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Autore: Chiccagraph    18/12/2021    1 recensioni
"Perché ci vuole coraggio a lasciare andare uno dei fili che tiene insieme il complesso reticolato del tuo cuore.
Ci vuole coraggio a reciderlo sapendo che difficilmente potrai riannodarli insieme ai tuoi. È un filo sciolto che può decidere di legarsi dove vuole: allacciarsi nuovamente ai tuoi o lasciarsi trasportare via dal vento.
E lui aveva mille ragioni per farlo, per tagliare via quella rosa pericolosa e tornare a prendersi cura del parco incontaminato dei suoi sentimenti. Aveva mille motivi per andarsene. Ed uno solo per restare. Ma quell’unico motivo, cazzo, aveva degli occhi bellissimi."
O la fic Serquelicia di cui tutti abbiamo bisogno
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Il professore, Raquel Murillo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se è destinato a stare nella tua vita, nulla potrà mai farlo andare via.
Se non lo è, nulla al mondo potrà mai farlo rimanere. 
(Lang Leav)

 

 

Le vertigini erano il primo sintomo. 

La stanza iniziava a girare fino a ridursi in un cono di luce nera. 

Non esisteva più nulla intorno a lui. 

I battiti del cuore gli rimbombavano nelle orecchie. Come un tamburo, coprivano con i loro rintocchi tutti i rumori circostanti. 

Sentiva le mani coperte da una pellicola appiccicosa e il costante tremore era accompagnato da un formicolio che progressivamente si impossessava di ogni arto. 

Era finita. 

La paura della paura era entrata in gioco e il loop dell’ansia era partito. 

Una volta che il viaggio inizia non puoi interromperlo a metà. Seduto sul tuo vagoncino di angoscia devi aspettare che il giro della morte finisca per poter tornare a terra.

«Sergio»

Un suono ovattato. Poteva sentire il rumore, ma le parole non riuscivano a raggiungerlo. 

«Sergio» 

Lo stesso suono, si ripeteva come un mantra intorno a lui. Non poteva rispondere, non riusciva a dire nulla perché il solo parlare lo avrebbe privato del flebile filo d’aria che circolava nei suoi polmoni, soffocandolo a morte. 

«Sergio!» 

Questa volta Raquel prese le sue mani tra le sue, cercando con i suoi occhi quelli dell’uomo. Come risvegliato da un incubo, Sergio, la guardò davvero per la prima volta, le pupille dilatate e le vene sul collo che pulsavano in maniera feroce.

La donna conosceva bene il suo problema, lei stessa ne aveva sofferto per tanto - troppo - tempo; per questo sapeva meglio di chiunque altro che il panico non era altro che un’improvvisa diserzione da sé stessi, un arrendersi al nemico da parte della propria immaginazione. 

Dopo la morte di Andrés gli episodi si erano acuiti. Le immagini del fratello lo perseguitavano costantemente e il fardello ingombrante della sua morte gli attanagliava l’anima con il rimorso.

Si era sacrificato per onorare la memoria del padre. 

Si era sacrificato per il piano. 

Si era sacrificato per lui.

Neanche una volta Sergio aveva pensato che probabilmente si fosse immolato per scampare a un destino ancora più triste: quello di appassire lentamente insieme alla sua malattia. 

Andrés amava la vita vera, senza vincoli, senza limiti. Era un’edonista nato: sadico, senza cuore e dal carisma irresistibile. Non avrebbe permesso alla malattia di impossessarsi del suo corpo e della sua anima. 

O la libertà o la morte, non c’erano altre carte in tavola da poter giocare. E avrebbe scelto lui quale delle due usare. 

Ora che la sua anima vagava indisturbata e libera, il professore viveva di sensi di colpa - un conflitto psichico irrisolto che lo mordeva dall’interno.

E la sua permanenza in questa desolante “terra del rimorso” era accompagnata da continui attacchi di panico, che davano vita a un problema ancora più grande: la paura della paura.

