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Autore: GiunglaNord    14/12/2021    2 recensioni
1° Capitolo della serie: "Tienimi le mani, non annegherai".
La Vigilia di Natale è un momento magico che inevitabilmente colpisce il cuore di ciascuno di noi. La Vigilia di Natale scandisce il passare del tempo: si contano le persone rimaste, quelle che sono andate avanti o rimaste indietro. Si ricordano volti gentili, mani amorevoli, ma anche momenti che avresti preferito non vivere, anni che avresti voluto non percorrere. Sebbene in questo periodo dell'anno ci venga imposto di essere felici, è un nostro sacrosanto diritto scivolare nell'inquietudine e nella malinconia, perché la Viglia è un tempo magico e se la magia praticata sia buona o cattiva spetta solo a noi determinarlo. Così accade anche a Hermione Granger nella notte di Natale del 1998, un anno terribile, pieno di dolore e perdite. All'inizio della nostra storia, Hermione non sa cosa farsene di quella magia: se ne sta seduta a contemplare la neve cadere. Tuttavia i ricordi di alcune vigilie passate la condurranno per mano verso...questo scopritelo da soli, scartando uno dopo l'altro i piccoli regali che vorrei dedicare a ciascuno di voi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tienimi le mani, non annegherai'
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Capitolo 3
 
Neve, insegnami tu come cadere,
Nelle notti che bruciano
A nascondere ogni mio passo sbagliato.
E come sparire senza rumore,
Scivolare nel corso degli anni
E non pesare sul cuore degli altri, ma
 
Ma non è semplice non sentire il silenzio che c'è
Qui non è facile guardare il cielo stanotte
 
Come neve - Giorgia e Marco Mengoni
 
 
La neve continuava a mettere in scena  la sua danza al di là del vetro: aveva un andamento ipnotico e suadente, capace di ovattare non solo la natura circostante, ma anche il suo cuore malato.
Perché Hermione ormai l’aveva capito: qualcosa si era irrimediabilmente rotto là dentro, gli ingranaggi si erano arrugginiti e scricchiolavano stridendo.
Aveva creduto che la sconfitta di Voldemort avrebbe sistemato tutto: una volta ricacciato definitivamente nell’ombra dalla quale era arrivato, tutto avrebbe riacquistato un senso.  Non era stato così.
 
I giorni successivi alla battaglia erano stati dedicati alla conta dei morti e il fatto che la maggior parte di essi portassero le sembianze di persone conosciute, di amici intimi con i quali aveva condiviso gran parte della propria vita, aveva reso quel pietoso compito un inferno.
Hermione si aggirava, insieme ai sopravvissuti, tra le macerie della scuola con il terrore di vedere sbucare all’improvviso un braccio, un piede, un ciuffo di capelli: una realtà molto probabile purtroppo.
Aveva ricacciato indietro le lacrime e il disgusto e aveva fatto il suo dovere senza risparmiarsi. Aveva ricomposto corpi, chiuso occhi spalancati, avvertito con tutto il tatto possibile le famiglie dei defunti, sopportato pianti, urla e disperazione.
 Si era imposta di mantenersi salda per Ron e Ginny: la perdita di Fred era una bestemmia talmente grande da lasciare senza fiato. Avrebbe voluto fare di più per George, ma il suo sconcerto e il suo dolore erano al di là della sua comprensione. Da figlia unica non poteva comprendere fino in fondo le dinamiche che legano un fratello ad una sorella e men che meno quel rapporto speciale e nascosto, quella magia, che unisce due esseri umani che hanno condiviso lo stesso ventre, lo stesso seno e perfino la stessa faccia. 
Tentare di spiegarlo con il fatto che il giovane uomo avesse perso una parte di sé era riduttivo: la verità era che, nel momento in cui Fred aveva chiuso gli occhi, George aveva perso se stesso negli occhi dell’altro. Non si era più trovato, come se non fosse mai esistito. 
 
