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Autore: GiunglaNord    18/12/2021    3 recensioni
1° Capitolo della serie: "Tienimi le mani, non annegherai".
La Vigilia di Natale è un momento magico che inevitabilmente colpisce il cuore di ciascuno di noi. La Vigilia di Natale scandisce il passare del tempo: si contano le persone rimaste, quelle che sono andate avanti o rimaste indietro. Si ricordano volti gentili, mani amorevoli, ma anche momenti che avresti preferito non vivere, anni che avresti voluto non percorrere. Sebbene in questo periodo dell'anno ci venga imposto di essere felici, è un nostro sacrosanto diritto scivolare nell'inquietudine e nella malinconia, perché la Viglia è un tempo magico e se la magia praticata sia buona o cattiva spetta solo a noi determinarlo. Così accade anche a Hermione Granger nella notte di Natale del 1998, un anno terribile, pieno di dolore e perdite. All'inizio della nostra storia, Hermione non sa cosa farsene di quella magia: se ne sta seduta a contemplare la neve cadere. Tuttavia i ricordi di alcune vigilie passate la condurranno per mano verso...questo scopritelo da soli, scartando uno dopo l'altro i piccoli regali che vorrei dedicare a ciascuno di voi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tienimi le mani, non annegherai'
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Capitolo 5
 
La rabbia
 
(…)
 
Ah, gridare è poco, ed è poco tacere:
niente può esprimere una esistenza intera!
Rinuncio a ogni atto… So soltanto
che in questa rosa resto a respirare,
in un solo misero istante,
l’odore della mia vita: l’odore di mia madre…
Perché non reagisco, perché non tremo
di gioia, o godo di qualche pura angoscia?
Perché non so riconoscere
questo antico nodo della mia esistenza?
Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone
della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco;
sentimento che m’intossica
esaurimento, dicono, febbrile impazienza
dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza.
 
Il dolore che da me a poco a poco mi aliena, 
se io mi arrabbio appena,
si stacca da me, vortica per conto suo,
mi pulsa disordinato alle tempie,
mi riempie il cuore di pus,
non sono più padrone del mio tempo…
Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi.
Ero chiuso nella mia vita come nel ventre
materno, in quest’ ardente
odore di umile rosa bagnata.
 
(…)
 
Tratto da “La Rabbia” di Pier Paolo Pasolini
 
 
Hermione aveva messo da parte la gelatina verde appena mangiucchiata e stava contemplando una minuscola porzione di tacchino ripieno con accanto una solitaria patata arrosto: la tristezza complessiva del piatto era dolorosamente evidente. Probabilmente se al posto suo ci fosse stato seduto Ron, questo non avrebbe perso tempo ad assaggiare, anzi a sbranare, qualsiasi piatto visibile sulla tavola imbandita. Sua sorella probabilmente gli avrebbe detto che la sua vista lo disgustava, mentre Harry si sarebbe sforzato di non ridere di fronte all’ennesimo battibecco. Chissà, forse in quel momento alla Tana si stava svolgendo la stessa scena a cui tante volte anche lei aveva assistito. Anche se nutriva dei dubbi in proposito: molto più probabilmente Ron si stava lanciando in lunghe e arzigogolate teorie sul suo rifiuto a passare la Vigilia con loro. A Hermione pareva quasi di vederlo: la faccia rossa, lo sguardo cupo. Caro Ron. Sapeva benissimo di avergli spezzato il cuore, di essere stata un po’ dura nella sua ultima lettera, ma non si sentiva di fare altrimenti. Lui le aveva più volte chiesto se quel bacio che si erano scambiati in mezzo al clangore della battaglia non avesse significato niente e Hermione gli aveva risposto che voleva essere sicura che lui la amasse anche lontano da una morte imminente o da un lutto devastante. Perché in quei momenti era facile scambiare per amore la paura e lei questa domanda se la stava facendo da molte settimane. Non gli attribuiva nessuna colpa, ma Ron non voleva comprendere il suo punto di vista: continuava a ripeterle che era lei l’unica donna della sua vita, tuttavia Hermione non poteva pensare di legarlo a sé ora che non sapeva nulla e che tutto sembrava non aver alcun contorno certo.
Nell’ultima missiva che aveva ricevuto da lui aveva trovato nella busta una piccola rosa tardiva essiccata. Sapeva che proveniva dalla Tana: tante volte aveva tuffato il naso in quei roseti, sentendosi a casa e forse Ron aveva pensato di suscitarle ricordi felici. Ma adesso quell’odore la nauseava: le ricordava l’olezzo carico che aveva circondato le bare dei morti durante le esequie solenni che si era tenute a Hogwarts qualche mese prima. L’aveva chiusa con rabbia tra la mano e l’aveva gettata via, tra le lacrime.
 
