Serie TV > La casa di carta
Ricorda la storia  |      
Autore: pampa98    22/12/2021    1 recensioni
[Questa storia partecipa al "Calendario dell'Avvento" indetto da Cora Line sul forum "Ferisce la penna"]
SPOILER QUINTA PARTE.
Ti amo. Due parole che gli danzavano sulle labbra, in attesa di volteggiare nell’aria per raggiungere il destinatario di quel sentimento. Le aveva sentite sbocciare dentro di sé, giorno dopo giorno; doveva solo trovare il coraggio di pronunciarle.
«Io ti amo.»
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Helsinki, Il professore, Palermo, Raquel Murillo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prompt: Maschera
 
La caduta della maschera

A Rebecca, buon Natale ❤




Si alzarono dalla tavola, sazi e brilli, quando il Sole era già calato e le stelle illuminavano la volta celeste. Nell’aria aveva iniziato a diffondersi l’aroma di addio che li avrebbe avvolti il mattino seguente, quando ognuno, una nuova identità e la libertà davanti a sé, avrebbe intrapreso la sua strada. Martín aveva cercato di sfuggire al futuro per quanto aveva potuto, ma non c’era più tempo. Entro poche ore tutto sarebbe finito. Aveva solo due possibilità davanti a sé – la terza, la più agognata fino a pochi giorni prima, l’aveva abbandonata definitivamente. Poteva continuare a fuggire e andarsene da solo, oppure credere nell’amore e partire insieme a Helsinki.
“Non hai le palle.”
Martín sarebbe stato felice di rivedere Nairobi, viva e illesa, ma delle sue accuse ne faceva volentieri a meno. Tuttavia, non poteva dire che fossero false.


* * *
 

L’aria di libertà, di vita, aveva invaso i suoi polmoni. Il suo unico pensiero in quel momento fu Helsinki e non ci pensò un solo secondo prima di gettarsi tra le sue braccia.
«Hai visto?» gli disse l’altro, con il volto nascosto sul suo petto. «Mi hai tirato fuori da lì.»

Martín sorrise, mentre le lacrime iniziavano a scorrergli lungo le guance.
«Ce l’abbiamo fatta» mormorò e la sua voce gli parve distante anni luce. Helsinki si scostò da lui e gli accarezzò il volto con una mano. Anche lui stava piangendo e aveva un sorriso dolce sul viso.
«Ce l’abbiamo fatta» disse e le parole di Helsinki sembrarono realtà tangibile, verità inconfutabile che spinse Martín a credere che quello non fosse solo un bel sogno.
«Ora in quale parte del piano siamo?» gli chiese poi Helsinki.
«Be’, credo proprio che inizierà il Piano Igiene» disse, sciogliendo il loro abbraccio per tornare a sedersi sulla sua barella. «Abbiamo decisamente bisogno di un bagno e di riposo. Sopratutto tu». Puntò lo sguardo sulla gamba destra di Helsinki, ancora nascosta dentro il sacco da morto con cui erano usciti dalla Banca.
«Questa sta bene» rispose Helsinki, stringendo la gamba ferita. «Avrò problemi a correre, ma dovrei riuscire ancora a camminare.»
Martín annuì. Il terrore che aveva provato quando lo aveva trovato schiacciato sotto quella statua, con una pozza di sangue intorno a sé, continuava a fare capolino nella sua mente. Aveva immaginato decine di scenari in cui quel breve momento avrebbe segnato la fine di Helsinki e Martín dubitava che sarebbe sopravvissuto alla sua perdita.
Ti amo. Due parole che gli danzavano sulle labbra, in attesa di volteggiare nell’aria per raggiungere il destinatario di quel sentimento. Le aveva sentite sbocciare dentro di sé, giorno dopo giorno; doveva solo trovare il coraggio di pronunciarle.
«Io ti amo.»
Le parole si espansero all’interno del carro, ma non partirono dalla sua bocca. Helsinki gli sorrise e gli tese la mano. Il cervello di Martín riuscì a captare quel movimento e a muovere il suo braccio per stringere le dita dell’altro, temendo che restare immobile avrebbe potuto essere interpretato come un gesto di rifiuto verso qui sentimenti.
Martín sapeva che Helsinki lo amava. Lo aveva creduto, almeno: lo sguardo nei suoi occhi quando si posavano su di lui, il modo dolce di toccarlo, anche nei gesti più quotidiani, gli avevano fatto capire che dopo il bum bum lui non diceva ciao. Sentirlo esprimere quel concetto a chiare lettere, tuttavia, lo rendeva reale.

«Credi che io non ti ami?»

«Martín.» Quel nome dissolse i suoi pensieri. Era la prima volta che Helsinki – Mirko – lo chiamava per nome. «Ho combattuto per tutta la mia vita. Ora sono stanco. Voglio la pace, voglio una vita semplice da condividere con un compagno.»

«Noi siamo anime gemelle.»

Gli strinse la mano. Il suo sguardo era dolce, ma era evidente la sua determinazione. Sembrava pronto a dirgli addio. «Un compagno che possa un giorno chiamare marito. Non un brother

«Ma solo al 99%.»

