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Autore: Koa__    17/12/2021    6 recensioni
A ridosso del Natale, il demone Crowley si accorge che l’angelo Aziraphale sembra esser diventato insensibile alle festività. Non prepara tonnellate di biscotti, non beve cioccolata e non ha nemmeno decorato il negozio con alberi di Natale e vischio. Quando però questi lo invita inaspettatamente a trascorrere le feste nel suo cottage di campagna, così da sfuggire ai festeggiamenti di Londra, Crowley si rende conto di dover fare qualcosa per “Salvare il Natale”.
Questa storia partecipa all’iniziativa “Regali di inchiostro tra i tavoli del pub” indetto dal gruppo Facebook: “L’angolo di Madama Rosmerta”.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il demone del Natale





 

Questa storia è un regalo per Nao e Arianna, che amano Crowley e Aziraphale.





 

“Natale non è solo un giorno,
è uno stato d’animo”






 

Il demone Crowley non aveva mai realmente capito perché Dio avesse creato l’inverno. Certo lassù tirava sempre un po’ di vento e non faceva esattamente caldo, ma tra il vivere in modo fastidiosamente pacifico tra odiosissime, soffici nuvolette e una cosa orrenda come la neve, ce ne passava. Ogni anno spariva dalla circolazione appena dopo Halloween, prima era impensabile che si mettesse a dormire e ciò, nonostante a ottobre a Londra facesse già un dannato freddo. Il fatto era che non poteva proprio perdere l’occasione di vedere l’angelo indignarsi di disapprovazione, le volte in cui lo beccava a spaventare i bambini a morte. Levarsi d’improvviso gli occhiali e mostrare le proprie iridi da serpente ad anime innocenti era sempre un gran divertimento, ma notare la maniera spazientita con la quale Aziraphale lo rimproverava bonariamente, forse lo era ancora di più. E quindi proprio malgrado tollerava i climi rigidi, ma lo faceva per puro spirito demoniaco. I primi di novembre poi, quando la sua missione era completata, se ne andava a letto e non si svegliava sino a primavera. Nel mezzo c’era addirittura il Natale e quella era certamente una di quelle occasioni che si perdeva volentieri. Crowley odiava quel genere di festività: le lucine colorate, le canzoncine intonate da bimbi vestiti a festa, gli abeti decorati e i quintali di zucchero che quegli stupidi mortali ingurgitavano per giorni, a lui facevano venire la nausea. Perciò era sempre meglio dormire, soprattutto quando Londra si dipingeva di bianco. Allora, l’angelo diventava insopportabilmente euforico, dato che lui naturalmente amava anche la neve, oltre che il fottuto Natale. Per Satana, non aveva ancora digerito i biscotti al pan di zenzero che una volta, tipo attorno al 1952, aveva cucinato con le sue angeliche manine. E infatti era da allora che si chiudeva in casa e serrava le porte a doppia mandata; che lo minacciassero pure di gettarlo nell’acqua santa, non gliene sarebbe importato nulla, tutto tranne che quegli orribili biscotti allo zenzero! Quell’anno, Crowley non sarebbe andato in “letargo” e ancora non aveva capito come diavolo fosse finito in una trappola come quella. Anche se, a essere sinceri, a riguardo l’angelo era stato categorico e aveva sfoderato quel suo modo di fare risoluto che lo aveva fatto capitolare. Cedeva sempre un po’ troppo facilmente quando Aziraphale sfoderava certi modi autoritari, perché si intravvedeva in lui come una vena di sadismo che lo rendeva ancora più interessante. Crowley spesso aveva la sensazione che si divertisse un mondo a impartirgli ordini, obbligandolo a un qualcosa che sapeva avrebbe detestato. Il pensiero che quell’anno lo stesse forzando a festeggiare il Natale in un cottage nelle South Downs, * dove realmente non c’era nulla di divertente da fare, era in un certo senso stuzzicante. Andiamo, si era detto maledicendo la propria debolezza, che accidenti poteva mai esserci da fare nelle South Downs? Ma poi esistevano davvero, le South Downs? Nel senso che c’erano realmente persone che ci abitavano? Non gli sembrava possibile, cioè l’ultima volta che aveva controllato c’erano solo pecore e cavalli. E l’angelo voleva portare lui, demone infernale, a trascorrerci le feste? In un deliziosissimo, amabile cottage di campagna, la cui città più vicina era un paesino di cinquanta anime con una piazza grande quanto il suo soggiorno, una chiesa e una farmacia? Bah, a suo modo di vedere bisognava essere bastardamente subdoli per trascinare un qualsiasi essere vivente fin là, convincendolo che gli sarebbe addirittura piaciuto ed era proprio per questo che Crowley aveva finito con l’accettare. Lo stava condannando all’immobilità forzata, intanto che lo rifocillava di dolci e tè! Poteva esserci inferno peggiore? O carceriere più sadico e affascinante? E poteva lui amarlo di meno? No, davvero!
 


