Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    14/12/2021    0 recensioni
Prosegue la saga de “Le cronache dei draghi e dei re”, cominciata con “L'apprendista di fuoco” e continuata con “L'avvento dei Sette”. Il conflitto è ormai scatenato. Mentre le case nobiliari che governano l'occidente continuano ciecamente a misurarsi tra di loro, l'oriente è chiamato da solo al confronto con un nemico intenzionato ad estinguere l'intero genere umano. Sarà forse possibile sconfiggerlo utilizzando quell'antico e sopito potere chiamato magia? E al fine di utilizzare al meglio tale potere, è forse il caso che i sette maghi dell'origine vengano definitivamente annientati? È partendo da questi interrogativi di base che Constant della Casa Lannister sta infine preparando la sua guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

LA REGINA E IL CAVALIERE

 

 

 

La regina Hana della Casa Lannister aveva infine ottenuto quello che voleva. Non che la cosa le risultasse incredibile, visto che ormai da un po' di tempo si era resa conto di saperci fare: di sapersi muovere in mezzo a tutti i potentati e relativi personaggi che occupavano certi ruoli nel Regno e nella fattispecie nella sua capitale. Solo che questa volta, quello che – insieme ad altri – era riuscita a realizzare aveva davvero qualcosa di inaudito: due re che mettevano in pausa i loro contrasti al fine di battezzare un infante. Suo zio Constant aveva così dimostrato tutta la pacatezza e la lungimiranza che lo contraddistinguevano: voleva il trono, questo ormai era chiaro per Hana, ma non era disposto a versare altro sangue dei suoi nipoti per questo, e su di questo la diplomazia aveva potuto lavorare. Gabryaerys, d'istinto suo, se non avesse avuto lei al suo fianco, Hana era sicura che avrebbe cercato di organizzare almeno un qualche tipo di trappola pur di fare prigionieri almeno una parte di quelli che considerava suoi nemici: gli uomini che minacciavano la sua sicurezza sul tanto spasimato Trono di Spade. E invece anche il re Targaryen-Naharis, per amor di suoi figlio e soprattutto di sua moglie, si era alfine ammorbidito.

Venne dunque organizzato un grande evento fuori dalle mura della città, con una cinta di guardie occupate ad evitare che il volgo si avvicinasse troppo ai convitati. Hana, nelle settimane precedenti, praticamente ogni giorno aveva ripetuto a Gabryaerys di fare in modo che il suo nuovo amico Yashua non scatenasse un pandemonio, e che gli facesse vivere il giorno del battesimo del suo delfino con assoluta serenità. Dal canto suo il re, che ormai le pareva piuttosto sincero con lei, la tenne aggiornata sull'intera trattativa, ed era in effetti vero che Yashua – senza che loro gli avessero detto niente – probabilmente si sarebbe auto-invitato alla cerimonia con l'intenzione di mandarla all'aria. Ma Gabryaerys gli aveva promesso ancora più libertà in città di quanto già non avesse fatto, si era continuato a trattare ancora per un pochino, e alla fine il sacerdote del dio rosso aveva promesso solennemente al re – a costo di farselo nemico – che il principino avrebbe avuto un sereno abbraccio con gli dèi di sua madre e dell'intera sua genia materna.

Il principale bersaglio, l'ossessione per cui Hana avrebbe giurato che Yashua in quel momento si stesse reprimendo con tutta la forza interiore che aveva, non poteva che essere Sua Sacralità l'Alto Septon dei Sette: Brendan, colui che rappresentava in terra che le forze cui Yashua si appellava non potevano che essere forze demoniache. Sul versante politico, padre Brendan era meno interessante, ma Gabryaerys invece avrebbe avuto non poco interesse nel catturare Marcus, fratello di Hana, che a quanto pareva stava per scortare l'Alto Septon fuori dalle mura della Capitale, con un piccolo contingente di veterani dei Lannister; pochi ma ben addestrati. Ed in effetti fu così che andò tutto. Dopo che qualche mese prima, a Delta delle Acque, Hana aveva avuto la bella notizia che suo fratello Daniel era ancora vivo e vegeto, adesso – non lontano dalla loro vecchia casa in cui erano cresciuti insieme: il palazzo del re – anche di Marcus, la regina avrebbe potuto dire la stessa cosa. Solo che si ricordava di suo fratello come di un ragazzetto bruttarello, secco e lungo, e dall'aria un po' ingenua, mentre quello che adesso le si trovava dinanzi agli occhi era un uomo dalla folta barba nera e le spalle larghe, bardato come il Cavaliere della Chimera che era. Anzi, Marcus venne perfino giù dal cielo sulla sella di uno di quegli straordinari animali, il simbolo della Casa regia di Lannister.

