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Autore: Spoocky    31/12/2021    1 recensioni
Il titolo della 8x03 di "X-Files" è "Umano?" Questa one-shot, che racconta i postumi dell'episodio, si propone di dare una risposta, non tanto riguardo sul mostro della settimana, quanto sull'agente Doggett.
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Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dana Katherine Scully, John Doggett
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer: i personaggi ed il loro contesto appartengono esclusivamente agli aventi diritto. Questo è un piccolo gioco di fantasia, non a scopo di lucro.

Buona Lettura ^^

Le strida della creatura, che fosse viva o morente, si persero nella notte e Scully rimase china sul corpo di Doggett, steso a terra svenuto.
Considerando scampato il pericolo immediato, il suo addestramento di medico entrò in azione, spingendola a valutare le lesioni subite dal collega.
Era bagnato fradicio e il suo respiro era rapido e superficiale. Poggiando l’orecchio sul suo torace sentì chiaramente il rumore dei polmoni pieni di liquido. Le fu sufficiente per diagnosticare un principio d’annegamento, non pericoloso al momento, ma che bisognava tenere d’occhio per evitare una sindrome da annegamento secondario.
Il suo collega era pallido e tremava, cosa più che comprensibile: pur non essendo una notte fredda, era pur sempre bagnato fino al midollo e in maniche di camicia, ma non dimostrava sintomi d’ipotermia né cianosi. Il pericolo maggiore, dunque, era rappresentato dalle profonde ferite che gli aveva inferto la creatura. Oltre al morso sul collo, per sua fortuna troppo superficiale per lesionare i vasi sanguigni più importanti, ne aveva altri sulle spalle, sul petto e sui fianchi. Gli aveva solo intravisto la schiena ma sapeva per certo che ne aveva anche lì.
Quello era il problema più grave: Doggett sanguinava ancora, e stando all’esterno sarebbe stato esposto al freddo umido della notte, oltre che a un eventuale secondo attacco del pipistrello antropomorfo, sempre che fosse ancora vivo.
I cellulari, però, non avevano campo e la creatura aveva danneggiato l’antenna della radio.
Certo, il noleggio a cui avevano affittato la barca e lo sceriffo sapevano dov’erano diretti, ma prima che li trovassero sarebbero potute passare ore, e Doggett aveva bisogno di aiuto subito.
Scully non era tuttavia in grado di trascinarlo in casa da sola, tanto meno sollevarlo di peso. Se anche non fosse stata incinta, la differenza di peso e altezza sarebbe stata comunque eccessiva.
Non ebbe altra scelta se non compiere un gesto che, in altre circostanze, avrebbe eseguito ben più volentieri: alzò il braccio e diede un violento schiaffo sul viso del collega.
Il sollievo che si sarebbe aspettata di provare nel colpire l’uomo che si era introdotto di prepotenza nella sua vita, usurpando il posto di Mulder, non arrivò mai. Provò invece un forte senso d’urgenza, e un’ancora più grande preoccupazione quando Doggett non reagì.
Dovette colpirlo diverse volte prima che sussultasse e, tossendo, cercasse alla cieca di afferrarle il polso per farla smettere: “Che diavolo fa?” le chiese, con voce rauca.
“Mi dispiace.” Sospirò lei, cercando di ricomporsi “Ma non possiamo restare allo scoperto e, purtroppo, non riesco a sollevarla. Mi dispiace, ma devo chiederle di alzarsi: l’aiuterò ad entrare e allora potrò valutare con calma le sue ferite e prestarle i primi soccorsi.”
“Certo.” Assentì lui, conscio della gravità della situazione “Mi dia una mano.”

