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Autore: Dorabella27    26/12/2021    19 recensioni
Qualche tempo fa, nel mese di luglio, pubblicai su questa piattaforma un racconto, una one shot cross over ispirata non solo ai personaggi di Ryoko Ikdea, ma anche al mio romanzo preferito, quello che mi ha fulminato sin da quando ero poco più che bambina, tanto da tradurmelo io stessa da sola dal francese, quello che, da sempre, ho associato a Oscar e André, quando immaginavo di vedere addirittura i personaggi dell'anime sbucare tra le inquadrature del film tratto dal libro, visto e rivisto sino allo sfinimento.
La one shot, "Aveva uno scopo", è stata accolta da un insolito favore, e molti mi hanno chiesto, anche in privato, un seguito, in cui ho cercato e cercherò, come spesso faccio, di alternare toni e sfumature. E dunque, ecco qui: la one shot diventa il primo capitolo di una long - non molto long, se mi conoscete bene, ormai - e, di seguito al primo capitolo, che qualcuno di voi conosce già, troverete subito il secondo. Come vi ricorderete, ci troviamo in una mattinata nevosa del dicembre 1782, e, in quel clima ovattato e fatato, il Comandante delle Guardie Reali, Oscar François de Jarjayes riceve una singolare richiesta ...
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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X- Epilogo, epilogone, epiloghissimo
 
                                    1 - "Cumino", sentenziò, con aria da Sibilla Cumana, la Contessa Hortense, l'indice sinistro levato, come a far cadere dall'alto un'arcana profezia.
                                    "Cumino!", continuò, imperterrita, nonostante non avesse rilevato il benché minimo cenno di interesse, non che di vita, nei suoi forzati commensali. "Questo è il segreto, per rendere perfetti i biscotti allo zenzero! Perché il cumino, vedete, - André, Voi lo saprete benissimo, perché Vostra nonna ve l'avrà certo confidato - esalta e acuisce l'aroma dello zenzero, ma, ma senza sovrastarlo. Lo spiegai anche alla Marchesa di Bramvilliers, all'ultima merenda sul prato cui ebbi l'onore di essere invitata..."
                                    Oscar e André si scambiarono un'occhiata eloquente, profondamente sconsolati. Da più di due ore, da quando cioè si erano seduti alla tavola riccamente decorata con una tovaglia di broccato rosso a ricami d'oro nel salottino cinese, Hortense non aveva smesso di parlare un attimo. André aveva portato in braccio Oscar, ancora in camicia da notte e vestaglia damascata rossa, dalla sua camera al salottino, e poi, dopo averla fatta sistemare su una poltroncina comoda, allungandole la gamba destra su uno sgabello imbottito - a Oscar sembrò tanto di essere ora al posto della Marchesa con cui aveva fatto colazione quel giorno - si era assiso anch'egli alla piccola tavola dove sarebbe stata servita la cena: con suo sommo stupore, infatti, la Contessa Hortense gli aveva fatto un cenno della testa e, con sorriso appena abbozzato, gli aveva proposto, a mo' di graziosa concessione: "Ma prego, André, restate a cenare con noi: mi sembra il meno, dopo quello che avete fatto oggi per mia sorella Oscar".
                                    Oscar non aveva fatto commenti: quella che Hortense riteneva una degnazione per meriti particolari era in realtà la norma, quando lei e André risiedevano ad Arras; ma sua sorella, con la sua consueta, odiosa spocchia, riusciva a tramutare in concessione quello che lei, Oscar, non si sarebbe nemmeno sognata di mettere in dubbio. Avrebbe voluto intervenire, e puntualizzare, ma André, intercettato il suo sguardo, le aveva fatto un cenno, minimo, impercettibile, come a dire che non metteva conto, non quella sera, non dopo quello che era successo poco prima in camera di lei, di puntualizzare, con il tono acre che sempre le saliva alle labbra quando c'erano di mezzo le ubbìe di Hortense, guastando quell'atmosfera fatata.
                                    Ma, mentre si succedevano le varie portate, antipasto di tartufi, foie gras e rillette di salmone e di maiale, quaglie ripiene, piccione in salsa verde, biancomangiare siciliano, pasticcini di marzapane e i biscotti allo zenzero - i preferiti di Oscar -, la piacevolezza di quella cena "piccola e informale", così l'aveva definita Hortense, era stata quasi del tutto oscurata dalla pesantezza delle chiacchiere inesauste della Contessa di Brissac-Montségour. La quale, forse pensando che fra i suoi obblighi di sorella maggiore rientrasse anche il conforto morale per la provvisoria invalida, da ottenersi a suon di chiacchiere che la distraessero "dal pensiero del suo sfortunato incidente, pooooooovera caaaaara", aveva ben pensato di cercare di stordirla, dapprima con una serie di pettegolezzi fittissimi che avevano come oggetto Madame de Volanges, e il deprecabile "legame pericoloso" che la figlia, Cécile, aveva intrattenuto con il Visconte di Valmont, e tutto a causa della perversità della Marchesa di Merteuil.  
                                    Oscar, nel frattempo, sbocconcellava, distrattamente, il suo piccione, e rifletteva, gli occhi bassi sul piatto  - anche per evitare di incrociare lo sguardo della sorella - che, in fondo, la Marchese non aveva dimostrato, nei suoi confronti, né doppiezza né malvagità.
 