«Andremo nel mio cottage, giù nelle South Downs questo Natale» aveva detto ai primi del mese di novembre quando, come suo solito, Crowley era andato in libreria per salutarlo prima di mettersi a dormire. Dando per scontato che fosse una cosa che dovevano fare insieme, Aziraphale aveva ignorato le sue proteste a riguardo e, schioccando le dita, aveva miracolato un tè con biscotti per se stesso e una bottiglia di Pinot nero per lui. Neanche si era preoccupato di dargli un bicchiere, aveva osservato, togliendo il tappo di sughero coi denti e sputandolo lontano. Per tutti i diavoli, era questa la ragione per cui lo amava così tanto. Nonostante fossero diversi come il giorno e la notte, l’angelo sapeva sempre qual era la cosa migliore per lui e non lo forzava mai a essere diverso da com’era. Era straordinariamente in grado di torturarlo e benedirlo al tempo stesso, di maledirlo e amarlo con una forza che gli faceva tremare le ginocchia. E in effetti era una cosa come, bah, seimila anni o giù di lì che ne era innamorato. Non che se ne fosse accorto subito, la consapevolezza era arrivata col tempo e poi gli era esploso un qualcosa di non ben definito nel petto, a un certo punto verso la seconda guerra mondiale. L’amore era terribile, in effetti Crowley odiava essere innamorato. Era uno di quei sentimenti con cui era sempre troppo facile torturare le anime perché il formicolio sulla pelle, le gambe molli e lo sfarfallio nello stomaco erano sensazioni così brutte che era sicuro che Satana in persona si sarebbe divertito in eterno a giocare con l’amore non corrisposto di un singolo individuo. Chissà col suo, che cosa ci avrebbe fatto. Probabilmente lo avrebbe deriso e poi anche umiliato, come se amare qualcuno che neppure ti vede non fosse una tortura abbastanza dolorsa. Sì, Aziraphale non lo amava. Almeno non in quel senso, ma perché l’angelo aveva un solo modo di concepire i sentimenti: per lui esisteva l’amore e questo era fatto di generosità, buon cuore, buona volontà… era un buono tutto! Non c’era niente che fosse sporco, malizioso o ambiguo dentro di lui. Di conseguenza, l’unico modo che aveva di volergli bene era quello col quale ne voleva a qualunque altro essere vivente. Aziraphale amava qualsiasi cosa soltanto perché Dio l’aveva creata. Una parte di lui era probabile che avesse a cuore quei suoi amici del paradiso, che Crowley francamente trovava terrificanti, oltre che mortalmente antipatici. E questo perché lui era l’angelo più veramente angelo di tutti. Oh, niente a che vedere con gentaccia come Gabriel o quel pazzo scatenato di Sandalphon, quelli erano pur sempre gli stessi che in passato avevano bruciato città intere e condannato esseri viventi con uno schiocco di dita, voltandosi dalla parte opposta come se niente fosse successo. Aziraphale era diverso, ma in effetti lo era da qualunque altra creatura esistente in cielo così come sulla terra. Aveva un cuore tanto grande che Crowley spesso si trovava a pensare che quel concetto di infinito su cui gli umani tanto si scervellavano, fosse racchiuso dentro al suo angelico petto, sotto a strati di satin bianco. Ah, quello stupido di un angelo amava chiunque in maniera sconfinata e quindi era certo che, in un qualche senso tutto suo, amasse persino un demone che un tempo era stato un serpente. Il che non lo consolava, no davvero. Perché non era certamente lo stesso modo col quale Crowley lo amava. Il sentimento che provava aveva una concezione forse molto più umana, che immortale e questo costituiva un enorme problema dato che loro erano a tutti gli effetti un angelo e un demone. A dirla tutta era quel qualcosa di non ben definito che portava al bisogno di avere un qualunque tipo di contatto fisico e di fare cose stupide e noiose, come guardarsi negli occhi e sospirare. Per Satana, se avesse fatto davvero una roba del genere si sarebbe maledetto da solo, ne era certo. E non lo avrebbe mai ammesso, ma ci avrebbe fatto anche dell'insano e sporco sesso, se soltanto Aziraphale l’avesse voluto. Gli umani lo facevano, e anche tanto da quel che ne sapeva. Gli angeli invece no. Anzi, era quasi sicuro che il suo biondino preferito neppure sapesse cosa fosse con precisione. C’era stato un tempo nel quale entrambi, in quanto esseri asessuati, erano stati sprovvisti di apparati genitali vari, ma poi avevano in qualche modo ottenuto un corpo tutto loro e il fatto che non lo usassero per certe attività non voleva dire che non avessero… Beh, tutto quanto il necessario per riprodursi. Non era neppure concepibile che affrontassero un discorso come quello, anzi non avrebbero neppure mai parlato di sentimenti. E quindi Crowley si accontentava di stargli accanto il più possibile. D’altra parte, da quando avevano fatto fallire l’Apocalisse e avevano perso i rispettivi lavori, non avevano più una fazione. Avevano scelto di schierarsi con gli umani e quindi era impensabile che si allontanasse da Aziraphale proprio ora che questi non aveva più una casa in cui tornare.


 

E poi… Beh, e poi c’era quella faccenda. Quella che aveva notato già da qualche settimana e che lo stava preoccupando molto più di quanto non volesse ammettere. L’angelo non stava bene, nel senso che sembrava triste, come se la sua esistenza non avesse più uno scopo. Il che era ridicolo, dato che in quel periodo dell’anno era la felicità fatta persona. Continuava a far finta di avere una libreria e seguitava a convincere i propri potenziali clienti a scegliere un altro negozio in cui andare, il che lo faceva più o meno dal 1700 e qualcosa. Ma le volte in cui era andato a trovarlo aveva notato come una certa malinconia in lui, quasi non riuscisse più a trarre piacere neppure da una buona lettura. Che provasse come una sorta di nostalgia e che questa peggiorasse con l’avanzare dei giorni, lo aveva capito quando novembre era finito e dicembre era iniziato. Allora, il demone Crowley aveva visto il suo angelo spegnersi. Di solito decorava la vetrina del negozio il primo del mese, comprava sempre uno di quei calendari dell’avvento che sistemava in cucina e tutte le mattine, appena sveglio, apriva una casellina e sorrideva quando trovava un dolcetto. C’erano venticinque pezzetti di cioccolata tutti uguali là dentro, ma Aziraphale se ne stupiva ogni volta e se ne compiaceva come se qualcuno gli avesse fatto un’enorme sorpresa che davvero non si sarebbe mai aspettato. Quindi faceva l’albero di Natale, decorava il caminetto e faceva anche il presepe. Quando era particolarmente ispirato, inoltre, passeggiava per le strade di Londra, miracolando vischio e festoni ovunque gli capitasse di posare lo sguardo. Il tutto intervallato da ettolitri di cioccolata calda, vagonate di marshmallow, dolcetti allo zenzero, biscotti allo zenzero, cupcake allo zenzero e probabilmente anche zenzero allo zenzero (qualunque cosa esso fosse). Quell’anno, la cucina del suo appartamento non era il consueto disastro di farina e gusci d’uovo spiaccicati sotto le scarpe e non c’era neppure il profumo dolciastro dei biscotti nell’aria. Non un abete era stato sistemato nel soggiorno e la vetrina del negozio era spoglia come un tiglio in inverno. Era stato per un attimo, solo per la durata di quell’istante Crowley aveva ringraziato Di… Sata… Di… o chi diavolo dovesse ringraziare per il fatto che l’angelo non volesse più festeggiare e che magari gli avrebbe evitato anche il viaggio fino alle colline, poi però aveva capito che qualcosa in lui non andava e allora la gioia era svanita. Forse era stato in quel momento, mentre guardava l’appartamento dell’angelo fastidiosamente poco natalizio, che si era reso conto di dover fare qualcosa. Non sapeva proprio quale problema avesse, ma il demone Crowley aveva abbastanza immaginazione per poter pensare di organizzare un Natale perfetto. O quasi.


