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Autore: FarAway_L    28/12/2021    2 recensioni
«Parti», era un grido misto a paura, «Metti in moto o per noi sarà la fine».
Era la mano di Nathan quella che stava scuotendo nervosamente la spalla di Camylla, la quale sembrava essere entrata in un limbo di emozioni pericolose e contrastanti. Quella più dominante però, era il panico. E per quanto si sforzasse di voler girare la chiave per far partire quella benedetta auto, non riusciva a muoversi. Neanche ad emettere nessun suono. Solo, fissava la strada difronte a sé attraverso occhi persi. Arrendevoli.
Le sirene della polizia cominciavano a farsi vicine e ben udibili.
Troppo vicine. Troppo udibili.
A ritmo scandito.
Stavano arrivando.
MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo X.
5.335 parole
 
E ti porto con me
Perché ho paura da solo
Perché violenti il mio sfogo
Però ne ho troppo bisogno, oh
Dammi mezz'ora di sole
A peso morto nel mare, tra le, tra le onde

Quel luogo così maniacalmente pulito le stava dando un senso di fastidio profondo: i pavimenti emanavano un profumo di candeggina disinfettante talmente forte da riuscire a far storcere il naso, facendolo arricciare inconsapevolmente; le sedie ghiaccie e scomode erano state così tirate a lucido da far scivolare chiunque provasse a sedervisi sopra. Anche le pareti bianche donavano un senso di pulizia tale da riuscire a nascondere ogni crepa avvenuta nel corso degli anni. 
Camylla era agitata, inspiegabilmente agitata: stava provando ad accorciare il tempo attorcigliandosi al dito indice della mano sinistra un ciuffo di capelli mentre percorreva meccanicamente cinque passi in avanti e tre nella direzione opposta. Lo sguardo basso, la bocca serrata. L'aria stanca. 
Nathan era seduto due sedie distanti da Camylla, con la testa tra le mani e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. In rigoroso silenzio rotto solamente da sospiri sconnessi che trapelavano uno stato di angoscia tagliente e sottile. Theo, per quanto possibile, stava cercando di trasmettere un leggero tocco di tranquillità e rassicurazione. Leggero, come leggera era la mano sinistra che - visibilmente tremolante - si muoveva delicata marchiando un andamento lento che andava a lambire un piccolo spazio di schiena dell'amico.
In sottofondo un brusìo di voci che andavano a mescolarsi a pianti disperati; rumore di passi svelti, cigolii di ruote sconnesse, di campanelli d'emergenza suonati all'improvviso. In sottofondo prevaleva la paura che si nascondeva cieca e vigliacca di conoscere la verità. Di conoscere risposte a domande silenziose.
«Vuoi stare ferma?», una voce rotta dall'esasperazione aveva appena spezzato quell'equilibrio precario nato dal silenzio imbarazzante che era andato creandosi nell'esatto momento in cui Camylla aveva vercato la soglia d'ingresso dell'ospedale.
«Non ci riesco, ok?», Camylla parlò senza smettere di percorrere i suoi passi snervanti. Parlò senza smettere di attorcigliarsi il ciuffo di capelli attorno all'indice. Parlò limitandosi ad alzare lo sguardo per puntare le iridi negli occhi affossati e stanchi di Nathan.
La risposta di Nathan fu decisa e chiara. Fu talmente forte da far tremare le pareti ed immobilizzare Camylla all'istante: scattò dalla sedia, interrompendo bruscamente il contatto delicato con Theo, che rimase con la mano a mezz'aria, colto di sorpresa. Scattò in piedi voltandosi velocemente. Urlando disperato, preoccupato; urlando forse scoraggiato. Scattò in piedi voltandosi e con la mano serrata a pungo, vi scaraventò il proprio nervosismo sulla parete davanti.
«Hey!», anche Theo scattò in piedi nell'esatto momento in cui vide le nocche arrossate di Nathan farsi vivide. «Reagire così non risolverà il problema», tentò di riavvicinare la mano, pronto a rassicurarlo nell'unica maniera che conosceva. A Camylla non sfuggì lo sguardo profondo e quasi minaccioso che Theo le stava regalando: le iridi socchiuse erano nascoste dai ciuffi di capelli schiacciati sulla fronte dal cappello verde, ma paradossalmente a Camylla quello sguardo arrivò così deciso da farla sussultare.
«Mi dispiace», non fu certa che le sue scuse fossero arrivate al destinatario ma la sua voce risultò essere più debole di quanto avesse voluto. Si fermò con sguardo colpevole, mordicchiandosi il labbro inferiore e abbassando lentamente la mano sinistra donando libertà e tregua ai capelli. Cercò riparo all'interno delle tasche del giacchetto, chiudendosi nelle spalle.