Hermione aveva spalancato le esili braccia per dare rifugio a Ginny, per calmare i singhiozzi di Ron, per tentare di mantenere ancorata alla terra Molly. L’aveva fatto più e più volte fino a dimenticare sé stessa.
Allo stesso tempo aveva scrutato nell’animo di Harry alla ricerca di una speranza, ma vi aveva trovato solo colpa bruciante.
Non importava che avesse sconfitto Voldemort sacrificando volontariamente la sua stessa vita per tutti loro: non era abbastanza. 
Non era bastato ad evitare che il piccolo Teddy rimanesse orfano a pochi mesi dalla nascita o che molti si fossero sacrificati per lui, per dargli il tempo di portare a termine il suo compito. Quei morti, quegli orfani, gravavano tutti sulla sua coscienza. 
Hermione aveva passato le notti successive a strappare minuti al sonno per rovesciare in Harry tutto la razionalità che era riuscita a trovare, ma inutilmente.
 
Si era gettata nella ricostruzione di tutte quelle vite scordandosi di riparare la propria.
E adesso le sembrava tardi: adesso che il tempo aveva iniziato a colmare i vuoti lasciati, lei, quel vuoto, lo portava dentro, come un figlio non voluto.
Era tornata a Hogwarts serbando la timida speranza che quelle vecchie mura e tutto il sapere in esse racchiuso sarebbero stati in grado di darle la pace che stentava a ritrovare.
Fu con sgomento che dovette ammettere di aver compiuto il più grosso errore della sua vita: sebbene le tracce della battaglia fossero state prontamente rimosse, ogni angolo e ogni pietra la riportavano indietro nell’orrore.
Ogni giorno la sua mente labile non poteva fare a meno di ripetere una triste litania: la torre dalla quale è caduto Silente, la nicchia dove è stato nascosto il corpo di Fred, la pietra dove Tonks e Lupin sono caduti, la rimessa dove Piton ha pianto le sue ultime lacrime. Tutti i giorni.
La mente aveva iniziato a tirarle brutti scherzi e farle vedere cose che non esistevano, paralizzandola e annullando qualsiasi cosa intorno a lei. Se lo ricordava ancora quando il panico le aveva tagliato la gola nel corridoio del quinto piano: era certa di aver visto il cadavere di un ragazzino, sicura che quel sangue che fuoriusciva dalle sue labbra fosse reale.  Se Ginny non fosse comparsa all’improvviso probabilmente avrebbe semplicemente smesso di respirare.
Se non fosse stato per la blanda pozione che la cara infermiera Poppy Chips le aveva pietosamente fatto avere non sarebbe mai più stata in grado di dormire.
E ciò nonostante era rimasta, perché sentiva che quel luogo non aveva ancora finito con lei, perché sapeva che, da qualche parte, sarebbe arrivata la risposta ai suoi patimenti.
 
La ragazza appoggiò la fronte al vetro nella speranza di poter lenire quella morsa che stringeva le tempie, ma alla fine si risolse a mettersi in piedi e ad andare a recuperare una pozione contro il mal di testa.
L’orologio a pendolo della Sala Comune le ricordò che era quasi ora di scendere per la cena della Vigilia. Pensò brevemente a tutte le scuse che avrebbe potuto inventare per risparmiarsi quel supplizio, ma non riuscì a partorire nulla di convincente. La Preside non l’avrebbe mai dispensata da quella incombenza, non le avrebbe permesso di rimanere a crogiolarsi nell’ apatia. Da quando aveva fatto ritorno a Hogwarts lo sguardo preoccupato di quella donna intrepida non la lasciava mai e se questo da una parte la inteneriva, dall’altra le provocava una terribile irritazione. Non aveva bisogno della preoccupazione altrui, perché la sua era più che sufficiente.
 