«Non devi rispondermi adesso» concluse Helsinki, di fronte al suo prolungato silenzio. «Pensaci e fammi sapere, va bene?»
Martín annuì, sentendo la bocca troppo arida per provare a parlare.

 

Le loro interazioni erano state minime durante la settimana trascorsa al monastero. Martín aveva pensato più volte di avvicinarlo per dirgli che lui voleva le stesse cose, ma ogni volta un impedimento diverso non glielo permetteva. Naturalmente, la loro situazione era stata notata – almeno da chi aveva la capacità di osservare.
Fu così che quell’ultima mattina si trovò intrappolato su una panchina in mezzo a Sergio e Lisbona.

«Sono in punizione, per caso?» chiese, spostando lo sguardo scettico dall’uno all’altra.
«Noi due ci sposiamo» disse Lisbona. Martín sgranò gli occhi e si voltò verso Sergio con la bocca spalancata in un sorriso sorpreso. L’uomo annuì con un sorriso impacciato, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Cazzo, questo sì che è un miracolo!» Strinse le braccia intorno al collo di entrambi per attirarli a sé e diede loro un sonoro bacio sulla testa. «E avete intenzione di sequestrare tutti, uno per uno, per dare la notizia?»
«Naturalmente no» rispose Sergio. «Volevamo solo parlare in privato con te.»
Martín aggrottò le sopracciglia. «Argomento?»
«La vita, la libertà» disse Lisbona. «I piani per il futuro. Vedi, noi abbiamo deciso di sposarci e, magari, di avere anche dei bambini.» Martín dovette trattenere una risata al pensiero di Professori in versione ridotta che scorrazzavano per le spiagge di Palawan. Lisbona doveva amare davvero Sergio per sopportare una tortura simile.
«I tuoi progetti, invece, quali sono?» concluse Sergio.
A Martín bastò incontrare il suo sguardo per capire a cosa alludesse. Non era una casuale conversazione sui sogni della sua vita: volevano sapere se avesse determinati progetti.
Allungò le gambe, incrociando le caviglie, e fece spallucce.
«La vita, la libertà. Cose così.»
Lisbona sbuffò e Sergio scosse la testa. Martín ebbe l’improvvisa sensazione di essere bloccato e la pressione che avvertiva esercitare dagli altri due gli mozzò il fiato. Si alzò, deciso ad andarsene: qualunque strada avesse scelto per il suo futuro, era solo affare suo. E di Helsinki.
«Cos’è successo tra te e Helsinki?» chiese Lisbona, tirando fuori l’ispettore che era dentro di lei.
Martín si strinse nelle spalle. «Non so di cosa parli.»
«Non vi parlate. Vi toccate a malapena. Vuoi dirmi che è tutto normale così?»
«Certo, non siamo mica due fidanzatini.» In quel momento, avvertì la maschera di Palermo tornare a posarsi sul suo volto. Non aveva ancora aderito completamente alla carne, ma se non avesse prestato attenzione sarebbe accaduto di nuovo; e, quella volta, dubitava che sarebbe riuscito a tornare indietro.
«Martín» Sergio si alzò in piedi, mettendosi davanti a lui. «Andrés è morto.»
«Lo so.»
«Hai realizzato il vostro sogno. Ora è finita. Puoi lasciarlo andare.»
Martín strinse i pugni, desideroso di sbatterli sulla sua faccia e fracassargli quei maledetti occhiali da nerd. Sapeva che Andrés non sarebbe tornato – e, anche se quel miracolo fosse stato possibile, non avrebbe comunque scelto lui. Sapeva di amare Helsinki; sapeva di volere una vita al suo fianco.
“Non hai le palle.”
«Palermo.» Martín non si era accorto della vicinanza di Lisbona finché le sue mani fredde non gli avevano toccato il volto. «Helsinki è un brav’uomo. Non lasciartelo scappare.» 

 

* * *

 

Mentre tutti quanti si dirigevano verso le rispettive stanze, Martín si avvicinò a Helsinki, prendendolo per un braccio.
«Possiamo parlare?»