                                    Dalle malefatte della De Merteuil e del Visconte, il soliloquio della Contessa Hortense si era allargato a tutti gli ultimi pettegolezzi di Corte - amanti, relazioni clandestine, nascite illegittime - beninteso senza citare le imprese del Conte suo marito -, malefatte dei ministri di Sua Maestà - "Oscar, dovresti essere più sollecita, e avvertire il Nostro Re della slealtà che lo circonda!"-; costo degli abiti sfoggiati dalla De Polignac nei mesi immediatamente precedenti; elenco completo dei pretendenti alla mano della piccola Marianne de Sauvay - "Ma è chiaro come il sole che la madre ha già deciso in favore del Maresciallo de Retz, con il suo patrimonio sterminato e i suoi dodici castelli in Bretagna! E pazienza se ha quasi quarantadue anni e la piccola Marianne deve compierne ancora undici!!" -; riassunto delle ultime omelie del Cardinal de Rohan alla Messa Domenicale nella Cappella Reale - "Che cultura! Che sapere profondo! Che scienza delle Sacre Scritture! Che dizione perfetta! Peccato solo per quelle sue disdicevoli inclinazioni che lo rendono inviso alla nostra Regina, come già, in precedenza, alla sua inclita Madre" -; e poi, dulcis in fundo, una completa ricognizione delle toilettes delle principali occupanti dei palchi più segnalati all'Opéra, durante l'ultima rappresentazione del Serse di Haendel  - "Un vecchio allestimento, ma del resto, che pretendiamo? Sotto Natale siamo tutti così distratti da tante incombenze che sarebbe inutile presentare un allestimento nuovo di zecca: nessuno ci farebbe caso!" - con accurato giudizio estetico sugli abbinamenti di colore e commento sulla probabile spesa sostenuta dalle singole dame per presentarsi a teatro.
                                    Da questi aulici argomenti, mentre Justine sostituiva i piatti da portata con quelli per i dolci, Hortense si era spinta alle chiacchiere gastronomiche, concionando per diritto e per traverso di ingredienti e preparazioni di pasticceria -materia in cui ella, come del resto tutte le donne Jarjayes, poteva avere una conoscenza soltanto teorica.
                                    Oscar e André erano a dir poco sfiniti, molto più che dopo un allenamento di ore sotto il sole a picco di luglio; nel cuore di Oscar, però, un tumulto nuovo la faceva incassare, impassibile, tutte quelle chiacchiere moleste, perché il suo pensiero era rivolto alle labbra di André posate sulle sue, alle sue braccia che la cingevano, al viso freddo di lui che sfiorava il suo, quasi completamente gelato, quando si era chinato su di lei, nel parco innevato, e, poi, mentre stava al caldo fra le sue morbide coltri.... la sua espressione mentre diceva: “IO non posso più aspettare!”, il sapore delle sue labbra, il tuffo al cuore e il rimbombare del sangue nelle tempie che le avevano tolto il fiato mentre le mani di lui la stringevano, con emozione, forza e tenerezza...
                                    E dentro di sé sentiva crescere una ragionevole voglia di cantare, scoccando, mentre Hortense era rivolta a Justine, che sostituiva i piatti e serviva le pietanze, qualche timida occhiata di sottecchi ad André. Il quale, a un certo punto, proprio quando la Contessa Hortense sembrava particolarmente esaltata e fervorosa nella sua opera di filologia culinaria applicata alla pasticceria, colse l'occasione e, a una ancor stralunata Justine, al cui collo spiccava una vezzosa collana di giaietto, propose di aiutarla a servire il biancomangiare, insieme a un vassoio di dolcetti di marzapane e di biscotti allo zenzero. "Justine, vi prego: non vi caricate troppo di piatti. Posso aiutarvi io per il primo servizio dolce"; ma, a quel punto, Oscar gli scoccò, come di sfuggita, quasi che si stesse volgendo verso la finestra per sincerarsi se la neve cadesse ancora copiosa, uno sguardo così eloquente che André rinunciò. "André, ti prego: Hortense si annoierebbe qui solo con me: come tu sai, non ho alcuna inclinazione per la conversazione mondana", gli disse: come se André avesse partecipato o incoraggiato in alcun modo quel terrificante valiloquio.
 