Sbuffò sonoramente guardandosi di sfuggita allo specchio: i capelli ricadevano opachi e scomposti, gli occhi apparivano affaticati e spenti. Il corpo non era ancora riuscito a riprendersi dalle fatiche che aveva dovuto sopportare: le ossa delle anche sporgevano tendendo la pelle sottile, così come le scapole e le clavicole. Hermione non era mai stata robusta, ma ora si sentiva fragile e incerta. Stanca.
Si buttò sotto la doccia e una volta uscita si costrinse a presentarsi al meglio delle sue esigue possibilità.
Uno chignon voluminoso mise in evidenza la delicatezza del collo, un tocco di lucida labbra sparse del colore sul viso pallido, mentre un sobrio vestito rosso cupo riparava il suo corpo da sguardi troppo indiscreti.
 
Alle sette meno cinque abbandonò la sua tana per andare incontro a quella ennesima Vigilia di Natale che non aveva sapore, colore ne odore.
 
La Sala Grande era… era… disadorna. Disadorna sebbene il professor Vitious l’avesse decorata come di consueto con maestosi abeti scintillanti , carichi di deliziosa magia.
Hermione ricordava ancora lo stupore e l’emozione che aveva provato nel trovarseli di fronte il primo anno: le sembrava di non aver mai festeggiato il Natale prima di allora.
Ma adesso, spogliata di tutti i suoi ragazzi, la magia sembrava non riuscire a scalfire la tristezza che aleggiava come un nugolo di Gorgosprizzi sulle teste dei pochi presenti. Una trentina circa, tra studenti e professori.
Diede una rapida occhiata tutto intorno e vide per la maggior parte ragazzi Serpeverde del settimo e sesto anno, sei o sette Corvonero, cinque Tassi ed infine lei, unica Grifondoro presente a condividere pena e mestizia.
Tra i Serpeverde riconobbe  Nott,  Millicent Bulstrode e ovviamente Draco Malfoy, intento a fissare il calice dorato posto di fronte a lui. Di altri conosceva i volti, ma non i nomi, alcuni erano più giovani di lei di alcuni anni. Qualcuno aveva la faccia tirata e appena rabbiosa, altri invece sembravano sul punto di scoppiare in lacrime da un momento all’altro. Hermione  poteva intuire chiaramente chi fossero i vinti e chi le vittime.
 
La Preside la salutò con calore, così come gli altri professori, mentre gli studenti si accontentarono di un dignitoso silenzio o un piccolo cenno del capo. Era chiaro che nessuno dei presenti voleva essere lì in quel momento, così come Hermione poteva percepire su quelle labbra la medesima domanda inespressa: che diavolo ci faceva Hermione Granger in mezzo a quel gruppo di reietti? Anche i professori sembravano arrovellarsi sulla stessa domanda. Minerva aveva tentato dal dissuaderla a rimanere, aveva cercato di indurla ad accettare l’invito dei Weasley, ma anche in quel caso la giovane non aveva voluto sentire ragioni. Ed eccola lì.
 La McGranitt la guardò prendere posto e poi si alzò per fare un breve discorso. Hermione non seppe dire esattamente cosa la fece desistere dal farlo: l’anziana donna rimase qualche secondo con il bicchiere in mano, osservando quelle facce  inespressive e tragiche allo stesso tempo, dopodiché borbottò qualcosa di incomprensibile e si risedette pesantemente sul suo scranno.
“Ragazzi miei…comprendo che questo sia l’ultimo luogo sulla faccia della terra dove vorreste essere, ma dobbiamo fare di necessità virtù. Spero che questa magica notte possa portarvi ciò che più desiderate al mondo. A voi!” disse commossa.
Tutti la guardarono stupiti per quello slancio di disincantata sincerità e levarono in alto i bicchieri più per scaramanzia che per convinzione.
Hermione sentiva gli occhi pungerle: espresse il desiderio di poter ridare al più presto la memoria ai suoi genitori.
 
Se non fosse stata così immersa nei suoi pensieri, probabilmente si sarebbe accorta di aver destato, suo malgrado, la curiosità del giovane Malfoy.
La osservava di sottecchi, brevemente.
Che diavolo ci faceva lì Hermione Granger?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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