Quando Hana corse verso di lui per abbracciarlo, la sensazione di stranezza crebbe. I due non si riconoscevano molto, anche se chiaramente sapevano che in quella regina e in quel cavaliere si nascondevano i ragazzi che giocavano ad acchiapparello per gli ampli corridoi del castello regio di Roccia Del Re, nascondendosi tra gli arazzi oppure convincendo una guardia a regger il gioco per loro. Marcus era sempre stato molto diverso da Daniel; selvaggio come un Andalo il primo, serie e pacato come lo studente che sarebbe destinato ad essere il secondo. Forse era proprio per questo suo essere un bambino dal carattere così diverso dal fratello, che si finì per bollare Marcus con il nomignolo di “Andalo”. Marcus l'Andalo adesso non c'era più. Adesso c'era un serissimo Cavaliere della Chimera, di gran lunga più serio del Daniel che Hana aveva rincontrato alla Terra dei Fiumi. In quel caso, quello che la regina aveva percepito era stata la tanta gioia che lei e suo fratello avevano avuto in comune; erano entrambi festanti perché provenivano da una ritrovata libertà, anche se temporanea nel caso del principe di Cowain. Questa volta le circostanze erano un po' più bislacche. Marcus arrivava come ambasciatore di un sovrano nemico; e anche se Gabryaerys e soprattutto Yashua avevano spergiurato che tutto sarebbe andato tranquillamente, non si poteva negare un minimo di tensione nell'aria. «Hana» fece Marcus baciandola sulla guancia: la differenza d'età fra i due era di poco meno di un anno. «È davvero un piacere vederti»

«Oh, Marcus, anche per me. Il viaggio è andato bene?»

«Sì tutto bene, sorellina. Circa a metà strada ci ha beccati una pioggia un p' forte, ma avevamo ospitalità e riparo. È questo il festeggiato?»; Marcus allungò la testa verso il fagotto che la regina teneva tra le braccia. «Sì»

«Ha i tuoi colori» continuò il principe cavaliere «che però, in verità,mi sembrano anche quelli di tuo marito»

«Dipende quanto s'inscuriranno crescendo. Chi lo sa: di qua a qualche anno potrebbe perfino raggiungere i tuoi. Questo castano molto scuro alla zio Pylgrim»

«No, scuro come il Leone Nero non sarò mai»

«E come stanno gli zii?»

«Beh, floridi e in salute, se è questo che stai chiedendo... Ma certo un po' infelici, per... la situazione»

«Ma in questo momento noi due siamo qui, insieme. Chissà che questo non possa essere il segnale di un possibile scongelamento delle ostilità fra le due parti»

«Chissà» sorrise suo fratello, poco convinto.

«Vostra Maestà», sopraggiunse a questo punto il Gran Maestro Irwin, in compagnia di un giovane monachello dai capelli color di carota, «lasciate che vi presenti Sua Sacralità, l'Alto Septon Brendan»

«Così siete voi» fece Hana, non riuscendo a nascondere un certo stupore, «mi avevano detto che eravate giovane ma... ecco – nonostante tutto – non mi aspettavo così tanto, Sacralità»

«Sì, in verità» replicò padre Brendan «mi sento ancora in fortissimo imbarazzo con tutte queste persone che mi chiamano “sacralità”. Mi hanno spiegato che è un'accezione necessaria ma... regina, per voi, se volete sono solo Brendan»

«Ci proverò padre... Brendan». Dunque il religioso e il Gran Maestro delle Scuole si allontanarono dirigendosi verso l'altare. Hana confessò a Marcus, con un po' di sarcasmo: «Quest'Alto Septon è già un rivoluzionario». Ci voleva un po' d'ironia per stemperare il clima, visto che – immediatamente dopo – Hana non poté che condurre il suo fratellone a fare le presentazioni con suo marito e i demoni che lo accompagnavano: Tararus il Primo Cavaliere e Braff il Maestro dei Sussurri, l'uomo che aveva ucciso Axelion Lannister, comune fratello di Hana e Marcus. In realtà, Braff era l'unico dei tre che Marcus già conosceva. E c'era il rischio che da quell'incontro scaturissero delle scintille, ma per fortuna tutto andò bene. Entrambe le parti sapevano che la posta in gioco era troppo alta e che tutti erano chiamati a un gesto di tolleranza e distensione. Anche a costo di dover stringere la mano a una persona che si odiava. Hana in effetti per un attimo, un istante più che repentino, pensò che tutto stesse per degenerare, quando Marcus si rivolse al re chiamandolo “mylord”. E invece niente: tutto regolare. Gabryaerys inghiottì il rospo e il cerimoniale proseguì più sereno di prima.

Quando si trattava di Hana, la folla improvvisamente diventava benevola ed affezionata; per questo, salutò con garbo alle celebrazioni per il battesimo del delfino. Incredibilmente non ci furono scontri con la guardia cittadina; e quando padre Brendan proclamò il piccolo battezzato nella luce dei Sette, si liberò perfino in uno scrosciantissimo applauso che commosse Hana non poco. Un altro momento che pure la emozionò, anzi forse il più emozionante di tutti, fu il momento in cui Brendan le chiese – a lei e a Gabryaerys – di dichiarare il nome dell'infante. «Lyoneth» esclamarono con convinzione i due sovrani genitori. Per giungere a quel nome c'era voluta un'intera giornata di trattative tra il re e la regina, che coinvolse anche diversi loro consiglieri. Lord Pamir Gaholla e Lord Gushing per esempio, entrambi presenti poi anche alla cerimonia, che misero in testa ad Hana l'idea di dover chiamare il bambino con un nome che contenesse l'idea del leone al suo interno: era stato così per tutti gli eredi Lannister recenti, da re Lionel, ad Axelion a suo figlio Napoleon. Dal canto suo, il re aveva preteso che il nome finisse in “erys”, come buona parte di quelli dei sovrani Targaryen, ma dalla parte della regina quel suffisso patronimico era percepito come un po' troppo esplicito: non suonava bene che un re che già si chiamasse Gabryaerys, desse come nome al proprio figlio una roba tipo: “Lyonerys”. Dunque le trattative s'arenarono per un'altra mezza giornata, e alla fine dalla parte del re venne fuori la proposta definitiva, quella che poi risultò vincente. C'era un altro suffisso usato dai Targaryen, meno in uso ma comunque utilizzato da certi sovrani antichi: “eth”. E così Lyoneth fu.