Doggett riuscì ad alzarsi in piedi, seppur faticosamente, ma fu subito colto da vertigini.
Scully gli passò un braccio dietro la schiena e gli prese una mano, aiutandolo a stabilizzarsi: “Piano, faccia piano.”
I capogiri si alleviarono e l’agente fece un esitante passo avanti. Nonostante s’appoggiasse pesantemente alla parete della capanna, Scully dovette sorreggerlo per tutto il tragitto.
Quando riuscì a adagiarlo sul divano, Doggett tremava e respirava a fatica.
Seppur provato, l’uomo riuscì comunque ad accorgersi dello sguardo della collega, fisso su di lui: “C’è altro?”
La donna arrossì: “Dovrebbe spogliarsi: se tiene i vestiti bagnati rischia l’ipotermia e complicanze polmonari.”
“Giusto.” Rispose lui, iniziando a sfilarsi la cravatta.
“Nessuna obiezione?” si stupì la collega.
“Beh, lei è anche medico. Immagino che sappia quello che fa.”

Le mani gli tremavano tanto che lei dovette aiutarlo, slacciandogli addirittura le scarpe e la cintura, ma distolse pudicamente lo sguardo mentre si sfilava i boxer, lasciandoli cadere sul pavimento con un tonfo bagnato.
Sempre senza guardarlo, gli allungò un asciugamano pulito recuperato dal bagno.
Doggett se lo avvolse sui fianchi, e Scully ne usò altri per tamponare il resto del suo corpo tremante, strofinandogli anche i capelli per asciugarli il più possibile.
Ernie aveva in casa un nutrito kit di Pronto Soccorso e lei poté disinfettargli le ferite.
Intrise dei tamponi di disinfettante e li passò con cura sulle profonde lacerazioni sul corpo del collega. Doggett si stava evidentemente sforzando di restare quanto più fermo possibile ma tremava di freddo e sussultava sempre più spesso per il dolore che lei, involontariamente, gli provocava.
Per sua fortuna, le sue ferite erano prive di corpi estranei e Scully riuscì a rallentare drasticamente l’emorragia con delle medicazioni a pressione sulle ferite più profonde, su altre i cerotti d’avvicinamento furono sufficienti, invece.
Coprì le ferite con delle garze e lo fasciò con cura, per quanto poté, usando il cerotto medico per fissare le ultime medicazioni.
Quando ebbe finito, alzò lo sguardo sul collega.
Il viso di lui, già pallido, aveva perso altro colore ed era tanto debole da non riuscire a tenere su la testa.
Impietosita, Scully gli passò una mano dietro la nuca e lo aiutò a stendersi sul divano. Fu lei stessa a adagiargli il capo sul cuscino, poggiandovelo con la stessa delicatezza che avrebbe usato per un neonato.
Vedendolo sofferente ed infreddolito, la donna recuperò una bracciata di coperte da una cesta.
Coprì innanzitutto il cadavere di Ernie, ma ne stese altre due sul corpo del collega ferito.

Gli stese poi una mano sulla fronte, madida di sudore algido, per sentirne la temperatura.
Lui rabbrividì e gemette piano, muovendosi sotto le coperte come se cercasse una posizione comoda. Non aveva la febbre, non ancora almeno, anzi: la sua pelle era ancora molto fredda.
“Come si sente, agente Doggett?”
“Non bene.” Gemette lui, e diede due colpi di tosse “Sento freddo.”
Scully gli posò di nuovo la mano sulla fronte, sentendola ancora fredda e sudata: “Tenga duro, cerco d’inventarmi qualcosa per aiutarla.”
“Siamo da soli?” Domandò lui, con voce rauca, tra i colpi di tosse.
“Purtroppo, sì: il telefono non ha campo e la creatura ha danneggiato la radio di Ernie. Sono sicura che lo sceriffo manderà qualcuno a cercarci ma, fino ad allora, dovremo cavarcela da soli.”
“Fortuna che lei sa cosa fa.” sospirò lui, sollevato.
Scully, che si aspettava un commento sarcastico, si sentì investita della responsabilità della vita del collega e della sua fiducia.
Si soffermò a guardarlo: ferito ed esausto, il viso pallido segnato da profonde occhiaie e rughe di dolore, le labbra strette e i masseteri contratti sui denti serrati. Le pesanti coperte che lo avvolgevano lasciavano appena intravedere la linea delle spalle ed i fianchi stretti. La consapevolezza che, sotto quello strato di stoffa, fosse nudo e ferito, del tutto indifeso, le fece stringere il cuore nel petto.
Steso su quel divano roso dalle tarme, l’imperturbabile agente Doggett aveva un aspetto spaventosamente fragile. Se Scully, all’inizio, avesse avuto dei dubbi sulla sua umanità, le sue condizioni in quel momento li avrebbero tutti. Anche Doggett, in fondo, era un essere umano: sanguinava, tremava di freddo, soffriva e, soprattutto, poteva morire.
Il pensiero che potesse succedergli qualcosa di male, dopo che si era esposto per proteggerla, le fu insopportabile e subito si mise alla ricerca di qualcosa che potesse alleviare, almeno un poco, la sua sofferenza.

