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Autore: Loka 98    29/12/2021    3 recensioni
Non c'erano parole, elementi, suoni, disegni, leggi della fisica che spiegavano quanto si volessero bene, quello che provavano, il modo in cui cambiavano da uno stato d'animo all'altro, da un sentimento all'altro. Soprattutto Crowley, pensava di avere un cuore più debole, incapace di provare così tante cose insieme, una alla volta o nello stesso momento.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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1.
“Ti amo lo sai?”

 

Crowley si appoggiò sul fianco, per poterlo osservare meglio.

 

“Come se non me lo avessi mai detto”

 

Avevano appena finito di fare l’amore, distesi entrambi senza niente che li coprisse se non un lenzuolo leggero e sgualcito, probabilmente anche non perfettamente pulito.

 

“Si, lo so...ma volevo dirtelo per farti sorridere”

 

“Mh” ridacchiò Crowley con uno sbuffo dal naso. “Ma tu mi fai già sorridere” gli rispose spingendosi verso di lui, per appoggiare le labbra sulle sue, ugualmente umide e rosse. “Ti amo anche io” e quando gli parlava usando quel lato romantico della sua personalità, quello che per molti anni era rimasto assopito in un angolo della sua anima, la sua voce non era fastidiosamente melensa, anzi. Era ferma, sincera, e calma. E credibile, ovviamente. Non gli calzava per nulla bene un tono appiccicoso, bambinesco e coperto da quell’alone di dolcezza che invece apparteneva all’angelo. Due modi diversi di dirsi ti amo, due voci diverse, ma con la stessa intenzione.

 

Rimasero in quel contatto per qualche secondo, immergendosi in un’intimità diversa da quella che avevano condiviso fino a poco prima, altrettanto appagante comunque, ma più fisica. Invece, appena dopo un atto d’amore di quella portata, erano entrambi abituati a rimanere vicini, ancora accaldati e con la pelle umida che non gli permetteva di avvertire il freddo di quel dicembre.

 

“Dopo averlo fatto, hai sempre un’espressione strana” commentò Crowley.

 

“Davvero?”

 

“Si” confermo sistemandogli i capelli in modo tale che non infastidissero i suoi occhi celesti. “Come se avessi appena finito di mangiare”

 

Aziraphale si scosse con una risatina innocente, mettendo una mano sul petto dell’altro, non sapendo riconoscere da quale epidermide derivasse più calore.

“Credo che rinuncerei volentieri al cibo degli umani, sta pur certo che questa è un’attività assai più piacevole e godibile”

 

“Oh l’ho visto come è godibile angioletto” lo prese in giro stringendolo a sé, con entrambe le braccia, sentendo sotto gli avambracci i suoi rotolini di carne ancora umidi dai suoi morsi.

 

“Restiamo così tutto il pomeriggio?”

 

“Credo mi debbano portare via a forza, puntandomi una pistola per bambini riempita di acqua santa alla tempia per portarmi via da te” rispose Crowley nascondendo il viso nel suo collo.

 

Aziraphale chiuse gli occhi, sorridendo a quell’affermazione che rasentava quasi lo sdolcinato, ma non glielo avrebbe mai detto. Ci mancava solo un demone irritato a cui far fronte, e in quelle condizioni, non sarebbe nemmeno stato capace di alzarsi per andare a prendere qualcosa da mangiare.

Ma alla fine, avrebbe davvero rinunciato al cibo degli umani, se avesse dovuto scegliere.

Ma per fortuna, nessuno gli avrebbe mai posto l’arduo quesito.

 

 

2.

 

Nemmeno serviva più il vino a renderli giocosi e senza freni.

Bastava la presenza l’uno dell’altro per spingerli a non darsi più un contegno. E non si trattava di un lato solo intimo e privato come potrebbe essere quello sessuale, o almeno non solo, ma di quel profilo che potrebbe esserci anche tra due normali migliori amici.

Quel cambiamento era evidente sopratutto in Aziraphale, il quale perdeva tutto il suo rigore e il suo continuo sforzo di risultare presentabile, elegante e rispettabile, e si trasformava in un bambino che aveva solo voglia di rotolarsi a terra e ridere in maniera sguaiata, facendo ogni genere di rumore dal fondo della gola e dal naso, quel rumore che ad alcune orecchie non molto abituate alle risate sarebbero sembrate inadeguate, volgari, inascoltabili, o al peggio legate proprio ad un bambino maleducato.

