rimasta appiccata addosso e a Hermione quell’ombra faceva spavento. Lo vedeva muoversi, camminare, parlare, ma non sembrava esattamente di questo mondo: le ricordava un Peter Pan demoniaco che percorreva il sottile velo che separava il mondo dei vivi da quello dei morti. Non poteva sapere allora quanto la sua intuizione si sarebbe rivelata rovinosamente giusta.
Era un ragazzo intrappolato nel corpo di uomo, ancorato ad una realtà che l’aveva tenuto in vita, ma che ormai non esisteva più.
E il modo in cui influenzava il suo più caro amico la preoccupava oltre misura.
Harry non era in sé, vagava preda di voci e visioni, tormentato da milioni di sensi di colpa, dalle urla strazianti del padre di Cedric, dalle parole del fantasma del ragazzo che lo implorava di riportare indietro il suo corpo: persino il suo primo amore era infangato da quella follia. Sirius eccitava la fantasia del giovane Potter in un modo che lei reputava malsano, ma non aveva mai trovato il coraggio di affrontare quel discorso con lui. Lui che, per la prima volta, aveva provato la calda sensazione di avere una famiglia.

Il 1995 si avviava a concludersi nel sangue e nel terrore. Arthur Weasley era stato ferito in maniera brutale: la morte alitava davvero sul loro collo di ragazzi.
Ma la Vigilia di Natale aveva mantenuto la sua promessa di serenità e avevano potuto brindare furiosamente alla vita. Avevano tenuto levati in alto i bicchieri ringraziando Harry Potter, tuttavia Hermione sapeva quanto il suo più caro amico avrebbe voluto squarciarsi quella maledetta cicatrice ed estirpare la mala pianta che aveva messo radici nella sua anima e nella sua mente.
Mentre tutti esultavano, Hermione si era lasciata sopraffare da quel collettivo respiro di sollievo. Un respiro destinato a spezzarsi presto.
Nubi dense si addensavano sopra le loro teste, turbinando e vorticando, portandosi via la loro giovinezza. Mentre poggiava le labbra al bicchiere, Hermione aveva capito che niente sarebbe stato più come prima: a Harry era stata strappata la purezza, a Ron la certezza dell’indissolubilità dei suoi legami famigliari e lei si era trovata ad annaspare in quel mare di sentimenti contrastanti.
La Vigilia di Natale del 1995 le aveva confermato ciò che la morte di Cedric aveva predetto:  la perdita di tutte le illusioni infantili. Il passato incominciava ad avere un peso specifico, un fardello depositato tra le scapole, ogni anno più greve.
Un giorno di quasi estate avevano dovuto fare i conti con la Nera Signora e guardare in faccia il volto del male assoluto. Peter Pan era stato scacciato dall’ Isola che non c’è e Capitan Uncino ne aveva preso possesso. I bambini sperduti vagavano nell’oscurità.
 
Adesso Hermione, a distanza di tempo, poteva comprendere le cause di quell’inquietudine appiccicosa: era la paura di non farcela, di diventare un’ adulta spezzata nel corpo e nello spirito. Era il terrore di lottare fino all’ultimo respiro e ritrovarsi a stringere in mano un pugno di mosche. Di non avere altro che i rimpianti a tenerle compagnia, come Sirius Black.
 
E alla vigilia di Natale del 1996, l’odiosa sensazione di perdere tutto e scivolare nel niente le era stata fatta trovare sotto l’albero.
 
Un gigantesco equivoco le aveva strappato Ron dalle mani: era tornata a casa dai suoi, ma non si era gustata niente di quell’atmosfera che non assaporava da moltissimi anni.
L’ultima immagine che i suoi occhi trattenevano era quella di Ron risucchiato dalle labbra sconce di Lavanda Brown.
E si sentiva così sciocca a preoccuparsi di quel sentimento futile, mentre la guerra spingeva alle porte di Hogwarts, ma non riusciva a farne a meno.
Poteva ancora percepire nella bacchetta la veemenza dell’incantesimo con il quale aveva attaccato Ron. L’amarezza di essere stata tradita, pur sapendo che nessun giuramento era mai stato pronunciato, le imbrattava ancora gli occhi e la bocca.
In quella sera magica le sue compagne erano state la Gelosia e la Rabbia.
Aveva sedici anni e il cuore ridotto a brandelli.
 
