Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Ricorda la storia  |      
Autore: Eevaa    23/12/2021    3 recensioni
[BakuDeku] [FutureAU] [ProHero] [NoSpoilerAlManga]
Erano due anni che lui dava al mondo ciò di cui aveva bisogno.
L'eroe che aveva sempre sognato di essere, non quello che scala tutte le classifiche, ma che salva chi ha paura, chi ha bisogno di aiuto, chi non ce la può fare da solo.
Era lontano da essere forte come Endeavor, scaltro come Hawks, riflessivo come Eraserhead. Era lontanissimo da essere un simbolo come lo era stato All Might.
Ma lui era Deku. Il Deku che si impegna. Il Deku che ha coraggio, e anche il Deku che rinuncia alle vacanze di Natale per essere di pattuglia in trasferta.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il meglio deve ancora venire'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale su EFP.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo.
I personaggi appartengono esclusivamente a
 Kōhei Horikoshi.
Nessun copyright si intende violato.
 
 

polaroid nera.




 
Uno, concentrati.
Due, respira
Tre, agisci.


Tempo di agire. Izuku si lanciò in avanti dal cornicione del palazzo. Le luminarie di Natale delle strade erano intense, vorticavano, si sfocavano a causa delle lacrime appese alle sue ciglia. Il freddo e il vento gli facevano sempre pizzicare gli occhi, ma aveva sempre rifiutato occhiali che gli intralciassero la visuale. E voleva che i cattivi lo guardassero bene negli occhi, mentre li catturava.
Atterrò su un altro cornicione e saltò di nuovo, avanti, sempre più veloce. Aveva imparato a muoversi veloce da due eroi, il primo anno di accademia. Tempi lontani, tempi andati.
Lui era un Pro Hero da due anni, oramai.
L'Unione era stata sconfitta durante il suo secondo anno di accademia, Shigaraki Tomura era solo un lontano ricordo, All For One anche, ma i cattivi non si erano estinti con l'eclissi dei Supercattivi.
Il mondo aveva ancora bisogno di eroi, ne avrebbe sempre avuto. Ed erano due anni che lui dava al mondo ciò di cui aveva bisogno.
L'eroe che aveva sempre sognato di essere, non quello che scala tutte le classifiche, ma che salva chi ha paura, chi ha bisogno di aiuto, chi non ce la può fare da solo.
Era lontano da essere forte come Endeavor, scaltro come Hawks, riflessivo come Eraserhead. Era lontanissimo da essere un simbolo come lo era stato All Might.
Ma lui era Deku. Il Deku che si impegna. Il Deku che ha coraggio, e anche il Deku che rinuncia alle vacanze di Natale per essere di pattuglia in trasferta.
«Deku, riesci a vederlo?»
La voce di Mirio risuonò nel suo orecchio, tramite l'auricolare. Anche Lemillion era l'eroe che rinunciava alle vacanze di Natale per lavorare in agenzia e dargli istruzioni per identificare i cattivi.
«L'ho avvistato» gli rispose.
Tra i vicoli stretti e meno illuminati poteva scorgere quella figura sospetta. Era certo che fosse lui: il cattivo che cercavano da ben due settimane, tale Castgold, reo di manipolare l'oro e scioglierlo solo con un tocco. Era un mese che nella prefettura di Kyoto era sconsigliato andare a zonzo con i gioielli addosso, a causa di quel farabutto. Le gioiellerie erano sotto sorveglianza dalla polizia e, in periodo Natalizio, stavano risentendo di una grande perdita d'acquisto.
Ma sarebbe finita quel giorno.
Lo mise a fuoco e balzò più veloce, furtivo. One For All al 20% sarebbe stato abbastanza. L'avrebbe atterrato, la polizia era già allertata.
Ultimo cornicione, Castgold sembrava tranquillo.

Uno, due, tre.

Izuku balzò al grido di Smash ma, prima di poter atterrare sul cattivo, qualcosa andò storto. Dolore al cranio, alla spalla. Era andato a sbattere contro qualcosa, contro qualcuno.
Cadde a terra con un tonfo, con lui anche il qualcuno contro il quale era andato a sbattere.
«Porca puttana!» imprecò questi e, prima ancora di mettere a fuoco, Izuku riconobbe la voce.
Non poteva crederci.
Spalancò la bocca e si voltò, con la testa che girava a causa della collisione o forse per il tumulto di essere inciampato proprio in lui. Una persona che non vedeva da due anni.
«Guarda dove cazzo metti i piedi, razza di...» si interruppe e sgranò gli occhi color fuoco. «D-Deku?!»
«K-Kacchan!» soffiò Izuku, incredulo.
Ma quello non era tempo di fermarsi, non era tempo di perdere tempo: Castgold li aveva visti, stava scappando.
Lui e Bakugou si lanciarono un'occhiata sfuggevole, poi si alzarono e si lanciarono verso il cattivo a gran velocità.
«Lascialo a me!» gli intimò Izuku.
«Levati dalle palle, Deku, quello è il mio cattivo» rispose Bakugou, con una spallata.
Così tipico. E così stupido da parte di entrambi, visto che quell'idiota di Castgold stava approfittando della diatriba per darsela a gambe.
Non era il tempo di contenderselo: avrebbero dovuto fermarlo.
Si lanciarono con un urlo contro i lui e, insieme, lo atterrarono. Uno con un ginocchio sulla spalla destra, uno sulla sinistra.
Facile come bere un bicchiere d'acqua. Non era stato altrettanto facile individuarlo, però. Era stato tutto grazie a Mirio, che aveva individuato la sua posizione nonostante l'evanescenza.
«L'ho preso!» ansimò Izuku all'auricolare, per dare ordine alla polizia di procedere con l'atto di cattura.
«IO L'HO PRESO» specificò Bakugou, con un ringhio.
«Va beh, chi se ne importa io chi l'ha preso!»
«A me importa, Nerd di merda, visto che lo sto cercando da tre settimane».
«Io lo sto cercando da tre settimane!»
«Non me ne frega un cazzo da qua-»
«Fermo dove sei, Castgold, sei in arresto» la voce della polizia interruppe un diverbio che non avrebbe portato a niente, come spesso era accaduto in passato.
Si alzarono svelti, trattenendo il cattivo tra le braccia per consegnarlo.
Avevano catturato il cattivo che la prefettura di Kyoto cercava da tre settimane e lo avevano fatto la vigilia di Natale. L'indomani avrebbe potuto tornare a Tokyo e passare il giorno di festa con sua madre. Avrebbe mangiato Katsudon e poi sarebbe andato a trovare Iida e Uraraka per uno scambio di regali. Tutto al di fuori delle sue migliori aspettative.
E, parlando di cose al di fuori delle sue aspettative, si ritrovò ben presto a realizzare quanto appena accaduto proprio in quel momento, mentre la polizia maneggiava un Castgold implorante.
Lì, a pochi passi da lui, Bakugou rispondeva svogliatamente alle domande del caposquadra.