«Chi di voi è il figlio del signor Mills?», una voce rauca ma decisa arrivò d'improvviso ai ragazzi senza preavviso, facendoli voltare all'unisono: non avevano sentito udire i passi del dottore; non avevano sentito arrivare l'ansia che avrebbe portato, forse, delle risposte. Non avevano sentito arrivare la voce della verità, troppo silenziosa per sovrastare la confusione che incombeva in ogni singola persona.
«Sono io», Nathan osservò il dottore esaminandolo con lo sguardo vigile e attento, pronto a cogliere ogni inclinatura e sfaccettatura possibile. Apriva e chiudeva la mano, scuotendola leggermente: il dolore che stava provando non poteva essere minimamente paragonabile allo stato di agitazione in cui si trovava. Camylla si prese dei minuti per osservarlo davvero, forse per la prima volta: si rese conto di quanto fosse fragile ed insicuro, nonostante la falsa apparenza; si rese conto di quanto fosse più simile a lei, nonostante fosse bravo a mascherare le sue debolezze. E forse davvero, per la prima volta, si rese conto di quanto fosse bello nella sua semplicità.
«Suo padre è fuori pericolo ma viste le condizioni ancora poco stabili, preferiamo tenerlo sotto osservazione per l'intera notte», il dottore stava parlando meccanicamente, sfogliando svogliatamente la cartella clinica del paziente. Voltando le pagine rumorosamente. Non guardando Nathan negli occhi.
«Posso vederlo?», una domanda di ruotine dettata dalla voglia di poter ricevere risposte dall'unica persona in grado di poterle effettivamente dare. Camylla poteva percepirne l'ansia dal movimento impercettibile della gamba destra perfettamente fasciata dal pantalone della tuta nera. 
«Adesso sta riposando», uno sbuffo stava accompagnando parole che il dottore sembrava ripetere più e più volte nel corso di una giornata lavorativa, «Appena sveglio la verremo a chiamare», aveva preso a giocherellare con la penna, picchiettandola sul fascicolo. Non attese nessuna risposta da parte di Nathan, neanche un ringraziamento che comunque non sarebbe arrivato. Semplicemente voltò le spalle, donando la visuale della schiena ricoperta dal camice lungo bianco. 
Camylla aveva la testa pesante: si sentiva stanca, confusa. Affranta. Si sentiva arresa da una situazione più grande di lei, ingestibile. Sentiva le gambe tremare, deboli. Incapaci di sorreggere il suo stesso peso; sentiva le spalle ricurve, schiacciate da sensazioni contrastanti. Sentiva il cuore battere ad un ritmo del tutto irregolare, scoppiarle nel petto; sentiva lo stomaco contorcersi, gli occhi chiudersi e farsi pesanti. 
«Nathan», ancora una volta la sua voce ne uscì debole. Quasi in un sussurro. Si rese a malapena conto di aver indietreggiato, «Nathan». Le scoppiava letteralmente la testa: non riusciva a distinguere nessun tipo di rumore, non riusciva a rendersi conto dell'ambiente circostante; faceva fatica a tenere gli occhi aperti, non riuscendo a mettere a fuoco ciò che le si prospettava davanti. La schiena veniva percossa da spasmi di freddo, alternati a brevi attimi di calore soffocante. Voleva potersi allentare la sciarpa che le copriva il collo ma non riusciva a comandare le proprie mani. Le tempie: quelle stavano martellando incessantemente ma fermarne il movimento sembrava pressochè impossibile. «Nathan».
«Camylla!», Camylla non era capace di capire ciò che stava accandendo: qualcuno forse aveva le proprie mani intorno al suo collo, ma contrariamente sentiva anche delle leggere pressioni sulle spalle. E forse - ma solamente per ipotesi, poteva percepire dei rumori sconnessi riconducibili a persone che stavano parlando vicino a lei, non riuscendo però a captarne distintamente nè le voci nè tantomeno il contenuto. 
Decise di abbandonarsi a quei tocchi. Decise di ascoltare il proprio corpo e di reagire secondo le indicazioni che stava ricevendo: decise di non controbattere, arrendendosi alla propria debolezza. All'enorme stress che aveva prolungato per molto tempo, mettendo sotto pressione ogni fibra, ogni centimetro di pelle. Decise di chiudere gli occhi, di rilassare le spalle, di abborbidire le labbra, di allentare la tensione sul collo. 
Continuava a sentirsi in gabbia, stretta in una morsa che apparentemente aveva allentato la presa. Continuava a sentirsi prigioniera dei suoi stessi errori, delle scelte sbagliate prese e delle conseguenze che faticava ad affrontare. Ma cominciava anche a sentire la testa più leggera nonostante la stanchezza fosse decisamente maggiore.
Chiuse gli occhi, beandosi del buio. Annientando il mondo esterno, lasciando fuori ogni preoccupazione. Ogni problema, ogni dramma. Ogni persona. Chiuse gli occhi, allontanandosi da tutto ciò che le stava facendo male.

