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Autore: TigerEyes    29/12/2021    18 recensioni
Studenti di giorno, apprendisti agenti segreti di notte, l'uno all'insaputa dell'altra.
Cosa accadrà quando scopriranno le rispettive doppie vite?
Sulla falsariga di Mr & Mrs Smith, penso l'abbiate già intuito...
Capitolo 9 online!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nel ringraziare come sempre la mia beta Moira78, vi ricordo che sto seguendo a grandi linee la trama del film Mr & Mrs Smith, tenetelo sempre a mente! ^_- Buona lettura (lo spero davvero, stavolta)! ^^;;





VII

CACCIA





Ranma bussò ripetutamente alla porta di Kotaro infischiandosene se avesse svegliato mezzo quartiere, era già tanto che non gliela buttava giù a calci, per cui continuò con sempre maggior violenza finché non udì qualcuno precipitarsi giù da una rampa di scale e avvicinarsi all’ingresso della casa a passo spedito.
“Sì, sono io, imbecille, voglio solo parlarti”.
“Sicuro?”, chiese una voce apprensiva dall’altra parte dello spioncino.
“In realtà avrei una gran voglia di maciullarti la faccia, ma mi servi vivo”.
Kotaro aprì un chiavistello dietro l’altro e si presentò in canottiera e boxer, lo squadrò dalla testa ai piedi, gettò una rapida occhiata in su e in giù lungo la strada deserta appena rischiarata dai lampioni e gli intimò di entrare.
“Che ci fai qui, Saotome? Che ti è saltato in mente?!”.
Ranma lo agguantò per il collo e lo sbatté contro la parete.
“Se tu non avessi riferito alla Tigre Nera che mia moglie è una spia, sta’ certo che ora non sarei nel salotto di casa tua ad appenderti al muro al posto del quadro!”.
La faccia di Kotaro virò dal bordeaux al viola a velocità luce.
“Ma cosa ti aspettavi? Che facessi finta di nulla?”, obiettò lui quasi in apnea. “Dopo che ti sei volatilizzato… le tre Miyakoji hanno torchiato la cameriera… finché tra strepiti e lacrime quella non ha… sputato la verità: che ti aveva riconosciuto! Eri bruciato, lo capisci? A quel punto… era mio dovere riferire ogni particolare… ai Daimoji! Per cui se sei qui per vendicarti… sappi che firmeresti la tua condanna!”.
Ranma strinse un po’ di più le dita attorno alla gola.
“Non tentarmi, idiota, che già mi prudono le mani!”, gli alitò in faccia subito prima di lasciarlo cadere a terra come un sacco di riso. Kotaro si rialzò tossendo anche i polmoni, mentre Ranma si lasciava cadere su un divano con la testa fra le mani. “No, sono qui perché devi ospitarmi almeno per stanotte”.
“Ah beh, nessun problema, allora, puoi dormire lì dove ti trovi”, rispose lui massaggiandosi il collo mentre si rialzava in piedi.
“Qui sul divano? Perché? Non ce l’hai un altro letto?”.
“Kotarooooohhhhh! Che succedeeeeehhhh? Chi si è permesso di disturbare a quest’oraaaaahhhh?!”, gracchiò una cornacchia dal piano di sopra.
“È un collega, mamma! Va’ a dormire!”, urlò Kotaro di rimando.
“Non devi portare il tuo lavoro a casaaaahhhh! Quante volte te lo devo direeeehhhh?!”.
“Va’ a dormire e non rompere, ma'!”.
Ranma lo fissò sbigottito.
“Ma non hai ventiquattr’anni, tu? Perché vivi ancora con tua madre?”.
“Perché è l’unica donna di cui posso fidarmi, ecco perché! Ed è anche il motivo per cui dovrai arrangiarti a dormire sul sofà”.
Ranma lo fulminò esasperato, ma era troppo stanco per ribattere.
“Portami almeno una coperta, allora!”.
Kotaro salì al piano di sopra sbuffando, tornò con un cuscino e una trapunta e glieli lanciò contro.
“Certo che è davvero incredibile…”, commentò mentre Ranma si sfilava di dosso pantaloni e casacca. “Quante probabilità c’erano che anche tua moglie fosse una spia?”.
Lui gettò gli indumenti su una poltrona e si buttò a corpo morto sul divano, sfinito nello spirito più che nel fisico.
“Mi scoppia la testa, se provo a pensarci…”.
“Ah, lo immagino e so anche a cosa stai pensando adesso, è logico: se ti ha mentito su questo, su che altro può averti mentito? Su tutto, in pratica! Abbiamo visto tutt’e due quelle foto, chissà quante volte tua moglie avrà dovuto intrattenere gente losca per cercare di estorcere informazioni, è disgustoso…”.
“Piantala, non voglio pensarci, voglio solo dormire!”, gli urlò contro lanciandogli il cuscino. Kotaro lo afferrò al volo e alzò le mani in segno di resa.
“D’accordo, hai ragione, scusa, mi dispiace, ma non vorrei che tu ti lasciassi influenzare dal fatto che lei è tua moglie, devi mantenere il sangue freddo e pensare che ti ha ingannato per tutto questo tempo, per cui di fatto è un’estranea e questa è una missione come un’altra, tutto qua”.
“Grazie tante, ma così fai montare in me solo la rabbia!”.
Kotaro gli restituì il cuscino.
“Bene, perché la rabbia è proprio quello che ti serve: pensa a lei come a una donna che ti ha solo preso in giro per tutto il tempo e non fallirai”, suggerì Kotaro facendogli l’occhiolino. Ma Ranma scosse la testa.
“Non ci riesco… Non riesco a credere che sia stata solo finzione…”.
“Devi, perché una persona non potrebbe fare questo mestiere se non fosse in grado di simulare alla perfezione, dammi retta: non avere pietà, né rimorso con lei”.
Ranma sospirò e si girò su un fianco a fissare il tavolino di vetro tra lui e le due poltrone.
“Ok, va bene, ho capito, non vuoi parlarne, allora ti auguro la buonanotte, anche se immagino non chiuderai occhio", previde Kotaro spegnando la luce del salotto prima di risalire le scale.
Poteva giurarci che non avrebbe chiuso occhio: l’espressione assassina di Akane, prima che lasciasse per sempre casa Tendo, era rimasta impressa sulle retine come inchiostro indelebile.
Tornò supino e si portò un braccio a coprire gli occhi, ma prima che potesse farlo, la luce di un lampione riverberò sull’anello che portava all’anulare. Rimase a fissarlo per istanti che parvero ore, prima di sollevarsi a sedere, sfilarlo lentamente dal dito, stringerlo nel palmo con forza tale da imprimerselo nella pelle e scagliarlo poi con rabbia dall’altra parte della stanza.