Poi, il fatto che invece appartenessero ad un essere che aveva circa mille volte quell’età, poco importava.

Crowley amava ridere insieme a lui: erano momenti di pura gioia, dove nessuno si preoccupava di nient’altro che non fosse alimentare quel camino di stupidaggini che li portava a diventare rossi e a non avere più fiato nei polmoni. E attenzione, che è labile il confine tra le due attività che portano ad avere esattamente quei due risultati, solitamente però, quella che si svolgeva senza vestiti addosso la si faceva dopo.

 

Quella sera invernale, dopo aver acceso un camino vero, erano entrambi incappati in una conversazione ordinaria, che aveva però svoltato in una direzione assai più goliardica e comica.

Tutto era iniziato con un bacio e una tazza di cioccolata che il demone aveva gentilmente e stranamente preparato ad Aziraphale.

 

“Grazie...non è da te toccare il cibo” gli fece infatti notare il biondo.

 

“Come sei esagerato” rispose il demone mettendosi al suo fianco. “Come se non lo avessi mai fatto. Volevo solo fare un gesto gentile verso di te”

 

“Ti ringrazio per la premura tesoro” disse sorseggiando la bevanda calda e sporcandosi le labbra di un velo marroncino, che sparì subito dopo con una passata di lingua, decisa a non perdere niente di quella delizia invernale.

 

“Non c’è di che” gli rispose gonfiando leggermente il petto, gesto che Aziraphale notò.

"Ti stai pavoneggiando?"

"Cosa?"

 

“Caro, è forse perché ieri ti ho fatto notare quanto il giovane Newt fosse romantico e dolce verso la propria innamorata durante la cena? Per questo sei così?”

 

“Così come?”

 

“Oh avanti” appoggiò la tazza sul tavolino di fronte al divano. “Ormai ti conosco. Ti sei indispettito, e sono sicuro che volessi dimostrare che anche tu fossi una persona dolce. Ma non preoccuparti caro, io lo so già”

 

Crowley lo guardò storto.

 

“Angelo credo che tu abbia frainteso” alzò le spalle. “Volevo solo farti della cioccolata, non volevo dimostrare niente!”

 

Ma Aziraphale non ascoltò, sembrava preso da una sorta di vento dolce e sentimentale.

 

“Oh caro, non puoi immaginare quanto risulti carino certe volte. Sei anche tu una persona dolce, io lo so!" 

 

Il demone era perso tra l’incredulo e lo sconcertato, un po’ per essersi sentito nominare con quell’aggettivo tremendo, un po’ per quell’ondata improvvisa colorata di rosa che proveniva da tutti i pori angelici, come se fosse un profumo per ambienti incravattato che spruzzava improvvisamente la sua fragranza stomachevole non appena percepiva un minimo di dolcezza nei paraggi. Prese la tazza di cioccolata del compagno, con un gesto veloce e inaspettato trasformò il contenuto in del pregiato vino rosso, e lo bevve tutto d’un fiato, come un’azione repentina per sbollire la rabbia.

"Alla fine, anche noi ci siamo conosciuti in maniera abbastanza romantica, non credi?” gli chiese l'angelo appoggiandosi alla sua spalla.

 

“Ma chi?!” urlò il serpente quasi biascicando.

 

Lì per lì, quel gesto, quel tono, e quella sua espressione ancora più confusa non fece altro che smuovere le emozioni del buon angelo, il quale si spostò leggermente per guardarlo.

 

“Ma...come chi, caro, noi due” disse con sguardo innocente indicando prima il demone e poi sé stesso.

Poi però le sue sopracciglia si inarcarono leggermente, e si rese conto quasi di essere indispettito da quella provocazione.

 

“Ma caro!” gli disse spingendolo via. “Sto parlando di una cosa romantica e tu mi rispondi così?” ma le sue labbra tradivano già un accenno di risata, quasi come se avesse capito che non vi erano intenzioni cattive.

 

“Angelo, prima che il tuo piccolo cuore debole esploda insieme alle tue guance, e sì, quando ti arrabbi gonfi le guance…” e in quella piccola pausa, l’angelo ne approfittò per toccarle, come se volesse verificare quanta aria vi era all’interno.