La luce gialla abbagliante le fece strizzare gli occhi: ne espresse il disgusto voltando la testa a destra.
«Oh, tesoro..», Camylla intravide sua madre alzarsi di scatto da una piccola e presubilmente scomoda sedia posta di fianco ad un mobiletto mal ridotto. «Come ti senti?», per quanto si stesse sforzando, Korinne non riusciva a nascondere il velo di preoccupazione che trapelava dalla voce.
«Mamma?», neppure Camylla riuscì a mascherare lo stupore nel vedere la figura materna davanti ai propri occhi. Cercò di muoversi ma si rese conto di essere bloccata da intrecci di fili che andavano collegati dal suo braccio ad un monitor elettronico.
Camylla faticava a rimettere insieme i pezzi di ciò che era appena successo. Nella propria mente si ripetevano scene sconnesse, pezzi di vita trascorsa non realmente vissuta: sentiva ancora delle mani scuoterle le spalle, altre mani volte a sorreggerle la testa; udiva frasi spezzate, grida di preoccupazione. Percepiva aria di agitazione. Sentiva aghi penetrarle nella pelle; sentiva il proprio respiro mozzato morirle in gola. Vedeva sprazzi di buio interrotti da luce profonda improvvisa. 
Semplicemente, non riusciva a dare un senso logico a ciò che le era accaduto.
«Sono stato io ad avvertirla», la voce di Thomas risuonò stanca ma delicata. Camylla non si accorse della presenza dell'amico fino a che non voltò lo sguardo nella direzione opposta: lo trovò con occhi torvi ma preoccupati. Sorrise a malapena, con le braccia incrociate al petto e il piede destro appoggiato malamente alla parete.
Camylla avrebbe voluto rispondere ma fu la volta di Theo, «Ed io ho avvertito lui», fu lui a parlare usando un tono velato. Ovvio. Camylla notò essere vicino a Thomas e a Nathan. Provò a sistemarsi in posizione eretta, a muoversi nuovamente, ma fu del tutto inutile: quei dannati fili le bloccavano i movimenti. Decise di puntare il proprio sguardo in quello di Nathan non ricevendo nessun tipo di conforto. Neppure la stava guardando.
«Allora, come ti senti?», Korinne riportò l'attenzione su di sè, realmente preoccupata per sua figlia. Camylla si ritrovò a voltare nuovamente lo sguardo: la tempie le stavano cominciando a pulsare con più veemenza, rendendo la messa a fuoco della vista rallentata. Offuscata. Camylla era anche delusa ed amareggiata dalla reazione di Nathan. 
«Confusa», optò per ammettere la verità: aveva troppe domande da fare ma non riusciva a metterle in ordine per poterle esporle. Per questo decise di farsi aiutare come era suo solito fare; chiedendo aiuto e chiarezza in maniera analoga e permettendo a tutti di poter leggere tra le righe. Ancora una volta sperava che i presenti potessero capirla senza bisogno di esplicitare frasi sensate.
«Sei svenuta tesoro», la voce delicata di Korinne era una vera rassicurazione: aveva la capacità di calmare ogni turbinìo di emozioni. La mano era calda e lasciava scie sicure di carezze sulla guancia di Camylla. «E vorrei poter sapere cosa ti sta succedendo», sorrise amaramente mentre dalla sua voce trapelava una supplica nascosta.
Camylla si limitò ad osservare sua madre in quegli così maledettamente simili ai suoi, sperando di potervici ricavare una scusa plausibile e tuttavia convincente. «Questa mattina non ho fatto colazione», Camylla stava parlando lentamente: non aveva intenzione di far preoccupare ulteriormente sua madre e non avrebbe dovuto coinvolgerla in una situazione altamente pericolosa e compromessa. Cercò di usare un tono rassicurante, sorridendo debolmente.
«Colpa mia», Nathan prese parola limitandosi a puntare lo sguardo in quello di Korinne: Camylla provò ad interpretarlo, non riuscendovi a leggerne nient'altro che falsa tranquillità. «L'ho chiamata inaspettatamente». Una verità che nascondeva altrettante verità che Camylla stessa non aveva ancora appreso. Una verità che la fece muovere impercettibilmente sotto il lenzuolo leggero e freddo del letto. Korinne aveva interrotto il contatto sul viso di Camylla.
Camylla provò nuovamente a catturare lo sguardo di Nathan, ancora una volta però senza riuscirci. Quel comportamento ambiguo la mandava in uno stato confusionale non indifferente: non riusciva a darsi delle certezze. E si odiava per questo. 
Deglutì a fatica, aprendo la bocca per formulare una qualsiasi frase ma le parole le si spezzarono in bocca, amareggiate e codarde per poter uscire fuori; rimase con la bocca semi-aperta, lo sguardo scoraggiato e una speranza vana. Si ritrovò a chiudere impercettibilmente gli occhi, respirando a pieni polmoni: la maschera dell'ossigeno era posta su di un carrello vicino al letto; il sacchetto della flebo invece, stava per terminare.
«Tesoro, sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, non è vero?», adesso anche Korinne stava parlando con un tono di voce basso e quiete. Voleva poter trasmettere tranquillità, nonostante lo sguardo trapelasse molta preoccupazione. 
