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Autore: Neamh Moonstar    04/01/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno o buonasera a tutti (e buon anno, ovviamente)!

Questo è il mio secondo AU dopo "Spire Protettive", ed è una trovata relativamente recente della mia testa fuori di sé stessa e instancabile. Dato che ho finalmente raccolto abbastanza idee e ispirazione da buttare giù, ho deciso di postare questo primo capitolo prima dell'ultimo di "Come in cielo, così in terra".

Parole scurrili (ma neanche troppissimo) a parte, ho deciso di mantenermi sul rating verde, con la consapevolezza che le cose potrebbero cambiare in futuro. Sappiate comunque che non penso andrò mai oltre il giallo, quindi - a meno che non siate particolarmente sensibili - potete stare tranquilli.

Anche questa fanfiction sarà più lunga di tre capitoli, ma non saprei dare un numero preciso. Il tutto dipenderà da come deciderò di organizzare le idee.

Detto ciò, vi lascio alla lettura. Un bacio,

Neamh


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[...] Per portarmi all'Inferno, quella furia

tenta l'angelo buono a allontanarsi

e del mio santo vuole far demonio

sporcando la purezza con lussuria;

che l'angelo si sia già trasformato,

io lo sospetto, non posso saperlo;

coi due lontani e tra di loro amici,

li immagino scambiarsi il loro inferno.

Mai lo saprò, nel dubbio sempre sono,

finché il cattivo poi non scacci il buono.


- William Shakespeare, Sonetto 144


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Michael camminava freneticamente avanti e indietro, come spesso faceva quando qualcosa lo turbava particolarmente. Aveva le braccia incrociate, il volto duro e stoico, le sue ali candide dai riflessi azzurrini perdevano qualche piumetta di tanto in tanto - a causa del celato nervosismo. Come sempre, la sua perfetta e candida armatura, i suoi capelli biondi raccolti in un'acconciatura che era un'opera d'arte e la spada lucente legata al suo fianco, facevano sentire Aziraphale terribilmente piccolo.

C'erano solo loro due nella grande e bianca sala della fortezza, avvolti dalla luce del Paradiso e circondati dal costante incedere dei passi dell'Arcangelo dal volto di donna. Quel ticchettio contribuiva a rendere l'altro sempre più nervoso, come si poteva evincere dal modo stressato in cui si stava stropicciando le mani. 

    Dopo aver quasi consumato le mattonelle del pavimento a forza di marciarci sopra, Michael - capo assoluto dell'Armata del cielo, nobile condottiero e ammazza-draghi di professione - parlò: «Sei assolutamente sicuro di quello che dici?»

    E Aziraphale - guardiano ufficiale del cancello orientale dell'Eden, giardino eretto da Dio attorno alla fortezza - annuì, facendo rimbalzare i suoi riccioli color platino: «È come vi ho detto. Gabriel stesso è venuto a riferirlo, dicendomi di dare il messaggio il prima possibile.»

    «Controllerò io stesso non appena lo rivedrò,» disse l'altro riprendendo a girare nervosamente a destra e sinistra. «Un'arma segreta...» mugugnò. «Dannati demoni. Cos'avranno in mente?»

L'angelo non lo sapeva. Strinse ansiosamente l'elsa della sua spada di fuoco, rimuginando su ciò che gli era stato riferito poco prima quella stessa mattina.

Gabriel - Arcangelo messaggero e uno dei suoi diretti superiori - gli era piombato davanti mezzo ferito, gli occhi viola sbarrati e increduli. Come sempre, era andato di persona verso i confini del Regno del Male per cercare di carpire eventuali informazioni utili. Era un lavoro pericoloso: nessun angelo comune si sarebbe mai azzardato ad avvicinarsi ai cancelli dell'Inferno. Entrare in contatto con i demoni significava morire.

