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Autore: FairyCleo    21/12/2021    2 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO
 
Il vento freddo proveniente dalle montagne portava con sé la prova più palese dell’arrivo dell’inverno. La città dell’Ovest era un turbinio di luci, odori, sapori capaci di travolgere e ammaliare chiunque si trovasse a passare per le vie gremite di bambini e adulti intenti a guardare le meraviglie esposte nelle vetrine dei negozi. Le luminarie scelte quell’anno per celebrare il Natale erano le più sensazionali degli ultimi dieci anni: la grande piazza ospitava tre alberi immensi completamente rivestiti di luci bianche intermittenti, e la via principale era stata decorata con sessanta alberi composti da led luminosi rossi e bianchi. Davanti al centro commerciale era stata sistemata una grande pista di pattinaggio sul ghiaccio costeggiata da bancarelle di dolciumi e oggettini a forma di elfo, pinguino, orsetto e qualsiasi creaturina ricordasse Babbo Natale e il suo operoso staff.
I bambini scorrazzavano allegri da una parte all’altra del parco cittadino, incuranti del vento tagliente che gli arrossava le gote, insensibili al richiamo di genitori eccessivamente apprensivi che temevano un raffreddore o una brutta influenza.
Nonni e zii, amici e conoscenti, non si erano risparmiati nel fare anche solo un piccolo pensiero ai propri cari: quell’anno, il Natale sarebbe stato speciale, sarebbe stato diverso dal solito e, anche se non avrebbero saputo spiegarne la ragione, la voglia di trascorrere del tempo con chi si amava, di strappare un sorriso e allietare anche il più duro dei cuori era un qualcosa che accomunava ogni singolo abitante di quella che, per la prima volta, sembrava più una comunità che non una città costituita da perfetti estranei.
Ma, da bravo extraterrestre che si era male adattato, tra quella moltitudine di gente in tumulto c’era ancora qualcuno che aveva scelto di passeggiare da solo, in attesa di trovare rifugio da quel mondo troppo colorato a cui ancora, suo malgrado, non era riuscito ad adattarsi.
 
“Che bisogno c’è di correre come forsennati da una parte all’altra? E tutto per degli stupidi regali! Che razza di idioti… A cosa serve ricevere in dono orribili paia di calzini verdi decorati con stupidi animali cornuti? E che senso ha continuare ad appendere luci in qualsiasi angolo della casa, del giardino, del terrazzo? Tsk! Quest’anno, per poco non mi costringeva a montare quelle stupide luci anche nella tazza del bagno! Quella donna è fuori di testa, a volte… Quando fa così, mi fa rimpiangere il silenzio che c’è nello spazio”.
 
