Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: GiunglaNord    16/12/2021    2 recensioni
1° Capitolo della serie: "Tienimi le mani, non annegherai".
La Vigilia di Natale è un momento magico che inevitabilmente colpisce il cuore di ciascuno di noi. La Vigilia di Natale scandisce il passare del tempo: si contano le persone rimaste, quelle che sono andate avanti o rimaste indietro. Si ricordano volti gentili, mani amorevoli, ma anche momenti che avresti preferito non vivere, anni che avresti voluto non percorrere. Sebbene in questo periodo dell'anno ci venga imposto di essere felici, è un nostro sacrosanto diritto scivolare nell'inquietudine e nella malinconia, perché la Viglia è un tempo magico e se la magia praticata sia buona o cattiva spetta solo a noi determinarlo. Così accade anche a Hermione Granger nella notte di Natale del 1998, un anno terribile, pieno di dolore e perdite. All'inizio della nostra storia, Hermione non sa cosa farsene di quella magia: se ne sta seduta a contemplare la neve cadere. Tuttavia i ricordi di alcune vigilie passate la condurranno per mano verso...questo scopritelo da soli, scartando uno dopo l'altro i piccoli regali che vorrei dedicare a ciascuno di voi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tienimi le mani, non annegherai'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cap. 4
 
Alla vigilia di Natale

Oggi siamo seduti, alla vigilia
di Natale, noi, gente misera,
in una gelida stanzetta,
il vento corre fuori, il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo:
perché tu ci sei davvero necessario.
 
-Bertolt Brecht-
 
 
Alla fine dello stringato discorso della Preside, la tavola si riempì magicamente di ogni sorta di leccornia. Questo evento, che in altri tempi avrebbe suscitato gridolini estatici, passò invece quasi sotto silenzio.
 
Le labbra della Mcgranitt si fecero ancora più sottili: aveva banalmente sperato che quei piatti succulenti sarebbero riusciti a spezzare almeno per qualche istante la tensione e la malinconia di quella triste Vigilia.
L’anziana donna non poté fare a meno di sospirare e il pensiero corse alle innumerevoli cene che Hogwarts aveva offerto ai suoi studenti sotto le feste: la bizzarra gioia di Silente nel vedere quelle faccine stupite e incredule, le risate e il chiacchiericcio eccitato dei suoi studenti, gli scherzi e i piccoli doni che comparivano e scomparivano nelle tasche delle divise. La cena della Vigilia era sempre stato un momento felice.
 
Mentre portava alla bocca un canapè rosso fuoco, le sue sopracciglia si aggrottarono al pensiero della Vigilia dell’anno prima. Molti studenti erano rientrati a casa per sfuggire alle angherie dei Mangiamorte, ma molti erano stati costretti a rimanere.
Pensò con un misto di irritazione e nostalgia a Piton, seduto al posto che ora lei occupava: nessun discorso edificante era uscito dalla sua bocca, nessun incoraggiamento, nessuna speranza.
Adesso che aveva appreso nel modo più brutale la verità sul conto del defunto collega non poteva fare a meno di ripensare ai suoi occhi pensierosi e feroci insieme mentre, dall’alto del suo scranno, aveva fatto scorrere lo sguardo sugli studenti: chissà cosa avrebbe fatto se fosse stato libero da quel fardello indicibile che Silente non aveva esitato a posargli sulle spalle e di cui lui si era fatto carico senza battere ciglio, nel tentativo di allievare la colpa di un tempo che fu. La sua vita doveva essere stato un susseguirsi di gironi infernali.
Una vita passata a proteggere il figlio che l’unico amore della sua vita aveva avuto con la sua nemesi, una vita a trovare strategie per rendersi il più sgradevole possibile ai suoi occhi, perché le sue reali intenzioni non venissero mai a galla. Chissà cosa aveva significato specchiarsi in quegli occhi verdi nell’ultimo minuto di quella vita scorticata. Minerva rabbrividì e sperò con tutta sé stessa che alla fine avesse trovato la sua assoluzione: se la meritava.
 