- § -


Akane strizzava il cuscino cercando inutilmente di soffocarvi i singhiozzi.
Non solo quel falso bugiardo traditore di Ranma l’aveva ingannata per due anni e mezzo. Non solo casa sua era devastata. Ma adesso Kasumi e Tofu erano nelle mani della Fenice Bianca e la colpa era soltanto sua. Nel volgere di poche ore il mondo le era franato addosso e lei non riusciva neanche a emergere dai calcinacci che la schiacciavano al suolo.
Chiusasi a chiave nello sgabuzzino dello studio del dottor Tofu dove vi aveva trascinato un futon, non sapeva nemmeno da dove iniziare a raccogliere i cocci della sua vita per risolvere quella disastrosa situazione. L’unica cosa che la confortava era sapere che suo padre e Nabiki erano ancora fuori città e ci sarebbero rimasti per un bel po’, aveva tutto il tempo per sistemare le cose.
Sempre che il signor Genma non sia coinvolto nel lavoro del figlio come io ho coinvolto il dottor Tofu e mia sorella…
Akane sbarrò gli occhi nel buio alzandosi subito dopo a sedere, il fiato che non voleva saperne né di uscire né di entrare dalla bocca spalancata per l’incredulità.
Come aveva fatto a non pensarci prima?! Era logico! Il signor Genma aveva manovrato il figlio come un burattino per tutta la vita, non poteva non sapere che Ranma fosse una spia, anzi, magari lo aveva spinto lui a diventarlo appena giunti a Nerima!
Akane si prese la testa fra le mani dandosi della baka monumentale. L’indomani, alle prime luci dell’alba, doveva per prima cosa telefonare a Nabiki all’Odakyu Hotel per metterla in guardia, a quell’ora di notte non avrebbe risposto nemmeno se l’avesse pagata. O forse sì? Subito dopo sarebbe tornata a casa: doveva setacciarla da cima a fondo per essere sicura che Ranma non vi avesse nascosto delle cimici o delle telecamere e per ripulirla dell’attrezzatura da spionaggio che sicuramente aveva nascosto qua e là.
Si ributtò sul letto e si girò su un fianco, attenta a ogni lieve fruscio proveniente dall’esterno.
Maledetto. L’aveva usata come copertura, lei e casa sua, e non poteva escludere che anche il signor Saotome fosse coinvolto. Anzi, lo dava per scontato. Era stata dei loro padri l’idea di farli fidanzare, loro non si sopportavano, non riuscivano nemmeno a dialogare senza insultarsi, all’inizio.
Akane increspò la fronte allentando la presa sul cuscino.
Ma allora… quando era cominciata la recita di Ranma?

(P-perché tu mi piaci!)

Forse quando quell’idiota aveva iniziato a lavorare per la Tigre Nera? Da quanto in effetti era una loro spia? Avevano sedici anni, quando era piombato nella sua vita come un tornado, la Tigre Nera lo aveva di sicuro sottoposto a un lungo apprendistato, come la Fenice Bianca aveva fatto con lei.
E allora?
E allora questo significava che non doveva essere diventato una spia a tutti gli effetti da molto tempo.

(È sempre stato vero! Io… non ti ho mai mentito…)

Akane si rialzò a sedere, lentamente stavolta, fissando gli scaffali ingombri di libri di medicina tradizionale cinese.
Non le aveva mai mentito, aveva detto, eppure non c’erano dubbi che Ranma lavorasse già per la Tigre Nera quando si erano sposati: la sera che lei era tornata dal night club e in cui lui l’aveva
(baciata)
sorpresa col costume succinto addosso, dov’era stato quel baka? A spassarsela con Satsuki! Durante la loro luna di miele, per giunta, brutto pervertito! Mentre con lei faceva tutto il timido e l’impacciato, come se prima d’allora non avesse mai…

(Ci mette un’eternità anche solo ad avvicinarsi a lei e quando finalmente posa le labbra sulle sue, è talmente imbarazzato da tramutarsi in una statuetta di pietra e andare in apnea)

…dato un bacio in vita sua?

(N-n-non dovevo, vero? S-s-scu-scusami!)

Possibile che Ranma avesse finto con Satsuki come lei aveva finto con Sentaro? Aveva ragione il dottor Tofu e lei aveva travisato le parole della capoclan dei Miyakoji? Era stata troppo precipitosa nel giudicarlo? Se davvero fosse stato un consumato dongiovanni come appariva in quella foto maledetta, non sarebbe scappato a ogni sfiorarsi di labbra per rifugiarsi in bagno o buttarsi nel laghetto della carpa…

(Sono così presi dal bacio che Ranma le fa urtare il lavandino del bagno. Solo allora si accorge di cosa sta spingendo contro di lei… E fa un salto tale da ritrovarsi attaccato alla porta, mano sulla maniglia, pronto a fuggire)

Eppure la mattina dopo le nozze, quando Ukyo, Kodachi e Shampoo avevano fatto irruzione nella honeymoon suite, era stato fin troppo intraprendente e sicuro di sé…

(Si sveglia di soprassalto, gli occhi sbarrati, la bocca spalancata che risucchia il respiro, sul punto di lanciare un urlo spaccatimpani. Ma Ranma glielo impedisce premendole le labbra sulle sue e schiacciandola contro il materasso, arrivando anche a bloccarle i polsi ai lati del viso quando lei, presa alla sprovvista, cerca di respingerlo)