La paura della paura è uno dei peggiori demoni che un uomo deve affrontare. 

Nessuno conosce le carte giuste da giocare per vincere la partita contro il demone dell’attacco di panico, perché è infimo, astuto, si impossessa di tutti i tuoi sensi e all’improvviso sei completamente perso in una bolla di terrore. 

Raquel aveva bisogno di tirare fuori Sergio da questo stato di angoscia e tranquillizzarlo. 

Gli prese il volto tra le mani e guardandolo fisso gli disse: «Sono qui, rilassati» i pollici accarezzavano lievemente la pelle del viso, passando tra i peli della barba e proseguendo il loro movimento circolare fino agli zigomi. «Sono qui. Ripetilo con me».

«S-sei…» il respiro affannoso non gli permetteva di parlare «Sei…», ma il caldo contatto delle mani di Raquel sulla sua pelle e la sua voce melodiosa avevano il potere di rallentare i battiti del suo cuore. Di far tornare la pace.

E pensare che c’era un tempo in cui il suo cuore saltava sempre un battito, quando la donna pronunciava il suo nome. 

«Sono qui. Dillo di nuovo»

«Se-sei… sei qui» riuscì a dire mentre avvolgeva la donna tra le braccia. Allacciò i loro corpi insieme fino a che i loro respiri non si sintonizzarono. «Sei qui. Sei qui. Sei qui.» continuava a ripetere con il viso affondato nella curva del suo collo, avvolto dal suo profumo. 

Con il corpo caldo di Raquel vicino al suo era in grado di estirpare ogni paura, di combattere ogni nemico – anche quando risiedeva all’interno della sua mente. 

Il respiro si era regolarizzato, le mani avevano smesso di tremare e il peso che aveva nel petto si era completamente dissolto nel nulla. Ora, nel silenzio della stanza, poteva sentire i loro cuori battere insieme, rincorrersi nella gabbia toracica, cercando di raggiungersi. 

Una volta, il professore, le aveva detto che gli esseri umani hanno il cuore a sinistra e non al centro del petto per un semplice motivo: quando abbracciano chi amiamo, il battito del loro cuore riempie il loro lato vuoto. Li completa. 

E quel giorno Raquel aveva deciso di essere quel cuore. Aveva scelto di essere il suo complementare.

Aveva accarezzato con una mano la sua corazza, circondato con il suo calore il muro di cemento che aveva costruito intorno al suo cuore e lentamente, mattoncino dopo mattoncino, aveva buttato giù quella barriera e si era creata un proprio posto. Aveva visto da vicino il puzzle che lo componeva e lo aveva rimesso insieme pezzo dopo pezzo, aggiungendo le tesserine mancanti. Perché al mondo non esiste la persona perfetta, ma possiamo trovare qualcuno che conosca bene i nostri difetti e li mischi coi suoi in un incastro perfetto.

Senza trucchi. 

Senza inganni. 

Nessun gioco di illusionismo. 

Sergio non era abituato a tutto questo, ma con Raquel aveva sperimentato la bellezza di creare nuove abitudini. Quando vivi per quasi tutta la vita senza un’identità, vivendo in un buco come un fantasma, ti abitui a non essere nessuno. Un dimenticato. Un morto. 

La presenza di Raquel al suo fianco lo faceva sentire più vivo che mai. Lo aveva tirato fuori dal suo guscio vuoto e, ora, non aveva nessuna intenzione di tornarci. 

La vita con lei era stata un sogno.

Continuarono a tenersi abbracciati, cullandosi in questo lento ballo al centro della stanza. 

«Come ti senti?» Raquel fece un passo all’indietro, separando i loro corpi, lasciando la punta delle loro dita ancora allacciate insieme. 

«Meglio» 

Alle orecchie attente della donna, però, non sfuggì il sospiro sommesso. Era così difficile a volte riuscire ad interpretare i suoi silenzi, capire cosa si nascondesse dietro quelli occhi dolci e al tempo stesso determinati. E per quanto cercasse di tenerlo nascosto Raquel aveva capito che c’era qualcosa che preoccupava l’uomo. 