Camylla si ritrovò a sorridere leggermente perchè si rese conto che sua madre stava indossando il maglioncino porpora che lei e suo padre le avevano regalato qualche anno prima per il compleanno: «Certo mamma», immerse le proprie iridi marroni in quello sguardo materno velato di amore puro e sincero; immerse lo sguardo in quegli occhi così familiari da saperla rendere al sicuro. Allungò delicatamente la mano destra, stringendo piano quella di Korinne, distesa su di un piccolo lembo di lenzuolo spiegazzato. Quel tocco doveva servire a rassicurare. 
«Dovresti riposare un pò», Korinne inclinò la testa di lato, ritrovandosi a corrugare leggermente la fronte. Alla fine della frase, le sue labbra rimasero serrate ma lasciavano intravedere un delicato e soffice sorriso.
Il rumore sordo delle nocche poggiate sulla lastra della porta, fecero sussultare Camylla. «Scusate», una voce autoritaria aveva preso parola: un'infermiera di bassa statura e con i capelli corvini si stava avvicinando a passo svelto al letto di Camylla, «Siete troppi in questa stanza e l'orario delle visite sta giungendo al termine».
«D'accordo! Allora ti chiamerò più tardi», Camylla percepì un senso di disappunto nel tono di voce usato dalla madre: Korinne le si avvicinò al viso, con il pendolo a forma di “K” a picchiettarli delicatamente sul naso. Le regalò un tocco leggero di labbra sulla fronte per poi scostarsi e sorriderle debolmente, «Riguardati, mi raccomando». Camylla per tutta risposta, le sorrise di rimando, salutandola con la mano per quanto i fili le potessero permettere di alzarla. Osservò sua madre avvicinarsi alla porta della camera rimasta aperta mentre il rumore dei tacchi rieccheggiava nella stanza silenziosa. L'andamento deciso, la schiena ben eretta, le spalle aperte: sua madre aveva la capacità di comunicare sicurezza solamente usando il portamento. 
L'infermiera stava prelevando un campione di sangue dal braccio destro di Camylla, non preoccupandosi di essere delicata nell'inserire all'interno della vena, l'ago. 
«Me ne vado anche io», Camylla si ritrovò a voltarsi di scatto nell'udire quelle parole: Thomas aveva fatto perno sul piede rimasto appoggiato alla parete per potersi scostare da esso e cominciare a camminare. «Ancora non ho capito cosa sono venuto a fare», stava cercando di chiudersi la cerniera del giacchetto fin sotto al collo mentre passava al bordo basso del letto, davanti a Camylla. Senza guardarla negli occhi.
Camylla avrebbe voluto fermarlo ma ogni tipo di suono le morì strozzato in gola prima ancora di poterlo emettere: nella sua mente cominciarono ad affiorire nitide e distinte immagini sconnesse della conversazione avvenuta solamente qualche ora prima. Avrebbe voluto fermarlo ma non ci riuscì. Semplicemente, non volle riuscirci. «Accidenti», scosse la testa mentre Thomas accorciava sempre più la distanza verso l'uscita. Theo lo seguì di conseguenza, senza proferire parola. Camylla si ritrovò a guardarli scomparire oltre la porta, oltre la parete; lasciando solamente una debole scia di profumo. E delusione. «Accidenti», stavolta usò un tono di voce più alto, distorcendo il braccio sotto al tocco presuntuoso e forzato dell'infermiera.
«Nervosetto il tuo amico», Nathan parlò a voce sottile, mantendo le braccia incrociate davanti al petto e con sguardo in direzione della porta che lasciava intravedere un pezzo di corridoio.
«Dovresti andare pure tu», le parole dell'infermiera si persero tra i pensieri e la scrittura veloce con la quale stava compilando la cartella clinica di Camylla.
«Ho cinque minuti?», come prova della sua lealtà, Nathan aveva alzato la mano a palmo aperto. Sorrise di sbieco mentre le iridi verdi stavano perforando lo sguardo ghiacciato dell'infermiera. «Solo cinque».
Per tutta risposta, l'infermiera lo sfidò con l'indice che impugnava la penna: si limitò a sistemare i fili di Camylla prima di poter uscire dalla stanza e lasciarli soli avvolti in un silenzio colmo di domande.
Camylla riuscì a far perno sulle mani per poter appoggiare la schiena alla testiera del letto: si sentiva indolenzita, fragile. Stordita. Sentiva scorrere il tempo ben scandito dai secondi, marchiando rumorosamente i lembi di pelle di sensazioni snervanti; si sentiva estranea ai fatti, incredula verso una realtà improbabile da accettare. 
«Ci faremo a vicenda tre semplici domande, dopodichè me ne andrò», Camylla vide Nathan avvicinarsi a passi lenti alla stessa sedia su cui pochi attimi prima era stata seduta sua madre. La voce tenue, delicata. Così sottile da lasciar intendere pericolosità. «Comincerò io: che novità ci sono sul caso di mio padre?», con il gomito appoggiato al bracciolo della sedia, Nathan aveva appena alzato il pollice della mano sinistra.