Katsuki Bakugou, il suo amico d'infanzia, il suo compagno di accademia, la persona con cui aveva sconfitto l'Unione dei Supercattivi, con cui aveva condiviso dormitorio, pranzi, cene, lezioni, furiose litigate, dibattiti e diverbi a non finire, persino qualche rissa.
Izuku aveva pianto a causa sua, aveva riso a causa sua.
E poi lui era sparito, subito dopo la festa del diploma alla U.A. Aveva avuto sue notizie, naturalmente, ma non si era fatto più vivo.
Né ai ritrovi della classe, né alle feste – soprattutto non alle conferenze di Eroi. Rispondeva di rado alla chat di gruppo e le uniche volte che si erano contattati in privato era per farsi gli auguri di compleanno.


 
Auguri”
Grazie, Kacchan! Come stai?”
Nessuna risposta.


Buon compleanno, Kacchan!”
Grazie”
Festeggerai, stasera?”
Nessuna risposta.


Così per due anni. Izuku e Inko avevano chiamato la famiglia Bakugou il Natale precedente per scambiarsi gli auguri, ma Katsuki non aveva voluto prendere la chiamata – nonostante le minacce di morte da parte della madre.
Di tutti i loro amici di accademia, solamente Kirishima e Kaminari avevano quotidiani contatti con lui. A quanto diceva Kirishima, Bakugou non era tipo adatto per lavorare come dipendente, ma non era altrettanto adatto come freelance (insomma, prendere contatti con la clientela non era esattamente il suo forte). Quindi si erano dati da fare e avevano aperto insieme loro tre una piccola agenzia di Pro Hero e, sempre a detta di Kirishima, le cose stavano procedendo molto bene.
Izuku era stato invitato all'inaugurazione della KBK – così come tutti gli altri – ma, quando era arrivato, Bakugou si era già dileguato a pattugliare le strade senza salutare nessun altro.
Non che fosse mai stato un ragazzo dalle grandi abilità sociali, ma Izuku non si sarebbe aspettato nemmeno questo distacco completo.

«Deku di merda, questo non è il fottuto traguardo, lo sai, vero? La sfida resterà sempre a aperta. Come... come quando eravamo mocciosi» gli aveva detto Bakugou, prima della cerimonia del diploma.[1]
«Lo so, Kacchan. Il meglio deve ancora arrivare» così gli aveva risposto.
Ma non era stato proprio così, non per loro.
Deku era sicuramente soddisfatto del suo lavoro. Si dava da fare – forse anche troppo. Vedeva poco spesso i suoi amici, anch'essi troppo impegnati nei loro affari, e tornava raramente a casa da sua madre. All'inizio si era ripromesso di andare a trovare All Might all'U.A. ogni settimana, ma di fatto oramai erano tre mesi che non si vedevano.
Izuku viveva in un appartamento da solo, fuori dal centro, dalla parte opposta della città.
L'unica persona con cui aveva contatti ogni giorno era Mirio – ma parlavano perlopiù di lavoro. Nel tempo libero lui era sempre impegnato a casa, specialmente da quando lui e Tamaki si erano sposati e avevano proceduto con l'adozione legale di Eri-chan.
A detta di All Might, Aizawa sensei all'inizio non l'aveva presa proprio benissimo. Non l'aveva mai dato a vedere, ma si era affezionato parecchio alla bambina. Poi però Yamada gli aveva regalato una cucciolata di quattro gatti e ora viveva sereno, sempre all'interno della U.A, pronto a traumatizzare una nuova generazione di studenti.
Ogni tanto Izuku collaborava con l'agenzia di Endeavor – e quindi con Shouto. Era sempre contento di rivederlo, ma non che il ragazzo brillasse anch'egli di loquacità.
Insomma, non che Izuku soffrisse di solitudine, ma era ben lontano da potersi considerare davvero felice. Il meglio non era affatto arrivato, non ancora. Gli mancava la quotidianità dell'accademia, vivere con tutti i suoi amici, essere circondato da gente disposta a sopportarlo e aiutarlo. E, a dirla tutta, gli erano mancati persino i battibecchi con Bakugou.
Persino... o forse soprattutto. Del resto era sempre stato abituato ad averlo intorno ogni giorno da quando erano poppanti! Quel distacco era stato... intenso.