“...intendevo dire più un qualcosa del genere: ma chi, noi due? Ci siamo conosciuti in un giardino nel bel mezzo del nulla, in un giorno di pioggia, con Dio incavolato nero per quella faccenda che a solo ripensarci avrei lasciato lì quella dannata mela e me ne sarei andato a farmi gli affari miei, e tu lo descrivi come romantico?” e poco dopo aver finito, entrambi si misero a ridere.

 

Aziraphale non avrebbe mai dimenticato il tono di quel “Ma chi?!” che Crowley aveva pronunciato con così tanta naturalezza e spontaneità, nemmeno in un milione di anni. Crowley, intanto, si nutriva delle risate di Aziraphale, un po’ come si nutriva di tutte le sue emozioni, considerandole pane per la sua anima.

 

Ridere per una frase pronunciata in un tono strano, come si può ridere di cose così piccole, trovare la forza di diventare rossi e piangere dalle risate in un qualcosa di minimo, di a malapena percepibile?

Nessuno dei due seppe darsi nessun’altra risposta, tranne che il fatto che fossero innamorati, completamente persi l’uno per l’altro, li portava a non perdersi nessuna sfumatura, nessun pezzo di conversazione, alcuno sguardo, e molti di questi, erano più divertenti di altri. E una bella risata, era un ottimo modo per avvicinarsi, per scambiarsi gesti più languidi come un bacio, per poi finire a terra con un altro tipo di “ah” nella bocca.

 

3.

 

Erano quei gesti così improvvisi che Aziraphale temeva, o almeno, ne rimaneva sorpreso, quasi spaventato. Ma dopo il salto iniziale, rideva istintivamente.

Erano quelle attenzioni così insolite, che Aziraphale odiava e amava allo stesso tempo.

Un esempio, era quando Crowley prendeva la sua mano, con dolcezza infinita lo guardava, e in pochi millesimi di secondo aveva stretto la presa per non farlo scappare, tirato su la manica dell’angelo fino all’altezza che gli serviva, e azzannato la carne del suo arto, avvertendone per bene la morbidezza sotto i molari. E se non arrivava proprio ai quei denti, il demone non poteva sentirsi soddisfatto.

Aziraphale rideva e poi urlava leggermente per il dolore. Perché il rosso non gliela rendeva di certo facile, un po’ di dolore secondo lui non lo avrebbe di certo ucciso, e anzi, sarebbe stato meglio per lui.

Quando era troppo, l’angelo tirava indietro il suo braccio, promettendosi di non cascarci più.

E Crowley, gli sorrideva con quel suo fare birbante, dopo aver compiuto quel gesto tanto infantile e allo stesso tempo pregno di quella nota di malignità. Quel gesto che nascondeva intenzioni non proprio candide.

Ma che si fermavano lì, non arrivavano a qualcosa di più, solitamente. Non sempre eh. Quando i morsi si spostavano sul collo, Aziraphale non tratteneva il gemito che sempre nasceva dalle sue labbra, mista ad una risatina. E i morsi diventavano due, tre... e si sa come queste cose vanno a finire.

Così, in vari posti del suo corpo, c'era l'impronta dentale di Crowley, con i canini appuntiti che primeggiavano.

 

Segni rossi, e quando invece indugiavano per più tempo, segni violacei. E se indugiavano, voleva dire che all'angelo non era dispiaciuto affatto.

Dopo i denti, il demone usava le dita. Le usava per toccare leggermente, per stringere o per colpire. E ogni parte del corpo angelico aveva il suo preciso trattamento.

Toccava il viso, delicato e morbido, stringeva i suoi fianchi, adornati di quella meravigliosa carne soffice e abbondante, li teneva tra gli indici e pizzicava, accompagnando tutto con un gemito e un sorriso malizioso di apprezzamento.

 

"Oh tutta questa meraviglia " mormorava. "Grazie a tutta la tua ingordigia che ti ha spinto a riempire questo corpo con questa carne da mordere, addentare...così succulenta che me la mangerei"

 

"Caro, piantala su! Che cosa dici, lascia stare la mia pancia!" Ma intanto, non si allontanava di certo dalla presa del rosso, il quale si appoggiava a lui e ne approfittava per godere di tutto ben di Dio.