Dopo il più che solenne momento del nome, e il momento dell'applauso della folla, dalla regina tanto apprezzato quanto inatteso, spettò dunque ad Hana – sempre col fagotto al braccio e il marito coronato accanto – di fare gli inviti per la cena: la cerimonia s'era tenuta nel pomeriggio. Gli inviti erano una formalità: più che una tradizione, la cena con tutte le autorità convenute era una tradizione scolpita nella pietra che mai e poi mai avrebbe potuto evitarsi, anzi si può dire che fosse parte del cerimoniale essa stessa. Ma parte del cerimoniale richiedeva pure che la regina facesse ufficialmente gli inviti. Così, rivolta primariamente agli ospiti principali, ovvero all'Alto Septon Brendan e a Sir Marcus Lannister – ma anche a Braff, Tararus, Irwin, Gushing, Gaholla e tutti gli altri nobiluomini lì presenti – la regina con un sorriso smagliante fece: «Miei signori... ma cos'è quello?» e il sorriso le si trasformò di colpo in una smorfia d'orrore.

Una strana luce verde, come un fumo denso dalla vaga forma di uccello, si avvicinava sempre di più al corteo battesimale. E più rapidamente si avvicinava, più grosso pareva. Era forse una specie di pipistrello? No: troppo grosso. Uno strano, magico, uccello orientale? No: troppo grosso. Quello non poteva essere che un drago. «Un drago?» fece il Primo Cavaliere Tararus, il demone dal teschio nero che più di tutti scortava Gabryaerys e che aveva sul capo una ridicola coroncina principesca. «No, è una magia dello spirito» rispose Braff «un rituale particolarmente antico e potente. Impossibile da praticare con i mezzi di oggi: nessuno di noi ci riuscirebbe»

«E allora» disse ancora Tararus al suo simile «di chi si tratta?»

«Hai davvero bisogno di chiedere?» replicò ancora Braff; Hana notò che il Lord delle spie aveva un'aria quasi atterrita: un'espressione di sincera paura gli si era dipinta nel volto, «Proprio tu?»

«Requiem?» chiese ancora Tararus. Braff non rispose, ma con una delle sue magie dell'ombra, semplicemente si volatilizzò dalla zona. Tararus gridò: «Dove vai? Vigliacco!», ma non ci fu più il tempo di discorrere oltre. La creatura, che – per come Hana se li era sempre immaginati – un drago non era, a meno che non fosse un drago interamente composto di una strana luce gassosa, s'appollaiò su di una roccia sopraelevata, buona per fare ciò che subito il mostro eseguì: scagliare una fiammata ardente su tutta una parte della ressa di plebe e nobili che non avevano ancora avuto il tempo di darsela a gambe. Ora sì, Hana capiva: quella cosa era immenso, aveva le ali e sputava pure fuoco; doveva essere un drago!

Naturalmente gli attimi cominciarono a scorrere concitati, quando in realtà mille cose nella mente della regina iniziavano a turbinare tutte insieme: per prima, la priorità della salvezza per il bambino che aveva in braccio. Per seconda: la sua stessa salvezza. E per terza, con sua immensa sorpresa: la salvezza di suo fratello, il Cavaliere della Chimera. Si domandò poi che cosa stesse accadendo, che cosa un drago ci facesse alla cerimonia di battesimo di suo figlio e perché una tale tragedia così dannosa e crudele si stesse abbattendo sulla sua persona e sulla sua storia di donna e di regina. Adesso il battesimo di suo figlio sarebbe rimasto negli annali, perché fu anche il giorno dell'avvento di un drago fuori dalle mura di Roccia del Re. Hana non poté in ultimo non chiedersi se in tutto quello che stava accadendo, nonostante il nome di “Requiem” che lei non conosceva e che il Maestro dei Sussurri e il Primo Cavaliere avevano appena fatto, non si celasse invece lo zampino di un nemico così palese dell'intera comunità che quel pomeriggio si era riunita: lo stregone del dio rosso, Yashua.

La creatura parlò, con un'inquietante voce graffiante, del tutto non umana. Disse: «Gabryaerys Targaryen». Attese pochissimi istanti; poi completò: «Gabryaerys Targaryen e il suo erede». Una morsa strinse il cuore della regina. Capì che quello era il segnale per scappare velocemente. Mentre suo fratello il principe Marcus balzava quasi senza dir niente, ma con uno sguardo complice a Gaholla e Gushing, sul suo destriero dorato dalla foltissima criniera, anche l'Alto Septon Brendan, scortato dal Gran Maestro Irwin, spariva da qualche parte in mezzo alla folla. Gushing, che sotto suo padre re Lionel aveva ricoperto il ruolo di Maestro delle Leggi, sguainò il suo fioretto e, prendendola per mano, chiese alla regina Hana di seguirlo, con il suo fagotto sempre in grembo. Pamir Gaholla andò con loro. Hana vide suo marito il re lanciare un ultimo sguardo preoccupato verso di lei; dopodiché, tranquillo evidentemente per le mani in cui stavano sua moglie e il suo delfino, con la sua magia si librò a mezz'aria: era la prima volta che Hana glielo vedeva fare. Quindi il re esclamò solenne al drago: «Eccomi, sono io Gabryaerys Targaryen». Dunque cominciò a battagliere – non si capiva bene come – contro quel drago fatto di puro spirito. Con lui, anche il suo primo assistente Tararus iniziò a scagliare verso la creatura quelle che ad Hana parvero delle saette; e inoltre Marcus, che invece s'abbatté in volo sul mostro, senza però apparentemente pigliarlo. Nel mentre, il drago si concentrava sì sui suoi nuovi avversari, ma di tanto in tanto continuava a scagliare fiammate sulla folla, che nel frattempo era completamente andata di matto.