Sua altezza reale il principe dei saiyan era sgattaiolato via come un ladro nella speranza di potersi sottrarre alla confusione che regnava nella sua casa. Non che solitamente fosse un posto tranquillo, dato il via vai di persone che avveniva quotidianamente, ma nelle ultime settimane la situazione era sfuggita di mano, e Vegeta aveva seriamente pensato di prendere la prima navicella disponibile e partire alla volta dello spazio. In verità, non aveva la benché minima intenzione di partire, ma nonostante il tempo trascorso con la sua famiglia, non era riuscito ad abituarsi all’aria festosa e rumorosa, alle foto di famiglia, ai regali e ai tentativi di stampargli baci sulle labbra per colpa di quello stupidissimo vischio appeso praticamente ovunque. Non che gli dispiacesse avere del contatto fisico con la sua bella moglie, ma non amava mostrare quel genere di effusioni alla folta schiera di persone che avevano messo radici in casa sua.
Da quando il nemico era stato sconfitto e le persone scomparse erano finalmente riapparse dal nulla, la vita di Vegeta non era tornata alla normalità, ma era stata stravolta, di nuovo. Sarebbe stato stupido, da parte sua, sperare che tutto tornasse esattamente com’era prima, ma il principe aveva accusato il colpo, sebbene avesse deciso di continuare a mantenere la sua imperturbabilità ben visibile.
Ricordava l’istante in cui tutto era finito quasi come se fosse stato uno strano sogno da cui si era svegliato di soprassalto. Per la miseria, Kaharot era diventato luminoso come una lampadina e, pian piano, tutti coloro che erano stati assorbiti erano tornati, e non sotto forma di spirito o energia pura, ma come esseri in carne e ossa, circostanza che aveva reso il ridicolmente piccolo pianetucolo di re Kaioh il luogo più affollato della storia.
Cielo, ancora arrossiva al pensiero di sua moglie che si gettava su di lui senza troppi complimenti, si intimoriva al ricordo di Chichi che piangeva disperatamente ringraziando gli dei per la salvezza ottenuta e sorrideva sotto i baffi per la gioia di sapere che tutto, finalmente, era finito.
Le sfere del drago erano state riunite in un batti baleno da Bulma e dal resto della squadra tornata al completo, e i tre desideri erano stati espressi senza troppe cerimonie. Gohan, Vegeta, Ouji erano tornati in vita, tutti erano tornati sulla Terra e coloro che avevano vissuto quell’esperienza traumatizzante avevano dimenticato.
Goku, alla fine, aveva deciso di restare. L’idiota di terza classe sembrava aver accettato di buon grado l’occasione che gli era stata offerta (l’ennesima, a ben vedere) e, dopo un breve periodo trascorso insieme a Chichi, Gohan, Goten e Ouji alla Capsule Corporation, aveva deciso di riportare la sua famiglia in quella casa sperduta tra le montagne, riassumendo – o forse assumendo per la prima volta – il ruolo di marito e padre che per tanto tempo aveva eluso per dedicarsi a questioni sicuramente di vitali importanza, ma che non potevano per nessuna ragione venire meno ad altre.
 
“Tsk! Sto davvero facendo questo tipo di pensiero? VERAMENTE?”.
 
Vegeta si era quasi strozzato con la sua stessa saliva. Non si sarebbe mai del tutto abituato a quel suo lato così affettuoso e umano. Era un qualcosa che lo metteva ancora in imbarazzo, che lo faceva sentire diverso, ma diverso in maniera piacevole, in un modo che gli faceva battere il cuore a un ritmo mai sperimentato prima.
Di spiacevoli situazione ne aveva affrontate tante, ma poche volte aveva sofferto come quando aveva visto Goten andare via dalla sua casa: durante quel lungo anno in cui aveva vissuto con lui e con Trunks, in cui aveva fatto loro da padre e da madre, da educatore e amico, in cui si era dedicato loro anima e corpo, si era legato a lui ancora più di prima. Il distacco era stato doloroso, ma inevitabile: per quanto Goten lo avesse chiamato papà, per quanto lui lo considerasse veramente un secondo figlio, era giusto lasciarlo andare con la sua famiglia di origine. Sarebbe stato felice, in compagnia di quel decerebrato, felice e protetto come la più preziosa delle creature.
E così era stato. Goten aveva dato una seconda possibilità a suo padre, finendo con l’innamorarsi di lui. Era inevitabile. Era giusto. Era umano. E, se così non fosse stato, sarebbe andato a prendere Goku a calci nel didietro.
Alla fine, Goten aveva tutto quello che aveva non solo voluto, ma meritato.
E lui? Lui non era stato messo da parte. Quel bambino dai buffi capelli a forma di palma non lo avrebbe mai fatto sentire la seconda scelta, non avrebbe mai permesso a nessuno di occupare quel posto nel suo cuore che aveva riservato solo a lui. Forse, non lo avrebbe mai più chiamato papà, ma andava bene così. Era felice di essere nella sua vita, di essere importante per lui, e questo gli bastava ad avvertire una sensazione di sollievo mai provata prima di allora.
 