Non era stata una bella Viglia di Natale quella dell’anno prima, ma non avrebbe potuto essere diversamente e lei era consapevole che avrebbe dovuto tenere duro, stringere i denti e andare avanti sulla strada prefissata, per proteggere quelle giovani vite dalla furia del male e della guerra. Era pronta e non aveva avuto tentennamenti o dubbi.
Ma ora… ora si sentiva sfibrata e senza armi, senza magia per strappare quelle anime a brandelli che le stavano davanti. Figli di Mangiamorte con il futuro spezzato dalle scelte sconsiderate di chi avrebbe dovuto proteggerli, già intrisi di quella malvagità che avevano assunto con il latte materno; figli delle vittime dei Mangiamorte che non avevano più una famiglia, un posto sicuro dove tornare, che covavano rancore e frustrazione. Cosa avrebbe potuto fare per loro? Niente. L’unica risposta che le veniva in mente era niente. E questo le faceva ribollire il sangue di rabbia, perché con le mani in mano ad accettare la disfatta lei non era capace di stare. Aveva passato i lunghi mesi precedenti a confrontarsi con il ritratto di Silente, ma la figura dell’uomo non era stato in grado di dissipare quelle nubi che le stringevano il petto in una morsa.
E poi c’era lei: la Granger.  Pallida e silenziosa le sfilava davanti come uno spettro giorno dopo giorno, inchiodandola con la sua depressione alla sua inadeguatezza; non c’era niente che lei o i suoi amici potessero fare o dire per farla reagire. La ragazza si limitava a galleggiare.
Quando Molly le aveva scritto preoccupata e furente per dirle della decisione di Hermione di non passare il Natale con loro, lei aveva compreso che la situazione ormai era sfuggita al controllo di tutti. E ancora non sapeva come intervenire. Inadeguata. Mai avrebbe pensato di arrivare alla sua veneranda età e sentirsi insicura come ragazzetta. Lo odiava.
 
Si riscosse da questi rumorosi pensieri solo perché si accorse che Pomona la stava chiamando insistentemente. Sospirò di nuovo e si apprestò a concederle la sua svogliata attenzione.
 
Hermione aveva cercato di non dare peso alle occhiate pensierose che la Preside le aveva rivolto fino ad allora: la testa china sul piatto a giocherellare con della gelatina verde acido.
Avrebbe voluto con tutta sé stessa sollevare l’anziana donna dalla sua preoccupazione, ma era consapevole di non essere credibile. Si odiava.
Sollevò leggermente lo sguardo e guardò brevemente i suoi compagni: solo allora parve prendere consapevolezza del fatto che nessuno stava parlando, nessuno sorrideva. Le venne da vomitare.
Attirata da un movimento, voltò leggermente lo sguardo e fu sinceramente sorpresa di cogliere lo sguardo grigio di Malfoy posato su di sé. Fu solo un attimo, ma sufficiente per lasciarle una sgradevole sensazione addosso.
Scrollò le spalle e ritornò a dedicarsi alla gelatina.
Non aveva più avuto modo di avere uno scambio con lui dal giorno del processo ai Malfoy quando lei, Harry e Ron avevano testimoniato relativamente ai fatti che li avevano visti protagonisti: la menzogna di Draco alla zia Bellatrix e le parole che Harry aveva ascoltato sulla Torre di Astronomia insieme all’enorme voltafaccia di Narcissa nella Foresta Proibita.
Questo aveva permesso ai due di risparmiarsi il carcere, ma non aveva salvato Lucius da un periodo di detenzione. Se ne avesse avuto l’occasione quell’uomo meschino non avrebbe esitato a ucciderli con le proprie mani, ma Malfoy senior sapeva come voltare le situazioni a sua favore e in cambio di una collaborazione fattiva con gli Auror si era scampato molti anni.
Si chiese come mai Malfoy non fosse a casa a farsi coccolare da mammina, invece che mischiare il suo sangue con tutti quei relitti. Un piccolo ghigno le apparve sul volto al ricordo delle parole di Ron che sconcertato, in mezzo alla battaglia, si era ritrovato a salvare le chiappe del furetto per ben due volte.
Non ricordava che Malfoy li avessi mai ringraziati.
Chissà perché era lì.
Sicuramente aveva notato che gran parte della sua fottuta arroganza era evaporata come neve al sole e che nei rari casi in cui si incrociavano nel castello ciascuno si limitava ad ignorare cordialmente la presenza dell’altro: ormai si erano detti tutto quello che pensavano reciprocamente nel corso di sei lunghi anni e non c’era niente da aggiungere.
Era stato detto che il ragazzo era stato costretto a marchiarsi per evitare ritorsioni contro i suoi genitori, aveva sentito parole come pentimento, lavaggio del cervello, ma Hermione Granger vi aveva creduto fino ad un certo punto. Certo non era un Mangiamorte incallito, ma un viziato razzista senza palle sicuramente sì.
Non aveva certo perso tempo a darsi pena anche per lui.
 