Akane si mise ancora una volta le mani tra i capelli e li scompigliò: era così confusa che non sapeva più cosa pensare. Ma poi, perché perdere tempo e sonno a fare congetture? Restava il fatto che Ranma l’aveva ingannata e, peggio ancora, si era convinto che lei fosse una poco di buono.
Come io ho fatto con lui… Forse, se potessi spiegargli…
Scosse la testa. Ma che spiegazioni e spiegazioni! Ormai il danno era fatto e anche se Ranma non era il tipo senza scrupoli che sarebbe arrivato a disonorare una ragazza, restava in ogni caso un bugiardo approfittatore. E comunque ora era più importante salvare Kasumi, che quella farsa del suo matrimonio.
Akane si ributtò sul futon, tirò la coperta fino al mento e serrò gli occhi con forza.
Doveva restare concentrata sulle prossime mosse per stanare Ranma e affrontarlo da una posizione di vantaggio, questo doveva fare, nient’altro. Eppure, non poté fare a meno di chiedersi cosa sarebbe accaduto nel momento in cui si fosse ritrovata faccia a faccia con lui. No, il problema non era se fosse in grado di affrontarlo – ormai era certa di potergli quanto meno tenere testa, dopo due anni di duri allenamenti in segreto – ma proprio di guardarlo in faccia. Perché se la parte ferita e umiliata di lei desiderava solo maciullargliela, quella faccia, la parte innamorata si chiedeva come avrebbe fatto a dimenticare i suoi baci, le sue occhiate furtive, i suoi rossori improvvisi, i suoi sorrisi da schiaffi, le sue risate in cucina, i suoi scherzi idioti, le sue prese in giro, le sue linguacce. E i suoi sguardi penetranti, che sembravano volerle dire: io per te ci sarò sempre.
Una lacrima traditrice lasciò furtiva le ciglia e Akane si portò il cuscino sulla faccia per soffocare l’ennesimo singhiozzo.


- § -


(“Eccola!”, annuncia suo padre esultante.
Il cuore manca un battito, come se avesse fatto uno zompo dal petto per risalire su fino in gola.
Ranma si volge lentamente verso un’Akane che incede accompagnata da Soun, il capo coperto dal wataboushi fino al naso. Null’altro vede all’infuori della bocca dipinta di rosso, finché lei non alza il volto e gli pianta addosso i suoi occhi ambrati.
Il mondo se ne va all’istante alla malora.
Gli alberi, il sentiero di pietre, Soun Tendo, le sorelle, il cielo, gli uccelli, tutto.
Non esiste più niente.
Niente all’infuori di lei avvolta nel kimono da sposa, del suo petto che si alza e si abbassa sempre più velocemente man mano che avanza incerta, delle sue labbra tremolanti come se volesse dire qualcosa ma è rimasta senza voce.
Nulla all’infuori del sole che tramonta nei suoi occhi, quando infine lo raggiunge. E per tutti i kami, è… emozionata? Trepidante? O solo nervosa? Possibile che stia provando ciò che prova lui? Forse sì, perché sta accennando un sorriso radioso, più abbagliante della luce riflessa sull’acqua. Ciò che lui ha sempre desiderato vedere. Ma allora è… felice?! Oppure sta fingendo?)


Ranma si svegliò di soprassalto e sbatté ripetutamente le ciglia senza riconoscere l’ambiente intorno a sé. Si alzò a sedere di scatto lasciando che la coperta ricadesse sulle gambe e si rese conto di aver dormito su un divano. Ora ricordava: Kotaro lo aveva ospitato per la notte. Si passò le mani sulla faccia, il cuore che ancora percuoteva il petto, e si volse verso la finestra: i primi bagliori dell’alba rischiaravano quello che si preannunciava come un cielo limpido. Sbuffò, ributtandosi per un momento sul sofà, un braccio a coprire il volto.
Non aveva quasi chiuso occhio, ma quel che era peggio era che nei pochi sprazzi di sonno aveva sognato sempre e solo Akane: il giorno del matrimonio era solo l’ultimo di una serie di sogni incentrati sulla loro convivenza. Lei che felice gli gettava le braccia al collo la prima volta che aveva cucinato qualcosa di commestibile, lei che a modo suo gli confessava che avrebbe voluto che le cose tra loro funzionassero, lei che dormiva abbarbicata a lui come un koala sul ramo di un albero.
Scostò la coperta con un gesto stizzito e si prese la testa fra le mani, pregando i kami di cacciare via i ricordi che lo torturavano facendo vacillare la sua determinazione.
A sua madre doveva pensare, solo a sua madre.
Si alzò risoluto in piedi, cercò il bagno e si diede una rapida rinfrescata, prima di rivestirsi, scroccare qualcosa dal frigo di Kotaro e uscire saltando di tetto in tetto in direzione di casa Tendo. Eppure davanti agli occhi la stessa scena si ripeteva immutabile.
Akane che nell’antibagno lo tratteneva afferrandolo per le braccia.
Akane che sembrava supplicarlo con lo sguardo di non andarsene.
Akane che accennava un sorriso raggiante e socchiudeva gli occhi, quando lui tornava a stringerla.
Akane che rimaneva immobile, in attesa che fosse lui a baciarla.
Akane che tratteneva il respiro emozionata quando infine le sfiorava le labbra con le sue.
Akane che poi prendeva l’iniziativa, perché lui è nato sotto il segno della lumaca e lei, benché imbarazzata, era stanca di aspettare che suo marito facesse il primo passo.
Ranma arrivò davanti al cancello dei Tendo che i primi raggi del sole facevano capolino all’orizzonte.
Perché Akane aveva pianto davanti allo specchio, quella sera? Perché in realtà non avrebbe voluto fare ciò che le avevano ordinato? E appena le avevano messo le mani addosso era scappata via tra le lacrime? Forse l’aveva mal giudicata, forse non lo aveva tradito, tuttavia restava il fatto che lo aveva ingannato. E comunque ora c’era l’incolumità di sua madre, in ballo: forse era solo un trucco dei Daimonji, ma se fosse stata sul serio nelle mani della Tigre Nera, non poteva tirarsi indietro.
Prese un bel respiro e si diede una serie di schiaffi al volto.
Concentrati, dannazione, concentrati!
Rimase a studiare la casa dall’esterno per parecchi minuti, facendo tutto il giro dell’isolato, prima di concludere che fosse apparentemente deserta e saltare sul muro di cinta e da lì sul tetto dell’abitazione. Scivolò nella propria stanza come aveva fatto due sere addietro e come aveva temuto la trovò completamente sottosopra: il futon sventrato, il tatami sollevato, le assi del pavimento spostate, gli armadi spalancati, i cassetti della credenza rovesciati e svuotati, la plafoniera staccata dal soffitto.
Akane l’aveva rivoltata come un calzino.
Resistendo all’impulso di precipitarsi al piano di sotto, stavolta fu ben attento a captare ogni rumore e tenere i sensi all’erta. Solo quando fu assolutamente certo di essere solo in casa, decise di scendere le scale, dove le frecce che lei gli aveva scagliato contro erano ancora conficcate nei muri, muta e al contempo tangibile testimonianza della fine del loro matrimonio. Ma alla devastazione in cucina e in corridoio si aggiunse quella nel resto del pian terreno: Akane aveva setacciato ogni angolo della casa e di certo, non contenta, aveva sventrato anche il dojo.
Ranma mise piede nel portico che conduceva alla palestra, si inginocchiò e a testa in giù guardò sotto la passerella sperando nell’insperabile: nessuna buca, gli dèi fossero ringraziati! Si infilò nell’angusto spazio tra il portico e il prato sottostante e scavò fino a recuperare la sacca con la sua attrezzatura.
Per curiosità si affacciò anche nel dojo e come aveva previsto Akane aveva distrutto buona parte delle assi del pavimento e delle pareti pur di trovare qualcosa che non c’era. Si chiese dove fosse andata a cacciarsi a quell’ora del mattino e gli sorse un dubbio.
Tornò in casa e salì la scala tre gradini alla volta, spalancò la porta della camera di Akane e trovò il letto in perfetto ordine. E così quello di Nabiki e quello di Kasumi. Sua moglie non aveva dormito a casa Tendo, quella notte, ma allora dove si era rifugiata? Non nella sede della Fenice Bianca, dato che come spia era bruciata. E di certo aveva evitato di chiedere asilo a persone di sua conoscenza che sarebbero rimaste coinvolte, per cui se escludeva le sue amiche e compagne di scuola, chi rimaneva? A chi Akane si sarebbe rivolta per trovare ospitalità?
Ranma incrociò le braccia al petto, tenendosi il mento con due dita.
E dove, se non nell’unico luogo in tutta Nerima dove sua moglie sarebbe stata accolta a braccia aperte senza nemmeno bisogno di una scusa plausibile? Di sicuro, era anche convinta che lui non si sarebbe mai azzardato ad avvicinarvisi.
Metà della sua faccia si profuse in un sogghigno.
Aspetta e spera…