«Come? Io non..-», Camylla dovette scuotere la testa per provare a riordinare le proprie idee: il tempo stava correndo, lasciandola disorientata ed indietro. Faticava a star dietro agli avvenimenti, le risultava difficile apprendere la realtà dei fatti.
«Avanti Camylla!», l'autorietà di Nathan fece deglutire Camylla che si ritrovò a muoversi impercettibilmente: il rumore delle lenzuole fredde sfregate tra loro riuscirono a tradire lo sguardo che Camylla stava provando a sostenere. Inutilmente.
«Lo abbiamo interrogato ma ancora dobbiamo constatare l'alibi a sostenere la tesi di tuo padre», si morse istintivamente il labbro inferiore, sicura di aver stretto una morsa profonda: consapevole di doversene rimanere in silenzio, Camylla stava lottando con tutte le forze rimaste in corpo per infrangere il segreto professionale il meno possibile.
«Hm..ok», Nathan sembrava in procinto di pronunciare la seconda domanda ma si trattenne: prese una pausa, scrutando con intensità lo sguardo incerto di Camylla, «Tocca a te».
Camylla fremeva di avere così tante risposte da non sapere neppure da dove cominciare. Faticava a sostenere quelle iridi vrdi: si sentiva incredibilmente spoglia sotto il suo sguardo vigile; si sentiva vuota da ogni tipo di difesa sotto quelle labbra semi-aperte rese umide dalla lingua passataci lentamente sopra. «Perchè hai provato a baciarmi?», una domanda spontanea dettata dall'impulso che ebbe la capacità di far colorare le gote di rosa accesso Camylla: avrebbe voluto cancellare quegli ultimi secondi di vita appena vissuta ma l'accelerazione del battito cardiaco aveva la capacità di portarla bruscamente alla realtà.
Nathan si ritrovò a sorridere. Un sorriso maledettamente sincero. «Beh, in genere bacio persone che, come dire..-», si ritrovò a sistemarsi sulla sedia, accavallando le gambe, «Che mi interessano, ecco». Allargò entrambe le braccia davanti al petto con fare ovvio per poi poggiare nuovamente il gomito sul bracciolo e alzare il dito indice, «Arrivati a questo punto, Lucas dovrebbe aver già cominciato a parlare di statistiche. Quindi ti chiedo: che percentuale ha mio padre di salvarsi?», il tono di voce di Nathan era tornato talmente serio da far rabbrividire Camylla, lasciandola interdetta.
«Al momento ha il cinquanta per cento di possibilità», parlò meccanicamente, non rendendosi realmente conto di averlo fatto. Si morse la lingua, maledicendosi per ciò che stava ammettendo pur essendo consapevole di non doverlo fare: non riusciva a controllarsi; non riusciva ad affrontare Nathan in modo lucido. Non riusciva a tenergli testa, a fronteggiarlo con coraggio. Ne era vittima e carnefice. «Non hai cercato di baciarmi per convincermi ad aderire al piano?», Camylla dovette spostarsi un ciuffo di capelli ricaduto davanti agli occhi per poter scrutare la reazione impassibile di Nathan. Improvvisamente il suono metallico ed assordante del monitor elettrico posto vicino al letto di Camylla cominciò a rieccheggiare tra le pareti della stanza, facendo sussultare la ragazza per lo spavento.
L'infermiera dai capelli corvini e gli occhi sottili irruppe nella stanza a passi svelti, soffermandosi sullo stipite della porta con la bocca aperta: stava respirando a fatica. «Dobbiamo cambiarle la flebo e lei», si riservò brevi secondi per incrociare lo sguardo sulla figura di Nathan, «Deve uscire da qui».
«Ok, ok», Nathan si alzò in piedi sollevando le braccia davanti al petto in segno di arresa, «La risposta comunque è no», sorrise mostrando sicurezza e determinazione, usando un tono di voce velato ma imperativo, «Sappiamo entrambi che avevi già deciso di aderire».
Camylla si ritrovò a deglutire a fatica: rimase ad osservare in silenzio Nathan uscire dalla stanza; rimase con la bocca asciutta e le parole non dette urlate a mezz'aria. Rimane in quel letto di ospedale con una consapevolezza schiacciante che premeva sul petto. Rimase in quel letto le cui coperte erano impregnate di una verità prepotentemente sputata fuori come veleno.
Ancora una volta, si lasciò trasportare dalle mani esperte dell'infermiera senza rendersi conto di ciò che stava realmente facendo: ancora una volta, Camylla, si ritrivò da sola con i propri pensieri. Pensieri nascosti, pensieri sporchi. Pensieri pericolosi. Pensieri che per quanto cercasse di dimenticare, questi tornavano vivi e ludici.
Cercando di muoversi il più lentamente possibile, stese al meglio le gambe sotto al lenzuolo distendendo di conseguenza anche la schiena: avrebbe voluto chiudere gli occhi per riaprirli qualche ora più tardi e scoprire essere stato tutto soltanto un maledettissimo sogno.
Camylla non si accorse del cellulare posto sul mobilettino avorio di fianco al letto, fino a che questo non vibrò:

Messaggio ricevuto: ore 08.05 pm
Da: Nathan Mills
Ho ancora una domanda: chi è Matthias?
 
Quel messaggio fu costretta a leggerlo più e più volte: Nathan aveva questa insana capacità di mandarla in confusione più di quanto non lo fosse di per sè; avrebbe voluto rispondere ma non riusciva a trovare parole esatte ed appropriate. Si sentiva completamente sbagliata, mai pronta a controbattere una partita. Si sentiva inutilmente capace di reagire. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare ma inspiegabilmente non riusciva a compiere azioni logiche: preferiva arrendersi. Al dolore, alla sconfitta. A sè stessa.
 
10 Ottobre.

Quel luogo così maniacalmente pulito non riusciva più a tollerarlo: mentre seduta sul letto, con i piedi sul pavimento ghiaccio, cercava di legare i capelli in una coda disordinata, osservava Korinne varcare la soglia della porta con un sorriso appariscente.
«Buongiorno tesoro!», il tono di voce leggermente acuto non nascondeva la felicità, «Come ti senti?».
«Molto meglio», Camylla sorrise di rimando, contagiata dalla madre. Si strinsero in un tenero ma fugace abbraccio: tanto breve quanto inteso. Il profumo di Dior ad invadere le narici di Camylla.
«Il medico ha detto che puoi tornare a casa», Korinne stava accarezzando delicatamente la guancia di Camylla che per tutta risposta, si stava beando egoisticamente di quel tocco materno.
«Sì, ho firmato le dimissioni poco fa», aveva trascorso una nottata agitata nella quale si era svegliata molteplici volte: complice l'altezza eccessiva del cuscino, le lenzuola troppo leggere, il rumore scandito del monitor. I pensieri martellanti ed incessanti.
Aveva provato ad infondersi sicurezza, inutilmente; aveva provato a farsi forza, rendendosi ridicola. Aveva provato a reagire, rendendosi conto di non esserne in grado.
«Vuoi venire a pranzo a casa?», Korinne aveva afferrato Camylla per un gomito, aiutandola così alzarsi dal letto, «Tuo padre sta cucinando il Sunday Roast».
«No mamma», Camylla dovette allungare le braccia sopra la testa per poter distendere a dovere la schiena: il materasso non aveva aiutato il sonno della ragazza, «Preferisco andare a casa mia». Sapeva che avrebbe dovuto avere un confronto con i propri genitori ma inevitabilmente, non le sembrava quello il momento appropriato. 
Afferrò il cellulare depositato sul mobiletto: la sera precedente aveva optato per spegnerlo e adesso che si ritrovava a girarselo tra le mani, aveva paura ad accenderlo: paura nel trovare messaggi scomodi. Paura di non aver ricevuto messaggi da mittenti desiderati. 
«Domani sera però, verrai», nonostante il tono dolce e delicato sul volto di Korinne era presente uno sguardo serio e deciso: stava aspettando Camylla a pochi passi di distanza, con le braccia conserte davanti al petto e la testa leggermente inclinata.
«Mercoledì, promesso», Camylla dovette sforzarsi per sistemarsi al meglio la borsa attorno alla spalla: non ricordava fosse così pesante. Si sistemò al meglio la leggera felpa nera, stirandola nervosamente sull'addome: la promessa appena annunciata lasciava presalire una conversazione scomoda che Camylla non era pronta ad affrontare. 
«D'accordo», Korinne afferrò Camylla da sotto al braccio, trascinandola verso la porta, «Che dici, invito anche Thomas?», il sorriso innocente ad incorniciarle il volto.
«Ehm..», Camylla dovette mordersi l'interno della guancia, puntando il proprio sguardo oltre l'enorme finestra che le si prospettava davanti al corridoio. Dovette soffermarsi vicino allo stipite per far passare prima sua madre, «Non so se ha già degli impegni ma glielo chiederò». 
«Vedi di chiarirci», l'ammunì Korinne senza voltarsi a guardarla: Camylla poteva immaginare lo sguardo compiaciuto di sua madre, ne sentiva le iridi marroni scavarle nei pensieri più tristi. Non rispose, ripromettendosi mentalemente di dover chiamarlo una volta arrivata a casa. 
Avrebbe dovuto cominciare a sistemare tutto quel caos che era andato creandosi nella sua vita. Pezzo dopo pezzo, senza tralasciare niente. Avrebbe dovuto riprendere in mano il suo futuro, riportandolo alla priorità, dandole la giusta importanza.
 