Draco Malfoy si ricoprì di improperi mentali per essere stato colto in fallo dalla Granger.
Sentiva il nervosismo invadere le vene: perché la Preside non metteva fine a quel supplizio? Maledetta Megera!
La presenza della Mezzosangue lo agitava più del necessario: era certo che avrebbe passato quella merdosa viglia con quelli della sua disgraziata specie, non con la Salvatrice del mondo magico, come era stata chiamata per mesi sui giornali.
Anche se… anche se non aveva l’aria di una che era salita trionfante sul carro dei vincitori.
Ma questo l’aveva capito da tempo: dal primo giorno che se l’era trovata a scuola. Quella cosa magra e smunta che camminava per i corridoi, non era certo la Granger superba e sfacciata che aveva conosciuto. All’inizio la sua aria afflitta l’aveva divertito, ma poi aveva provato un fastidio crescente di fronte a quelle occhiaie e a quella apatia. Più volte era stato sul punto di rivolgerle un insulto solo per il gusto di vederla reagire; non l’aveva fatto solo perché probabilmente la McGranitt l’avrebbe spedito dritto a far compagnia a suo padre in una schifosa cella. E l’ultima cosa che voleva era passare del tempo con Lucius: aveva bisogno di disintossicarsi dal padre. E da sua madre, anche. Ecco, perché si era rifiutato di raggiungerla per Natale, ovunque si trovasse ora.
 