 

Era il venti dicembre quando si era presentato con la propria Bentley davanti alla libreria di Aziraphale. Era in leggero ritardo perché lungo la strada si era fermato in un negozio e aveva rubato un albero di Natale in formato mignon, da sistemare sul cruscotto. Avrebbe certamente fatto piacere all’angelo se avesse reso la sua piccolina un po’ più a tema, si era detto uscendo di casa. Il fatto che questo fosse glitterato d’oro e che gli avesse lasciato le dita sporche di brillantini gli aveva fatto quasi venire da vomitare, ma almeno si era risollevato il morale quando aveva fatto finire il negoziante sotto a una macchina. No, non lo aveva ucciso. D’altra parte c’erano cose peggiori della morte e rompersi una gamba quattro giorni prima della viglia era una deliziosa tortura a cui non era riuscito a rinunciare.
«Niente oca al forno per te, nonnetto!» aveva sibilato, malefico, facendo schioccare la lingua biforcuta sul palato intanto che agitava le dita e miracolava quel tizio direttamente in ospedale. Ma d’altra parte era colpa sua, no? Mai mettersi contro a un demone quando questi decide di rubarti un albero di Natale. E questo idiota aveva avuto il coraggio di rincorrerlo, pretendendo che pagasse venti sterline? Venti sterline! Per quella cosa di plastica orribile ricoperta di glitter? Ma anche no, grazie.
«Ben ti sta» aveva riso, intanto che ancheggiava in direzione della macchina e ci saliva, sbattendo la portiera. E dieci minuti più tardi, dopo aver bruciato tre semafori e investito un paio di ciclisti, un angelo fasciato perfettamente in un gran cappottone bianco aveva chiuso il bagagliaio della sua auto con un colpo secco.
«Incredibile come le tue sei valigie ci siano state in una macchina degli anni venti, il cui baule è praticamente inesistente, vero angelo?» Aveva buttato lì intanto che inseriva le chiavi nel quadro, con la speranza di farlo ridere, scatenando però poco meno di un sorrisino. Le sue labbra si erano tese appena appena verso l’alto e lo sguardo, solitamente carico di meraviglia, si era acceso e spento sin tanto rapidamente, appesantendosi di una tristezza sofferta. Odiava vederlo ridotto in quello stato e chiunque fosse stato a renderlo malinconico l'avrebbe pagata molto cara.
«Hai visto?» disse, in maniera forse un po’ troppo impacciata indicando la minuscola decorazione, la cui punta ora pendeva un po’ a sinistra. «Natale!»
«Oh, ma certo, caro» mormorò lui in risposta. In realtà sembrava star facendo di tutto pur di non darlo a vedere, ma i suoi occhi si erano illuminati quando aveva sentito quella parola.
«Trovo sia molto grazioso, Crowley.»
«Sì, vedi? Ha tutte quelle cose che ti piacciono tanto tipo… Bah, questi sono minuscoli campanelli, sin troppo angelici per i miei gusti, e brillantini dorati praticamente ovunque. E si illumina, guarda» disse, piantando un pugno ben assestato sul cruscotto. Il piccolo albero tremò sotto le pesanti vibrazioni, iniziando però ad accendersi e spegnersi a intermittenza.
«Visto?» sorrise, soddisfatto di sé. «Ti piace?»
«Sì, è davvero bellino bellino» mormorò, annuendo «però, aspetta un momento. Tu odi il Natale!»
«Ma tu no, angelo ed è questo ciò che conta. E ora allacciati le cinture» disse, prima di far rombare il motore della Bentley. Soltanto allora si rese conto di non sapere assolutamente quale fosse la direzione giusta. Tuttavia, senza preoccuparsi troppo della strada, iniziò a guidare. Perché il demone Crowley aveva un qualcosa che nessun altro demone possedeva: immaginazione. Era certo che quelle tonnellate di metallo e gomma sapessero per certo quale fosse la strada giusta da prendere e quindi decise che era molto più saggio lasciarsi guidare da lei.

 

Era quasi sicuro che più di un umano avesse notato con una buona dose di stupore, quello strano fenomeno atmosferico che seguiva una Bentley degli anni ‘20 con a bordo un biondino terrorizzato e un tale dai capelli rossi fiammanti, che guidava come un forsennato. Era proprio insolito che nevicasse ovunque tranne che attorno a quella macchina, ancora di più lo era il fatto che la neve si sciogliesse e riformasse al suo passaggio. Era proprio un peccato, poi, che puntualmente chi vi assisteva se ne dimenticasse un istante più tardi, riprendendo a spalare il proprio vialetto senza smettere di imprecare. Forse,ù Crowley aveva sottovalutato questa cosa della neve: aveva sentito più odi a Satana in quel breve viaggio che in tutta quanta la sua vita.
«Mio caro, per favore potresti rallentare? Sono sicuro che quello fosse un semaforo» disse, voltandosi indietro come se volesse effettivamente accertarsene. Lo era, ma a Crowley non importava davvero.