In preda al puro terrore, Hana, Gushing e Gaholla si ritrovarono schiacciati in mezzo alla plebe. A nulla valsero gli improperi di Gushing che richiamava le guardie al loro dovere di difendere la regina. Pochi lo fecero: la gran parte dell'esercito di animali che con il re straniero era venuto a Roccia del Re, con lui tendeva a rimanere, e se non faceva questo, scappava come qualsiasi membro del popolo. Conclusione: quella della regina e del delfino fu una fuga solitaria. E lo fu ancor di più quando il drago con la coda distrusse un arco che fungeva da porta, sotto il quale parte della folla stava passando per rientrare verso la città. Gushing rimase sommerso dalle macerie, e Gaholla incastrato per la gamba. Hana, che conosceva Gaholla da quando erano bambini, con gli occhi pieni di lacrime, gridò disperatamente e fece tutto ciò che poteva per capire come liberare Pamir da quella prigione. Nulla poteva assicurare al vecchio Maestro delle Strade e dei Ponti di suo padre di non venire calpestato dalla massa, furiosa di paura. Ma tutto era troppo confuso e troppo rapido. Hana venne costretta a proseguire il suo cammino dentro la città, spinta a forza da uomini e donne che non riusciva a distinguere. Insieme con la folla, anche il drago si era spostato e con lui il combattimento nel quale era coinvolto. Nel cielo, Hana non riuscì più a vedere il Primo Cavaliere Tararus e neanche suo marito. Vide Marcus: la sua chimera venne sbalzata via, perse un certo equilibrio. L'Andalo cadde giù, ma carambolò di tetto in tetto, senza sfracellarsi al suolo. La chimera invece volò via. Marcus, che al collo teneva un fischietto, cominciò a soffiarlo disperatamente: la sua armatura era rotta in moltissime parti; anzi, era più l'armatura rotta che l'armatura sana, quella che in quel momento copriva il principe cavaliere. A un certo momento, Marcus alzò lo sguardo e la vide, sua sorella la regina. I due fratelli dunque si ritrovarono, correndosi in contro. Come già aveva fatto il caro Gushing, anche Marcus prese sua sorella per la mano e cominciò a trascinarla. Entrarono in un edificio mezzo distrutto che, se Hana non andava errata, doveva essere di proprietà del clero. Percorsero insieme molte sale e lunghi corridoi. Ma il drago non conosceva pietà: scoperchiò la parete dell'edificio e trovò lei, Lyoneth, Marcus, e il resto della folla che vi si era introdotta. Il mostro sibilò: «L'erede». Hana non riusciva a capire come diavolo facesse a sapere loro dove si trovassero e l'erede chi effettivamente fosse, eppure era ormai piuttosto chiaro che il drago sapeva. Addirittura, in mezzo a tutti quei fasci di luce un po' più concentrati che dovevano essere il muso dello stranissimo animale, Hana distinse quello che le parve quasi un crudele sorriso. Pensò che era finita. Si disperò. Ma suo fratello non intendeva arrendersi: prese e la spinse dentro una camera la cui porta era fino a quel momento rimasta nascosta da un armadio mezzo caduto e mezzo distrutto. Quando anche lui provò ad entrare, fu in parte tardi: dentro la camera, Hana fu costretta ad assistere al braccio sinistro di suo fratello prender rapidamente fuoco. Appoggiò il piccolo su un cuscino e prontamente staccò un pesante tendaggio dalla parete e batte sul braccio del suo fratello cavaliere urlante, in preda al dolore. Ci mise un po', ma estinse la fiamma. Il braccio di Marcus era praticamente tutto nero e secco, e puzzava da morire.

Fu in quel momento che la regina s'accorse che qualcosa oltre la porta doveva esser mutato. Il clima era diverso, i suoni erano diversi. L'aprì per un filo e osservò la scena. Tararus e – volto nuovo, che fino a quel momento Hana quel giorno non aveva visto – il sacerdote Yashua stavano unendo le loro forze contro lo sgradito, mostruoso, ospite della città: il drago di luce. Gabryaerys invece giaceva ad un angolo, apparentemente fuori combattimento; adesso solo i suoi amici combattevano per lui. E finì pure che ebbero la meglio...