Nell'orecchio di Camylla stava risuonando il quinto squillo consecutivo: era seduta sulla scomoda sedia posta in cucina, con le gambe accavallate, le unghie a picchiettare nervosamente sulla lastra del tavolo in vetro. Uno sbuffo sonoro ad irrompere in quel silenzio assordante. 
«Pronto?», una voce stanca aveva interrotto lo squillo metalicco del telefono, facendo sobbalzare Camylla dallo spavento.
«Hey, ciao», si sentiva quasi in imbarazzo. Si ritrovò a scostare la sedia, non preoccupandosi di strusciarla sul pavimento: si morse il labbro inferiore per evitare di trasmettere la propria ansia attraverso l'apparecchio telefonico.
«Ciao», una risposta secca che lasciava intendere nervosismo. Camylla si alzò in piedi, cominciando a camminare intorno al tavolo.
«Come stai?», una banale domanda di ruotine alla quale Camylla però era veramente interessata: sapeva che sarebbe dovuta andare dritta al punto di chiarimento ma targiversare rallentava in qualche maniera l'imminente collisione.
«Cosa vuoi, Cam?», Camylla si bloccò improvvisamente nell'udire quella domanda: erano anni che Thomas non la chiamava più in quel modo. Era un segno evidente di quanto fosse arrabbiato. Cominciò a grattarsi la fronte, imprecando mentalmente.
«Chiederti scusa», aveva sussurrato quelle semplici parole, non certa di averle fatte recapitare al mittente. Riprese a camminare nervosamente, avanti ed indietro mentre con la mano destra accarezzava il tavolo freddo. «Vorrei ehm..», dovette schiarirsi la gola, tossendo delicatamente e spostando leggermente il telefono dall'orecchio, «Ecco, vorrei poterti parlare».
«Ti ascolto», la freddezza nella voce di Thomas fece sbuffare Camylla: capiva la reazione dell'amico ma quel suo comportamento non la facilitava. Si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, optando per soffermarsi vicino alla sedia.
«Potresti venire qua? A casa da me?», la speranza nel tono di voce usato da Camylla era nitido e le dita della mano destra incrociate tra loro ne erano la prova.
«No, non posso», un rumore sordo rieccheggiò all'interno della cornetta: Camylla sentì una leggera imprecazione uscire dalle labbra del ragazzo ma non ci diede peso. «Puoi dirmi anche per telefono».
«Sul serio, Thomas?», Camylla stava perdendo la pazienza: stava provando a fare dei passi in avanti, ad esporsi a sentimenti e sensazioni che Thomas sapeva fossero per lei difficili da emanare. «Siamo tornati ad avere quindici anni? Ci nascondiamo dietro un cazzo di telefono?», aveva allargato il braccio con fare teatrale, come se Thomas avesse potuto vederla.
«Non lo so, dimmelo tu», stavolta il tono di voce usato da Thomas risultò essere alto persino da lontano, «Visto che hai deciso di nasconderti dietro false apparenze».
«Scusa? Cosa vorresti dire?», Camylla cercò di essere più veloce possibile nei movimenti: distolse l'apparecchio allontandolo dal proprio orecchio per poggiarlo sul tavolo ed attivare il vivavoce. In questa maniera poteva sfogarsi gesticolando liberamente, camminando nervosamente, strusciando rumorosamente le ciabatte sul pavimento.
«Vuoi davvero sentirtelo dire? Sei così sadica?», la voce mettalica cominciò ad invadere l'intera cucina facendo strocere il naso a Camylla.
«Ma di che cosa stai parlando?», Camylla si fermò davanti al telefono con le mani serrate a pugno poste sui fianchi, in attesa. Involontariamente, il suo piede destro aveva cominciato a tamburellare freneticamente.
«Da quando saresti una criminale? E quand'è che hai deciso di mandare in frantumi la tua dignità, facendo sesso in uno squallido bagno?», Thomas stava parlando a raffica: Camylla se lo stava immaginando con le gote colorate rosee, il naso arricciato e la sigaretta accesa non fumata nella mano sinistra.
«Ero ubriac..-», Camylla tentò di sovrastrare la frenesia di Thomas, senza successo. 
«Da quanto tempo hai deciso di tenermi lontano dalla tua vita?», Camylla percepì distintamente i denti sbattere tra di loro: la voce dura e profonda che stava usando Thomas scatenavano in Camylla sensazioni contrastanti.
«Non ti sto tenendo lontano dalla mia vita», Camylla si ritrovò ad appoggiare entrambe le mani sul tavolo, avvicinando il proprio viso al telefonino. Voleva scaricare un pò di nervosismo trasmettendolo al tavolo. Inutilmente.
«Mi stai solo nascondendo delle cose», per la seconda volta Thomas aveva interrotto Camylla non preoccupandosi di farla parlare. «Niente d'importante, vero? Solo una rapina in banca».
A Camylla non sfuggì la nota di ironia sottile con la quale Thomas stava parlando ma poteva e doveva capire il suo stato d'animo. Cercò di trattenere uno sbuffo, massaggiandosi la nuca con una mano: socchiuse gli occhi per concentrarsi nel cercare di trovare parole corrette da dire in quel momento, senza dover peggiorare l'intera situazione. 
I secondi di silenzio celatosi tra loro, furono utili a Thomas per ripredere a parlarle. «Ho sempre fatto qualsiasi cosa per te», stavolta la lentezza che stava usando era disarmante, come a voler imprimere un concetto realistico e veriterio, «Non pensavo mi avresti messo da parte così facilmente».
«Non ti sto mettendo da parte!», fu la volta di Camylla nell'alzare la voce: non poteva rendersi conto di quello che l'amico le aveva appena detto. Battè un pugno sordo sul tavolo, facendo rimbalzare leggermente il telefonino, «Dio! E'..», dovette respirare a pieni polmoni, «E' difficile da spiegare».
«Non hai mai provato a farlo», una verità dettata dalla rabbia e dalla frustrazione. Una verità che fece tremare impercettibilmente Camylla, rendendole lucidi gli occhi: riprese a camminare, cercando di contenere le lacrime con l'aiuto delle mani. Cominciò a strusciarsi, togliendosi residui di mascara ormai secco. «Fatico a riconoscerti, Cam».
«Ok, è vero..», Camylla prese a parlare velocemente, incespicando nelle sue stesse parole con la paura che Thomas potesse riattaccarle il telefono, «E' vero, io ti ho nascosto delle cose ma l'ho fatto per te», si ritrovò ad inclinare indietro la testa, aprendo le braccia lateralmenete, «Nel senso che non volevo coinvolgerti in qualcosa di losco e pericoloso».
Dovette rallentare la camminata per potersi soffermare vicino al tavolo ed appoggiarvici una mano sopra, «Credevo di poter gestire diversamente la situazione e magari te ne avrei parlato ridendoci su», provò a sorridere debolmente: aveva bisogno che Thomas capisse lo stato d'animo di agitazione.
«Qualcosa è andato storto», adesso Thomas stava parlando piano: Camylla riconobbe il rumore dei passi che scendevano le scale.
«Già e adesso ho bisogno di te», anche Camylla aveva abbassato il proprio tono di voce, ammettendo forse per la prima volta un pensiero che si era limitata a pronunciare silenziosamente solo nella propria testa. «Ma non nel modo in cui credi, bensì consigliandomi. Aiutandomi».
«E se ti chiedessi del tempo?», una domanda che Camylla dovette aver bisogno di tempo per poter metabolizzare; una domanda che le gambe di Camylla non riuscirono a sorreggere. Dovette appoggiarsi al bracciolo della sedia per evitare di cadera a terra.
«No», un sussurro velato dalla paura mentre cercava di sedersi composta. «No».
«Ti chiedo sol..-», stavolta toccò a Camylla interrompere bruscamente Thomas. «Non puoi, T. Non puoi», stava parlando dettata dalla paura. Mentre scuoteva la testa nonostante il ragazzo non potesse vederla. Mentre lo stomaco le si attorcigliava, la testa le girava e il cuore lasciava spazio ad una consapevolezza amara. «Non chiedermelo. Non tu».
«Mi dispiace Cam», Thomas non dette la possibilità a Camylla di replicare. Semplicemente la lasciò in compagnia del rumore meccanico del telefono.
Camylla si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, imprecando a denti stretti: strinse gli occhi mentre lacrime sporche di vergogna e rancore le avevano cominciato a solcare il viso. Si prese la testa tra le mani, dondolando ripetutamente avanti ed indietro. Strinse una chioma di capelli all'interno del pugno, non sentendone realmente il dolore: sapeva di aver nuovamente sbagliato; sapeva di aver meritato una tale reazione ma non per questo voleva accettarlo. 
Non poteva perdere anche lui. 
Non ce l'avrebbe mai fatta senza lui.
Il telefono rimasto sul tavolo vibrò per una brevissima frazione di secondo, talmente lieve da dubitare fosse successo davvero. Camylla vi si avvicinò allo schermo per notare l'arrivo di un messaggio:

Messaggio ricevuto: ore 07.42 pm
Da: Nathan Mills
Ancora non ho ricevuto risposta e tu hai diritto all'ultima domanda






 
I'M BACK!
Ok, ok, ok: non sono un miraggio anche se ammetto possa sembrare così.
Sono tornata - purtroppo o per fortuna :) - soltanto per un brevissimo periodo.
Questo capitolo mi ha destabilizzato totalmente e
 letteralmente!
Non è stato facile scriverlo e, nonostante sia semplicemente di passaggio, mi ha creato non poche difficoltà: la nostra Camylla ha un carattere difficile e non mi risulta così facile come avrei sperato riuscire a farvelo capire. 
Anche Nathan ci mette del suo, oscillando tra atteggiamenti lascivi ed ambigui ad atteggiamenti del tutto distaccati.

MA, il vero succo del capitolo si ha solamente alla fine: avviene un'altra piccola ma fondamentale discussione tra Camylla e Thomas.

Fatemi sapere, senza freniii :)
E prometto che il prossimo sarà più ricco di avvenimenti 
avviccenti!
Anche se, ovviamente, non so quando avrò la possibilità di aggiornare (spero prima del 7 Gennaio).

Vi ringrazio per la pazienza che mi dedicate.
Un bacione, 

G.xx


 

 

  
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