Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Fiore del deserto    23/12/2021    2 recensioni
Lupin e la sua banda si imbattono in un villaggio sperduto della Svizzera chiamato Villaggio Silmes, luogo in cui è custodito il ‘Cuore d’Argento’, storica reliquia che Lupin ha in mente di rubare. Qui, il ladro gentiluomo conosce una ragazza che soffre una situazione di disagio causata dal maschilismo e dalla mentalità prettamente patriarcale dell’ambiente in cui vive. In seguito, Lupin verrà a conoscenza di altre circostanze legate alla reliquia e al villaggio, racchiuse sotto un profilo oscuro e sinistro.
Genere: Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Allora, quanto ci metti?»
È la domanda bruciapelo che Lupin sente appena risponde alla chiamata.
La sua amata Fujiko è arrabbiata e non ci vuole molto per il lettore a capirne il motivo.
«Fujiko, tesoruccio mio, ho avuto un piccolo imprevisto e adesso sto...»
«Quale imprevisto?» ribatte la donna dall’altro capo del telefono con rabbioso stupore «Spero per te che non ci sia di mezzo una donna, o tra me e te è finita!»
Quella minaccia, essendo che Lupin ha messo il vivavoce, viene udita anche da Jigen il quale,
avendola udita così tante volte, non la calcola minimamente. Sa benissimo che fra Lupin e Fujiko non è mai scattato nulla di serio, poiché è sempre stato un rapporto a senso unico: lui le sbava dietro e le dice sempre di sì per qualsiasi evenienza, cascandoci come il solito pollo, lei lo sfrutta per i suoi secondi fini. Ad una minaccia come quella, come Jigen ha pronosticato, Lupin ci casca ancora una volta.
«No, no, aspetta.» esclama «Farò quello che vuoi, dammi ancora un po’ di tempo, cherie, me lo merito no?» domanda, assumendo uno sguardo da ebete e facendo sbuffare Jigen.
«Ti do al massimo una settimana, poi hai chiuso!» è la sentenza di Fujiko e e con questa frase fa cessare la conversazione, lasciando Lupin senza parole.
«Sono arcistufo di essere messo in mezzo ai problemi che quella donna crea.» si lamenta il pistolero «E, come se non bastasse, adesso ti sei persino preso una cotta per quella ragazzina.» aggiunge, riferendosi alla figlia del reverendo.
Lupin non si è invaghito di lei nel modo che pensa Jigen: la ragazzina, come l’ha nominata il pistolero, ha fatto scattare qualcosa nel ladro gentiluomo perché quest’ultimo non sopporta di vedere una giovane donna sprecare la vita in un villaggio dalla mente primitiva come quello. Un villaggio dove salutare qualcuno è, praticamente, un reato che la stessa chiesa punisce.
Poco dopo essersi allontanato dall’abitazione di Bianca, Lupin non aveva fatto altro che pensare al suo atteggiamento tanto remissivo quanto meticoloso nei confronti della Fede. L’aveva spaventata, ne prende atto, così come si rende conto che non può pretendere di farle capire in un colpo solo che una simile mentalità tanto puritana possa ritenersi insana per lei.
A Lupin danno fastidio questo genere di cose e, difatti, ha già elaborato un piano per rubare il ‘Cuore d’Argento’ e, allo stesso tempo, salvare la poveretta dalla sua triste condizione.
È pur sempre un gentiluomo, oltre che un ladro.
«Fujiko mi ha dato una settimana, giusto?» dice sorridendo «Per me è una sfida ed io non dico mai di no alle sfide, specie se sono certo di concluderle in tempi inferiori a quelli stabiliti.»
Jigen non ha ben chiaro cosa Lupin voglia fare ma, se ha capito bene, meno di una settimana e se ne andranno via da quel luogo per menti medievali.
 
Lungo il cammino, il reverendo entra nella piccola chiesa. Si volta e si incammina lungo il vialetto lastricato che lo porta fino alla porta della chiesa, assicurando di essere completamente solo.
La porta è aperta e il reverendo avanza nel vestibolo così fresco da sembrare gelido, dando il tempo ai propri occhi di abituarsi all’oscurità.
In fondo alle panche di sinistra c’è un organo e il lettore capirà con disgusto il motivo per il quale si possa percepire una gelida ‘stranezza’: per ovvio volere del reverendo, sopra lo strumento è stato adagiato un cartello con grosse lettere che citano: ‘La sola musica è quella della lingua umana che urla il nome del Signore’.
Nel silenzio di quel luogo freddo e spoglio, il reverendo avanza lentamente verso l’altare, tenendo lo sguardo alto verso la croce e osservandola in adorazione. Sta seguendo le parole di Nostro Signore ed ora Gli sta dicendo qualcosa.