«Oh, andiamo, angioletto, sto andando pianissimo» ribatté dando un’occhiata al contachilometri, che comunque era rotto dagli anni ‘80. «Non avrai mica paura?» lo stuzzicò, lanciandogli un’occhiata maliziosa, prima di riportare le attenzioni sulla strada. 
«Paura non è il termine adatto, demone spericolato» gli rispose lui, tentando maldestramente di darsi un contegno pur seguitando a reggersi ai sedili «lo definirei terrore, ecco.» 
«Io guido benissimo» si intestardì sprizzando orgoglio da ogni più piccolo poro della pelle «in tutta la mia vita non ho fatto un incidente né ucciso nessuno.»
«Su questo ho qualche dubbietto, Crowley» lo rimproverò Aziraphale, con un’occhiataccia.
«Sono sempre attento» ribatté subito lui, inchiodando per far attraversare una vecchina con tanto di bastone e buste della spesa, che incedeva a passo di tartaruga sulle strisce pedonali. Dove diavolo andava quella con tutta la neve che c’era per le strade? Per quale ragione non se n’era rimasta a casa, Crowley non poté fare a meno di chiederselo iniziando a picchiettare nervosamente le dita sul volante. Maledetti pedoni! Maledette strisce che consentivano loro di attraversare in tutta tranquillità e maledetto anche chi li aveva inventate. Era stato un angelo, senz’altro. Solo loro potevano avere idee così pessime.
«Visto?» disse indicando l’anziana umana «faccio persino attraversare le vecchie, che tra parentesi vanno più lente delle lumache. E poi lo so benissimo che se facessi fuori un mortale non mi parleresti più e ti ricordo che siamo rimasti noi due soli, caro il mio angioletto. Niente più alternative, non inferni né paradisi nei quali tornare o cari amici da abbracciare. Nulla di nulla, dobbiamo fare fronte comune.» 
«Questo lo so anche da me» si incupì improvvisamente l’angelo, assumendo un’espressione più seria intanto che portava gli occhi sulla strada. «La signora ha raggiunto il marciapiede, puoi ripartire» concluse, azzittendosi. Crowley lo fissò con una punta di stupore che non si preoccupò neppure di nascondere, aveva abbassato gli occhiali sino alla punta del naso e fissava quell’angelo come se lo vedesse per la prima volta. Che diavolo gli aveva preso così d’improvviso? Sì, la mancata Apocalisse era ancora molto recente, dato che era successa soltanto l’estate precedente, ma da allora l’angelo non aveva dato segno di patire la mancanza dei suoi odiosissimi amici angelici. Eppure si era zittito e, anzi, quando la macchina aveva ripreso a muoversi con la consueta guida sportiva, neppure aveva dato segno di essere spaventato. Crowley non poté fare a meno di notare che era come se fosse finito con la mente altrove. Intanto che le ruote della sua fidata Bentley mangiavano asfalto e che la loro meta si avvicinava inesorabilmente, si rese conto che il cattivo umore dell’angelo doveva avere qualcosa a che fare con il paradiso. Aveva taciuto d’improvviso non appena lo aveva nominato e i suoi occhioni adesso erano tristi, così come lo erano stati sin da quando quella faccenda del Natale era iniziata. Non sapeva se fosse la cosa giusta da fare, ma certo fu la sola a venirgli in mente. Si preoccupò soltanto di guardare nello specchietto retrovisore, così da accertarsi che non ci fosse nessuno dietro di loro e poi schiacciò con forza sul freno, fermando l’auto nel bel mezzo della campagna. La magia che li aveva avvolti si era spezzata d’improvviso e adesso candidi fiocchi di neve stavano ricoprendo il mantello nero della Bentley. Stranamente non se ne preoccupò. Notò invece il modo stupito con il quale Aziraphale ora lo guardava e si rese conto di aver agito sin troppo d’impulso. Crowley era un demone che ragionava, al contrario di molti altri della sua specie sapeva quali fossero i modi migliori per far sì che gli umani cadessero nel peccato. Non come Hastur che agiva d’impulso e che comunque, quando pensava finiva con il prendere sempre la decisione sbagliata. Se c’era una cosa che aveva imparato dagli umani, era che la strategia era un'arte e che la logica permetteva di ottenere un certo distacco tra se stessi e il resto del mondo. Tuttavia, c’erano faccende che era impossibile trattare con freddezza. In un certo senso, l’Apocalisse era stata una di quelle. Ricordava ancora di come fosse andato sino a Tadfield senza sapere bene come fermare un evento che era stato programmato sin dall’inizio dei tempi. Il fatto che avessero avuto successo, poi, era stato merito anzitutto di Adam: loro non avevano fatto altro che convincerlo delle potenzialità che aveva dentro di sé. In merito ai sentimenti, Crowley ne sapeva certamente molto meno di come si fa a tentare un umano, ma nonostante ciò qualcosa l’aveva imparata. Non che avesse letto un libro o altro del genere, ma c’erano un’infinità di film a riguardo. Gli umani erano fissati con l’amore e continuavano a ripetere che quando ami qualcuno, tutto ciò di cui ti importa davvero, se il sentimento è sincero, è del suo benessere. Il demone Crowley amava così tanto quell’angelo, da permettere che una cosa gelida e orrenda come la neve avvolgesse la sua amata auto dalle ruote sino al tetto. Se non era amore questo, davvero non sapeva cosa potesse essere.
«Avanti, angioletto, parla!» sibilò in sua direzione, intanto che sul viso di Aziraphale si dipingeva la confusione più nera.
«Perché ci siamo fermati?» chiese lui in risposta, guardandosi attorno «manca ancora un po’ prima di arrivare al cottage e inoltre ingombri la strada.»
«Piantala col traffico!» sbottò senza riuscire a trattenere la rabbia «non c’è nessuno in questo posto dimenticato da Dio. Voglio che tu ora mi dica quale problema hai e non mi muoverò da qui finché non ti deciderai a parlare.»
«Come…»