Dopo quegli avvenimenti così sconcertanti, il principe dei saiyan si era ritrovato a fare spesso un pensiero che mai prima di allora aveva bussato alla porta della sua mente (o si era affacciato alla finestra del suo cuore): come sarebbe stata la sua vita se non fosse stato strappato dalle braccia della sua famiglia? Se avesse avuto più tempo da trascorrere insieme a suo padre, che tipo di persona sarebbe diventato? Non era così idiota da pensare che avrebbe avuto una famiglia simile a quella che aveva formato egli stesso sulla Terra, ma magari…
 
“Magari cosa? Non essere idiota… Tuo padre era il re dei saiyan, non ti avrebbe di certo consolato se avessi fatto un brutto sogno. Quando ti hanno pestato devi aver preso una bella botta in testa e… Tsk! Ho cominciato a parlare di me in terza persona… Bene… Devo davvero essere impazzito”.
 
Forse lo era, o forse no, ma andava bene così. Dopotutto, non aveva i mezzi per cambiare il passato, e anche se lo avesse fatto, se avesse avuto modo di avere suo padre accanto, veramente pensava che sarebbe stato non un bambino felice, ma un… un bambino?
 
“Non lo sei mai stato. Nessuno saiyan è mai stato bambino, non come lo intendono qui sulla Terra, e tu lo sei stato meno di tutti gli altri. Tu eri l’erede al trono, tu eri… Eri un assassino. Niente di più, niente di meno. Perciò smettila… Tuo padre è morto e sepolto da trent’anni… Di lui non resta altro se non un fottuto ricordo, e la certezza che rivedrai per sempre i suoi lineamenti nei tuoi”.
 
E, mentre formulava quel pensiero, mentre si rivolgeva a se stesso in terza persona per l’ennesima volta, per un attimo aveva visto sovrapporsi alla sua immagine riflessa in quella vetrina, quella di suo padre, l’altero re dei saiyan.
Affrontare quello sguardo durato il tempo di un battito di ciglia lo aveva reso per un attimo triste, ma sicuro di sé, di quello che era diventato, di chi fosse realmente. Era inutile pensare a come sarebbero potute andare le cose, a come sarebbe stato poter vivere altrove. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era grato per quello che aveva, ed era fiero di quel cambiamento che aveva in parte subìto e in parte voluto. Non era più solo un guerriero: era un uomo, un uomo capace di amare e di essere amato a sua volta.
 
Nel momento in cui l’immagine apparsa nella vetrina era scomparsa, lasciando spazio alla figura in cui si rispecchiava pienamente, per la prima volta da quando era atterrato sulla Terra – e per la prima volta da quando ne aveva memoria – era stato attirato da uno degli oggetti esposti, oggetto che aveva fatto nascere in lui il misterioso impulso di fare un acquisto. Data la natura dell’oggetto, c’era di che meravigliarsi: si trattava di un gioco da tavolo. Ora, non che avesse contezza dei balocchi che possedeva suo figlio – una quantità spropositata persino per il figlio di un principe – ma era certo di non aver visto niente di simile tra la moltitudine di doni scartati e abbandonati per una repentina perdita di entusiasmo da parte della sua prole. Sembrava veramente interessante, data la strategia da dover mettere in atto per conquistare regni e territori, talmente interessante da spingere sua maestà a decidere di entrare, prenderne due confezioni, fare un’interminabile fila alla cassa, pagare, fare una seconda interminabile fila al banco dove lo avrebbero incartato, fare una donazione ad un’associazione che si occupava di cani randagi (maledetto Ouji) e uscire dal negozio innervosito e soddisfatto allo stesso tempo con il pacchetto infiocchettato e profumato sotto il braccio.
 
“Tsk!”.
 