                                    "Naturalmente, Oscar, naturalmente", assentì André, con uno sguardo tranquillo, ma sotto la cui pacatezza si indovinava uno sfavillìo verde che aveva ben altra origine. "Vogliate perdonarmi, Justine, se resto...", iniziò André, subito interrotto, con premura, dalla governante: "Ma no, ma no, ma che dite, Monsieur Laval....cioè, volevo dire....Monsieur André", e qui, mentre si correggeva, le sue guance smorte si erano improvvisamente accese, "Ma via, via, ci mancherebbe!", e fuggì in cucina, ritirati i piatti, ritornando poi con lo squisito biancomangiare, vanto delle sue abilità culinarie, e successivamente con un vassoio di biscotti e dolcetti al marzapane, per sparire subito dopo oltre la porta.
 
                                    2 - "Bene", disse la Contessa Hortense, con tono di profonda degnazione, e deponendo il tovagliolo sulla tavola, quasi dovesse proferire un annuncio di vitale importanza. "Visto che fra meno di due ore sarà il Vostro compleanno, cara sorella, devo consegnarvi il vostro regalo: non avendo potuto, dato lo scarso preavviso con cui siete giunta qui ad Arras, comprarvi nulla prima, ho pensato a un oggetto in mio possesso che so vi potrà essere gradito", e, così dicendo, si alzò, per andare nella sua stanza a prendere il regalo.
 
                                    In altri tempi, non appena la Contessa Hortense avesse messo piede oltre la soglia del salottino, Oscar e André sarebbero scoppiati a ridere, consegnandosi a una ilarità oltraggiosa secondo i rigidi parametri della Contessa, e facendosi beffe del suo tono di voce sussiegoso, imitandone - senza timore di essere sentiti e redarguiti - le intonazioni mentre riferiva, scandalizzata, quanto stonasse il nastro verde in testa alla Duchessa di Montfort abbigliata in azzurro, e come fosse a tutti noto che gli smeraldi sfoggiati dalla Baronessa di Saint-Thomas fossero falsi. Ma quella sera, invece, Oscar e André erano in preda a un diverso, dolce imbarazzo; nel silenzio assoluto, Oscar avvicinò, con aria timorosa, la sua mano a quella di André, come se avesse paura che a quel gesto non seguisse la reazione che sperava e cui anelava; ma André, stringendo le quelle dita bianche e sottili fra le sue, forti, calde e ristoratrici, si portò il palmo di lei alle labbra, ponendovi un bacio delicato, guidando quindi la mano di Oscar sulla tovaglia di broccato rosso, con il palmo abbassato, e dandole una lieve carezza sul dorso, per poi ritrarsi e ricomporsi.
                                    "André, io...", sussurrò, timidamente, Oscar, gli occhi color fiordaliso accesi di una gioia che li rendeva trasparenti come l'acqua dei laghi alpini che avevano ammirato da bambini.
                                    "Lo so, Oscar, l'ho sempre saputo. Davvero", sorrise lui. "E per me è lo stesso". Poi, con un guizzo ironico negli occhi, cambiò intonazione e le chiese, con aria malandrina: "Allora, sei pronta?".
 
                                    "Sì", annuì semplicemente lei, sulle cui labbra aleggiava l'ombra di una risata così desiderabile, come André non ne ricordava da anni.
 
                                    3 - "Ed eccomi qui, finalmente, caaaaara sorella, con il mio regalo per voi", annunciò con un sorriso trionfale la Contessa Hortense, entrando pochi minuti dopo nel salottino cinese, reggendo una voluminosa scatola bianca su cui troneggiava un mostruoso fiocco rosa.
 