«Faccio a saperlo?» concluse per lui «andiamo, ti conosco meglio di quanto credi e il fatto che io di solito dorma non vuol dire che non sappia quello che fai quando arriva dicembre. Al tuo passaggio spuntano alberi di Natale come funghi, sforni biscotti e dolcetti neanche fossi una pasticceria, riempi il tuo appartamento di festoni, lucine colorate e quant’altro. Quest’anno invece niente di niente. Nada! Non hai nemmeno decorato la vetrina della libreria ed è chiaro che c’è qualcosa che ti turba, perciò sputa il rospo. Perché se c’è una cosa che odio, e molto più di un gruppetto di marmocchi che sotto casa mia canta Jingle Bells a mezzanotte, è quando il mio angelo è triste.» Crowley avrebbe mentito se avesse detto di non avere il fiatone o che le sue guance non si fossero imporporate, dato che in fondo era imbarazzato. Lui e l’angelo si conoscevano da millenni, ma non erano soliti discutere di faccende che andassero al di là del lavoro o di pettegolezzi sentiti da qualche mortale. Anche dopo l’Apocalisse, che comunque li aveva uniti come mai lo erano stati, non erano riusciti a spingersi i normali convenevoli. C’erano discorsi che un demone come lui non si sentiva in grado di affrontare, specialmente non con un angelo. E i sentimenti erano senz’altro tra quelli più tabù. Non sapeva davvero cosa Aziraphale pensasse in proposito, però lo aveva fissato, sconvolto, per una manciata di lunghissimi secondi. Neanche aveva sbattuto le palpebre o mosso un muscolo del corpo: sembrava sbigottito, almeno sino a quando non aveva annuito in maniera grave, arrendendosi a una confessione che ormai pareva inevitabile. D’un tratto era come se non riuscisse più a fingere che andasse tutto bene e in quello doveva ammettere che l’angelo era piuttosto bravo. Ovviamente era la persona più onesta dell’universo e in un certo qual senso ben più di Dio, che comunque non aveva mai rivelato loro un piano che fosse uno, spesso però evitava di mostrare realmente ciò che provava. Non si faceva mai vedere imbarazzato e, quando lo era, era solito tirare un sorriso storto che subito moriva sul suo viso. In quel pomeriggio del venti dicembre, con la neve che già aveva ricoperto i finestrini della Bentley, l’angelo Aziraphale aveva sospirato e si era lasciato andare contro i sedili dell’auto. C’era stato un frangente durante il quale aveva serrato debolmente le palpebre e quando le sue ciglia avevano sfarfallato, risollevandosi, sembrava più determinato che mai.
«Oh, è una cosa molto sciocca in realtà» confessò a quel punto, aveva voltato lo sguardo e fissava avanti a sé la neve cadere. «So che a te non importa del Natale, ma sai noi lassù facevamo sempre una piccola festicciola. Ci teniamo al giorno della nascita di Cristo e molti angeli scendono sulla terra e si mescolano agli umani, alcuni si sentono tanto generosi da fare dei piccoli miracoli qua e là.»
«Oh, quindi il “Miracolo di Natale” ha effettivamente un senso» mormorò, riflettendo su quanto fosse strano che non ne avessero mai saputo niente. Tutta quell’atmosfera zuccherosa aveva sempre confuso i demoni che, in quel periodo dell’anno, erano soliti starsene lontani il più possibile e pensare ai fatti loro.
«In effetti sì, anche se dura soltanto per la notte della vigilia e poi tutti se ne tornano lassù. So come la pensi di…» Di proposito aveva lasciato la frase in sospeso, indicando il cielo con la punta dell’indice intanto che guardava in alto.
«Bah, angelo come la vedo su di loro?» chiese, sarcastico «ti volevano bruciare nel fuoco dannato, che vuoi che sia? Massì, in fondo il Natale è una bella cosa, ne vale proprio la pena di venire condannati alle sofferenze eterne per una scatola di biscotti.»
«Oh, non intendo questo, sciocchino» sorrise, rabbuiandosi però un attimo più tardi «non tornerei mai con loro, non dopo quello che è successo. Però mi manca l’idea che fossimo tutti quanti una grande famiglia e di fare cose come…»
«Vedere "Tutti insieme appassionatamente" e brindare con del succo ai lamponi, facendo una o due guarigioni miracolose?» lo interruppe «beh, se proprio ci tieni andiamo nel primo ospedale che troviamo e guariamo un paio di mortali. Questo è quello che vuoi? Solo che ti avverto, angelo, non ho intenzione di vedere una Julie Andrews bionda cantare per due ore e mezza. Ho dei limiti anch’io, per Satana! Piuttosto guardiamoci Mary Poppins, quella sì che mi piace.» Sì, era uno dei suoi film preferiti. E allora? Avrebbe mentito se avesse negato che tata Ashtoreth non fosse stata liberamente ispirata a Mary Poppins. Ah, e non aveva nemmeno intenzione di bere davvero del succo ai mirtilli e poi voleva vedere Aziraphale a berlo, facendo finta di non preferire un bicchiere di Chianti.
«Sì» annuì l’angelo, riportandolo al presente, subito scrollando la testa come se ci avesse ripensato «anzi no! Non voglio fare quello che facevo in paradiso, voglio dire… Qualche miracolo lo faccio ancora, quando ne ho l’occasione. Non ho certo smesso di infondere del bene soltanto perché loro non mi vogliono più tra i piedi. È solo che mi sembra che senza poter andare lassù non valga la pena festeggiare, tutto qua. Anche per questo ho pensato di venire fuori Londra con te, che hai lo spirito natalizio peggiore che abbia mai visto.»
«Mh, capisco» mormorò sforzandosi effettivamente di comprenderlo. Crowley tralasciò di fargli notare che era impossibile sfuggire al Natale e lui lo sapeva non soltanto perché quei dannati ragazzini con le loro Dancin to the snow o che diavolo era, gli rompevano l’anima comunque, ma perché era la morale di ogni buon film di Natale. Era certo che anche in quel posto sperduto nelle colline avrebbe visto qualcosa che gliel’avrebbe ricordato. Gli zampognari con i loro strumenti di tortura erano sempre in agguato e un angelo, questo, avrebbe dovuto saperlo. Però restò zitto, e soltanto perché non era il momento di intristirlo ancora di più. Il rapporto che Aziraphale aveva avuto con quegli angeli era molto diverso da quello che lui aveva mantenuto per millenni con i suoi capi. Laggiù all’inferno non c’erano canzoncine allegre da intonare la notte di Natale, e le zampogne sarebbero finite su per il sedere dei poveri tizi che si fossero azzardati a suonarle. Per quanto fosse sempre stato apprezzato e tenuto in gran considerazione dalle più basse sfere demoniache, quel posto pullulava anime dannate sempre pronte a piantarti un pugnale nella schiena. Ma quei tizi del paradiso a certe cose sembravano tenerci molto, avrebbe dovuto immaginare che, nonostante tutto, l’angelo avrebbe percepito il distacco. Fu in quel momento che si rese conto che le parole sarebbero servite a poco. Riccioli d'oro era realmente convinto che non valesse la pena di festeggiare senza i suoi “Amici” paradisiaci? Ebbene, gli avrebbe dato lui un motivo per farlo e che Dio lo fulminasse, ma avrebbe creato un fottuto Natale da sogno.