Giocherellò svogliatamente con la patata e alla fine si risolse a metterne in bocca un pezzetto.
Dall’altro capo del tavolo Malfoy seguì brevemente il movimento della forchetta e sospirò impercettibilmente quando vide quell’infimo pezzetto sparire tra le labbra della Granger.
Non seppe dire se si trattasse di fastidio o sollievo.
Nott gli stava raccontando qualcosa con una certa insistenza, ma lui non stava ascoltando neanche una parola, limitandosi ad annuire di tanto in tanto. Il compagno dovette accorgersene, perché scosse la testa alzando gli occhi al cielo, senza aggiungere altro.
Draco spostò lo sguardo di nuovo sul suo piatto.
In fondo, lo sapeva cosa c’era che non andava.
 
Se c’era una cosa che Draco Malfoy sapeva fare meglio di tanti altri era quella di aggrapparsi alla vita con tutto se stesso. Probabilmente era una cosa innata, visto che lo stesso talento ce l’aveva anche suo padre. In tutti quei lunghi mesi passati con Voldemort l’unica cosa che l’aveva fatto andare avanti era stata la ferrea volontà di non farsi ammazzare.
Aveva imparato ad evitare i colpi più duri, le parole sbagliate, aveva appreso l’arte di rendersi invisibile agli occhi degli altri, anche a strisciare in alcune occasioni, con l’unico scopo di rimanere vivo.
E la sua strategia alla fine, in qualche bislacco modo, aveva funzionato.
Anche le sue scelte attuali erano animate dallo stesso scopo.
Draco amava la vita. Certo, l’ esistenza prima di Voldemort era decisamente migliore di quella attuale: ricchissimo, lusingato dai suoi compagni di casa, viziato e coccolato oltre ogni misura da sua madre, educato con la giusta severità da suo padre. Una vita tutto sommato facile.
Voldemort aveva sconvolto tutto e alla fine di quella tragica esperienza Draco aveva imparato ad apprezzare anche le cose più semplici che prima disprezzava.
Per questi motivi la vista di Hermione Granger lo irritava oltre misura: che diritto aveva, lei, di andarsene in giro con quella faccia? Aveva vinto, no? Anzi, aveva trionfato! Le sue gesta avevano ampiamente dimostrato come tutti i privilegi legati al sangue fossero delle sonore cazzate: solo le capacità personali contavano, solo il merito e l’impegno erano essenziali.
Avrebbe dovuto andarsene in giro come una regina, non come un’afflitta.
Perché se Hermione Granger non riusciva a trovare pace e assoluzione per se stessa, dopo tutto quello che di buono aveva costruito, come avrebbero potuto farlo loro, come avrebbe potuto lui farlo? Avrebbe preferito che lo insultasse, che gli ricordasse quanto fosse odioso, meschino e vile: allora avrebbe capito che il mondo stava cominciando a girare dalla parte giusta. Ma così, no. Così non andava bene.
Non andava bene che lui si preoccupasse di seguirla per i corridoi con la paura di vederla di nuovo soffocare nel panico in preda alle allucinazioni. In quella prima occasione, contro ogni buon senso possibile, era andato di corsa ad avvertire la Weasley e quasi questa lo aveva affatturato: solo dopo si era reso conto di quanto fosse stonata quella situazione.
Era a lui che doveva mozzarsi il fiato di notte, erano le sue notti che dovevano popolarsi di incubi, cadaveri e altre lordure.
Passare i giorni a scrutare in ansia quel viso e quel corpo sempre più sgualciti, a scambiarsi occhiate cariche di non detto con la Weasley, era assolutamente fuori luogo, ingiusto e sbagliato.
Tutto in quella storia non tornava: in un modo o nell’altro Hermione Granger si trovava sempre dalla parte dannatamente sbagliata. E questo lo faceva uscire di senno, perché non c’era mai modo che lei si comportasse in maniera prevedibile e sicura. Doveva sempre sfuggire ad ogni buon senso.
Prima, una nata babbana con più magia di tre maghi purosangue messi insieme, adesso un’eroina senza più passione. Ma che senso aveva aver combattuto, con le unghie e con i denti, per dimostrare al mondo che ogni ideologia con la quale era stato cresciuto era clamorosamente falsa se poi il risultato era quello scempio?
 Questo era ciò che si chiedeva Draco.
 