La rapina era finita, tutto era andato secondo i piani - più o meno. Il professore aveva mantenuto le sue due promesse: riportare a casa Rio e rendere tutti liberi. 

Liberi davvero. Niente più fughe, niente più nascondigli, erano solo loro con le loro nuove identità, e nessuno li avrebbe più cercati. 

Ma a quel prezzo?

La morte di Tokyo e Nairobi bruciava ancora forte, come il primo giorno. Aveva creato un taglio talmente profondo da lasciare esposta la carne viva del suo cuore e non c’era un periodo di tempo predefinito, scaduto il quale avrebbe smesso di far male. Era una ferita fresca, e come tale, avrebbe impiegato molto tempo per cicatrizzarsi. Perché le ferite non si cancellano, rimangono sempre lì; col tempo, la mente per proteggere sé stessa, le cicatrizza e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai del tutto. 

In quel capannone si erano abbracciati, avevano pianto, gridato, gioito alla loro rinascita. Si erano salutati percorrendo ognuno la propria strada, legati per sempre da quel filo indissolubile che li avrebbe tenuti insieme per sempre.

Se fosse stata una fiaba, avrebbe concluso quest’ultimo capitolo della sua vita e, sfogliando le ultimi pagine di questo enorme volume, avrebbe accarezzato con il dito umido di pianto, le ultime parole della storia. Il loro lieto fine, il loro “e vissero per sempre felici e contenti”.

Ma Sergio non era né felice né contento. 

Cosa lo turbava a questo modo? 

Cosa gli toglieva il sonno la notte?

Il professore aveva calcolato con una precisione meticolosa ogni possibile via di fuga, nel caso in cui il piano originale non avesse seguito il suo naturale decorso. E per questo al piano iniziale si erano aggiunti el plan París, el plan Pulgarcito, el plan AIKIDO… erano tutte appendici dello stesso piano originale. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di mettersi in mezzo tra lui e il suo obiettivo. Ogni cosa che aveva fatto in questi ultimi dieci anni era stata fatta per realizzare queste due rapine. Ogni giorno che passava era segnato da un passo in più verso la realizzazione del risultato finale. Aveva studiato ogni parte di quel copione per rendere la sceneggiatura impeccabile e così tutti i fili si erano lentamente legati insieme tessendo la tela perfetta per incastrare al suo interno il suo sogno: onorare la memoria di suo padre. 

Perché lui era figlio di un ladro, fratello di un ladro e a sua volta ladro. E questo non sarebbe mai cambiato. 

C’era stato però un intoppo che non aveva calcolato. Un qualcosa che lo aveva distolto dai suoi binari iniziali e aveva cambiato il suo percorso immischiandosi così profondamente dentro di lui da non permettergli più di slacciare i fili che si erano aggiunti ai suoi, senza sentirsi privato al tempo stesso di una parte di sé stesso.

Questo intoppo aveva un nome e un cognome e una personalità molto ingombrante. 

Alicia Sierra aveva stravolto non solo il suo piano, ma la sua vita. 

Aveva passato mesi e mesi a fuggire, giocando a guardia e ladri con la donna, nascondendo le sue tracce, insabbiando i suoi spostamenti, ingannandola con semplici giochi di illusionismo – come li chiamava lui -, per poi scoprire quanto era dolce lasciarsi catturare.

Alicia era entrata nella sua vita affondando direttamente nella sua pelle, come un proiettile. Aveva lacerato i tessuti senza chiedere nessun permesso. Non era stata una semplice acquazzone estivo, di quelli tipici della spiaggia paradisiaca dove si era nascosto per tutto questo tempo. Alicia era più simile a un uragano e una tempesta. Uno di quelli che ti entra dentro per restarci e poi nulla può essere più come prima. 

Aveva sradicato la sua capanna, buttando giù tutti i muri ed esponendolo ai venti freddi del suo cuore. 