  Ma, con suo sommo dispetto, Oscar e André non le rivolsero nemmeno uno sguardo, concentrati com'erano a scrutare, a capo chino, un punto fra le loro due teste, sulla tovaglia di broccato rosso. La Contessa Hortense, la cui vanità le imponeva di non confessare nemmeno al Dottor Lassonne che la sua vista era paurosamente calata, non riusciva a distinguere, da quella distanza, ovvero dalla soglia del salottino, che cosa la sorella e il suo attendente stessero osservando, tanto più che la sala era immersa in una quieta, intima penombra, illuminata solo dalla fiamma di due doppieri posti sopra la mensola del caminetto e da un candelabro a cinque luci sul tavolo. Si avvicinò, incuriosita, e anche sottilmente indispettita ("Come potevano quei due non degnarla di uno sguardo?!"), e si rese conto che la sorella e André stavano osservando con interesse un bicchiere (un ... bicchiere?) capovolto sulla tovaglia color porpora.
 
      Si chinò dunque, graziosamente, come aggraziato ed elegante era ogni suo gesto, anch'ella - il grande pacco ancora fra le mani -, davanti al tavolo, dalla parte opposta a quella dove sedevano Oscar e André, e si dispose a osservare la meraviglia che aveva calamitato i loro sguardi.... e, fra le trasparenze del bicchiere smerigliato, alla luce timida del  candelabro, vide....un gigantesco ragno nero peloso, bloccato e circondato dalle pareti di vetro.
 
                                    "AAAAAAAAHHHHHHHHHH!", gridò Hortense, buttando all'aria la scatola, che si rovesciò, lasciando cadere a terra una cappa bordata di pelliccia di ermellino, e ritraendosi spaventata di tre passi ... "Uccidete subito quell'insetto mostruoso!!!!", intimò, a gran voce, le mani serrate attorno al collo, come a proteggersi da quel mostro lanuto dalle tante, troppe, mostruose zampe.
 
"Ma, Hortense", disse Oscar, levando il capo verso di lei, con la più innocente tranquillità, "questo NON è un insetto", la corresse, "è un aracnide".
 
"E BASTA, CAXXO!!!!", urlò, Hortense, ancora più fuori di sé, per contrasto con la didattica pacatezza della sorella. "MOSTRI!!! VI ODIO!!", gridò all'indirizzo dei suoi screanzati commensali, e, infilata la porta di slancio, corse via.
                                    Appena fu uscita, Oscar e André iniziarono a ridere fragorosamente, le lacrime agli occhi, come pazzi, André addirittura battendo un pugno sul tavolo, senza riuscire a fermarsi, Oscar portandosi le mani giunte attorno alla bocca e al naso, quasi temendo di soffocare per l'ilarità. Poi, dopo molti minuti, mentre le risate si stavano spegnendo, André raddrizzò il bicchere, e tolse i tanti bioccoli di lana nera dal corpo del ragno di fil di ferro, riesumato, dopo tanti anni da dietro il mattone mobile del camino della cucina, e, che, opportunamente mascherato, aveva regalato loro l'ennesimo momento di divertimento.
 
                                    "Beh, Oscar, direi che il nostro vecchio amico ha servito ancora egregiamente al suo scopo: che ne pensi?", chiese André, soffiando via i bioccoli di lana, e riponendo il ragno nel suo scatolino, cavato dalla tasca interna del giustacuore.
 
                                    "Benissimo, direi!", assentì lei, con la sua risata meravigliosamente argentina. In quel momento, dei passi che si avvicinavano all'ingresso della stanza li indussero a ricomporsi in una posa seria, come si conviene al Comandante delle Guardie Reali e al suo attendente; ma, in luogo della Contessa Hortense, sulla soglia del salottino si palesò Justine, la quale, con tono lugubre, annunciò: "Monsieur le Comte, Madame la Comtesse de Brissac-Montségour si duole di non poter concludere la cena con Voi, ma mi prega di riferirVi che si è ricordata all'improvviso di un importante impegno che la costringe imperativamente a fare ritorno a Parigi".
 
Una volta rimasti soli, mentre Oscar martoriava, questa volta con allegro appetito, il biancomangiare, André osservò, con aria fintamente noncurante: "Beh, Oscar, senza dubbio il Conte di Brissac-Montségour sarà felicissimo di apprendere da Hortense i mille usi del cumino in cucina!".
                                    "Stupido!", rise Oscar, e, presa la bottiglia di champagne ghiacciato, ne bevve a collo un sorso, porgendola poi ad André, che fece lo stesso, gli occhi fissi nei suoi, per rimetterla quindi nuovamente nelle mani di Oscar, le dita di lui che sfioravano quelle di lei: e stavolta, gli sembrò di scottarsi, al tocco della sua mano sottile.
 