- § -


Akane stava studiando i rotoli di pergamena e i sacchetti che aveva prelevato dalla cassettiera in camera di Ranma, cercando di capire se in mezzo a quel caos di manufatti che i Saotome si tramandavano da generazioni ci fosse qualcosa che potesse aiutarla a stanare e sopraffare il marito. Era così immersa nella lettura che si ricordò di dover contattare Nabiki solo quando qualcuno suonò al citofono: aveva appeso al cancello un cartello in cui avvisava che lo studio medico sarebbe rimasto chiuso fino a data da destinarsi, quindi chi poteva essere? Il postino?
(Ranma?)
Deglutì suo malgrado e scacciò quel pensiero dandosi della sciocca, si avvicinò all’apparecchio e accese al tempo stesso il monitor per poter guardare in faccia il visitatore: meno male che alla fine aveva convinto Kasumi a installarlo. Ma la telecamera mostrò proprio l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere.
Quella grandissima, arrogante, odiosa faccia da schiaffi, con un braccio sollevato appoggiato contro il cancello e un sorrisetto ancora più odioso che si tendeva sornione verso un orecchio. Non ottenendo risposta, il cretino suonò di nuovo. Proprio allora Akane vide una signora passare dietro di lui con un cane, fermarsi, attirare la sua attenzione e indicare col mento la clinica. Akane dovette accendere l’interfono per udire ciò che si stavano dicendo. “…ne è sicura?”.
“Ti dico di sì, ho visto coi miei occhi ieri sera i coniugi Ono che salivano su una macchina scura con dei tipi mai visti vestiti di nero. Pensavo di vederle solo nei film, certe scene…”.
“E il cartello allora chi l’ha messo?”.
“La sorella più piccola della signora Kasumi: l’ho vista uscire dalla clinica quando sono passata qui davanti prima dell’alba con la mia cagnetta”.
“La ringrazio molto”.
“Di nulla”, rispose quella allontanandosi.
Ranma tornò a guardare il citofono avvicinando l’orecchio e poi, sorridendo, alzò lo sguardo sulla telecamera che lo sovrastava.
“Buongiorno, mogliettina, dormito bene? Lo so che hai ascoltato, sento il ronzio dell’apparecchio da qui”.
Il suo cuore ebbe un sussulto.
Akane chiuse gli occhi e strinse le dita a pugno, mentre contava mentalmente fino a dieci, prima di sputare una risposta adeguata.
“Bene, bene, maritino, avrei dovuto immaginarlo che saresti stato tanto stupido da non cogliere l’opportunità che ti ho dato. Meglio così, mi hai risparmiato la fatica di venirti a cercare”.
Lui tese il sorriso ancora di più.
“Per dirmi che lascerai Tokyo per sempre? Brava, risparmi a me la fatica di doverti costringere ad andartene”.
Lei non sorrideva per niente.
“Io non vado da nessuna parte, idiota, sei tu che devi sparire, ma se possibile non da Tokyo: dalla faccia della Terra!”.
Ranma si profuse in una risatina sarcastica.
“Primo e ultimo avvertimento, Akane: fai le valigie e vattene”.
“Falle tu: dopo aver vagabondato, ingannato e truffato insieme a tuo padre per tutta la vita, dovresti esserci abituato a scappare con la coda tra le gambe senza lasciare tracce!”.
Fu Ranma, adesso, ad avere un sussulto, come se avesse ricevuto una secchiata d’acqua gelida in faccia.
Colpito e affondato.
Il sorrisetto arrogante morì all’istante. Ranma tornò eretto, lo sguardo torvo, mentre lei si mordeva l’interno di una guancia, pentita ma non troppo.
“Io non ho mai truffato e ingannato nessuno, è stato mio padre che…”, ribatté lui cercando di giustificarsi. “Argh! E comunque non abbiamo mai fatto nulla di male nei due anni trascorsi in casa vostra!”.
“Due. E. Mezzo”, sottolineò lei esasperata a denti stretti. “E sono anche troppi. Sparisci, traditore, perché io non me vado”.
Lo vide stringere i pugni a sua volta, eppure nello sguardo non brillava quella scintilla di minaccia come quando affrontava Ryoga o Happosai o chiunque altro osasse sfidarlo. Il che la ferì peggio di un insulto: Ranma non la considerava un’avversaria.
“E allora spero che tu sia migliorata almeno un pochino anche nella lotta indiscriminata, non solo nell’arco”.
Akane serrò le ciglia così forte da riuscire, per la prima volta, a ricacciare indietro le lacrime.
“Dove vuoi e quando vuoi, maritino”.
“Davvero? Sei proprio sicura?”.
Lo vide scomparire dallo schermo come se un abile prestigiatore lo avesse fatto evaporare e Akane si allontanò d’istinto dal citofono facendo allarmata un passo indietro, improvvisamente consapevole di aver commesso un errore grosso quanto la Tokyo Tower: lo aveva sfidato nel posto sbagliato al momento sbagliato, avevano già devastato casa sua, non avrebbero ridotto a un cumulo di macerie anche quella del dottor Tofu e di sua sorella, doveva trovare un terreno neutrale e soprattutto a lei più favorevole.
L’allarme perimetrale confermò i suoi timori iniziando a suonare impazzito e Akane corse verso lo stanzino, si chiuse dentro, afferrò tutto quello che poteva buttandolo a casaccio nello zaino, rovesciò il materasso, alzò un angolo del tappetino sottostante, girò la maniglia e sollevò il coperchio della botola.
“Ti sei nascosta nello sgabuzzino? È così che saresti migliorata?”.
Il tono derisorio oltre la porta la fece ribollire di rabbia non meno delle sue parole, ma le diede anche la spinta che le serviva: Akane saltò nel profondo pozzetto a stento sufficiente a far passare lei, impossibile che Ranma potesse seguirla.
A meno che…
Il pensiero fu messo a tacere mentre strusciava rapidamente lungo le pareti e piombava nel cunicolo sottostante, facendo una capriola prima di rialzarsi in piedi, per poi guardare verso l’alto: il boato sopra la sua testa annunciò che Ranma aveva appena sfondato la porta, alcuni frammenti di legno le piovvero perfino sui capelli.
“Ma bene”, le disse canzonatorio quando lo vide affacciarsi sul pozzo, le mani aggrappate ai bordi. “È questo che avresti fatto per migliorare negli ultimi due anni? Mi stupisce che sei riuscita a passarci, coi fianchi da balena che ti ritrovi!”, la provocò, mentre lei tirava fuori la torcia dallo zaino e l’accendeva puntandogliela negli occhi. Ranma, tuttavia, li chiuse giusto il tempo di portarsi una mano davanti al viso per schermare la luce.
“Io almeno ci passo, pallone gonfiato!”.
“Con un po’ d’acqua anch’io, tonta!”.
Accidenti, lo sapevo!
“Ma io sarò già lontana!”, gridò cominciando a correre lungo il tunnel. Tuttavia, appena sentì Ranma allontanarsi – di certo per correre in bagno a raffreddarsi – Akane tornò in fretta sui suoi passi e prese la direzione opposta.