 

 

Il cottage in campagna di Aziraphale era schifosamente delizioso, lo aveva comprato un paio di secoli prima a un prezzo stracciatissimo e lo aveva mantenuto intatto, applicando soltanto qualche ammodernamento come il riscaldamento, l’aria condizionata per i giorni più caldi e una cucina fornita dei più avanzati elettrodomestici. In primavera e in estate il giardino si riempiva di fiori, che l’angelo si divertiva a piantare ovunque, facendo crescere rigogliosi cespugli ai quali infondeva tonnellate di amore angelico. Crowley l’aveva sempre trovata una stranezza, di quelle assurdità senza capo né coda. Come si poteva pensare di far splendere delle foglie usando una cosa sciocca come le canzoni e l’amore? E infatti quei ridicoli fiorellini gialli e rosa non potevano competere con le sue magnifiche piante d’appartamento. Senz’altro quella era una delle ragioni per le quali non amava troppo andarci, era tutto così profumato e colorato da fargli rivoltare lo stomaco. E tutti i nanetti da giardino che sbucavano dall’erba sempre perfettamente rasata, lo facevano arrabbiare come poche altre cose al mondo. E poi alla fine non c’era mai niente da fare se non poltrire, di conseguenza preferiva farlo a casa propria che in quel ridicolo giardino. L’angelo, al suo contrario, lo amava e faceva di tutto per renderlo ancora più bello. Non si fermava un solo istante: coltivava un piccolo orticello sul retro, aveva alberi da frutto sempre rigogliosi e un’arnia dalla quale ricavava dell’ottimo miele. Era quasi divertente vederlo parlare con le api e domandare loro il permesso di prendere un po’ di pappa reale. Una volta, allontanandosi dall’arnia, si era voltato, aveva sospirato e aveva esclamato un: “Ah, che gentili!” che aveva fatto alzare gli occhi al cielo di un esasperato Crowley, che no, non gliene importava niente di Timmy il passerotto che si era fratturato un’ala cadendo dal nido. C’era stato quel tizio diversi secoli prima, Francesco… Che poi avevano pure fatto santo. Beh, Aziraphale era senz’altro la sua versione bionda e stralunata. Era probabile che api e uccellini lo capissero e che, in un qualche senso, gli rispondessero pure. Per fortuna in quell’occasione non ci sarebbero stati né fiori né api, né tantomeno alberi da frutto stracolmi di pesche. C’erano quasi due metri di neve in quella campagna appena fuori Londra, tutto quello che avrebbe dovuto fare era recuperare qualche ceppo dalla legnaia per accendere il camino e seppellirsi sotto strati di coperte calde. Quando arrivarono, dopo essere passati per un paesino fastidiosamente spoglio, era bastato loro un attimo per liberare il vialetto. Dentro, la casa era molto rustica e decisamente poco in linea con il design moderno, ma tutto sommato la si poteva considerare accogliente. C’erano due camere da letto al piano di sopra e un bagno a cui Crowley aveva aggiunto una vasca idromassaggio nell’esatto istante in cui ci aveva guardato dentro, perché non poteva proprio pensare di stare là per due settimane senza immergersi in dell’acqua bollente, intanto che sorseggiava champagne. Il piano di sotto era discretamente spazioso, la cucina era abbastanza grande da contenere tutti i dolci di un angelo goloso e annoiato, mentre il soggiorno aveva un bel caminetto, un divano con un paio di poltrone e un televisore di ultima generazione. Anche questo, Crowley lo aveva aggiunto appena arrivato, appendendolo al muro accanto al camino con uno schiocco di dita e senza neppure controllare se già ci fosse o meno. Non c’era, e lo sapeva. Perché un angelo che usava ancora un telefono a disco comprato negli anni cinquanta, un HD non sapeva neppure cosa fosse. E infine c’era la cantina, che era senz’altro la sua stanza preferita di quel cottage, era piccola ma molto fornita e piena di preziosissimi vini d’annata. Entrando, dopo che l’angelo gli aveva fatto strada, si era guardato attorno cercando di ricordare come fosse l’ultima volta che c’era stato in inverno. Aziraphale sistemava sempre l’albero di Natale vicino alla finestra e appendeva del vischio sotto la porta che collegava la cucina al salotto. Gli pareva anche che mettesse un paio di calze sopra al camino e che le riempisse di doni e dolci la notte della vigilia. Doveva esserci un filo di luci che si intrecciava al corrimano della scala che conduceva al piano di sopra, forse anche una corona di pungitopo veniva appesa sulla porta d'ingresso. Ora, invece, era tutto così poco a tema, che il pensiero che non avesse intenzione di abbellire quel cottage gli fece vibrare un qualcosa di fastidioso nel petto. E nell’affondare pesantemente nella poltrona, il demone Crowley si rese conto che non era per il freddo che stava rabbrividendo.
«Bene» annuì, l’angelo una volta guardatosi attorno. «Il frigorifero è bello pienotto e la dispensa è colma, nel caso avessi fame. Io vado a dare una controllatina di sopra, tu sistemati come preferisci, mio caro.» Sprofondando ancora meglio nei cuscini e al contempo sospirando di piacere, perché le fiamme del camino gli riscaldavano le punte gelate dei piedi, Crowley iniziò a elaborare il proprio diabolico piano. Oh, sì, odiava ancora il Natale, ma intanto che se ne stava immerso in quel silenzio irreale, con la neve che fuori della finestra ben chiusa non aveva smesso di scendere, capì che c’era qualcosa di ben peggiore dello zenzero: un angelo senza più spirito natalizio.

 

Aveva agito di notte e senza essere pienamente sicuro di quello che stesse facendo. Erano le undici quando l’angelo aveva chiuso il libro, posato gli occhiali a mezzaluna sul tavolino antistante il divano ed era andato di sopra, sostenendo che avesse bisogno di una buona dormita. Crowley, che in apparenza aveva sonnecchiato e che non aveva dato troppo peso alle occhiate furtive che l’angelo gli aveva riservato di tanto in tanto, era scattato in piedi come una molla. Aveva molte idee e queste comprendevano decorazioni, un abete e tutto quanto il necessario perché Aziraphale ritrovasse lo spirito del Natale. La prima cosa a cui avrebbe dovuto pensare era a trovare l’albero giusto per le loro esigenze: ne sarebbe servito uno che non fosse troppo alto, ma nemmeno che fosse spoglio e troppo basso, perché avrebbe fatto l’effetto di un qualcosa di misero. Quindi si era armato di scarponi, buona volontà, cappello e sciarpa di lana ed era uscito nella notte. Le South Downs erano una zona prettamente collinare, la cui vegetazione era perlopiù composta da arbusti bassi e cespugli, di conseguenza aveva dovuto spiegare le ali e volare qualche miglio più a nord per trovare dei boschi. Gli si erano congelate le piume dal freddo a un certo punto, ma ne era valsa la pena perché ne aveva trovato uno adatto alle sue esigenze. Per l’amor di Satana, non si era certamente messo a segare tronchi o a trasportare pini nella foresta come Hagrid in Harry Potter, aveva schioccato le dita e questo era magicamente comparso nel soggiorno del cottage. Poi era stata la volta del vischio e allora Crowley si era reso conto che non aveva la minima idea di cosa fosse, né di come fare per trovarlo. Che diavolo era il vischio? Esisteva realmente? Ad ogni modo, e qualunque cosa fosse, questo comparve sullo stipite della porta della cucina dopo che l’ebbe portato via a qualche poveraccio, il quale doveva esserselo visto scomparire da sotto al naso. Sì, lo aveva rubato, e allora? Sempre meglio che tornare là fuori al gelo. La parte più complicata, tuttavia, non era stata neppure quella di cercare su internet la ricetta migliore per i biscotti preferiti di Aziraphale, quanto il dover trovare le decorazioni da sistemare sull’albero. Non ne aveva mai fatto uno in vita propria e ora che ci rifletteva, si rendeva conto che non ricordava neppure che cosa gli umani ci appendessero. Una rapida ricerca su internet e uno studio approfondito di ogni immagine reperita da Google, gli aveva fatto capire che in realtà quei cosi di Natale erano tutti stupidi e banali. Miracolare ai suoi piedi tutti gli scatoloni che l’angelo conservava nello sgabuzzino del suo appartamento di Londra e rovistarci dentro, gli aveva fatto soltanto perdere del tempo prezioso. E lui avrebbe dovuto riempire i rami con quei cosi? Pensò senza trattenere il disgusto intanto che faceva tintinnare un campanellino rosso. Palline colorate e buffi faccioni di Santa Claus, era questo che gli umani tanto amavano? Nah, pensò con stizza, intanto che si rimboccava le maniche, avrebbe dovuto tirar fuori tutta la sua più fervida immaginazione. Per fortuna era un demone pieno di risorse.