Continuando a scrutare il tutto da quella piccola fessura nascosta che aveva deciso di aprirsi, la regina non riuscì neanche bene a capire che cosa esattamente capitò. Si trattava in ogni caso di magia, ambito che per sua definizione è misterioso, e lo era ancor di più per chi non l'aveva mai praticata. Ma alla fine, la robusta fiammata sprigionata dai palmi congiunti delle mani di Yashua, e l'uguale energia di tuono che invece Tararus scagliò dai suoi guantini di pelle (che chissà che dita scheletriche dovevano nascondere) finirono per estinguere la figura del drago di luce, che praticamente scomparve tutt'assieme come se si fosse trattato di niente di diverso da una distruttiva e mortale bolla di sapone. Incredula, ferita, ancora spaventata, anzi tremante di terrore, ma felice per essere viva, con suo figlio lì vicino e suo fratello pure, anche se forse gravemente ferito, alla fine la regina aprì ancora di più la porta ed uscì dal proprio nascondiglio. Vide anche Yashua crollare a picco come già era successo a Marcus: pure il sacerdote del dio rosso doveva aver perso ogni energia. Il demone coronato invece, Tararus, pur se evidentemente spompato, era ancora vegeto. Fu lui a organizzare la scorta per Hana, Lyoneth, il re, Marcus e gli altri, su alla volta degli appartamenti regi.

 

 

 

Daniel di Lannister era un uomo diverso. Era accaduto qualcosa dalle sue ultime “lezioni” di piromanzia, quelle che il giovane principe avevo preso da Pyra, la maga intrappolata in un'altra dimensione, accessibile a sua volta però solo dalla Grande Quercia, la vecchia residenza del drago Nidhogg. Era come se, tutt'a un tratto, ogni energia sopita nel suo spirito e soprattutto nel suo corpo si fosse risvegliata. Si sentiva più alto, anche se era altino già da prima. Ma soprattutto si sentiva più forte, più robusto, più resistente. La prova del fuoco non era stato solo un addestramento. Pyra lo aveva aiutato a cavare fuori da sé un qualcosa che Daniel non riusciva a capire se fosse insito in ogni natura umana, o se ce l'aveva solo lui. Se in qualche modo Nidhogg gli avesse instillato un potere sopito che – come Terwyn gli aveva spiegato – in quel momento stesse transitando tra la Quercia, il drago, Pyra e Terwyn stesso e che adesso fosse in definitiva giunto a lui. Perché così gli disse Pyra, prima di estinguersi per sempre in un ricciolo di fumo, gli disse: «Ricorda, principe Daniel, che adesso disponi di un potere immenso. Il potere del drago. Non sprecarlo, non usarlo con disattenzione o leggerezza e soprattutto, quando sarà il momento, liberalo solo per fare del bene. È una norma cui non si può contravvenire. La norma principale che ha connaturato l'esistenza stessa del tuo maestro, e la mia. Essa ha connaturato il nostro amore».

Con queste ultime parole rivelatrici, Pyra se ne andò per sempre e Daniel venne per sempre scaraventato fuori dalla dimensione del fuoco, che molto probabilmente non sarebbe più esistita. O almeno: non in quella forma. Sarebbe mutata probabilmente, come faceva ogni cosa da quelle parti. Ma, prima di estinguersi, Pyra lo aveva addestrato. A poco a poco, lo aveva portato alla riscoperta dell'energia di fuoco che Daniel in teoria già conosceva, ma ne aveva accresciuto l'intensità. Era come se la maga nel calderone avesse fretta. Dunque un giorno, la sua temporanea maestra, arrivò perfino a fare a Daniel un discorso strano, quasi minaccioso. Lo avvertì che, quando le lezioni sarebbero finite, lei avrebbe fornito a lui un potere tale da renderlo un individuo molto pericoloso, e quindi lo stava per caricare di una grande responsabilità. Tale potere, Daniel non avrebbe potuto usarlo sempre, bensì una volta sola. Poiché la magia è forte e, una volta espulsa, si sarebbe sparsa in mille frammenti in giro per il mondo, non ritornando mai più nel corpo di quello che Daniel altro non era: un giovane, semplice e non molto preparato mago umano. Ma neanche un mago umano di alto livello sarebbe mai riuscito a raccogliere quel tipo di potere, poiché il potere non poteva essere raccolto, né compreso, conosciuto o replicato: lo si poteva solo condensare per un breve tempo dentro un contenitore, che Pyra in questo caso scelse essere proprio Daniel quello giusto.

In pratica, adesso Daniel era un Piromante completo, uno di cui qualsiasi nemico – in teoria – avrebbe dovuto temere, perfino un drago, un demone o – ad esempio – lo zio Constant. Solo che quella condizione di teoricamente estremo vantaggio celava invece una fastidiosa sconvenienza: una responsabilità immane e un segreto da dover portare nel cuore chissà per quanto tempo, forse per sempre. Una cosa soprattutto inquietava Daniel più di altre: cosa sarebbe successo se avesse scelto di usare il potere del drago in una circostanza che magari fosse stata adatta, ma non troppo? Chi lo decideva? Come si giudicava? Daniel non aveva nessun libro su cui studiare, nessun confronto di cui potersi avvalere. C'erano solo lui e il suo buonsenso, che così assai veniva a cozzare con la sua gioventù. Vero che Daniel da sempre si reputava, anche prima di Nidhogg, prima della piromanzia e prima del nord, un ragazzo piuttosto responsabile, ma... era pur sempre un ragazzo. Chiamato ora alle responsabilità di un uomo, perfino di un re, perfino... di un drago.