- § -


Ranma perse tempo nel cercare il bagno che non trovava, aprì il rubinetto e si riempì d’acqua fredda le mani a coppa per poi lanciarsela sulla testa, ritrovandosi di colpo almeno venti centimetri più basso e con due meloni che tiravano il tessuto della casacca, quindi si precipitò di nuovo nello stanzino e si calò nel pozzo. Solo che, una volta sceso in quello che riconobbe come un canale di drenaggio delle acque piovane, il rimbombo di passi concitati non sembrava provenire dalla direzione che aveva preso Akane, bensì da quella opposta.
Furba…
Iniziò a correre a perdifiato finché, alla fine del cunicolo, non intravide una figura stagliata contro la luce del giorno un attimo prima che si voltasse verso di lui e poi svanisse nel nulla.
Ranma versione ragazza corse ancora più forte, ma quando si ritrovò all’imboccatura del tunnel era troppo tardi: l’ultima cosa che vide fu Akane che, dall’altra parte del torrente Shakujii, aveva già spiccato un salto dalla ringhiera sulla quale lui camminava sempre in bilico per atterrare sul tetto di un edificio antistante e poi sparire alla vista.
Dannazione!
Ranma tornò infuriato sui propri passi e riemerse dal cunicolo lanciando maledizioni degne di un monaco esorcista. Non riusciva a crederci di essersi lasciato sfuggire Akane, non poteva crederci, non voleva crederci! Sua moglie era in grado di compiere gli stessi salti che compiva lui. E ora che rimembrava, era stata perfino in grado di scaraventare da una finestra nientemeno che una combattente del calibro di Shampoo. Akane si stava rivelando piena di sorprese e arrivato a quel punto una parte di lui era perfino solleticata dall’idea di scoprire cos’altro gli avesse tenuto nascosto. Anzi, cosa avesse in serbo per lui.
Seduto sul bordo del pozzo rilasciò un lungo sospiro, scuotendo la testa e imponendosi di concentrarsi: tanto per cominciare, chi aveva scavato quel cunicolo che metteva la casa in comunicazione con un tunnel di scarico? Se Akane ne era a conoscenza, significava che era stato il dottor Tofu… ma per quale motivo? Proprio per garantire a lei una via di fuga? Allora significava che la sorella maggiore di Akane e suo marito erano a conoscenza della doppia vita di sua moglie e la spalleggiavano. Quindi era altamente probabile che anche quella serpe di Nabiki sapesse la verità, mentre dubitava che il signor Tendo avrebbe permesso alla figlia adorata di svolgere un lavoro che avrebbe potuto alla lunga rivelarsi pericoloso, quindi di certo ne era stato tenuto all’oscuro. Avrebbe dovuto avvertire suo padre? Di sicuro Akane lo aveva fatto o ci aveva provato, ma del resto suo padre sapeva cavarsela da solo: non era quello che riusciva sempre a svignarsela facendo perdere le proprie tracce quando le cose si mettevano male?
Recuperò parte di ciò che Akane gli aveva sottratto e si mise a rovistare tra i pochi effetti personali che aveva lasciato nello stanzino, nella speranza di trovare un indizio su dove potesse essersi diretta: non credeva che avesse ancora molti altri luoghi in cui nascondersi, di certo non avrebbe raggiunto Nabiki e il signor Tendo per non comprometterli e in ogni caso era improbabile che andasse troppo lontano, per cui…
Si ritrovò tra le mani un vecchio biglietto del treno stropicciato e strappato, cercò di distenderlo e una violenta quanto improvvisa contrazione allo stomaco gli mozzò il respiro: risaliva a circa un mese e mezzo prima e la destinazione era leggibile solo per metà, ma lui conosceva fin troppo bene la metà che mancava.
Ryugenzawa.
Le dita si strinsero da sole attorno al pezzo di carta fino a farlo scomparire nel pugno.
Ricordava quel fine settimana: Akane aveva sorpreso tutti dicendo che partiva con le amiche per un weekend di relax mentre era già sulla soglia di casa con lo zaino in spalla, senza dire a nessuno dove fosse diretta per impedire – parole sue – a quel fungo ammuffito di Happosai di seguirla e spiarla. E non era la prima volta, ora che ci rifletteva.
Adesso finalmente sapeva la destinazione: Shinnosuke.
Di nuovo.
Chissà quante altre volte lei era andata a trovarlo a sua insaputa.
Chissà cosa avevano combinato insieme, in quella capanna sperduta nel bosco.
Alle sue spalle.
Maledetta…
Non aveva più dubbi, ormai: Akane non si era mai fatta scrupoli a ingannarlo. Era una traditrice consumata, altro che innocente e pura!
Si alzò in piedi febbricitante di collera e si recò in bagno quasi come un automa, come se il corpo avesse vita propria. Riempì un secchio di plastica con acqua calda e se lo rovesciò in testa riassumendo le sue fattezze.
Lasciò cadere il secchio per terra senza smettere di guardarsi allo specchio del lavandino, le ciocche infradiciate incollate al volto, il respiro sempre più pesante e affannoso.
Sei stato un vero imbecille. Per tutto questo tempo ti ha solo preso in giro. E tu glielo hai permesso…
Il pugno impattò contro il vetro mandandolo in mille pezzi, mentre lui si aggrappava ai bordi del lavabo, il capo chino e gli occhi serrati nel tentativo di trattenere le lacrime.
Due anni passati a fingersi gelosa e invece lo tradiva con quel fesso rintronato. Chissà quante risate si saranno fatti alle sue spalle, lei e quel rimbambito cronico, mentre lui moriva di apprensione per lei.
Non l’avrebbe mai perdonata.
Mai.
Ranma uscì dal bagno a passi rapidi e pesanti con un’idea azzardata in testa, ma del resto le ore scorrevano veloci e lui non aveva altre alternative: doveva correre alla stazione dei treni.