Così come era intensa la sensazione che stava provando in quel momento, nel vederlo lì a disquisire sulle indicazioni della polizia, a meno di tre passi da lui.
«Sì, sono della KBK. Devo ripeterlo ancora una volta»? grugnì Bakugou, insofferente.
«La missione quindi era in cooperazione con la Nighteye Agency, giusto?» domandò di nuovo il poliziotto.
«Sbagliato, cazzo. È stato solo un caso che io e il Nerd di merda stessimo lavorando alla stessa missione».
Izuku sorrise sotto i baffi. Nonostante tutto, era sollevato che Bakugou non fosse cambiato.
«Ok, abbiamo finito qui. Grazie, eroi. Erano settimane che speravamo che questa storia finisse» si congedò quindi il capo di quella divisione, dopo dieci minuti di domande.
«Dovere, agente! Rimango al vostro servizio se dovessero servirvi informazioni utili!» Izuku si inchinò profondamente, con rispetto. Bakugou, al suo fianco, alzò gli occhi al cielo e mormorò un flebile “mh”.
Rimasero soli in quella strada buia di periferia, nel silenzio di una fredda notte d'inverno. Il respiro che creava fumo e condensa, le guance di entrambi arrossate dalle temperature gelide.
Era tempo di neve.
«Tsk... io me ne torno a casa» come prevedibile Bakugou tentò di dileguarsi. «Ci si vede, Nerd» disse, voltandosi. Izuku sapeva che non era vero. Non si sarebbero più visti chissà per quanto tempo. Sicuramente non fino al matrimonio di Kaminari e Jirou, previsto per luglio.
Izuki si rese conto di non volere aspettare così tanto.
«Aspetta, Kacchan!» lo rincorse e lo fermò.
«Che vuoi?»
Izuku ignorò il suo sbuffo e persino quella faccia esasperata – negli anni aveva imparato a non prendere certe cose sul personale. Bakugou si comportava così persino con i suoi migliori amici.
«Non... non ci vediamo da tanto» mormorò. Quello fu più difficile da dire, e per Bakugou sembrò più difficile da ascoltare.
Questi strinse le labbra e Izuku poté intuire la portata dei suoi pensieri, che oscillavano tra “ora dimmi qualcosa che non so, Deku di merda” e “e speravo di non vederti ancora per molto, fottuto Nerd”.
Invece scelse una terza opzione, quella provocatoria. «Che c'è, ti sono mancato?» ghignò.
Izuku arrossì quando invece il suo unico pensiero, fermo e fisso, fu “sì, mi sei mancato”.
«...»
Scelse di non esternarlo ma, come dimenticare, Bakugou lo conosceva come le sue stesse tasche.
«Oh, per l'amor del cazzo, ero ironico!» ringhiò, esacerbato.
«Possiamo solo... andare a bere qualcosa?» lo sputò fuori con un'intraprendenza non compatibile col suo carattere. Se ne stupì da solo, quindi cominciò a farfugliare per rimediare. «Intendo, fa freddo qui fuori, e dovrei andare in stazione e aspettare il treno notturno per tre ore, e-»
«Questo è un tuo fottuto problema, e della tua agenzia di merda che non ti fornisce la stanza d'albergo nelle trasferte» lo interruppe, senza alcun filtro.
«...»
Era stata una cattiva idea, era evidente. Se Bakugou si era tenuto alla larga per tutto quel tempo, di certo non poteva sperare in un cambio di rotta solo perché si erano incontrati – per non dire scontrati – durante una missione.
E invece...
«Comunque avevo intenzione di andare a bermi un dannato bicchiere di qualcosa di forte. Se proprio vuoi unirti...» grugnì e, senza degnarlo di uno sguardo, s'incamminò nel vicolo con le mani in tasca.
Izuku spalancò gli occhi e poi, dopo essere rimasto lì impalato per diversi secondi, lo inseguì di corsa. Era più di quanto potesse sperare.


 