Se Elthon, per un'ipotesi dell'assurdo, fosse stato a conoscenza del potere segreto del principe, e gli avesse chiesto di utilizzarlo in battaglia per risollevare le sorti della guerra degli Applegate contro i Willoughby-Worchester, una guerra in cui Daniel convintamente pensava che la ragione stesse dalla parte degli uomini dell'albero di mele, che cosa avrebbe dovuto fare? Rifiutare, giusto? Non sprecare un potere tanto devastante per una guerra che in definitiva aveva a che fare solo con le smanie di potere degli uomini... Pyra infatti gli aveva spiegato in precedenza, prima di dirgli che il potere sarebbe passato nelle sue mani, che proprio in quel momento in giro per il mondo stessero operando forze in grado di sterminare anche l'umanità intera e che compito di Daniel fosse anche di stanarle e debellarle, o di cadere provandoci. Ora, nel momento in cui veramente esistevano di quei problemi – di cui pure Daniel aveva avuto un sentore, incontrando mostri dai teschi neri e alberi e fiere invasati – era mai possibile spendere il dono che gli era stato fatto per una guerra? No, ma... tanto Elthon non sapeva del suo potere e dunque... almeno da questo punto di vista non c'erano problemi, no?

Daniel aveva riflettuto su queste cose per giorni; per tutto il tempo (breve) che gli c'era voluto del viaggio in lingua di fuoco dalla Grande Quercia diretto ad Alberocasa. Un viaggio breve, nel senso che se avesse dovuto farlo a piedi ci avrebbe messo molto più tempo, ma che comunque un giorno e mezzo s'era preso. Sulla via della capitale degli Applegate, poi, Daniel, dall'alto del cielo in cui svolazzava, aveva visto quel trambusto in quel villaggetto piuttosto affollato in rapporto al quantitativo di casette che c'erano; si era avvicinato, si era accorto di Elthon ed era intervenuto. E adesso si trovava in un bel Consiglio di Guerra, dove uomini tutti più maturi e più d'esperienza di lui, discutevano sul come attuare l'assalto al castello occupato dai Willoughby. Solo Elthon probabilmente doveva avere su per giù la stessa età di Daniel, ma Elthon per tutta la vita aveva intrapreso una carriera marziale, tanto da essersi già guadagnato il titolo di Sir. Daniel era un Lord e un principe per diritto di nascita, che questa cosa a lui o ad altri piacesse o meno. Conclusione: Elthon, secondo in comando di suo padre il Lord di Alberocasa, lo capiva eccome il linguaggio dei suoi luogotenenti mentre gli dicevano di assalire ad est con la fanteria, piuttosto che ad ovest con quello sputo di cavalleria rimastagli. Ma Daniel s'era già annoiato dopo i primi minuti. Si allontanò per prendere una boccata d'aria. Quando non era nello stato d'animo del combattimento, i suoi capelli e pupille di fuoco non c'erano più; erano i suoi capelli e pupille normali, tutto d'un castano medio-scuro. Passò poco, ed Elthon lo raggiunse decidendo di fargli una battuta proprio su questo: «Devo dire che è ora che sei... tutto spento che ti riconosco davvero, mio principe»

«Sì, ehm...» rispose Daniel «ho notato che è una cosa che succede quando sto usando in un certo modo l'energia di fuoco contenuta dentro di me. Non conosco neanch'io benissimo il meccanismo del fenomeno, succede solo da qualche settimana, ho... praticato un addestramento speciale in cose però... la cui natura è complessa e sfuggevole, quindi...»

«Ma sarai in grado di utilizzarlo quando verrà il momento?»

«Mi auguro di sì»

«Eheh francamente» rise il Sir dell'estremo nord, con un po' d'imbarazzo, «non era questa la risposta in cui confidavo»

«No, voglio dire: quello che hai visto, sì. Sono in grado di controllarlo, ma...»

«Ma?»

«E-esiste un potere ancora più grande, da usare eventualmente solo in caso di grave necessità e che... è molto più... disastroso e dispendioso, per quanto riguarda le mie energie personali e...». Daniel si stava odiando; neanche si rendeva conto del perché all'improvviso gli fosse venuto fuori quel discorso con Elthon, che era sicuramente un bravo ragazzo e verso il quale lui era in un certo senso in debito, perché lo aveva liberato dalla prigionia dell'orso Worchester ma... niente, la verità era che gli era semplicemente sfuggito. Elthon, che si rivelò essere più previdente di quanto il principe Piromante si aspettasse, invece dal canto suo replicò con umiltà: «Mio principe, non sono io che posso dirti come e quando usare questi tuoi poteri... dubito di essere anche solo degno di questa nostra conversazione. Voglio dire: sto parlando con un vero Piromante, dovrei solo essere grato di averlo... dalla nostra parte. Se tuttavia dovessi essere io quello a poter essere utile come mero amico, o consigliere... vorrei che semplicemente me lo dicessi e...»

«Sì, grazie Elthon». Daniel ci pensò un po' su. Poi, vista la situazione e le parole appena pronunciate, se la sentì di continuare: «Vedi, il potere che mi è stato concesso – non quello che tu hai già visto e che è sotto il mio controllo – ma... quell'altro. Potrei utilizzarlo una volta soltanto, ma non so quando. Chi me lo ha conferito, mi ha anche detto che mi accorgerò quando sarà il momento adatto, ma sono pieno di dubbi e...»

«Mio principe, ma allora non c'è altra ragione per cui torturarsi: il potere sarà utilizzato, quando sarà giusto. Basta avere un po' di fiducia. Tu ne hai... in colui o coloro che te lo hanno conferito?»

«Sì, certamente»

«Allora ti fai pensieri inutili»

«Hai ragione, mio caro Sir, forse è così. Forse è veramente così», pensò amaramente Daniel. E poi, per tutto il resto della giornata, i suoi pensieri continuarono ad oscillare tra le sue responsabilità, le forze misteriose che si levavano da qualche parte nel sud, e quella del tutto inutile grande guerra che stava per scoppiare per il controllo dell'Estremo Nord.