In un anfratto del cucinotto trovò una stufa elettrica.
L’accese e vi stese vicino un asciugamano pulito, per scaldarlo.
Trovò anche un piccolo fornello a gas e un bollitore. Riempì il recipiente d’acqua e lo mise a scaldare sul fornello.
In un'anta della credenza rinvenne alcune bustine di tè e tisane e due tazze, pulite, grazie a Dio.
Scelse un Earl Grey per sé e un infuso di malva e melissa per Doggett. Bere qualcosa di caldo lo avrebbe aiutato a ristabilire la temperatura corporea, e un infuso di erbe dalle proprietà rilassanti ed antidolorifiche, anche se meno efficace di un farmaco, avrebbe lenito un poco il suo dolore, mentre il tè avrebbe rischiato di provocargli delle aritmie.
Mentre l’acqua bolliva, Scully controllò l’asciugamano: era già caldo.
Lo prese e si diresse al capezzale del collega.
Doggett sembrava addormentato, ma sussultò e gemette quando lei ripiegò le coltri, scoprendogli il petto.
“Shh, shh, va tutto bene, tranquillo. Questo la terrà al caldo.”
Gli stese addosso l’asciugamano, avvolgendoglielo attorno al torace e premendo con delicatezza per far aderire l’impacco. Il calore dovette alleviare gli spasmi intercostali causati dal freddo umido, perché Doggett trasse un sospiro di sollievo, abbandonandosi sul divano, e parve subito respirare meglio. Si portò cautamente una mano sul ventre, come per tenere in posizione l’asciugamano caldo e Scully gli aggiustò addosso le coperte, rimboccandogliele con cura sulle spalle.

S’accorse allora che l’acqua aveva iniziato a sobbollire, e tornò nel cucinotto per riempire le tazze.
Attese che si raffreddassero abbastanza da poterle bere senza scottarsi e, appollaiata su un alto sgabello, guardava alternativamente fuori dalla finestra e verso il collega ferito.
Doggett giaceva immobile come lo aveva lasciato, troppo debole per muoversi. Lo sentiva respirare, soffocare un gemito quando pensava che non lo sentisse e, ogni tanto, tossire. Nulla di preoccupante, una semplice conseguenza della sua disavventura nel fiume. Le vie aeree sembravano libere, ma Scully continuava a monitorarle con l’orecchio teso, per cogliere il minimo segno di un possibile annegamento secondario, una circostanza non del tutto da escludere, sebbene non se ne fossero ancora presentati i sintomi.
Fuori dalla capanna, la notte era silenziosa, invece, troppo silenziosa. Se, da una parte, il non udire alcun suono riconducibile alla creatura la rassicurava, dall’altra il non avere alcun segno di possibili soccorritori in arrivo non la lasciava tranquilla.
Il suo collega pareva stabile, ma poteva avere un’emorragia interna o un principio d’infezione ai polmoni. O la creatura avrebbe potuto tornare all’attacco dopo essersi leccata le ferite.
Tante cose potevano andare storte e lei poteva contare solo su pochi proiettili per proteggere la vita del collega e la propria.