 "Ci tieni molto, Oscar, ai pasticcini al marzapane e ai biscotti allo zenzero?", chiese André.
 
                                    "Temo proprio di no. Potremmo però riempircene le tasche e mangiarli più tardi, come quando eravamo bambini, ricordi?", propose lei.
 
"Buona idea"; annuì lui, e, dopo essersi messo in tasca qualche biscotto avvolto nel tovagliolo, si alzò e sollevò con delicatezza Oscar fra le sue braccia.
 
"Aspetta solo un attimo", lo fermò lei, protendendosi verso il tavolo e afferrando la bottiglia di champagne. "Ora possiamo andare", sorrise. Poi, in un sussulto di preoccupazione, si chiese, e gli chiese: "Ma che cosa dirà Justine quando arriverà a portarci il caffé e a rigovernare, se non ci troverà più qui?".
"Oh, beh, Oscar, non credo che rientrerà tanto presto; e comunque, stanotte penso proprio che abbia altro per la testa", rispose André, fermandosi davanti alla grande vetrata che dava sul parco, inclinandosi leggermente per consentire anche a Oscar di osservare le due figure che aveva scorto un attimo prima: un uomo alto e robusto, proprio come Monsieur Laval, avvolto in un mantello scuro e con il capo coperto da un tricorno, che procedeva nella neve, reggendo con la mano sinistra una lanterna, e dando il braccio destro a una figuretta femminile avvolta in un domino.
                                    "Incredibile.... chi l'avrebbe mai detto", mormorò Oscar, intenerita, senza staccare gli occhi da Justine e Monsieur Laval intenti alla loro prima passeggiata da coppia.
 
                                    "Che cosa è incredibile, mon Colonnel? L'amore?", le chiese André, fattosi improvvisamente audace. Quindi, senza più dire nulla, la portò fuori dal salottino cinese, teatro dell'increscioso incidente della sera prima, e, salita una rampa di scale, la condusse al secondo piano, sino all'appartamento di Monsieur le Comte, mentre Oscar restava avvinghiata alle sue spalle e teneva la testa languidamente affondata nell'incavo della sua spalla.
 
Una volta che André l'ebbe sistemata a letto, appoggiata la bottiglia di champagne sul comodino, insieme all'involto con i biscotti allo zenzero tratto dalla tasca, rimase fermo davanti a lei.
"Posso fare qualcos'altro per te, Oscar?", le chiese, come sempre e insieme per la prima volta.
 
"Stavo pensando che non mi hai fatto un regalo per il mio compleanno", rispose lei, con gli occhi sfavillanti di furbizia, come quando era bambina.
 
"Mi spiace contraddirti", rispose André, e si tolse dall'altra tasca un piccolo involto rosso. "Stamattina ho fatto una capatina ad Arras e ho pensato a te", disse, con semplicità, porgendoglielo.
 
"Grazie, André. Ma io.... io scherzavo", rispose Oscar, confusa.
"Scartalo", la invitò André, tagliando corto. Pochi movimenti e nelle mani di Oscar, sotto la carta comparve un titolo: Francesco Petrarca, I Trionfi.
 
"Così potrai tenere esercitato il tuo italiano", sorrise André.
 
Oscar aprì il libriccino, poi lo richiuse, e gli scoccò uno sguardo indefinibile.
"Resta qui".
"Scusa?",
"Resta qui, per favore", ripeté, scostando le coperte, per fargli posto, e spostandosi leggermente, sollevandosi sulle braccia, verso il lato opposto del letto. Poi, arrossendo, aggiunse, "Leggiamo insieme ... se vuoi. Abbiamo anche ... generi di primo conforto ... vuoi?", domandò, appena ansiosa, quasi supplichevole nello sguardo.
 
"Va bene", rispose André, incredulo e circospetto di fronte a quella felicità imprevista.
 