 

 

 

Quando Marcus riaprì gli occhi, pensò comunque di trovarsi dentro a un sogno. Incredibilmente, tutto quello che aveva attorno gli ricordava la sua vecchia camera alla Capitale, quella di quando era bambino e viveva negli appartamenti regi con suo padre re Lionel, sua madre la regina, e i suoi tre fratelli: Marcus e Daniel, più grandi di lui, e Hana, la più piccolina che adesso era la regina. A quei tempi, Mirietta non era ancora nata: venendo a questo mondo, non s'era ancora portata via la vita della loro comune, bellissima, madre. Eppure più sgranava gli occhi e più il principe Cavaliere della Chimera aveva come la sensazione che quel sogno fosse quantomai reale. Le coperte sotto le quali si trovavano le sue membra erano calde e morbide. Il colore rossiccio della camera ricordava quello tipico della sua famiglia; ma non c'erano più stemmi di chimere appesi qui e là sulle pareti. Era tutto molto curioso. Ancora un po' indolenzito e intorpidito, Marcus si mise ritto sul cuscino. Notò due cose contemporaneamente: il suo braccio, sinistro ancora pieno di bende, ma in condizioni pessime... non lo sentiva minimamente, non riusciva a muoverlo e... puzzava di bruciato. E poi, seduta su uno sgabellino, bellissima e sorridente, sua sorella la regina. Assomigliava dannatamente alla madre che così poco entrambi avevano conosciuto: Hana quasi niente. Marcus si chiedeva in effetti se sua sorella potesse ricordarsene. Però il sorriso della regina aveva un che di nascosto, non era proprio convinto. C'era in esso un bel po' di pietà. Fu lei a parlare per prima; d'altronde lui non ne aveva le forze. «È salvo dall'amputazione» sentenziò la ragazza con la corona sulla testa, riferendosi all'arto sinistro del fratello, «ma i medici dubitano che potrai mai riutilizzarlo a dovere. Non possono escluderlo ma... dubitano. Mi dispiace». Vedendo che Marcus non sapeva come reagire alla tragica notizia inattesa, Hana continuò: «Tu mi hai salvato la vita, fratello mio. A me e a Lyoneth...»

«Sei la mia sorellina... non volevo dire addio a un altro membro della nostra famiglia»

«Sì, so che è così. È così anche per me»

«Eppure sei sposata con l'uomo che ha ucciso nostro fratello...»

«E tu lavori per quello senza il cui ausilio col cavolo che mio marito sarebbe diventato re»

«È tutto così complicato»

«Sì, la penso come te. Solo una cosa non lo è»

«E cosa?»

«Noi. I Lannister»

«Anche Constant è un Lannister. Anche Napoleon»

«Sì, questo è da dimostrare. Crescendo con sua madre, è molto più probabile che venga su più come un Baratheon o un Bolton...»

«Hana... è il figlio di nostro fratello. L'unico a cui Mirietta è sempre rimasta fedele»

«E tu a chi sei fedele? A Constant o a Napoleon?»

«A Napoleon ovviamente, ma Constant ha giurato che una volta ottenuto il trono avrebbe fatto di tutto per reinsediare...»

«Sì, e tu gli credi?»

«Onestamente sì»

«Bene allora te lo dico anch'io: tua sorella, cresciuta insieme a te e che da ieri ti deve la vita. Lavorerò per ritrovare il vero figlio di Axelion ed eventualmente rimetterlo sul trono, ma fino a quel momento... serviresti mio figlio?»

«T-tuo figlio?» balbettò Marcus «ma il re Naharis...»

«Non ha più ripreso i sensi. Lo abbiamo carcerato: è un gesto forte, ma... me la sono sentita, per il momento. Neanche Yashua s'è ancora ripreso. Ti chiedo di aiutarmi a ricostruire la città, sotto la luce dei Sette». A queste parole, Marcus s'accorse di qualcosa che fino a quel momento gli era stata impossibile. Nella stanza della sua infanzia, oltre a se stesso e alla sua sorellina, c'era qualcun altro, esattamente dietro di lei. Qualcuno di minuto, anzi proprio basso. Solo in quel momento l'uomo misterioso si fece avanti: era l'Alto Septon, che Marcus aveva scortato fino a quel luogo da Castel Granito. «Salve, principe Marcus» fece padre Brendan, dai capelli color carota, «anch'io, come voi, sono nuovo a questo gioco e inesperto. Ma mi piace l'idea di condividere un piano di rinascita insieme a dei giovani – come me – e bene intenzionati»

«Ma quale piano?»

«Marcus» riprese Hana «vorresti essere il mio Primo Cavaliere pro tempore?»

«C-cosa?»

«Ti prego, non rifiutare: ho bisogno di una persona di cui mi possa fidare... uno che mi voglia bene»

«E che fine ha fatto quello di tuo marito?»

«Non ha alcun interesse di ricoprire la carica, lo faceva solo perché Gabryaerys glielo ordinava. Mi ha dato la spilla con assoluta noncuranza. E poi... sarebbe solo nel tempo in cui tu starai qui e... Constant non accetterà per lui l'incarico»

«Cioè, vuoi fare di nuovo di Constant il Primo Cavaliere?»

«Pensi che accetterà?»