Si infilarono in un locale semplice, nel seminterrato ti un grattacielo di periferia. Un posto di avventori occasionali, gente che finiva di lavorare tardi – come loro – impiegati dall'aria stanca, gente sola e senza meta. Tutti molto più grandi di loro, molto più maturi, più logorati dalla vita. Non c'erano grandi compagnie di amici, non c'erano ragazzini, solo pochi gruppi di persone impegnati a lagnarsi dei loro lavori opprimenti e annegare i dispiaceri in bicchieri quadrati dal fondo spesso.
Niente festa, niente musica a tutto volume, niente grasse risate.
Forse era il posto ideale per loro, per due persone che non si guardavano in faccia da anni e avevano trascorso la maggior parte della loro vita a discutere e, proprio quando avevano imparato a sopportarsi a vicenda, si erano allontanati.
Izuku prese un sorso del suo drink – perché aveva preso un whiskey? Odiava il whiskey! - e rabbrividì.
«Avresti fatto meglio a berti una Caipiroska, Nerd» ghignò Bakugou che, in un solo sorso, aveva già terminato il suo bicchiere di tequila. Era proprio un tipo da tequila, lui.
«Preferisco il Sex On The Beach» rispose e, ingenuo come sempre, si rese conto troppo tardi del doppio senso che non avrebbe voluto far intendere. «Eh-oh, non intendevo prop-»
«Che cazzo, Deku, l'avevo capito» Bakugou interruppe i suoi farneticamenti con uno sbuffo annoiato.
Le lentiggini di Izuku si uniformarono al colorito rossastro delle sue guance e poi, giusto per dimenticare di essere un idiota senza speranze, trangugiò un nuovo sorso di whiskey.
Pessimo. Sul serio, perché cavolo Tokoyami si beveva sempre questa roba?
«Beh... come va la vita, Kacchan?» domandò per rompere il ghiaccio.
Bakugou si stravaccò sulla poltrona e strinse le spalle.
«Lavoro, dormo, lavoro, dormo. Ogni tanto Capelli di Merda mi trascina in qualche stupida festa» spiegò, con un certo disappunto. Izuku sapeva quanto odiasse le feste. «E tu, Nerd? Sempre a fare il fanboy alle fiere del fumetto?»
Forse avrebbe dovuto ricordargli che quando erano bambini ci andavano insieme, a quelle fiere. E si travestivano entrambi da All Might. Izuku sorrise al ricordo ma passò oltre.
«Non ho più tempo. Sai, lavoro... dormo, lavoro, dormo, lavoro» ridacchiò. «La vita da eroe è stancante. Ma mi fa piacere vedere i miei amici, ogni tanto. Mi avrebbe...» Izuku si interruppe e fissò il bicchiere sperando di vederne il fondo, che quella robaccia si prosciugasse da sola. Invece trovò più utile berla tutta d'un fiato, giusto per trovare il coraggio di parlare chiaro e tondo. «Mi avrebbe fatto piacere rivedere anche te, qualche volta».
Bakugou strinse le labbra e i pugni.
«... perché?» domandò, dopo che due impiegati ciondolanti passarono accanto al loro tavolino.
Izuku abbassò lo sguardo. «Beh, perché... eravamo amici». Gli sarebbe servito un altro whiskey.
«Cazzate» sputò fuori Bakugou.
Due whiskey.
«Kacchan...» sospirò, ma Bakugou si stava già alzando dalla poltrona, tremante di rabbia.
«Sapevo che era un errore venire qui, me ne vado».
No, non l'avrebbe lasciato andare via in quel modo. Non anche quella volta.
Si alzò anch'egli per fronteggiarlo.
«Mi avevi detto che c'era una sfida aperta, tra noi. Sembra quasi che tu ti sia tirato indietro». L'unico modo che conosceva per farsi ascoltare davvero da lui: la provocazione.
E funzionò. Bakugou si aggrappò con le dita di una mano al tavolo e si sporse verso di lui, minaccioso.
«Non osare, pezzo di merda!»
Intorno a loro alcuni clienti avevano iniziato a guardarli e, nonostante i toni non fossero alti, la tensione aleggiava tra loro nella luce soffusa dei lampadari tondi pendenti.
«E allora perché non ti sei più fatto vedere?» domandò, sfacciato. Forse l'effetto di quel drink stava portando lui più coraggio di quanto avrebbe sperato. O forse in quegli anni era cresciuto e aveva imparato ad affrontare le questioni a testa alta anche con Kacchan, senza paura, senza timore.
Le mani di Bakugou sembravano sull'orlo di scoppiettare, ma poi prese un profondo respiro. Forse anche lui stava imparando a moderare le sue reazioni spropositate in pubblico.
«Porca puttana, Deku, metti insieme quei due neuroni di merda! Non puoi immaginarlo?!» sibilò, gli occhi dardeggianti e una ruga in mezzo alla fronte.
Oh, beh. Izuku immaginava eccome dove fosse il punto, l'Evento Nexus[2] che aveva sconvolto tutto. «Posso... ma speravo di poter risolvere».
«Non c'era un cazzo da risolvere, assolutamente nulla. Avremmo finito comunque per litigare, oppure avremmo reso le cose strane e non ci saremmo più rivolti la parola» sbottò Bakugou.
«E quindi hai pensato di rimandare questa conversazione per due anni» replicò Izuku.
«Non ti permettere di usare il sarcasmo, Deku di merda!»
Le luci soffuse intorno a loro sembrarono sfarfallare, o forse erano gli occhi di Izuku. Forse non era così cresciuto in quegli anni, se ancora una volta gli veniva da piangere, se ancora era così fragile e così debole di fronte a discussioni di quel tipo, di fronte ai ricordi che affioravano.
E, ancora una volta, scelse la via della sincerità quando sapeva che avrebbe portato solo nuove crepe tra loro.
«Kacchan... mi hai chiuso fuori. Un'altra volta, proprio quando pensavo che stavamo iniziando a costruire qualcosa».
Bakugou rizzò la schiena e fece un passo indietro. Sulla difensiva, come ogni santissima volta.
E, come ogni volta che Bakugou aveva sentito il bisogno di difendersi, attaccò.
«Beh, Nerd, pensavi male» soffiò e, senza più voltarsi indietro, uscì a passi svelti dal locale.
Izuku rimase lì, pugni stretti e occhi bassi su quel tavolo in legno e i due bicchieri vuoti.
L'odore di alcool e la musica soffusa lo riportarono indietro nel tempo, nello spazio. L'evento scatenante, il punto di rottura.