Era passata una settimana da quando erano arrivati i loro nuovi passaporti, eppure continuava a fingere di non averli ancora ricevuti. 

Se non apri la busta e scopri il contenuto puoi fingere che non esista, no? Nasconderli dentro a un cassetto era l’equivalente di nascondere la testa sotto la sabbia, questo lo sapeva bene; prima o poi avrebbe dovuto affrontare la donna, ma ora non era ancora pronto. 

Perché ci vuole coraggio a lasciare andare uno dei fili che tiene insieme il complesso reticolato del tuo cuore. 

Ci vuole coraggio a reciderlo sapendo che difficilmente potrai riannodarli insieme ai tuoi. È un filo sciolto che può decidere di legarsi dove vuole: allacciarsi nuovamente ai tuoi o lasciarsi trasportare via dal vento.

E lui aveva mille ragioni per farlo, per tagliare via quella rosa pericolosa e tornare a prendersi cura del parco incontaminato dei suoi sentimenti. Aveva mille motivi per andarsene. Ed uno solo per restare. Ma quell’unico motivo, cazzo, aveva degli occhi bellissimi.

Non avrebbe mai costretto la donna a rimanere se il suo desiderio fosse stato quello di andarsene, e rimandare la sua partenza gli sembrava la miglior strategia per farle cambiare idea – o per meglio dire, non dover affrontare il problema.

Aveva deciso di giocare in attesa, nessuno scontro, nessuna richiesta diretta. Bisogna attendere la fine della tempesta per godersi la quiete. Dalla panchina dei suoi sentimenti sperava che l’arbitro non avrebbe mai fischiato il cambio prima della comparsa dell’arcobaleno. 

Sergio si aggiustò con l’indice della mano destra gli occhiali, spingendoli in alto verso il ponte del naso. Un tic che aveva fin da bambino. Quel movimento incondizionato lo aiutava a pensare e ora più che mai aveva bisogno di capire cosa fare. 

«Sto bene» ripeté accarezzando con le dita la guancia della donna. «Sto bene». 

Poggiò lievemente le labbra su quelle della donna, suggellando con quel gesto una promessa. Non l’avrebbe fatta più preoccupare per lui.

 

 

Una volta lasciata la stanza, Raquel, rimase da sola al centro del tappeto. Non era più un’ispettrice di polizia, ma il suo istinto non l’aveva abbandonata e sapeva perfettamente che il segreto che così gelosamente Sergio nascondeva era tenuto al sicuro dalle quattro pareti di quella stanza.

Camminò lungo tutto il perimetro della stanza, guardandosi intorno. Ripensava a cosa era cambiato nella vita dell’uomo in questi ultimi giorni. 

Non era l’ebbrezza della libertà che velava i suoi occhi con quella patina opaca. I primi giorni aveva addirittura pensato che tutta questa amarezza dipendesse dalla consapevolezza di dover abbandonare per sempre i suoi vestiti di scena. Raquel non lo avrebbe mai obbligato ad una vita che non voleva, ma il suo patto con lo stato gli imponeva una battuta d’arresto. D’altronde un morto non poteva continuare a rapinare banche.

L’era della resistencia era finita. Quello stesso giorno aveva posato per sempre la sua maschera di Dalí e dismesso i panni del professore. Ora era semplicemente Sergio Marquina, anzi, Jose Luis Romero un ricco e annoiato ereditiere. 

Per gli abitanti del posto viveva insieme a sua moglie Isabel, l’amica Lucia e Victoria. Amava passeggiare sulla spiaggia al tramontare del sole con la piccola Victoria tra le braccia, e rimanere fino a notte fonda nel suo giardino privato con la sola compagnia di un buon libro e di un bicchiere di vino. Nessuno sospettava di nulla. 

Raquel sfogliò con la punta delle dita la copertina rigida dei libri riposti in ordine alfabetico nella libreria. Trascinò via con il dito il filo di polvere che si era depositato tra gli scaffali. 

Nessuna carta era presente sul ripiano della scrivania. 