Sono parole che nessuno può udire, nemmeno il lettore le può immaginare, ma il reverendo le sente e, per far capire che sta ascoltando realmente la mistica voce, annuisce appena e mormora qualcosa di poco comprensibile ma che potrebbe assomigliare ad un “Sì, Mio Signore”.
Giunge all’altare, con le mani chiuse in preghiera, si inchina verso la croce e poi si volta verso l’ara ed apre un piccolo cassetto nascosto in essa. Estrae il ‘Cuore d’Argento’ e lo osserva intensamente per lunghi istanti, poi recupera dalla tasca dei pantaloni una piccola fialetta, dove un liquido marroncino non lascia trasparire nulla di buono. Usando un contagocce, ed infilandosi dei guanti in pelle nera, il reverendo versa cinque gocce di fluido sulla reliquia e poi la rimette nel cassetto.
Si osserva nuovamente attorno, assicurandosi di essere ancora nel pieno anonimato – chi in vita compie atti malevoli o ha la coscienza sporca, ha sempre la sensazione di essere osservato o inseguito da qualcuno... o qualcosa - poi si allontana e raggiunge la sagrestia dove un dolce fuoco riscalda la piccola stanza in cui la tonaca, le ampolline e l’ostensorio sono conservate.
Si tira via i guanti, facendo attenzione a come li armeggia e li getta nel fuoco. Poi esce e si reca al lavatoio posto accanto alla chiesa e si deterge accuratamente le mani più volte.
Il lettore potrebbe pensare che è scontato che lui sia il cattivo, già si intuiva, ma non è altrettanto normale mettere un liquido di quel genere su una reliquia così sacra e di cui il reverendo stesso porta un enorme rispetto.
Il lettore ha ragione, ma ciò che egli non sa è che il ‘Cuore d’Argento’ ha una particolarità. Osservandolo più da vicino si può notare in esso delle scheggiature, più precisamente dei piccoli
pezzi mancanti. Il vero potere della reliquia non è illuminarsi in un determinato giorno e in un determinato tempo. Il tutto va ben oltre a questo: l’oggetto sacro tende a colpire coloro che sono considerati figli del diavolo.
Secondo le leggende e tradizioni del villaggio Silmes, coloro che sono considerati tali sono anche coloro che non rispettano le regole e rivolgono la parola quando non interpellati, andando contro al
volere di Nostro Signore.
Quando il ‘Cuore d’Argento’ si attiva, esso sprigiona un’energia tale che lo fa dividere in mille pezzi di cui uno solo penetra nel cuore di chi viene considerato “indegno”. Una volta penetrato, il malcapitato muore nel giro poco tempo, non più di ventiquattro ore.
Qualcuno potrebbe pensare che sia giusto che chi vada contro le regole meriti una punizione, senza tralasciare che la morte non si augura neanche al peggior nemico. Tuttavia, la reale leggenda non ci è dato saperla...almeno non ora.
Si può tranquillamente evincere che il reverendo ne sia al corrente e la conosce anche fin troppo bene. Questo, difatti, non sfugge all’arguta vista e mente del nostro ladro gentiluomo, che aveva osservato i movimenti del reverendo da dietro la finestra ed aveva tratto le sue conclusioni.
 
«Allora, ti sbrighi? Ci vuole molto?» gracchia Erika, con la sua voce sacrilega, dal salotto della casa «La mia povera Elis sta morendo di fame e tu hai l’arroganza di farla attendere?»
Bianca non osa ribattere e si affretta a concludere la preparazione della pietanza destinata alla gatta di Erika. Il felino, che rispecchia perfettamente la padrona, appena vede Bianca avvicinarsi rizza il pelo e soffia con fare arrabbiato.
Ripetiamo che, essendo Elis una creatura animale, la cui mente non può giungere a pensieri uguali a quelli umani, Bianca non riesce ad arrabbiarsi con lei. A differenza di altre persone – forse anche del lettore – che sarebbero tentati di spedirla il più lontano possibile con un bel calcio assestato, Bianca non è in grado di sfiorarla nemmeno con il pensiero.
Sorride timidamente, mentre posa il piattino accanto alla gatta e riceve da essa, come ricompensa, l’immancabile graffiata rabbiosa che certifica il fastidio di aver dovuto attendere. Bianca trattiene un gemito e corre subito in cucina, tamponando la ferita alla meglio e proseguendo con la preparazione del piatto per Erika.
Quando le mette il piatto sul tavolo, trattenendo la sua fame in quanto ancora a digiuno, rimane in piedi come una cameriera costretta ad un’ingiusta umiliazione ed attende un nuovo ordine dalla sorellastra.
Quest’ultima osserva il piatto che ha davanti, contenente una gustosa pietanza la cui salsa emana un profumo delizioso a cui nessun palato può resistere.