 
•••
Non lo troviamo da nessuna parte, è da un'ora che non lo vediamo” gli aveva detto un ubriaco e barcollante Kirishima.
E quindi Izuku l'aveva cercato ovunque, ma c'era troppa gente a quella festa. Forse era per quello che se ne era andato. Poi un lampo di genio, proprio appena prima di andare a cercarlo nei dormitori. E, infatti, eccolo lì: nello sgabuzzino degli attrezzi, seduto sopra un cestone di palle da rugby con una bottiglia vuota in mano, la toga slacciata la cravatta legata al polso.
«Kacchan... ma che...?»

«Vai via, Deku di merda!» sbraitò, lanciando la bottiglia ai suoi piedi per spaventarlo. Questa si infranse in mille pezzi, ma Izuku non vi badò.
«Stai male? Sei ubriaco?» domandò, avvicinandosi.
Bakugou divenne livido e si alzò dal cestone, inciampando nei suoi stessi piedi.

«Tu sei ubriaco, coglione! Torna da dove sei venuto!» biascicava appena, ma non aveva un aspetto sobrio. Beh, non che lui fosse sano, dopo quella festa di diploma.
«No che non torno di là, sembri stare uno schifo! Perché ti sei conciato così?» domandò di nuovo. La reazione di Bakugou fu esplosiva, come al solito. Lo spinse, ma probabilmente non forte come avrebbe voluto.
«Ho detto tornatene di là a sbaciucchiare Faccia Tonda e non rompermi le palle» ringhiò, con le guance arrossate dall'alcol.
A Izuku si mozzò il respiro. La musica in sottofondo gli riempì le orecchie ronzanti.

«Sbaciuc... ma... ma che dici? Non ci stavamo sbaciucchiando, Kacchan, stavamo solo ballando!» soffiò. Non si sarebbe mai sognato di fare una cosa simile con Uraraka, diamine, era sua amica.
Anche se, ora che ci pensava, si era sentito un filo in imbarazzo nel guardarla arrossire in quel modo mentre ballavano. Ed era per quello che si era allontanato.
«Ah sì?!» ruggì Bakugou, furioso. «E quando balli con qualcuno lo tieni così appiccicato?» chiese, sarcastico, poi si avvicinò di un passo, barcollante. Izuku avrebbe voluto indietreggiare, ma non si mosse di un passo quando Bakugou gli si aggrappò alle braccia e se lo tirò contro. «È così che balli con qualcuno, eh, Deku di merda?!» urlò di nuovo.

Izuku spalancò gli occhi e si aspettò una testata, un calore improvviso sulle braccia dove lo stava stringendo, ma Bakugou non si mosse più. Lo tenne solo lì, vicino.
Poi, lentamente, appoggiò la fronte contro la sua e chiuse gli occhi. E, quando Izuku si ricordò che per vivere fosse necessario ossigenarsi, respirò Gin and Tonic e profumo speziato, odore di nitroglicerina e bagnoschiuma alla mandorla.

Riflesso involontario, Izuku si mosse piano. Gli allacciò le mani sui fianchi e mosse due passi. Nell'aria particelle di una canzone che gli piaceva, non ricordava il titolo, ma era bella, era lenta. Si mossero insieme e, nonostante il rossore sulle guance di Katsuki, Izuku non provò la necessità di allontanarsi. L'esatto opposto, a dirla tutta, ma non provò. Rimase appoggiato alla sua fronte con il cuore gonfio nel petto e il sangue che scorreva veloce, intenso come quando attivava One For All. Ma non stava attivando niente. Stava solo respirando Kacchan.
Ballava con lui, impercettibilmente. Lo guardava, ma lui aveva gli occhi chiusi, le sopracciglia corrugate mentre gli sfiorava il naso, mentre i ciuffi dei suoi capelli gli solleticavano le tempie. Dolce, non lo era mai stato. Bakugou era sempre stato tutto ma non delicato. In quel momento invece lo era.

«Ka-» balbettò Izuku, senza nemmeno rendersene conto.
«'Sta zitto» lo interruppe Bakugou, ma non c'era rabbia nelle sue parole.
Non c'era più rabbia in nessuno dei suoi gesti, dei suoi movimenti. Nemmeno quando lo zittì non solo con le parole.
Non avrebbe mai pensato di dare il suo primissimo bacio a Kacchan, ma non riusciva a immaginare nessun altro con cui fare lo stesso. Un bacio ubriaco, un po' disordinato, strofinato, adolescenziale.
E Izuku era uno che rifletteva sopra le cose incessantemente, ma in quel momento non riusciva nemmeno a formulare un pensiero. Erano loro in una polaroid nera, appena scattata, nella quale non c'erano bordi o figure, solo un'incognita su quello scatto.
Avrebbe voluto cullarsi in quel buio accogliente per sempre.
Ma poi la musica si spense, i contorni frastagliati si delinearono, le fronti si separarono e il contatto venne meno.
Occhi scarlatti spalancati, annebbiati, spaventati. Paura, incertezza, respiro irregolare.
Bakugou fece un passo indietro e inciampò, Izuku lo guardò correre fuori dallo sgabuzzino.
Aspetta, no, non andartene, Kacchan!” avrebbe voluto dirgli. Non gli disse più niente.
•••