Lui sorrise e annuì. Entrarono all’interno del monastero e raggiunsero la cappella, da cui erano stati tolti i banchi usati durante le lezioni. Si separò da Helsinki e si avvicinò alla colonna accanto alla lavagna. Il suono della stampella che colpiva il terreno gli fece capire che l’uomo lo aveva seguito, fermandosi però a una certa distanza.
«Credo che un po’ mi mancherà questo posto» disse Martín, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. «Dieci anni della mia vita sono stati collegati a queste mura. Euforia, preoccupazione, amore, dolore: ogni parte del mio essere è rimasta ancorata qui, insieme ad Andrés.»
Allungò le dita verso il marmo, facendo scorrere su di esse il ricordo di quell’ultima notte trascorsa con lui.
«Separartene non significherebbe dimenticarlo. Vorrebbe solo dire andare avanti.»
Martín annuì distrattamente. Si voltò, posando la schiena contro il muro. Si sentiva esposto, come lo era stato allora, ma costringersi a indossare ancora una maschera sarebbe stata fatica sprecata, soprattutto con Helsinki.
Aveva amato Andrés con tutta la sua anima ed era stato terribile. Il dolore che aveva provato quando si era spezzata in tanti minuscoli coriandoli era stato peggiore della sensazione del vetro che gli scavava dentro le pupille. Era certo che non si sarebbe mai ripreso; che la ferita fosse troppo profonda per potersi rimarginare. E, anche se per miracolo fosse riuscita a cicatrizzarsi a dovere, Martín non poteva permettersi di rischiare un’altra volta.
Helsinki si avvicinò, fermandosi di fronte a lui.
«Io sono qui» disse, e Martín ripensò a quando lo aveva stretto tra le braccia per impedirgli di lasciare la Banca di Spagna e farsi ammazzare. «Voglio darti tutto quello che ho e anche di più. E non permetterò a nessuno di farti del male, nemmeno a te stesso.»
«Baciami.»
Quella richiesta lasciò le sue labbra di getto. Helsinki sbatté le palpebre, sorpreso a sua volta che Martín gli avesse dato il permesso per quel gesto così intimo; ma non se lo fece ripetere.
Chiuse la distanza tra i loro corpi e Martín si ritrovò bloccato tra Helsinki e il muro, incapace di fuggire nemmeno se lo avesse voluto. La barba dell’uomo gli sfregava il volto mentre la sua bocca calda giocava con le sue labbra, mandando scosse a tutto il suo corpo. Martín gli strinse le braccia intorno al collo, nel tentativo di sentirlo ancora più vicino. Ricordò quando aveva compiuto gli stessi gesti verso Andrés, il modo in cui lui gli aveva preso il volto tra le mani per provare ad amarlo solo per poi accettare che fosse impossibile. Era stato freddo, distaccato: Martín non lo aveva capito subito solo perché non aveva mai provato il contrario.
Helsinki strinse il suo corpo tra le braccia, sollevandolo da terra. Martín aggancio d’istinto le gambe intorno alla sua vita e nel momento in cui i loro volti si separarono per riprendere fiato, qualcosa gli disse che quella posizione non fosse una buona idea.
Poi Helsinki gli rivolse un sorriso radioso che Martín si ritrovò a specchiare sul suo volto. E quando le labbra di Helsinki calarono di nuovo su di lui, misero a tacere ogni preoccupazione della sua mente.

 

«Scopare in piedi non sarà possibile per parecchio tempo – o mai, se non presti più attenzione alla tua salute.»
«Non preoccuparti, sono sicuro che con le tue cure amorevoli la gamba guarirà in un attimo.»
Martín gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. Appena si erano staccati dal muro per permettere a Martín di togliersi la camicia, si erano resi conto che la gamba ferita di Helsinki non era in grado di sostenere il peso dell’uomo senza un solido supporto. Si erano dunque spostati in camera di Martín, dove erano ora sdraiati a pancia in su, nudi e soddisfatti.
Helsinki gli prese una mano, voltandosi verso di lui. Si schiarì la gola mentre il volto si tingeva di rosso.
«Quindi, ehm, questo vuol dire che…?»
«Che appena sarai in grado di metterti in ginocchio, mi devi un anello.»
Si sorprese della facilità con cui pronunciò quelle parole, ma non aveva senso continuare a nascondersi dietro una maschera di indifferenza. Forse non sarebbe riuscito a dire a Helsinki che lo amava, non a parole almeno, ma era giusto che l’altro sapesse che non avrebbe scelto nessun altro. Lui non aveva vissuto in guerra, ma il dolore era stato suo costante compagno per anni ed era stanco. Voleva solo essere amato – e amare – qualcuno che gli riempisse la vita di gioia e semplicità. E nessuno avrebbe potuto farlo meglio di Helsinki.
«Te lo devo?» chiese Helsinki, e Martín noto che si stava sforzando di non ridere.
«Certo. Dovrai pur darmi dei validi motivi per stare con te, no?»
Helsinki si guardò intorno, sollevando un sopracciglio. «Ah, quindi questo non è un valido motivo?»
Martín rise. Mise un braccio intorno a Helsinki, proprio sopra la bocca dell’orso, e posò la testa sulla sua spalla.
«Diciamo che è un buon inizio, ma io sono molto esigente, grassone. Dovrai impegnarti più di così.»
Helsinki rise e lo strinse a sè. Martín si chiese per un momento quante volte, in passato, Helsinki avrebbe voluto che i loro incontri notturni finissero proprio così: loro due abbracciati, a scherzare in attesa di addormentarsi.
Sentì un bacio posarsi sui suoi capelli e si lasciò sfuggire un sospiro. Era stato uno stupido, ormai lo sapeva. Non aveva senso rimuginare sul tempo perso: doveva solo concentrarsi sul non sprecare mai più la felicità che gli veniva offerta.
Helsinki posò la guancia sulla sua testa, stringendolo ancora di più a sè, e Martín si addormentò tra le braccia del suo compagno, sognando la vita che nel giro di poche ore avrebbero iniziato insieme.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > La casa di carta / Vai alla pagina dell'autore: pampa98