 

Erano quasi le otto del mattino quando Crowley dichiarò che la missione per salvare il Natale fosse completa. Non erano esattamente degli omini di pan di zenzero a regola d’arte, quelli che aveva sistemato in un cestino accanto a una tazza fumante di cioccolata, nella quale già un paio di marshmallow si stavano sciogliendo. Però erano discreti e non li aveva neppure fatti bruciare troppo. Ad alcuni aveva volontariamente mozzato la testa, altri invece erano senza gambe o braccia e nessuno gli stava davvero sorridendo. Molti avevano addirittura le corna, come dei perfetti diavoletti, mentre con altri era stato tanto bravo da riuscire a far alzare loro il dito medio. Oh, insomma non erano certamente perfetti, ma l’angelo avrebbe apprezzato perché erano soprattutto buoni. O almeno credeva… Ma dovevano esserlo per forza, perché aveva seguito quella dannata ricetta alla lettera! Quel che era certo era che non aveva nessuna intenzione di assaggiarli, piuttosto avrebbe fatto di propria spontanea volontà un bagno nell’acqua santa con tanto di paperella di gomma con la quale giocare. Lasciò il proprio lavoro là dove stava, ovvero sul tavolo della cucina e quindi si diresse in soggiorno iniziando a guardarsi attorno ed esaminando con minuzia tutto il lavoro svolto.
«Non male!» esclamò senza riuscire a non notare il fatto che, con la luce del sole, quel salotto facesse tutto un altro effetto, di certo migliore di quanto si sarebbe immaginato. Crowley ignorava che agli occhi dell’angelo, così come a quelli di una qualunque persona sana di mente, tutto quello sarebbe sembrato più simile al Natale dei morti viventi, che a uno di quelli perfetti da cartolina. Il demone Crowley, però, invasato com’era dallo spirito natalizio, era davvero troppo felice per rendersene conto. Tanto per dirne una, le calze sul camino erano un paio di suoi calzini neri e una aveva addirittura un buco sul tallone. L’albero era storto e molto più spoglio di quanto avrebbe dovuto essere, pendeva pericolosamente verso destra e il solo filo di luci che era riuscito a trovare era stato gettato a casaccio sopra di esso, senza che questo facesse un bel giro tutto attorno. C’erano giusto un paio di pupazzi di neve di plastica, che Crowley aveva pensato bene di impiccare ai rami e qualche pallina rossa sulla quale aveva scritto “Buon fottuto Natale” e il tutto in almeno sei lingue. Ai quattro Santa Claus che aveva recuperato da uno degli scatoloni di Aziraphale, aveva tagliato la barba e dato loro un’aria un po’ più rock. Quei quattro che aveva tinto di nero e sistemato l’uno accanto all’altro, sembravano i Kiss ai tempi d’oro. Il capolavoro, però, era il funko pop di Freddie Mercury messo al posto del puntale, questi teneva l’asta del microfono piegata e aveva la bocca aperta, come se stesse effettivamente cantando. Ora doveva soltanto rubare a qualcuno uno stereo e far suonare “Who wants to live forever”, per ricreare un’atmosfera perfetta.
«Buon cielo!» esclamò l’angelo intanto che scendeva velocemente le scale. Era stato tanto concentrato che neppure l’aveva sentito arrivare, eppure ora eccolo là, in vestaglia e pantofole. Crowley sobbalzò per lo spavento, voltandosi tutto a un tratto e balbettando il nome dell’angelo per un istante o due, prima di sondare le sue reazioni. Era stupito e questo era certamente un bel segno.
«Tadan!» esclamò indicando tutte le decorazioni che aveva sistemato, ognuna rigorosamente malmessa, storta e che conferiva un’aria un po’ horror al deliziosissimo cottage di campagna di Aziraphale.
«Che hai fatto?»
«Ho fatto il Natale; per te» annuì, grattandosi la nuca. Non sembrava così contento, vero? Nah, ma magari era soltanto troppo felice per darlo a vedere. Sì, era senz’altro così. O forse non lo era, diavolo che casino! «Sai, angelo, un uomo saggio una volta ha detto che il Natale non è soltanto un giorno, ma uno stato d’animo.» Sì, tecnicamente non era “Un uomo saggio” ad averlo detto, ma l’aveva sentita nel film “Miracolo sulla 34° strada” che puntualmente davano sulla BBC ogni anno e che lui guardava con lo stesso spirito, con cui chiunque guarda un horror terrificante. Lui però non poteva certo saperlo.
«Forse il modo in cui ho decorato quell’abete non sarà perfetto» riprese. «Probabilmente i miei biscotti faranno anche un po’ schifo e nella cioccolata ci ho messo del peperoncino e ora mi sta venendo in mente che a te il piccante non piace. Alla fine non credo di essere così bravo a fare il demone del Natale» sospirò, mesto «però volevo che sapessi che anche se non hai più i tuoi amici del paradiso, puoi festeggiare con me. È fuori discussione che mi ustioni i piedi ascoltando la messa della vigilia, ma posso sempre non maledire qualcuno per un paio d’ore. Per, mh, te.» Non lo aveva davvero guardato negli occhi durante quel monologo, che comunque gli era uscito molto più impacciato di quanto non sperasse. C’era un sincero imbarazzo nel tono della sua voce, così come un rossore tinto sulle sue guance. Non si era mai davvero visto un demone del Natale, a che sarebbe servito poi? A convincerlo che fosse una buona idea era stato l’amore che provava per quell’angelo, solo per lui si era impegnato tanto in un qualcosa che in fondo, oltre a non aver mai veramente capito, aveva combattuto per millenni. Non c’erano demoni del Natale, no davvero. I signori dell'inferno non ci avevano mai pensato ad assegnarne uno, perché sarebbe stato perfettamente inutile. E in effetti la sua storia non era neanche lontanamente simile a quella del Grinch e forse non sarebbe mai riuscito davvero ad apprezzare tutto quello, ma per amore… Bah, per amore sarebbe riuscito a conviverci. Ma era complicato ammetterlo e forse ora Aziraphale lo avrebbe guardato con occhi diversi, magari avrebbe avuto pietà di lui. Quindi no, non aveva alzato lo sguardo e per tutto il tempo aveva fissato il pavimento in legno di quel cottage di campagna. Oh, se lo avesse fatto anche solo per un istante, si sarebbe reso conto che aveva smesso di nevicare e che un pallido sole era spuntato a scaldare quella gelida giornata di dicembre. Se avesse alzato il viso si sarebbe reso conto che il modo in cui la luce entrava dalle finestre illuminava naturalmente Aziraphale, rendendolo ancora più angelico di quanto già non fosse per i fatti propri. Più di tutto avrebbe notato lo stupore sul volto dell’angelo diventare commozione, quindi mescolarsi col disgusto, perché sì: quell’albero era terrificante, e poi fregarsene di quanto brutto fosse tutto quello, con la stessa facilità con la quale aveva azzerato le distanze che li dividevano. Era successo allora, ciò che aveva sognato, sperato e per millenni si era convinto di non desiderare successe quando lui ancora aveva sulle dita un po’ di farina e dello zucchero sulla punta del naso. Il demone Crowley era stato creato assieme a tutti gli altri angeli da Dio in persona, esisteva sin da prima del giardino dell’Eden e aveva camminato per millenni sulla terra. Eppure in tutto quel tempo non aveva mai baciato nessuno. All’inizio il rendersi conto di amare colui che avrebbe dovuto essere un proprio nemico era stato sconvolgente, poi però tutto quello che aveva provato negli ultimi millenni aveva iniziato ad avere un senso. Non avrebbe mai potuto fare niente del genere con nessuno che non fosse Aziraphale, per questo nel corso dei secoli aveva rinunciato a tutte le numerose avances che aveva ricevuto. Nessun umano aveva mai attirato il suo interesse, non quanto riusciva a farlo quell’angelo che in quei precisi istanti, lo stava baciando con una passione mescolata a ferocia, che non si sarebbe mai immaginato potesse avere.
«Questo vuol dire che ti piace?» si azzardò a chiedere quando, dopo quelle che gli erano sembrate ore, ma che effettivamente erano pochi minuti, si erano separati.
«No, è orribile» mormorò, spingendolo contro allo stipite della porta e avergli inchiodato le braccia sopra la testa «ma nessuno ha mai fatto questo per me e hai ragione: Natale è uno stato d’animo, sono le persone che si amano, le famiglie, gli amici e io ho scelto di stare con te.»
«E io con te, angelo» mormorò in risposta prima di baciarlo ancora.