- § -


Akane sbatteva ripetutamente la fronte contro il vetro appannato dandosi della stupida, mentre il paesaggio cambiava davanti ai suoi occhi: a mala pena si rese conto che il treno aveva lasciato l’area urbana per l’entroterra che si vestiva d’autunno.
Cinque, dieci, venti volte colpì il vetro finché non perse il conto. Come aveva potuto essere così stupida da non pensare che la Tigre Nera avesse ordinato a Ranma di fare ciò che la Fenice Bianca aveva ordinato di fare a lei? Peggio ancora, come aveva potuto essere così sciocca da credere che non sarebbe mai venuto a cercarla nello studio del dottor Tofu? E se Kasumi fosse stata in casa? Non voleva neanche pensarci al rischio che sua sorella avrebbe potuto correre per colpa sua, anche se Ranma non le avrebbe mai torto un capello, su questo aveva una certezza granitica. Del resto, non era venuto con l’intenzione di catturare lei, ma di convincerla a lasciare Tokyo, un modo pulito per toglierla di mezzo senza averla sulla coscienza. Proprio ciò che lei avrebbe voluto fare con lui. Ma questo cosa significava? Che in un certo qual modo Ranma tenesse a lei? Forse, dopo due anni e mezzo, si era quantomeno affezionato?
Ancora ti arrovelli su ciò che lui potrebbe o non potrebbe provare per te? Ormai non ha più importanza! Di certo la Tigre Nera gli avrà dato quarantotto ore come la Fenice Bianca ha fatto con te, per cui devi concentrarti esclusivamente sulla missione: catturare Ranma, altro che m’ama o non m’ama!
Sbatté la fronte contro il vetro per l’ennesima volta, gli occhi serrati, i denti affondati nel labbro inferiore.
Era davvero una baka irrecuperabile, ormai poteva solo sperare che Shinnosuke le sarebbe stato d’aiuto, data la sua esperienza nel costruire trappole. Non era forse per questo che aveva lasciato nello sgabuzzino quel vecchio biglietto strappato del treno? Non aveva dubbi che Ranma lo avrebbe trovato e si sarebbe precipitato alla stazione.
Sperando non tragga le conclusioni sbagliate…
Ma certo che le avrebbe tratte! Almeno su questo poteva dire di conoscerlo fin troppo bene. E in fondo proprio su questo contava: se la gelosia nei confronti del suo amico d’infanzia era stata a suo tempo sincera, Ranma sarebbe piombato a Ryugenzawa senza la necessaria freddezza per affrontare la situazione.
Allora meglio così, no?
Sì, ovvio.
Forse.
Può darsi...
Quando arrivò a destinazione, Akane corse dentro la stazione, acquistò un biglietto e uscì sul piazzale antistante dove erano allineate le corriere, tra cui la sua in partenza. Salì in fretta sul pullman e prese posto. Non aveva avuto nemmeno il tempo di avvisare Shinnosuke, ma tanto sarebbe stato inutile: tempo due minuti e si sarebbe scordato della telefonata, meglio avvantaggiarsi recandosi direttamente da lui.
Nabiki!
Akane si diede una manata in fronte: si era scordata di nuovo di avvertire la sorella e adesso non ne avrebbe più avuta l’opportunità, dato che Shinnosuke e suo nonno vivevano isolati dal mondo.
Appena scesa dalla corriera, imboccò il sentiero che si addentrava nel bosco che virava dal giallo all’arancio, al rosso, con qualche spruzzata di verde qua e là. E più il bosco s’infittiva, più Akane s’imbatteva in animali dalle proporzioni smisurate, ma ormai non ci badava nemmeno più: per lei significavano soltanto che la meta era sempre più vicina. A preoccuparla erano più le trappole che Shinnosuke poteva aver piazzato qua e là, che non uno scoiattolo o un picchio fuori taglia, ma ormai lei era in grado di riconoscere i segni lasciati sui tronchi dal suo amico proprio per evitarle. C’era da chiedersi piuttosto se Shinnosuke si ricordasse della sua stessa segnaletica…