Hermione sorrise alla se stessa di allora: era stata fortunata nel sentire quei morsi allo stomaco. Alla fine, quella Vigilia di Natale le aveva regalato l’illusione di una adolescenza normale. Probabilmente, se avesse potuto vedere ciò che l’aspettava nel nuovo anno, si sarebbe risparmiata qualche lacrima e avrebbe approfittato di ogni minuto disponibile per dire addio ai suoi affetti più sinceri.
 
 
Il freddo non l’abbandonava mai, acuito dai morsi della fame e rintuzzato dalle preoccupazioni soffocanti che quella cerca senza fine apparecchiava tutti i giorni davanti a lei.
L’inverno sembrava essere iniziato anzitempo quell’anno, forse a causa delle notti passate a montare la guardia nell’oscurità più assoluta, con l’ unica compagnia di quel piccolo cuore malvagio che batteva in maniera asincrona sul suo seno, chiuso in un medaglione conquistato tra atroci tormenti.
Aveva diciassette anni e portava addosso un pezzo dell’anima di Voldemort.
Il suo corpo, che sarebbe dovuto essere rigoglioso, appariva scarno ed eroso dalle privazioni; la sua anima, anziché protesa verso il futuro, stava accartocciata in un angolo, perché il presente ostruiva qualsiasi orizzonte.
Fu in quelle notti che le conseguenze della scelta fatta a undici anni le si palesarono in tutta la loro grandezza: non aveva più casa, non aveva più radici, nessuno conservava memoria della sua parte babbana, la stessa parte che nel mondo magico stavano estirpando con grande determinazione. Sapeva dov’era, ma non da dove proveniva. Sola. Sola come Sirius Black e il suo male di vivere.
Harry pareva aver smarrito la strada che aveva sempre seguito ciecamente, una via che portava il nome di Albus Silente,  e Ron,  il Suo Ron, cammina come un condannato sulla strada verso patibolo, gravato da dubbi e da insidiosi tormenti che lo rendevano instabile e pungente. La guerra aveva già ottenuto il suo tributo di vite umane e ancora ne avrebbe reclamate.
Una notte il mondo precipitò rovinosamente, lasciando al suo posto solo un enorme, dilaniante, buco nero. Ron non c’era più  e tutto andò in mille pezzi.
Il freddo divenne perenne, fuori e dentro.
 
Fu con queste premesse che lei e Harry decisero di tentare la sorte.
Arrivarono a Godric’s Hollow in una gelida serata fulgida di stelle, tenendosi per mano per non smarrirsi, per non perdersi almeno loro. I cuori traboccanti di aspettative e impastati di paura ed emozioni a fior di pelle. In quel momento una era tutto per l’altro e viceversa: tutto ciò che rimaneva in un mondo cosparso di rovina.
Fu in quel momento che Hermione si accorse con grande stupore che nel mondo babbano il tempo non si era arrestato, ma aveva continuato a fluire normalmente, senza inciampi.
Anche in quell’anno funesto la Vigilia di Natale era arrivata lo stesso e veniva celebrata nelle Chiese, veniva festeggiata nel caldo rumoroso di un pub, viveva nello scintillio artificiale di luci e festoni. Nonostante loro, nonostante Voldemort, la notte più magica dell’anno era giunta ugualmente.
Accompagnati dalla dolcezza che sapeva di buono delle Carole di Natale, Hermione e Harry si erano aggirati timorosi nel piccolo cimitero di campagna. La neve brillava alla luce degli astri e per un attimo quell’atmosfera rarefatta li aveva protetti come in una bolla di vetro. Infine Hermione aveva trovato il regalo che la Vigilia di Natale del 1997 aveva deposto ai piedi della tomba di Lily e James: la compassione. Lì, inginocchiata insieme a Harry, ne aveva compreso per la prima volta il vero significato: percepire addosso a sé la sofferenza altrui e provare l’impetuoso desiderio di alleviarla. In quei tempi disgraziati era il regalo più bello che mai avrebbe potuto desiderare, perché significava essere ancora in grado di discernere cosa fosse giusto e cosa sbagliato, di dare valore alle persone e ai loro sentimenti. Significava non essere stati soggiogati da quel piccolo pezzetto di anima nera che ballonzolava sui loro petti in una danza macabra e funerea.
 
E anche dopo che quella bolla, quieta e malinconica, venne squarciata nel modo più brutale possibile, quel sentimento continuò a rimanere saldo in lei. La disperazione non l’avrebbe mai più presa alla gola: da quel momento i suoi passi sarebbero stati dotati di nuovo vigore.
 
O almeno così aveva creduto.
 
 
 
 
 
   
 
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