L'aria della notte era pungente, mentre sui cartelloni pubblicitari dei palazzi scoppiettavano fuochi d'artificio. “Merry Christmas!” sembravano voler gridare a caratteri cubitali.
Mezzanotte e dieci minuti, era oramai Natale, ma per Izuku era come trovarsi di nuovo alla festa del diploma di poco meno di due anni prima.
Ancora nel naso l'odore di nitroglicerina e Gin and Tonic, sulle labbra la morbidezza di un tocco delicato, solo coperto da uno sfumato sapore di whiskey invecchiato male.
Lui non aveva mai dimenticato, ma era disposto a farlo. Solo per tornare a prima di quella dannata festa.
Quindi quella volta l'aveva seguito fuori dal locale, l'aveva guardato arrampicarsi sulla cima di un grattacielo e l'aveva seguito fin lì, accovacciato su quel cornicione, proprio dietro il cartellone pubblicitario più luminoso della città.
Si avvicinò lentamente, come si farebbe con un gattino impaurito.
«Vai via, Deku di merda!» gli intimò lui. Come aveva fatto quella notte. Lui non ascoltò l'avvertimento e rimase lì, a guardarlo mentre nei suoi occhi scarlatti si riflettevano luci e fuochi d'artificio. «Che cazzo ci fai ancora qui!? La smetti di perseguitarmi?»
«Sto cercando di non commettere lo stesso errore che ho fatto alla festa del diploma, ossia non venirti a cercare quando sei scappato» rispose finalmente Izuku.
Bakugou si voltò e digrignò i denti. «Io non scappo. Semplicemente me ne sono andato!»
«Sì, quello che è» sospirò, arrendevole. «Kacchan... possiamo parlarne?»
La notte era fredda e brillava, gli occhi di Bakugou erano spenti come le nuvole sopra di loro. Tempo da neve, Izuku ci sperava.
«... perché, Deku? Perché ne vuoi parlare per forza?» domandò, esasperato.
Izuku si strinse nelle spalle. «Almeno così se non dovessimo più rivolgerci la parola ci sarebbe un perché, non un discorso in sospeso».
Bakugou cacciò indietro la testa e inspirò rumorosamente. Poi, con un gesto nervoso, balzò dal cornicione sul tetto e si avvicinò minaccioso.
«Bene... ne vuoi parlare? Parliamo. A te l'onore di iniziare questa conversazione di merda!»
Izuku strinse le labbra, impreparato a ricevere quella palla rovente. «...»
Uno.
«Lo vedi, Merdeku?» ridacchiò sarcastico.
Due.
«Non sai neanche te cosa vuoi dire, quindi perché mi devi rompere le palle la sera di Natale con questa cosa della quale me ne interessa meno di un ca-»
Tre.
«SMETTILA CON LE STRONZATE, BAKUGOU!» agì. Esplose.

Non sapeva quale fosse il motivo, ma fu come sparare un colpo di pistola. Il suono delle sue parole si perse nell'aria e non rimase altro che silenzio più pesante. Bakugou non parlò più, rimase lì, esterrefatto, con la bocca schiusa.
Izuku avvertì sulle labbra un sapore più amaro. “Bakugou”, l'aveva chiamato. Non l'aveva mai fatto, e aveva un sapore tremendo.
«... ok... questo è stato strano» ammise, passandosi una mano tra i riccioli, verdi.
«Sì, molto» concordò Bakugou.
Nelle pause il silenzio pungeva.
«Potremmo parlarne seriamente, ora?» domandò Izuku.
«...»
Lo prese come un sì.

Era il momento di mettersi a nudo.
«Non volevo niente da te, Kacchan... niente più che essere tuo amico. Non volevo nient'altro. E, dopo quella sera... mi sarebbe bastato solo un “Deku, ho sbagliato, cancelliamo quello che è successo e andiamo avanti da dove eravamo rimasti”... e invece ho avuto silenzio per due anni».
«Ah, certo. Uno come te che sovra-riflette su ogni fottuta virgola sarebbe sicuramente riuscito a cancellare quello che è successo» borbottò, sarcastico.
E non aveva nemmeno così torto.
«Ok... forse non ci sarei riuscito subito, ma ci avrei provato. Così come ho cancellato tutto il resto, l'odio nei miei confronti, l'invidia, la tua meschinità. Ho cancellato il dolore che mi hanno causato quegli anni di bullismo, sono riuscito a perdonarti ogni singola volta. Ho cancellato il male che mi faceva quando tu mi ignoravi, quando mi hai detto di buttarmi giù da un palazzo, quando mi hai bruciato i quaderni, quando mi dicevi che ero inutile. Sono riuscito a superare tutto... quindi, sono convinto che sarei riuscito a cancellare... quello» concluse. Le luminarie sfarfallarono ancora, avvertì caldo sulle guance, umido.
Bakugou indietreggiò di un passo, come se un proiettile l'avesse colpito per davvero. Abbassò il volto, mento al petto.
«E se fossi io quello che non riesce cancellare niente?» sussurrò, flebile come una folata di vento.
Izuku ridusse di nuovo la distanza di un passo. «Cosa intendi?»
Bakugou iniziò a parlare senza guardarlo in faccia, con gli occhi puntellati sulle scarpe nere e rosse della sua divisa da eroe.
«A differenza tua e della tua bontà di merda, io non sono portato a perdonare nessuno... neanche me stesso. Non sono portato a farmi scivolare addosso le cose. Come puoi aver perdonato tutte le mie stronzate?! E non intendo l'essere così sboccato e cafone, perché questo è il mio carattere di merda e me lo tengo così... intendo tutte le cattiverie, quelle vere, quelle che hai elencato. Perché cazzo sei fatto così, Deku!?» finalmente sollevò il volto e gli urlò in faccia, paonazzo. «Perché hai dovuto perdonarmi così, dal niente?» gridò.
Si era sempre chiesto se Bakugou ripensasse a quegli anni bui, se si fosse mai sentito in difetto. E, anche se gli faceva male al petto vederlo in quello stato, sull'orlo delle lacrime, si sentì rassicurato. Era egoistico pensarlo, ma era felice che Bakugou si fosse reso conto di quanto male gli avesse provocato.
Strinse le spalle e sorrise timidamente.
«Semplicemente perché ho saputo guardare oltre a tutte le tue cattiverie, oltre i tuoi modi... per vedere invece il Kacchan sugoi. Quello da ammirare» ammise.
«SEI UN IDIOTA! UN COGLIONE CHE PRIMA O POI SI FARÀ AMMAZZARE DA QUALCUNO PER QUESTA BONTÀ IMMOTIVATA!» gli sbraitò contro, pestando i piedi a terra come un bambino con gli occhi indiavolati. «Non volevo il tuo perdono! Io non... non lo meritavo!» concluse, rabbuiandosi di nuovo.
Nonostante ciò, Izuku ridacchiò. Il messaggio gli era giunto forte e chiaro. Beh, soprattutto forte.
«Se questo è il tuo modo di scusarti... mi va bene così, anche se è disfunzionale» gli disse, socchiudendo gli occhi in un sorriso gentile.
«Sì... immagino che lo sia...» borbottò Bakugou, calciando un sassolino a testa bassa.