E con i palmi, si colpiva ovviamente. Che fosse coperto da pantaloni o scoperto, il suo fondoschiena incontrava la stretta o lo schiaffo della mano di Crowley almeno una volta al giorno. E quasi sempre, Aziraphale sorrideva di rimando, a volta accompagnando il tutto con un gemito fatto con la gola. E se era abbastanza alto da essere udito, Crowley strisciava velocemente verso di lui per accompagnare la mano con i denti. E proprio per il fatto che il demone avesse a cuore il conto in lavanderia dell'angelo, non voleva di certo sporcare i suoi pantaloni con la saliva. Un vero peccato che l'unico modo per evitarlo, dovesse proprio essere levarli e mettere in mostra la sua abbondanza.

 

Però, chissà perché, quando i pantaloni cadevano, cadevano anche tutti gli altri vestiti.

E Aziraphale non si opponeva.

A dire il vero, difficilmente lo faceva, aveva scoperto che vi era un incredibile fascino nella posizione di sottomesso. Specialmente quando facevano l'amore: lo eccitava poter essere l'oggetto di piacere del suo amato, di farsi guardare e scatenare in lui delle così forti pulsioni.

E farsi tenere fermo, o farsi muovere, a seconda del caso. Crowley dimostrava una forza sovrumana nel sollevarlo, nel riuscire a tenerlo in posizioni non proprio naturali nel mentre che gli donava piacere.

E quando i loro corpi si univano, poco importava le zone del corpo; l'importante era toccare, strizzare, e colpire. E mordere.

Aziraphale aveva imparato ad essere un gran bastardo, a provocare, a dire di no quando in realtà voleva dire di sì. Sapeva farsi desiderare, e godeva nel vedere quanto bene ci riuscisse. Era quel momento tra lo sguardo languido e voglioso e il primo bacio che portava alla camera da letto che lo eccitava maggiormente.

Sapeva usare bene la voce, usare il tono giusto per fare impazzire il compagno, sia che usasse le parole, o dei semplici monosillabi.

Facevano l'amore praticamente tutti i giorni, spinti da un insaziabile desiderio che li portava a desiderarsi e a provocarsi reciprocamente con battutine, moine varie (angeliche) e varie carezze (demoniache).

E l'attimo migliore era quando i toraci erano attaccati, gesto che in qualche modo facevano combaciare le loro anime, che in quel momento fluttuavano su qualche nuvola abbracciate.

 

Non c'erano  parole, elementi, suoni, disegni, leggi della fisica che spiegavano quanto si volessero bene, quello che provavano, il modo in cui cambiavano da uno stato d'animo all'altro, da un sentimento all'altro. Soprattutto Crowley, pensava di avere un cuore più debole, incapace di provare così tante cose insieme, una alla volta o nello stesso momento nel giro di così poco tempo.

 

Aveva scoperto che il suo cuore e la sua mente erano come una macchina che con l'angelo non si sovraccaricava, ed ogni sentimento la attivava. Questo perché la sua anima rossa impazziva quel quella azzurra. Perché sentivano entrambi che fare l'amore fosse sia una cosa fisica sia un bisogno spirituale.

Aveva imparato tanto con Crowley al suo fianco.

 

È stranamente, aveva imparato ad apprezzare di più il proprio corpo, perché Crowley gli aveva insegnato come fare. Gli dimostrava quanto oltre all'anima, amasse il suo corpo terrestre, e Aziraphale si fidava. Così, non si faceva più molti scrupoli a mangiare. Non che se ne fosse mai fatti.

Amava Crowley, e grazie a lui, amava anche sé stesso.

E per questo, non poteva fare altro che ringraziarlo.

 

 






Note:

 

Dedico questa sciocchezza a Longriffiths.

A volte torno, con piccole cose e stupitevene, non è rossa! Strano, vero? Non che l'appetito mi sia passato, anzi, ma credo che a volte sia importante lasciarsi andare a qualcosa di più tranquillo, e decisamente più fluff.

Scritta in un pomeriggio, parla di due persone speciali, dedicata ad una persona speciale.

Ti voglio bene <3

143 (prova a capire)

 

Un bacio e grazie per aver letto! Buon Natale in ritardo e buone feste!

 

Lory

 

   
 
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