Tutta quella fatica – se di fatica si poteva parlare – era stata fatta senza che neppure se ne rendesse conto: mentre metteva in atto quei gesti così comuni a tutti gli esseri umani, la sua mente era volata altrove, immaginando uno scenario che avrebbe fatto inorridire qualsiasi spietato guerriero sanguinario. Aveva pensato alla sua famiglia, a tutta la sua famiglia, raccolta attorno al tavolo a giocare al gioco che aveva comprato. Aveva pensato alla gratitudine dei bambini, aveva pensato ai visi sorpresi di Bulma e Chichi, alla fatica che avrebbe dovuto fare nel tentativo di spiegarne le regole al decerebrato di Kaharot, e alla sensazione di pace dei sensi provata nel vederli tutti insieme, seduti allo stesso tavolo, al sicuro e felici.
Felici. Il più spietato assassino della Galassia voleva che le persone che aveva attorno, compreso il suo più acerrimo rivale, fossero felici. E questo perché la loro felicità lo avrebbe reso felice.
Era assurdo? No, non lo era più. A dirla tutta, era estremamente confortante e piacevole.
Soddisfatto del suo acquisto, sua maestà aveva deciso di dirigersi verso casa. Avrebbe messo il regalo sotto l’enorme albero che sua moglie gli aveva fatto spostare almeno dodici volte prima di decidere di rimetterlo all’angolo del salotto – ovvero il primo punto in cui lo aveva fatto sistemare – e godersi i manicaretti che aveva preparato per lui. E sì, era proprio un uomo fortunato, e avrebbe tenuto quella fortuna stretta a sé per sempre, anche se questo voleva dire che…
 
Era durato meno di un secondo. Si era trattato di uno sguardo fugace, di uno sguardo ricambiato con un misto tra interesse e vergogna. Inizialmente, aveva creduto di essersi sbagliato, di aver sognato a occhi aperti, ma più la vedeva avanzare verso di sé, più si rendeva conto di non aver sbagliato affatto. La giovane che camminava con passo svelto e spedito non era altri se non lei, la donna che aveva sacrificato la sua vita per salvare la sua: Marilyn.
Se non avesse avuto i riflessi pronti, i pacchi che reggeva tra le braccia sarebbero inevitabilmente caduti al suolo. Era imbarazzante ammetterlo, ma aveva avvertito come una stretta alla bocca dello stomaco dovuta alla forte emozione provata. Ancora una volta, il cinico principe dei saiyan si trovava ad avere a che fare con “quelle stupidissime emozioni umane”.
Stava per dire qualcosa a una persona che neanche si ricordava di lui, stava per fare qualcosa, quando una voce fastidiosa lo aveva colto alla sprovvista, distruggendo ogni suo proposito.
 
“Ehilà! Vegeta! Anche tu intento a fare shopping? Urca! Non ti facevo un tipo a cui fa piacere fare i regali di Natale! Io sono in ritardo come al solito e non so ancora cosa prendere a Chichi e a Gohan! A Goten ho preso una nuova tuta con cui allenarsi! Sono sicuro che gli piacerà tantissimo! Ho preso qualcosina anche a Bulma e Trunks – e lo ammetto, ho preso anche a te un regalo – ma sono proprio indeciso per Chichi e Gohan! Tu hai finito? Ma sì! Sei uno organizzato! URCA CHE IDEA! Se hai finito, puoi darmi una mano, vero? VERO?”.
 
In un altro tempo, in un altro luogo, in un’altra dimensione, doveva esistere un altro Vegeta che, alla prima sillaba fuoriuscita dalla bocca del demente, lo avrebbe polverizzato senza porsi troppe remore, godendo immensamente per il piacere provocato dall’esplosione del suo corpo. Quel Vegeta, invece, si era limitato ad ascoltare in silenzio, grugnire e intimare al decerebrato di seguirlo, prima di accompagnarlo in ogni singolo negozio alla ricerca del regalo perfetto per le persone perfette, le uniche che lo avrebbero amato per sempre, a prescindere da tutto quello che avrebbe potuto fare loro. Goku era non solo l’eroe che avrebbe messo per sempre se stesso davanti agli altri: Goku rappresentava la quint’essenza del bene, della purezza, era l’eterno bambino di cui chiunque si sarebbe innamorato. Chiunque. Tranne Vegeta. O no?
 