Nulla sembrava fuori posto.

Eppure, c’era qualcosa che le sfuggiva. Ma cosa? 

Aprì i cassetti della scrivania lasciando scorrere lo sguardo tra i vari oggetti che contenevano. Nulla. Non c’era nulla di fuori dall’ordinario. Chiuse con forza il cassetto centrale lasciando andare un lungo sospiro. 

Quest’uomo era chiuso come il caveau di una banca. 

Scosse la testa appoggiando i gomiti sul ripiano in legno, fissando lo sguardo nella cornice posata accanto alla lampada nell’angolo destro. Non aveva mai notato quella foto prima d’ora. 

La raccolse per esaminarla da vicino, perdendosi con la mente nei ricordi che quello scatto racchiudeva.

Era una foto di lei, Alicia e Victoria. La bambina dormiva pacificamente tra le braccia della mamma mentre lei guardava la donna con uno sguardo sognante. Si trovò ad arrossire al riaffiorare dei sentimenti contrastanti che quell’immagine le provocava. Possibile che dopo tutto questo tempo la sola presenza di Alicia era in grado di scombussolarla così profondamente? 

Improvvisamente capì cosa dovesse cercare.

Aprì nuovamente il cassetto centrale della scrivania e prese tra le mani il libro che Sergio stava leggendo in questi ultimi giorni. Lo poggiò sul ripiano, soffermandosi con lo sguardo sul titolo scritto in rilievo sulla copertina. 

«Ora ti lascio andare» lesse ed alta voce. 

Sfogliò le pagine alla ricerca di un segnalibro. Di un segno del suo passaggio. Niente, il libro era perfetto, l’odore della carta era forte come se non fosse stato ancora mai sfogliato. Lo portò al naso per annusarlo – un vizio che aveva fin da bambina - lasciandosi avvolgere dalle note erbose della carta stampata. 

Il libro era insolitamente pesante per essere un volume così piccolo. Dall’altronde rispecchiava perfettamente il peso dell’argomento trattato. Lasciare andare qualcuno è un processo complicato che non viene naturalmente, perché è difficile lasciare andare le persone che amiamo. Ci si aggrappa all’amore con le unghie e con i denti, anche quando non c’è nessun appiglio che ci tiene su. 

Rigirò un paio di volte il libro tra le mani prima di alzarsi e posarlo nella libreria. Con una mano fece spazio tra i volumi dello scaffale - per posizionarlo correttamente - lo fissò per qualche secondo e poi lo riprese nuovamente tra le mani e questa volta sfilò la carta colorata che ricopriva la copertina. 

Il titolo era stato rimosso e al suo posto, al centro del cartone marrone e spesso della copertina, c’era un taglio rettangolare, della dimensione esatta dell’oggetto che nascondeva al suo interno. Applicò una leggera pressione sul bordo per sollevare un angolo dalla busta bloccata all’interno della tasca e poi la sfilò. 

Mentre tirava fuori il contenuto che nascondeva il libro, sentì la familiare puntura del senso di colpa farsi strada sotto la sua pelle. Stava violando la privacy dell’uomo; qualsiasi cosa tenesse nascosta nella copertina di quel libro doveva avere un grande significato per lui, dal momento che non se ne separava mai.
Continuava a ripetersi che stava invadendo il suo spazio personale per aiutarlo, non per ficcare il naso nelle sue cose. Era certa che svelato quel mistero, finalmente avrebbe compreso il motivo dell’umore mutevole dell’uomo e sarebbe stata in grado di aiutarlo. 

Contò fino a tre, a bassa voce, e poi aprì la busta facendo scivolare il suo contenuto tra le mani. 

Una volta preso tra le mani quasi stentava a crederci. Possibile che lui… no, non poteva credere che la risoluzione di quel complesso enigma fosse sempre stata davanti ai suoi occhi fin dal primo giorno. 

«Oh, Sergio…» disse in un sussurro delicato, stringendo tra le mani i due passaporti.

 



 
   
 
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