Izuku avrebbe voluto che alzasse il naso al cielo, per ammirare con i suoi stessi occhi i primi fiocchi di neve dell'anno che, lenti e soffici, avevano iniziato a cadere.
Un bianco Natale. Sarebbe stato davvero tempo di miracoli? Era tempo di scoprire, scartare i regali. Tirare fuori quella polaroid dalla tasca e guardare com'era diventata.
«Kacchan... non ti sto dicendo di cancellare i tuoi sensi di colpa ma... potremmo lavorarci. Sì, forse avremmo dovuto farlo prima. Ma ti chiedo... ti andrebbe di provare? Di... cancellare quella notte e ripartire?» provò.
Bakugou sussultò, aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ci riuscì. Riprovò, ancora niente.
Allora si voltò di spalle e guardò il cielo, tra i suoi capelli una manciata di fiocchi di neve.
Parlò dopo poco.
«No, Deku... credo di non poterlo cancellare. Sono sempre stato convinto di non voler niente da te e quindi, immagina... quando nel giro di pochi mesi mi sono ritrovato ad accettare di avere un rapporto normale con te, dopo anni passati a trattarti come una pezza da culo, e ho capito che in realtà non era poi così male. E immagina quando invece nel giro di una fottuta sera si è trasformato in qualcosa che... che non... che non pensavo di volere e invece... invece...» si interruppe e tremò.
Tremò anche Izuku. Stava capendo bene? Gli stava dicendo che quello che era successo quella notte era voluto? Che non poteva cancellarlo?
«Non pensavi... di volere?» se ne accertò.
«... possiamo smettere di parlare, Deku? Ora sai il perché non ti ho parlato per due anni. Basta... non c'è più bisogno di continuare, di infierire su questa cosa. Mi passerà» ringhiò Bakugou, frustrato.
Aveva capito bene. E aveva commesso un errore di valutazione, ma Izuku non si sarebbe mai sentito più felice di aver commesso un errore.
Gli tremavano le braccia, le gambe, le dita, ma ripensò al buio accogliente di quella notte, di uno sgabuzzino degli attrezzi, di una canzone che gli piaceva. Million Reasons, così si chiamava. E lo chiedeva, in quella canzone. “Avrei un milione di motivi per allontanarmi, me ne serve solo uno per restare”.
Quel motivo l'aveva sempre trovato, con Bakugou. Ed era semplicemente perché... era lui. Solo perché era Kacchan.
Si fece forza e si avvicinò di un altro passo.
«Vorrei ritrattare la mia proposta, allora» disse, a testa alta.
Bakugou si voltò e strinse gli occhi. «In che senso?»
«Forse non dobbiamo ripartire da prima del diploma. Forse dobbiamo ripartire...» Izuku deglutì e arrossì violentemente «...dalla festa del diploma».
Il volto di Bakugou si perse in un ventaglio di smorfie degne del suo repertorio.
«Tu non sai neanche quello che stai dicendo, Deku di merda. Non scherzare su questa cosa» lo minacciò, rosso di rabbia.
Izuku mosse le mani in gesti scattanti per negare.
«No, no, no, sono serio!» pigolò. «Io... è qualcosa che non pensavo di volere e invece... beh, vorrei» ammise. Sarebbe morto lì di vergogna, in mezzo ai fiocchi di neve. Soprattutto perché in quel momento Kacchan lo stava guardando con il volto più indecifrabile che gli avesse mai visto addosso. Non era rabbia, non era stupore, era... cos'era?
Izuku avvertì del panico salirgli lungo l'esofago, quindi iniziò a farfugliare cose senza senso. Come sempre. «Intendo, Kacchan, non proprio dalla festa ma... cioè, ti andrebbe di... di provare? Insieme, intendo... intendo provare a uscire. Cioè intendo, provare a f-»