Dopo ore di shopping natalizio dell’ultimo minuto, i due saiyan purosangue, i due guerrieri più forti della Galassia, si erano lasciati cadere su una panchina, nel parco, incuranti del freddo e della sera che cominciava a calare. Avevano con sé una quantità di pacchetti e buste che avrebbe fatto invidia a qualsiasi persona affetta da shopping compulsivo (avevano comprato persino un peluche a forma di cane per Ouji), ma una bella cioccolata fumante aveva ristorato entrambi, stremati dalle fatiche dovute agli acquisti.
 
“Urca che bontà! Ci voleva proprio… Sono queste le piccole cose che mi fanno essere contento di essere qui, a te no? La città è bellissima in questo periodo dell’anno… Mi mancava tutto questo, quando ero in Paradiso… Mi mancavano tutto e tutti. Credo che tu possa capirmi, no?”.
 
Non era pronto a quello. Vegeta poteva pensare di sopportare la sua presenza in casa propria, di poterlo accompagnare a fare shopping, ma di diventare suo confidente non ne aveva la benché minima intenzione, non l’aveva in quel momento ed era certo che non l’avrebbe avuta mai.
 
“Deve essere stata dura” – aveva continuato poi Goku, che non si era reso minimamente conto dell’espressione di panico misto a irritazione comparsa sul viso di sua maestà – “Non oso immaginare cosa devi aver passato ma… Ecco… Mi sono reso conto di non averti mai ringraziato, Vegeta. Per quello che hai fatto non solo per Gohan e per Goten, ma per tutti noi. È grazie a te se siamo qui, adesso, tutti insieme. Dobbiamo tutto questo a te. Grazie, Vegeta, grazie di…”.
“Adesso la pianti, Kaharot? Queste smancerie mi danno il voltastomaco”.
 
Ringraziava il cielo che il freddo gli avesse arrossato le gote, perché proprio non ce l’avrebbe fatta a mostrare a Kaharot il suo evidente imbarazzo. Da quando, quel decerebrato, era diventato tanto chiacchierone? La lunga permanenza nell’Aldilà doveva avergli sbloccato la lingua, e anche il cervello, a quanto sembrava, perché era certo di non averlo mai sentito scegliere parole tanto ricercate prima di allora. O, probabilmente, era stata la presenza della sua famiglia a cambiarlo talmente tanto. La vicinanza di Gohan, ma soprattutto quella Goten, doveva aver messo in atto quella specie di piccolo miracolo. Non poteva essere altrimenti. Alla fine dei conti, dopo aver vissuto mille battaglie, Vegeta si era ritrovato a tirare le somme e a comprendere che il vero miracolo non era diventare più forti, non era superare i limiti fisici e raggiungere uno stadio successivo della trasformazione in super saiyan. Il miracolo era quello: saper vedere il mondo con gli occhi di un bambino, arrivare a perdonare chi si aveva accanto e, soprattutto, arrivare a perdonare se stessi.
 
“Urca! Va bene, vostra maestà! Non voglio mica farvi arrabbiare proprio in prossimità del Natale!”.
“Tsk!”.
 
Tra i due, era sceso nuovamente il silenzio. Non potevano saperlo, ma entrambi si erano ritrovati a pensare a come sarebbero state le loro vite in futuro. Si sarebbero sicuramente allenati, avrebbero lottato, sarebbero migliorati, avrebbero mangiato fino a scoppiare, avrebbero visto i propri figli crescere e le proprie mogli invecchiare. E se fosse arrivato un nuovo nemico deciso a conquistare il mondo, avrebbero unito le forze e lo avrebbero sicuramente sconfitto.
 
“Urca! Io e Vegeta siamo un portento, insieme! Nessuno può temerci!”.
“Ho davvero pensato di battermi ancora insieme a questo demente? Ho realmente pensato che insieme funzioniamo alla perfezione? Mi sento male…”.
 
“Vegeta… Ti senti bene?”.
“Benissimo” – aveva detto, inghiottendo una quantità di saliva impressionante facendo un rumore sinistro – “Adesso andiamo. Non ho la benché minima intenzione di sentire strillare quelle due perché abbiamo fatto tardi. Non che me ne importi qualcosa. Ma nessuno può osare sgridare…”.
“Il principe dei saiyan. Andiamo vostra altezza, vi faccio strada!”.
 