La casetta dalle pareti bianche apparve finalmente dietro le fronde di un acero e i ricordi la pugnalarono a tradimento. Rivide se stessa uscire dalla porta per rincorrere il suo amico e porgergli lo spazzolone e le scarpe, perché lui si era scaraventato fuori tenendo la ciotola della colazione in una mano e le bacchette nell’altra. E appena Shinnosuke si era allontanato, Ranma era apparso davanti a lei negando più volte una preoccupazione che invece sprizzava da ogni poro della pelle. Ma poi non le aveva nemmeno dato modo di spiegargli perché si fosse recata in un luogo tanto remoto. E se ripensava allo schiaffo che gli aveva mollato per impedirgli di colpire Shinnosuke, la sua espressione attonita… non l’aveva mai visto tanto sconvolto, era rimasto paralizzato per secondi interminabili, talmente sbigottito che si era persino chiesta lì per lì se stesse ancora respirando. In realtà in quel momento era stata solo la mente di Ranma a essersi paralizzata per l’incredulità: come sempre aveva travisato, pensando che lei preferisse Shinnosuke a lui. Aveva creduto che quel posto avesse rappresentato uno spartiacque nel loro rapporto, soprattutto perché quando erano tornati a casa insieme, lui le aveva teso tremante una mano senza dire una parola e anche se aveva perseverato in un mutismo imbarazzato, la stretta delle sue dita attorno alle proprie era bastata a comunicarle ciò che provava per lei.
O che aveva creduto provasse per lei.
Possibile che avesse finto?
Raggiunse la porta lasciata aperta e si affacciò all’interno, dove il nonno dormiva placido nel suo angoletto e qualcosa bolliva nel pentolone che pendeva sopra l’irori. Akane fece allora il giro della casa e trovò Shinnosuke che tirava l’acqua su dal pozzo. Quando alzò il viso su di lei, s’illuminò più del falò che ardeva dentro casa.
“Io… io ti conosco?”, domandò accigliato. I kami fossero ringraziati, stava migliorando? “Aspetta, non dirmelo!”, la bloccò lasciando ricadere il secchio. “Sì, tu sei… sei… sei…”. L’entusiasmo si sgonfiò più velocemente di un palloncino. “No, non ricordo proprio chi sei”, ammise sconfitto con un sospiro rassegnato.
Con un sorriso indulgente, Akane puntò il dito contro la parete posteriore della casa, sulla quale lui aveva inciso il suo nome con un chiodo proprio per non scordarlo più.
“Mi hai salvato da bambina, ricordi? E insieme a Ranma abbiamo sconfitto Yamata no Orochi”, ripeté per la – forse – quindicesima volta da quando andava a trovarlo ogni due-tre mesi. Già, Ranma aveva rischiato la vita, quella volta, convinto tra l’altro che lei fosse innamorata del suo amico.
“Oh sì, adesso sì!”, confermò Shinnosuke battendo una mano a pugno sul palmo aperto dell’altra. “Ma il tuo addestramento non era finito? Come mai sei qui? Sei venuta per restare?”.
Lei abbassò avvilita lo sguardo sul sentiero, non sapeva se più triste per la speranza che avrebbe di nuovo infranto, o per ciò che stava per rivelargli.
“No, Shinnosuke, ho bisogno del tuo aiuto per… per catturare Ranma”, confessò.
Sopra le loro teste volò a bassa quota un passero gigante che emise un tale ciop baritonale da far tremare la casa.
“Scusa, ho capito bene?”.
“Mi ha scoperta!”, ammise Akane rialzando frustrata gli occhi. “E presto sarà qui…”.
“Ma… ma perché devi addirittura intrappolarlo? Che è successo fra voi?”.
Lei si passò le mani sulle braccia, quando una folata di vento la investì.
“Devo convincere la Fenice Bianca che ho adempiuto alla mia missione: loro… loro vogliono che lo faccia fuori, ma io non ho alcuna intenzione di arrivare a tali estremi. Pensavo quindi di tenere Ranma nascosto quassù per un po’, mentre faccio credere alla mia organizzazione che non rappresenta più una minaccia. Magari, al mio ritorno, potrei anche riuscire a convincerlo a lasciare Tokyo…”.
“Continuo a non capire cosa c’entri lui con…”.
“Anche lui è una spia, Shinnosuke: lavora per la Tigre Nera!”.
L’amico rimase a fissarla basito per un tempo così lungo da credere che si fosse pietrificato. Akane si avvicinò e schioccò le dita davanti al suo viso.
“Scu… scusa, è che mi pare davvero incredibile questa coincidenza, sono… sono senza parole!”.
“Non dirlo a me… Allora, mi aiuterai?”, gli chiese intrecciando le dita davanti a sé nel tipico gesto di preghiera cristiano.
“M-ma certo che ti aiuterò!”, sorrise lui afferrandole le mani con le sue. Akane arrossì e temendo che Shinnosuke s’illudesse per l’ennesima volta, le ritrasse di scatto.
“Ti ringrazio”, disse allontanandosi di un passo, lo sguardo di nuovo al suolo.
“Bene, ehm…”, fece lui grattandosi la nuca. “Non abbiamo tempo da perdere, allora: cos’avevi in mente?”.