Tuttavia, guarda il piatto con aria schifata, come se vi avesse trovato dentro un capello o un insetto. «Tu, lurida...» sibila Erika incurvando la bocca in una smorfia di disgusto, senza attendere una risposta da Bianca «Ti sembra presentabile un piatto sporco del tuo sangue sudicio
Bianca è più che confusa e, istigata dal dito indice di Erika, osserva il punto che le sta odiosamente indicando. C’è una macchia di sangue: nella fretta di servire Erika, mentre versava la salsa nel piatto, involontariamente qualche goccia di sangue le era colata dalla ferita ed era finita sui bordi della scodella.
Si capisce che Erika vuole solo tormentarla, ma Bianca non osa ribattere e prende il piatto.
«Te lo cambio immediatamente.» dice in tono umile.
Erika recita un improvviso conato di vomito, evidenziando tutto il suo disgusto.
«Non voglio mangiare qualcosa di imbrattato del tuo sangue.» asserisce come se stesse leggendo un telegramma «Non voglio contagiarmi.» si alza e con prepotenza dà una manata alla scodella fra le mani di Bianca e rovescia tutto per terra, facendo un disastro «Non voglio che mi immischi la tua stupidità.»
Bianca si affretta a pulire, mentre Erika assume uno sguardo incattivito, portandosi una mano alla fronte e continuando a fare la parte della disperata.
«Costretta ad andare alla mensa collettiva perché tu vuoi avvelenarmi!» finge un singhiozzo «Che umiliazione! Lo dirò a nostro padre, saprà lui come provvedere al tuo comportamento!» detto questo, colpisce nuovamente la scodella che Bianca ha appena raccolto, creando un nuovo disastro e costringendola a mettere ordine.
«Che aspetti? Pulisci. Ora. Subito.» le comanda, puntando il dito sulle aree del pavimento che lei stessa ha fatto sì che si sporcassero.
Nel frattempo, Elis sembra essere compiaciuta da quanto ha appena fatto la sua padrona e, per darne la prova, si strofina sulla gamba di lei. Erila la prende in braccio e le dà un bacio.
«Elis.» dice con insopportabile sviolinata «La mia unica soddisfazione. Oh, io me la mangio questa gatta. Me la mangio.» tra una coccola e l’altra, dopo aver riservato uno sguardo di odio verso Bianca, Erika si allontana.
Bianca rimane a pulire quel disastro, piangendo silenziosamente e cercando di nascondere l’umiliazione che ormai è impressa sul suo volto.
 
«Finalmente, era ora!» esclama Lupin, rivolgendosi a Goemon.
Il samurai è giunto fino a lì non appena Lupin lo ha chiamato e ci ha messo anche poco visto che, non si sa come, il famoso ladro gentiluomo sapeva benissimo che lo avrebbe trovato proprio lì, sulle
montagne svizzere.
Goemon non manca di mostrarsi infastidito da quella chiamata, in quanto desidererebbe stare in solitario e in meditazione.
«Come potevo rifiutare?» domanda, ben sapendo che se avesse rifiutato, le opzioni sarebbero state due: o Lupin sarebbe andato a cercarlo personalmente, oppure al samurai sarebbero venuti i dubbi e sarebbe partito lui stesso.
«Andiamo, so che non sei in grado di resistere alla tentazione di un bel colpo.» dice Lupin, dandogli delle piccole gomitate e ammiccando.
Ovviamente, Goemon si infastidisce ancora di più e gli dà il manico della sua amatissima Zantetsu in testa.
«Ahi! Ma che modi!» sbuffa Lupin «E va bene, ok, parliamo di cose più serie.»
«Sì, certo, di una donna.» borbotta Jigen, abbassando ancora di più il cappello sugli occhi.
«Non c’è solo una donna di mezzo.» Lupin gli fa una smorfia quasi infantile.
«Esigo di sapere quale sia il vero motivo.» ordina autoritario Goemon «Se ha a che fare con una donna, sappi che non starò qui un minuto di più.»
Lupin sospira.
«Dimmi, Goemon. Tu sai qualcosa del ‘Cuore d’Argento?’» domanda e Goemon lo guarda accigliato.
«Ne ho sentito parlare.» risponde «Dicono che sia un oggetto maledetto, ma non so altro.»
Lupin sorride appena.
«Esatto mon amì.» conferma il ladro gentiluomo «Devo ancora capirne l’utilizzo esatto, ma sono sicuro che ha a che fare con quella bella fanciulla che vive con il reverendo.»
Goemon non capisce. Dopotutto era giunto in quel villaggio non segnato sulle cartine geografiche da poco e doveva ancora conoscere i dettagli e le scoperte fatte da Lupin.
Solo Jigen sembra aver capito qualcosa, ma non è sicuro al cento per cento.
«Pensi che lo userà con lei?» domanda il pistolero e Lupin annuisce.
«Non so bene se la leggenda che tutti sanno sia reale.» ammette Lupin «Ma se lo fosse, quella poveretta potrebbe essere in pericolo.»
  
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