Stava per colpirlo in mezzo alla strada. Stava per colpirlo e usarlo come sacco da boxe. E lo avrebbe fatto se la sua attenzione non fosse stata catturata da un qualcosa che non aveva mai visto prima di allora: uno strano petalo di ghiaccio si era posato sul suo pugno sollevato, sciogliendosi a contatto con la pelle.
 
“Ma cosa diavolo…”.
“URCA! Guarda Vegeta! Sta nevicando! È neve! Nevica a Natale!”.
 
Travolto dall’entusiasmo della sua controparte, Vegeta aveva sollevato il capo verso il cielo, scoprendo, con immenso stupore, che la neve scendeva fitta e silenziosa, avvolgendo con il suo candore macchine e animali, passanti e oggetti. Le persone, rapite da quello spettacolo, si erano fermate per un istante ad ammirare la danza dei fiocchi trasportati dal vento, sorridendo di gioia con i nasi rivolti all’insù.
 
“Papà!”.
 
Due voci unite in una sola. Due voci che mai avrebbero potuto confondere con quelle di qualcun altro. Due voce solari e gioiose. Due voci che scaldavano il cuore. I bambini, infagottati come due eschimesi, stavano correndo nella loro direzione con i visetti rossi per il freddo e l’eccitazione del momento.
 
“Trunks, Goten… Che ci fate voi qui?” – aveva chiesto Vegeta.
“Papà! Vi abbiamo trovato! Guardate! Nevica! NEVICA!”.
“Sì, visto??? Io e Trunks non riuscivamo a crederci! Siamo subito venuti a chiamarvi! Non avevamo mai visto la neve in città prima di oggi! Tra poco, tutto diventerà bianco e potremo giocare insieme! Non è vero? Sarà bellissimo! Bellissimo!”.
“Urca! Avete ragione! Non vedo l’ora di fare un pupazzo e di giocare a lanciarci le palle di neve! Vediamo chi le lancia più lontano? Sarà super divertente, non trovi anche tu, Vegeta? ANDIAMOOOO!”.
 
Li aveva visti correre via, insieme, con le braccia piene di pacchetti e il cuore colmo di gioia. Li aveva visti librarsi in volo, insieme, noncuranti della gente che li osservava stupiti e della neve che, vorticosa, continuava a cadere.
E poi, li aveva visti. Aveva visto Goten e Trunks fermarsi e tornare indietro da lui.
 
“Andiamo a casa… Pa’?”.
 
L’immagine di quel momento, di quei visini così emozionati era un’istantanea che il principe avrebbe ricordato per sempre, perché era l’istantanea di un attimo di felicità. La stessa felicità che in un altro mondo, un mondo fatto di nuvole, un vecchio maestro pervertito in licenza speciale, una strega e un buffo re divino stavano provando per la presenza di alcune piccole anime redente che avevano ottenuto un permesso del tutto particolare in occasione del Natale.
 
“Sbrigati a tornare, vecchio… Ci sono delle cosette che devi insegnarmi, capito?”.
 
“Papà? Ci sei?”.
“Tsk! Certo che ci sono… Adesso, possiamo andare a casa”.
 
 
Fine
Carissimi/e,
Eccoci qui, a ridosso del Natale, a scrivere la parola fine a questa storia apparentemente infinita. Stento a credere io stessa che non vi parlerò mai più delle sciagure che hanno afflitto il principe e i bambini. Sentivo di dover dedicare questo lungo capitolo a lui e alle sue riflessioni. Scusate se ho trascurato qualcun altro.
Che dire?
Con immensa emozione non posso fare altro se non ringraziarvi di cuore e augurarvi buone feste!
Che questo 2022 possa essere magico!
 
A presto!
Un bacino,
Cleo
 
 
 
 

 
   
 
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