«Non ne ho idea

«Sarebbe perfetto: sul continente tornerebbe la pace, da tutti i punti di vista: spirituale e temporale»

«Certo. Finché tuo marito e Yashua non si risveglieranno»

«A Gabryaerys ci penso io. Quanto al sacerdote del dio rosso... beh, ho fatto chiamare degli inservienti perché ti aiutino ad alzarti e vestirti. Dopodiché, dovrai seguirmi e vederlo con i tuoi occhi». Adesso sì che Marcus riconosceva il sorriso della sua sorellina, raggiante e sincero. Era vero quello che si diceva: lei era divenuta un'intelligente donna politicante, a forza di bazzicare costantemente i corridoi del Palazzo. Già loro padre re Lionel aveva intuito questa particolarità dell'attuale regina, tanto che giovanissima l'aveva voluta al suo fianco, creando appositamente per lei il ruolo di Altissimo Segretario del Re. Ruolo che forse adesso non ricopriva più nessuno, forse neanche esisteva più. Marcus invece era sempre stato alieno a questo tipo di mondo, e sua sorella neanche si rendeva conto di che cosa gli stava chiedendo. Per lui, la politica era come una lingua straniera completamente incomprensibile. Però una cosa era pur vera: la situazione era di estrema peculiarità. Non che questo fosse sufficiente a fargli imparare un mestiere che non sentiva suo e che mai e poi mai avrebbe fatto... però forse semplicemente affiancare sua sorella in attesa che le trattative con lo zio andassero in porto... questo Marcus avrebbe potuto farlo.

I valletti incaricati dalla regina lo aiutarono a vestirsi e rimettersi in piedi. In verità, le gambe il principe cavaliere le sentiva ormai perfettamente funzionanti, anche se leggermente intorpidite: il problema non erano quelle. Era il suo braccio sinistro, che gli venne sostanzialmente legato al collo come il campanaccio di una vacca, visto che altro non era se non un peso morto, annerito e puzzolente. Marcus seguì dunque la sorella, insieme con l'Alto Septon Brendan, giù per un'ala del castello che francamente non conosceva molto bene, o di cui comunque molto poco si ricordava. Attraversarono come una specie di scogliera, ma su cui comunque in buona parte arrivava ancora l'architettura della magione. C'erano certe scale e certe piattaforme ammattonate che però quasi si toccavano con la roccia della scogliera e di lì con il mare. Un luogo veramente assai curioso. La brezza e la salsedine tra l'altro cominciarono a risultare a Marcus un po' fastidiose, tanto che decise di alzare il cappuccio ed ammantare un po' meglio il braccio offeso sotto la sciarpona che aveva in dosso. Scendendo sempre di più, alla fine la regina condusse quello che nei suoi desideri era il suo Primo Cavaliere fino a una spelonca nascostissima che però non doveva essere troppo distante dalla zona del molo. La strada non si concluse lì: il prete, la regina e il cavaliere s'inoltrarono dentro i meandri bui della grotta; dovettero perfino accendere un paio di fiaccole. Lì, Hana ricominciò a spiegare: «Il demone delle fiamme che serve mio marito e che in questo momento si trova prigioniero presso uno dei picchi dove la casa Baelish ha costruito i suoi fortilizi... sarebbe in grado di ridurre qualsiasi cosa in cenere, come e anche più del sacerdote Yashua, che hai modo di vedere con i tuoi occhi»

«O come lo zio Constant...»

«O come lo zio Constant. Eppure, alla Valle lo tengono prigioniero. Come? Tenendolo rinchiuso in una cella di ghiaccio, che a loro non manca. Qui non abbiamo celle di ghiaccio: ma abbiamo il mare»

«A proposito... quella creatura che ha attaccato tuo marito e tuo figlio... non era propriamente un drago...»

«Sicuramente no, ma ancora non sappiamo né cosa sia né il perché abbia agito a quel modo. Se... quell'incantesimo avesse un mandante per esempio»

«Probabile»

«Lord Gushing sta cercando di vedere se trova delle notizie in merito a questo... strano fenomeno. L'ho reinsediato all'interno del Concilio Ristretto». In questo sua sorella era stata prevedibile, ma d'altronde perché avrebbe dovuto fare diversamente? Gushing era il loro più vecchio e caro amico, forse affezionato ai figli di re Lionel più di quanto non lo fosse lo stesso zio Constant. Se tanto gli dava tanto, allora Marcus avrebbe scommesso che anche Pamir Gaholla presto sarebbe ritornato a ricoprire il suo ruolo tra i consiglieri della regina reggente.

Marcus stava deducendo come meglio poteva in merito a tutte quelle cose, quando finalmente lui, sua sorella e l'Alto Septon arrivarono dove dovevano arrivare. Yashua era lì e per un istante Marcus pensò di sguainare la spada, ma vide che sua sorella aveva tutto sotto controllo dunque si tranquillizzò abbastanza repentinamente. Yashua difatti era incatenato e posizionato in modo tale che sia i suoi piedi che le sue mani fossero immersi nell'acqua marina. «Ma» constatò Marcus «e se venisse una piena?»

«Ci penseremo quando accadrà» sentenziò Hana, sorprendentemente crudele, «e se non ci saranno soluzioni, lo lasceremo così»

«Puttana!». A questo punto, il prigioniero stregone si sfogò gridando; Dopodiché ancora più forte, tanto che rimbombò per tutta una parte dell'anfratto, esclamò con rabbia: «Lurida PUTTANA!».

   
 
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