E Bakugou lo mise a tacere, come quella sera. Non gli disse “'sta zitto”. Gli chiuse la bocca, semplicemente, e ora non sentiva più sapore di whiskey, ma di tequila. Ma il profumo alla mandorla era sempre lo stesso, il velato odore di nitroglicerina.
Fu meno delicato, meno ubriaco, meno disordinato. Irruente, caldo, così caldo da sciogliere i fiocchi di neve intorno a loro.
La polaroid nera si colorò di Natale, di luci colorate, di occhi rossi e occhi verdi.
Poi Katsuki si staccò ma, al contrario dell'ultima volta, non scappò da nessuna parte.
Ricambiò il suo sguardo confuso, ma lo sostenne a lungo.
«Smettila di borbottare sempre, Nerd» gli disse, poi, piano.
Izuku si illuminò di gioia, un sorriso che gli tagliò il volto da parte a parte, guance in su e occhioni speranzosi. «Lo prendo come un sì?» domandò.
Bakugou storse le labbra in un ghigno.
«... a patto che non mi chiamerai mai più “Bakugou” in vita tua» lo ammonì.
Izuku rise. In effetti era stato parecchio strano. Ma sarebbe stato altrettanto strano se Kacchan avesse iniziato a chiamarlo con un altro nome se non “Deku”. In fin dei conti era stato a causa sua che si era scelto quel nome da eroe. Ma lui non era più l'inutile Deku, lui era il Deku che si impegna. E da quel momento in poi sarebbe stato un Deku felice, sereno.
«Affare fatto... Kacchan» gli rispose, gettandogli le braccia al collo per farsi zittire ancora nel modo più dolce.
E quella volta sarebbe finalmente stato vero: il meglio doveva ancora arrivare.


 


Non poteva credere ai propri occhi, quindi ricontrollò ancora una volta.
«... sei proprio sicuro?» domandò la voce dall'altra parte della cornetta. Era evidentemente incredulo quanto lui.
Ricontrollò ancora, un'ultima volta, per sicurezza. I due puntini sostavano ancora lì, uno vicino all'altro, lampeggianti.
«Sì, la posizione dei GPS è la stessa. È la stessa fottuta posizione, cazzo! È l'albergo di Bakugou!» esplose Eijirou, balzando in piedi sulla sedia. «SONO INSIEME! Oh, non vedo l'ora di dirlo a Kaminari!» esultò.
Dalla cornetta altre esultanze.
«Kirishima-kun, quindi... dici che... ce l'hanno fatta?» domandò Mirio senpai.
«Lo voglio ben sperare... sono lì insieme da tipo due ore! Cioè... o Bakugou l'ha fatto a fette e l'ha nascosto nel frigobar della camera, oppure se la staranno spassando» ammiccò, sornione.
«Questo vuol dire che ha funzionato. Il nostro piano è andato in porto!»
Eijirou si rilassò di nuovo sulla poltrona. Sì, probabilmente era andato in porto davvero. Alla faccia di Kaminari quando aveva detto che non avrebbe mai funzionato dargli la stessa missione pur di farli incontrare. Oh, non vedeva l'ora di sbattergli la verità addosso!
«Ovviamente non c'è bisogno di dire che questa cosa rimarrà tra noi, vero?» specificò a Mirio.
Se Bakubro avesse scoperto che aveva tramato alle loro spalle, ci sarebbe finito lui a fette dentro il mini-bar.
«Certo, amico. Anche se sai, credo che le nostre agenzie dovrebbero collaborare più spesso» propose Mirio, entusiasta.
Eijirou chiuse gli occhi e si immaginò finalmente tutto quello che sarebbe potuto accadere.
«... oh, beh... credo che da ora in poi ci saranno diverse occasioni».
Del resto era dal primo anno di accademia che tutti shippavano quei due testoni.




 
Buon Natale!
 

[1] Le scene passate a cui faccio riferimento sono scritte nella fanfiction "Il meglio deve ancora venire", che può essere considerata una sorta di prequel di questa storia: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4003916&i=1
[2] "Evento Nexsus" è una citazione alla serie TV "Loki", è un modo per dire evento scatenante che scombina le regole di una linea temporale.

ANGOLO DI EEVAA:
Ehilà, gente!
Come promesso sono tornata nel fandom con questa terza storia (oramai ci sto prendendo la mano, non vi libererete tanto facilmente di me!)
Spero che questa cosuccia dolcina a tema natalizio vi sia piaciuta, io mi sono divertita molto a scriverla :)
Avrete notato che ho fatto delle piccole citazioni a coppie che mi piacciono parecchio nella storia (Mirio e Tamaki, Kaminari e Jirou, un pochino Aizawa e Present Mic xD) spero che non vi abbia infastidito che io non le abbia segnalate all'inizio. 
Che dire... amo troppo l'amicizia sia tra Kirishima e Bakugou sia quella tra Mirio e Midoriya, quindi mi piaceva l'idea che fossero proprio loro due a macchinare nell'ombra per far mettere insieme i BakuDeku LOL. 
Colgo l'occasione per augurarvi buone feste, spero che possiate riposarvi, stare con le persone che più amate e dedicare un po' di tempo a voi stessə
.
Vi abbraccio!
Eevaa



 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Eevaa