"Puoi toglierti la marsina, se vuoi", aggiunse Oscar, mordendosi il labbro, a lato della bocca. "E gli stivali", precisò un attimo dopo, leggermente imbarazzata (Stava osando troppo?). E mai imbarazzo, pensò André, aveva più donato a un giovane Colonnello.
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A letto, sotto le coperte piacevolmente pesanti, semisdraiati, il busto appoggiato a una montagna di soffici cuscini, André aveva cinto con il braccio sinistro le spalle di Oscar, che nascondeva il viso nell'incavo della sua spalla, ascoltando, ammaliata, la voce di André che questa volta le leggeva le parole di Petrarca:
 
Nel tempo che rinnova i miei sospiri
     Per la dolce memoria di quel giorno
     Che fu principio a sì lunghi martìri;
Scaldava il Sol già l’uno, e l’altro corno
     Del Tauro, e la fanciulla di Titone
     Correa gelata al suo antico soggiorno.
Amor, gli sdegni, e ’l pianto, e la stagione
     Ricondotto m’aveano al chiuso loco
     Ov’ogni fascio il cor lasso ripone.
Ivi fra l’erbe già del pianger fioco,
     Vinto dal sonno, vidi una gran luce,
     E dentro assai dolor con breve gioco.
Vidi un vittorioso, e sommo duce,
     Pur com’un di color che ’n Campidoglio
     Trionfal carro a gran gloria conduce.

 
Ma, mentre André leggeva, Oscar non badava tanto al senso dei versi, quanto era intenta a respirare il profumo della pelle di lui, da cui la separava solo il lino della camicia.
                                    "Oscar", si interruppe lui, girando pagina, e guardandola da sopra in giù.
"Sì, André?"
 "Potresti fare una cosa per me?"
"Ma certo...." disse lei, quasi non riconoscendo più la sua voce.
"Dammi ancora un bacio", chiese lui. "Come hai fatto prima di cena. Dammi ancora un bacio e poi me ne vado".
 
Oscar, tremante, avvicinò il viso a quello di André; poi si fermò, incerta, intimidita di fronte a quegli occhi verdi che la guardavano pieni di desiderio, e allora fu lui ad avvicinare le labbra, semiaperte, a quelle di lei, per un bacio che le sembrò strapparle il respiro.
 
Poi, riprese a leggere.
 
"Ma....non avevi detto che...?". Oscar era disorientata.
"Certo: io ti avevo detto di darmi un bacio; invece, sono stato io dartelo, e tu l'hai ricevuto", spiegò lui, divertito, lasciando il libro ed abbracciandola strettamente "e questa è una cosa molto diversa, ne converrai", chiarì, fintamente severo, guardandola fisso.
 
"Ah, capisco", finse di riflettere Oscar, pensierosa e insieme sorridente, tenendosi una mano sulle labbra, sotto il naso, in atteggiamento fintamente riflessivo. "E se io te lo dessi, un bacio?", chiese poi, facendosi audace, affondando le mani tra i capelli sulla nuca di André, e sciogliendogli il nastro che teneva legata quella massa di seta color ebano, mentre le loro bocche si univano in un bacio che le sembrò interminabile.
 
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Per la stupenda fan art di Oscar con il cappuccio di pelliccia, ringrazio di cuore Galla88, ormai assurta a mia Ifigenia personale (spero solo di non fare la fine di Clitennestra!)
 
E così, siamo arrivati alla fine di questa "favola di Natale": ogni riferimento a Guareschi, sia nel titolo del capitolo, sia nell'atmosfera sospesa delle festività, è puramente voluto.
Per quanto riguarda lo scherzo alla Contessa Hortense, preciso, a scanso di equivoci, che si tratta di racconto assolutamente autobiografico, benché l'aracnide in questione nel mio caso... fosse vivo.
La definizione di "Aracnidi" è già attestata dal 1757 nelle opere naturalistiche, che è possibile che Oscar - io la immagino con una ottima educazione matematica e scientifica - conoscesse; l'esclamazione di disappunto - diciamo così- della Contessa, è forse poco filologicamente calata nel contesto delle imprecazioni del XVIII secolo, ma a me nell'episodio incriminato non uscì di bocca un "Perdindirindina" o un "Perbacco!": spero che vorrete perdonare l'anacronismo (e andare a pescare la breve sequenza di "Maledetto il giorno che t'ho incontrata" in cui M. Buy "toppa" l'ennesimo ciack dello spot pubblicitario della marmellata).
Ci rivediamo l'anno prossimo: fa impressione dirlo, vero? E questa volta, passeremo a un feuilleton con qualche inserto di racconto intimista.... oltre a qualche altra one - shot che aspetta di emergere dai miei brogliacci. A tutti voi, Buone feste, con l'augurio di un anno nuovo che sia veramente "buono".
   
 
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