- § -


Ranma sapeva bene di non dover poggiare nemmeno un piede in quel dannato sottobosco. Il ricordo delle trappole in cui era caduto molto tempo prima era ancora vivo, ma saltare da un albero all’altro non era così semplice, con quelle bestie giganti che girovagavano indisturbate per la foresta: era già stato inseguito da un lucertolone, preso di mira da una cornacchia e molestato da un procione. Gli mancava solo di imbattersi in un ggggg… ggggggggggggggg-atto selvatico da far impallidire la stazza di Mao Mao Ling e poteva dire addio alla sanità mentale.
Fu quindi appollaiato su un ramo che osservò da lontano la catapecchia di Shinnosuke, apparentemente deserta, mentre un macaco gli spulciava i capelli.
“E sciò, tu, non ce l’ho le pulci!”, sibilò calciandolo via.
Girò tutt’attorno alla baracca, tornò al punto di partenza e attese, finché non vide lo smemorato in persona uscire dalla porta con il consueto spazzolone poggiato contro una spalla. Per un istante tornò indietro nel tempo, a quel maledetto giorno in cui dietro a quello sbadato vide spuntare Akane: lui le aveva chiesto di preparare anche la cena e lei gli aveva domandato speranzosa di rimando se poteva restare in quel posto dimenticato dai kami. Con loro. Per sempre. Gli si era gelato il sangue nell’ascoltare quella conversazione.
Invece stavolta Shinnosuke si limitò a gettare un’occhiata all’interno per salutare il nonno e chiuse la porta.
Ranma tirò suo malgrado un sospiro di sollievo, eppure Akane doveva essere arrivata lì prima di lui, a meno che non avesse preso un abbaglio e lei non lo avesse affatto preceduto. Per cui, a quell’ora, chissà dove poteva essere...
No, qualcosa gli diceva che Akane era lì, nascosta da qualche parte, anzi forse Shinnosuke stava andando proprio da lei. Doveva seguirlo.
Ranma lo tallonò per parecchi minuti, osservandolo addentrarsi in una foresta sempre più fitta, aveva quasi l’impressione di aver già percorso quel sentiero… non era quello che portava alla sorgente della vita?
Shinnosuke di colpo si fermò per guardarsi intorno, come spaesato, si grattò la testa pensoso e poi, come colto da un’illuminazione, batté un pugno sul palmo dell’altra mano. Fu allora che udì un fischio prolungato e subito dopo un corvo fuori misura decise di posarsi proprio dove lui stava appollaiato, cominciando a beccarlo in testa con un accanimento degno della leggendaria fenice. Ranma tentò di calciare via il pennuto proteggendosi al contempo con le braccia, finché stufo marcio si lanciò sul ramo dell’albero di fianco. Fu in quel preciso istante, mentre era a mezz’aria, che qualcosa lo colpì così forte dietro la nuca da farlo precipitare al suolo. Con l’agilità di un felino, si esibì in un avvitamento carpiato per atterrare sulle punte dei piedi, con le quali toccò però non il sottobosco, bensì una X bianca nascosta dalle felci, frantumando così le assi di legno che coprivano una buca.
Oh no… no!
Prima che una familiare pioggia di pietre lo colpisse sulla zucca fino a tramortirlo, Ranma riuscì però a spiccare un salto tale da accovacciarsi sul ramo che aveva pianificato di raggiungere, dove si ritrovò a guardare negli occhi Akane in persona con una fionda in mano, in parte celata dalle fronde dell’albero di fronte. E così lo aveva seguito per tutto il tempo… come diamine aveva fatto a non accorgersene?! Troppo preso a schivare scoiattoli volanti e libellule grosse come elicotteri? Ma l’irritazione per la vittoria sfumata che le donava un’espressione imbufalita lo fece a tal punto gongolare da farlo soprassedere.
“Non te l’aspettavi, eh?”, la irrise tirando gli angoli della bocca con gli indici per farle una linguaccia degna di questo nome. “Ormai non ci casco più!”.


Accidenti di un’accidenti! Era un piano perfetto! Il corvo addestrato, la smemoratezza di Shinnosuke che si poteva cronometrare al secondo una volta lasciata la casetta… Accidenti all’agilità di Ranma! E dire che c’era quasi!
Akane armò di nuovo la fionda sperando di distrarre suo marito abbastanza da impedirgli di voltarsi in tempo per schivare lo spazzolone di Shinnosuke, invece Ranma compì un salto all’indietro e atterrò sulla testa del suo amico, che lei colpiva per sbaglio in piena fronte con un sasso.
Uno Shinnosuke con le girelle al posto degli occhi piombò giù privo di sensi, mentre Ranma saltava come se fosse senza peso su un ramo ancora più alto, riprendendo a ridere a crepapelle al punto da tenersi lo stomaco.
“Era questo il tuo grande piano? Catturarmi usando le trappole di quel rintronato? Nemmeno unendo le vostre forze riuscirete mai…”.
Il cielo si rabbuiò all’improvviso, come se una nube nera si fosse materializzata dal nulla sopra le loro teste. Meno di un secondo dopo, le zampe artigliate di un falco ghermirono Ranma per le spalle e lo sollevarono nell’aria. E per un breve istante, Akane si specchiò nei suoi occhi increduli e terrorizzati, prima che il rapace si portasse sempre più in alto facendo diventare suo marito un puntolino nella volta celeste.
“Akaneeeeeeeeee!”.
Rimasta senza fiato a sbattere più volte le ciglia e ad aprire e chiudere la bocca come un pesce che annaspa fuori dall’acqua, lei si riscosse solo quando lo udì gridare di nuovo il suo nome. Solo allora realizzò con orrore che se il falco avesse lasciato cadere Ranma da quell’altezza, suo marito si sarebbe sfracellato al suolo.
No… lui non può… non può…
Brividi ghiacciati precipitarono giù per la schiena, mentre Akane riempiva con la forza della disperazione i polmoni fin quasi a farsi scoppiare il petto.
…non può lasciarmi!
“Ranmaaaaaaaaaaaaaaaa!”.

   
 
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