 

Quel giorno, Crowley scoprì che essere il demone del Natale non era poi tanto male. Anzitutto non era davvero costretto a fingere che gli piacesse né era obbligato a divorare tonnellate di dolci. Poteva seguitare a bere vino come gli pareva e fare commenti sarcastici intanto che l’angelo si dava da fare a sistemare quell’abete, decorandolo al meglio. No, i Santa Claus in versione Kiss non li aveva levati e nemmeno Freddie in cima alla punta. Ma aveva scrollato la testa quando aveva visto la brutta fine che aveva fatto fare ai pupazzi di neve o alla sorte ben peggiore toccata ai poveri omini di pan di zenzero, che comunque non erano malaccio. Eppure, Aziraphale ora rideva, anche con i Santa Kiss appesi tra palline blasfeme e campanelli ammaccati, uno Crowley lo aveva calpestato sotto ai piedi impedendogli di suonare. Rideva e canticchiava e ogni tanto, quando gli andava, si fermava e lo baciava e a quel punto il demone Crowley rideva. I suoi occhi, pensò osservandolo trangugiare l’ennesimo biscotto azzoppato, non erano più velati e tristi, ma carichi di una sincera gioia. Aveva fatto tutto per quello, perché fosse felice e che il Natale si fottesse, lui lo odiava ancora, ma finché aveva il vino e il suo angelo, tutto sarebbe andato bene.




 

Fine 

 

 

 

 

 

*Secondo Neil Gaiman, Aziraphale e Crowley, dopo la sventata Apocalisse, si sono ritirati nelle South Downs, che è una zona collinare appena fuori Londra. Devo proprio ringraziare Leila per avermi fornito l’articolo giusto dove guardare, dato che proprio non ricordavo dove fosse questo cottage. Fonte.

 

Note: Come detto nell’intro, questa storia partecipa a un’iniziativa bellissima del gruppo: “L’angolo di Madama Rosmerta” che consiste nel fare regali fandomici a chi lo desidera, senza aspettarsi nulla in cambio. Il mio regalo è per Nao e Arianna, nella speranza che questa breve storia possa esser loro piaciuta. Così come anche a tutte le persone che hanno letto sin qui.

Ringrazio Arianna in modo particolare per avermi fornito il prompt e Luana per avermi dato l’idea di Crowley che decora l’albero di Natale con oggetti non propriamente canonici. Erano entrambe bellissime idee e ho voluto usarle tutte e due. La citazione è tratta da: “Miracolo sulla 34° strada”.
Approfitto di queste note, siccome non so se da qui al 25 pubblicherò ancora, per augurare a tutti coloro che mi hanno seguita in questo anno, delle buone feste.

Koa



 
   
 
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