Un lamento, più un grido soffocato che un gemito, spezzò la quiete della capanna e Scully scattò in piedi. Posò le due tazze su un tavolino vicino al divano e accorse al capezzale del collega.
Doggett, che non si era reso conto di averla accanto, gridò di nuovo e Scully s’accorse che, sotto le coperte, si era stretto le braccia attorno al torace.
Impietosita e preoccupata, stese una mano sulla sua fronte madida, pettinando all’indietro i suoi corti capelli castani. Lui sussultò e gemette di nuovo.
Doveva sentirsi davvero molto male per rinunciare ad ogni pretesa di stoicismo, dato che aveva emesso solo un ansito prima di svenirle davanti, dopo aver sparato alla creatura.
“Che le succede, agente Doggett?” cercò di usare un tono calmo, rassicurante, e non smise di passargli le dita tra i capelli “Non abbia timore, voglio solo aiutarla.”
“Crampi.” Ansimò lui, a denti stretti, tra i lamenti “Fa male.”
“Lo so.” Scully infilò cauta una mano sotto le coperte, trovata quella di lui, la strinse “Gli spasmi muscolari sono molto comuni, purtroppo, nelle sue condizioni.” Si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione “Dannazione! Non ho nemmeno nulla da darle.”
“N’ si preoccupi. Ah… as…aspetterò che passi.” La sua voce era ridotta a un soffio e il respiro affaticato tradiva la sua sofferenza.
Quella fase acuta si protrasse per oltre mezzora e, per tutto il tempo, Dana rimase accanto al collega, maledicendo sé stessa per non poter fare altro che carezzargli i capelli e tenergli la mano.

A poco a poco, però, gli spasmi si placarono, lasciando l’agente Doggett esausto e senza fiato.
Scully ne approfittò per recuperare le due tazze, trovandole ancora calde ma non bollenti. Un’ulteriore ispezione delle credenze le permise di trovare un barattolo di miele e dei cucchiaini.
Tornata accanto al divano, s’accorse che il collega era ancora cosciente, per quanto debole.
“John.” Lo chiamò, posandogli una mano sulla spalla “John se la sente di bere qualcosa?”
Lui non rispose, ma lo vide cercare di umettarsi le labbra con la punta della lingua.
“La tisana le toglierà un poco la sete e, poiché è ancora calda, dovrebbe scongiurare il rischio d’ipotermia. In teoria dovrebbe anche aiutarla a rilassarsi un poco. Se la sente?”
“Va bene.” Un sussurro, appena udibile “Va bene.”
Gli fece scivolare una mano dietro la nuca e gli posò l’altra sul petto: “Mi dispiace, ma devo chiederle di tirarsi un po’ su. Ha ancora la tosse e non voglio rischiare.”
Lui annuì e si sforzò di pesarsi sui gomiti, gesto che gli strappò un grido di dolore, mentre lei gli fece scivolare un altro cuscino dietro la testa, inclinandogli il collo abbastanza da permettergli di bere la tisana senza farsela andare di traverso.
“Ecco qui. Faccia piano. Piano.” Si raccomandò lei nell’accostargli la tazza alle labbra.
Gli resse la nuca e lo aiutò a sorbire l’infuso, un breve sorso alla volta, finché non ebbe finito.

Doggett non le disse nulla, nemmeno per ringraziarla, ma ebbe il sospetto che si fosse addormentato ancora prima che gli posasse di nuovo il capo sul cuscino.
Era ancora molto pallido, aveva il viso e le mani gelide, ma aveva smesso di tremare ed il suo respiro era migliorato. Posandogli le dita sulla giugulare, sentì un battito abbastanza regolare da permetterle di considerarlo fuori pericolo.
Sollevata, Scully gli aggiustò addosso le coperte e tirò una sedia vicino al divano prima di recuperare il suo tè, pronta ad una lunga veglia.
Alle prime luci dell’alba, finalmente, la quiete della capanna fu interrotta dalle pale di un elicottero e dal suono delle sirene.
 
- The End -
 
 
  
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