Con il Manor sotto sequestro, erano stati costretti a trasferirsi di volta in volta nelle varie proprietà sparse in giro: Narcissa non sembrava mai soddisfatta e continuava a spostarsi come una trottola.
Malfoy comprendeva il suo disagio: la casa, con tutte le sfumature che questo termine si portava appresso, e l’unità della famiglia erano state la sua unica preoccupazione, l’unica cosa per cui avesse lottato con le unghie e con i denti. Durante gli ultimi due anni si era reso conto che sua madre era una donna eccezionalmente forte e intelligente: se non si erano completamente rovinati era stato solo grazie a lei. Aveva passato la sua vita a elemosinare l’approvazione di Lucius Malfoy, senza accorgersi che l’unica di cui avrebbe dovuto temere il giudizio era sua madre. Lucius era colui che si pavoneggiava in giro, Narcissa colei che cercava di far andare avanti la baracca.
Tuttavia adesso la signora Malfoy sembrava persa senza i suoi punti di riferimento, completamente smarrita. Draco aveva cercato di sostenerla come meglio aveva potuto, ma ad un certo punto aveva compreso che lui non poteva fare nulla per curare le sue ferite e così l’aveva lasciata in pace, accettando il fatto che peregrinasse da una casa all’altra.
Era tornato a scuola non perché gli interessasse completare la sua istruzione, ma perché di fatto non aveva altro posto dove andare a nascondersi, per sottrarsi alla curiosità morbosa, al biasimo e al disprezzo che si erano rovesciati sulla sua famiglia come fumante cacca di drago.
Perlomeno lì sarebbe stato quieto per molti mesi: le occhiate malevole dei compagni, l’ostracismo di cui era stato fatto oggetto, persino i non tanto velati insulti e i pugni palesi che a volte sgusciavano fuori all'improvviso dalle ombre del castello erano preferibili all’incubo senza futuro che lo aspettava fuori. Non nutriva alcuna speranza: nessuno lo avrebbe mai preso a lavorare da qualche parte, nessuno si sarebbe mai fidato di lui e del marchio che gli imbrattava il braccio sinistro. Ringraziò Salazar di essere sufficiente ricco da poter continuare a condurre una esistenza oziosa e agiata, lontano da tutto. Il suo unico obiettivo attualmente era quello di essere dimenticato.
Inoltre, dopo due anni con la casa occupata dal Signor Oscuro, dai Mangiamorte e da tutte quelle bestiacce che si portavano appresso, gli sembrava di stare in paradiso.
Nessun folle maniaco a torturarlo psicologicamente e fisicamente, nessuna pazza zia a saltellargli intorno famelica, come fosse un prelibato bocconcino da donare al suo amato Lord Oscuro, niente grida strazianti, niente prigionieri insanguinati o cadaveri da dare in pasto a quell’orrido serpente. Niente di niente. Che gli importava di qualche insulto mormorato a mezza voce nei corridoi, un labbro spaccato, quando per due lunghissimi anni aveva avuto l’inferno comodamente seduto nel suo salotto?
Perfino quella merdosa cena di Natale gli sembrava un bacchetto di nozze, pieno di gente felice a confronto con la cena dell’anno prima.
Un brivido gelato gli percorse la spina dorsale, mentre i ricordi lo assalivano.
 
Lord Voldemort aveva preteso una cena sontuosa, in puro stile purosangue. Aveva costretto Narcissa ad addobbare il salotto con sfarzosi abeti, luci e incantesimi e le aveva dato precisi ordini sulle pietanze da servire: vedere sua madre trattata alla stregua di un elfo domestico gli aveva fatto provare una rabbia sconfinata, quanto inutile.
Bellatrix sembrava essersi trasformata nella vera padrona di casa: ronzava intorno lanciando ordini e discutendo su tutto. Proprio lei che aveva passato gran parte della sua vita in una cenciosa cella ad Azkaban.
I Mangiamorte che bazzicavano in casa non perdevano occasione per umiliare suo padre e di riflesso anche lui. Draco si sentiva soffocare in quella atmosfera artefatta e carica di pura malvagità. Avrebbe desiderato che il padre si ribellasse in qualche modo, che si spendesse per difendersi e per difendere Narcissa, ma l’uomo tremava e strisciava servile tra quella gente vile, che un tempo gli si rivolgeva in maniera quasi sottomessa.
Quella Vigilia gli aveva lasciato in dono il disvelamento della sudicia ipocrisia di cui il suo ceto sociale era impregnato.
Si erano accomodati a tavola  e Voldemort aveva preteso che Narcissa li servisse tutti. Sua madre non aveva battuto ciglio, ma con tutta la dignità di cui era capace era rimasta impassibile, la schiena dritta. Draco non l’aveva mai amata tanto.
E poi… poi all’improvviso il viso rilassato di Voldemort si era distorto in una morsa terrificante, che aveva lasciato tutti senza fiato.
Era balzato in piedi rovesciando tutta la tavola ed era… sparito.
Nell’aria solo una parola era rimasta sospesa: Harry Potter.
 
Il giovane si riscosse da quei brutti ricordi con la gola riarsa e un fastidioso prurito al braccio sinistro.
Bevve tutto d’un fiato un bicchiere d’acqua per calmare i nervi, immaginando che fosse Whisky Incendiario e pensò, una volta di più, di aver fatto la scelta giusta a ritornare a scuola.
 
L’unica gigantesca pustola che infettava il suo piano perfetto era lei: Hermione Granger e la sua sottile disperazione.
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: GiunglaNord