Malfoy si concesse di nuovo uno sguardo fugace e, di nuovo, la Granger lo colse in fallo.
Hermione fece una smorfia seccata e a quel punto disse, a voce abbastanza alta: “Hai bisogno di qualcosa, Malfoy?”
Nel silenzio, la sua voce risuonò come uno schiocco e l’attenzione di tutti fu su di lei.
Draco, senza accorgersene, rispose: “Il tuo continuo sbocconcellare mi irrita, Granger.”
Lo sguardo della McGranitt si soffermò brevemente su di lui e al ragazzo parve di scorgervi un cenno di incoraggiamento. Sicuramente si era sbagliato, ma un secondo dopo la Preside disse: “Il signor Malfoy ha ragione, signorina Granger.”
Hermione la guardò sbalordita e anche il volto di Draco si contrasse in una smorfia confusa: a memoria d’uomo non era mai accaduto che la McGranitt gli avesse dato ragione.
Gli altri commensali assistevano alla scena sinceramente incuriositi.
La ragazza arrossì e disse incerta: “Bè... io… io ho mal di testa.”
“Probabilmente se mangiassi di più, signorina Granger, ti sentiresti meglio e meno affaticata!” rincarò la dose la McGranitt.
“E forse avresti un aspetto migliore, Granger, perché, detto tra noi, mi sembri messa male!” Aggiunse Draco tagliente. Il giovane si aspettava di vederla puntargli il dito addosso, tremante di rabbia, ma Hermione si strinse nelle spalle e non disse nulla.
Malfoy si scambiò un’occhiata con la Preside, ma quella fece un impercettibile cenno di diniego con il capo.
Draco si lasciò cadere sbuffando sullo schienale della sedia, ma non sembrava voler lasciar perdere e, infatti, facendosi di nuovo innanzi aggiunse: “Senza contare che i tuoi amati elfi domestici potrebbero rimanerci male…”
Sapeva di averle tirato un colpo basso, ma tanto valeva tentare il tutto per tutto.
A quelle parole, Hermione girò la testa di scatto e con occhi lucidi di rabbia ringhiò: “Non osare far finta che te ne importi qualcosa degli elfi domestici visto… visto che…”
“Visto che, cosa? Visto la fine che ha fatto l’ultimo che è entrato in casa mia?” Rispose Malfoy stringendo le nocche.
“Basta!” Tuonò la McGranitt “Malfoy pensa al tuo di piatto e tu, Granger, finisci quella fetta di tacchino. Per Merlino!”
Entrambi i giovani si chiusero in un ostinato silenzio, ma Draco sbirciò con la coda dell’occhio la Granger mangiare il tacchino e servirsi una porzione di patate.
Anche senza vederla, sapeva che la vecchia Preside stava sorridendo sotto i baffi.
I presenti si chiesero a cosa diavolo avessero appena assistito.
 
La cena si svolse senza altri contrattempi e ben presto il tavolo ritornò lindo e splendente  per magia.
Solitamente gli studenti si sarebbero trattenuti fino a tarda ora in sala grande, godendo della reciproca compagnia, ridendo e schiamazzando, ma era chiaro che quella sera nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. La McGranitt, piuttosto sarcastica, li ringraziò tutti per la bella compagnia e alzandosi disse: “Signorina Granger, visto che il Castello è deserto e che tu sei l’unica dei caposcuola presente, sei dispensata dal tuo giro di ronda questa sera. Lo farò io al posto tuo, anche se sono piuttosto stanca.”
Hermione si alzò e disse: “Non è un problema per me! Vada pure a riposarsi! Io posso farlo tranquillamente!” Si sentiva terribilmente in colpa per tutte le preoccupazioni che le stava dando e non voleva che si sobbarcasse anche quella incombenza. In più, avere qualcosa da fare prima di andare nella sala comune deserta, probabilmente l’avrebbe aiutata a prendere sonno più facilmente. O almeno sperava.
“Oh, bè, visto che ne sei così convinta allora va bene, ma non andrai sola. Sono sicura che il signor Malfoy sarà lieto di accompagnarti, considerata la solerzia mostrata questa sera. Giusto, signor Malfoy?” fece la Preside con un sorriso soave.
“Cosa!?” Escalamarono all’unisono i due malcapitati.
“Mi avete compreso perfettamente. A domani.” E così dicendo, girò loro le spalle e se ne andò.
Draco e Hermione non seppero cosa ribattere, ma a Malfoy non sfuggirono le parole che l’infermiera Chips rivolse frettolosamente alla McGranitt: “Minerva! Sei forse uscita di senno?”
 
Gli altri studenti si allontanarono velocemente, lanciando loro sguardi stralunati, mentre Nott, passando vicino a Draco, gli abbatté una manata sulla spalla, sogghignando: “Meglio a te che a me!”
 
Ben presto rimasero soli. Draco si sentì rabbrividire nel sollevare lo sguardo e incontrare due pozze nere che lo fissavano di rimando.
Sembravano vuote, ma lui sapeva che dentro c’era un incendio che non aspettava nient’altro che di divampare, alimentato da una rabbia folle e irrazionale, contro di lui. Lui che sicuramente non ne era la causa, ma un ghiotto pretesto.
Si armò di tutto il coraggio che gli riuscì di racimolare e sospirando teatralmente, disse: “Da dove cominciamo, Caposcuola Granger?”
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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