Bene e Male erano incompatibili in molti sensi. Da quando era nata la schiera ribelle, l'odio che gli angeli disertori e quelli rimasti fedeli avevano sviluppato gli uni contro gli altri si era velocemente trasformato in una specie di maledizione. Il semplice sfiorarsi - una strisciata involontaria, un tocco d'ala - avrebbe provocato dolore a entrambi. La vicinanza fisica prolungata avrebbe causato la consumazione dei loro corpi divini. In parole semplici: angeli e demoni non potevano toccarsi. Sarebbe stato come mescolare acqua santa e fuoco infernale nella stessa boccetta (ed era già capitato che qualcuno ci provasse, finendo martoriato dalla peggiore delle esplosioni).

Quindi, a giudicare dalle sue condizioni, Gabriel doveva essersi immischiato in una rissa di quelle potenti. Si era imbattuto in un piccolo gruppo di umani dall'aria losca - il che può sembrare stupido, perché tutti gli umani al servizio dell'Armata del Male erano loschi - e li aveva seguiti. C'erano voluti giorni, ma l'Arcangelo era infine arrivato a carpire ciò che lo aveva tanto spaventato. A seconda di ciò che aveva ascoltato, infatti, il capo stesso dell'Inferno - Satana in persona - aveva in mente un piano che da solo avrebbe rovesciato la Terra. Una specie di arma segreta, appunto, nata dalle viscere stesse del suo Regno.

La situazione aveva causato un tumulto terribile in meno di due secondi. Gabriel doveva essere stato scoperto all'ultimo, finendo per creare una breccia di informazioni che adesso avrebbe causato uno squarcio tra le due già bellicose fazioni. E la cosa ad Aziraphale non piaceva proprio per niente.

    «Sarà meglio che torni al tuo posto,» gli ordinò Michael con un'occhiata così dura da sembrare di marmo. «E vedi di non distrarti come tuo solito. Al momento non possiamo assolutamente permettercelo.»

    Il guardiano trattenne un sospiro a stento. Sapeva che incontrare il guerriero avrebbe significato ricevere una ramanzina: succedeva praticamente sempre. «Vi prometto che farò attenzione,» disse, cercando di apparire rispettoso.

    «Certo,» soffiò Michael. «Come la volta in cui hai quasi perso la tua arma.»

    Di nuovo con quella storia? Ormai Aziraphale si sentiva marchiato a vita. Non lo aveva fatto apposta: aveva poggiato la spada perché in quel momento non gli era utile - anzi, a dirla tutta non gli era mai stata utile - e aveva iniziato a dare uno sguardo a gli umani da sopra le mura. Faceva parte del suo lavoro anche quello, in fondo, ed era la parte migliore. Adorava osservare quelle creature vivere ed espandersi sotto la protezione del Paradiso. Gli umani al loro servizio erano gli esseri più dolci, coraggiosi, responsabili... Avrebbe dato la sua arma pur di venire declassato a custode, in modo da poter lavorare accanto a loro.

    «Non fare quella faccia,» lo rimproverò il guerriero. «Dio ti ha dato una mansione ed è tuo dovere svolgerla al meglio. Chiaro?»

    L'altro annuì: «Chiaro. Posso andare?»

Fortunatamente, Michael lo congedò con un cenno del capo, ed Aziraphale poté uscire da quella stanza vuota ed accecante per ritirarsi nel suo personale angolo di giardino.


Il sole splendeva come sempre nella metà buona della Terra. Dall'alto del muro dove lavorava, il guardiano si mise a rimuginare su ciò che era trapelato. Ciò avrebbe significato la guerra imminente? Probabilmente sì, e Aziraphale odiava la violenza. Da un lato, il più grande vantaggio del suo lavoro era proprio quello: il non dover uccidere nessuno - se non in caso di intrusi. Sperò ardentemente che al generale non venisse in mente di inserirlo in prima linea in caso di effettivo scontro.

E tutti quei poveri umani... Quando le Armate del Bene e del Male battibeccavano - e quindi molto spesso - evitavano volentieri di rischiare lotte dirette e mandavano i loro mortali sottoposti a farlo per loro. Negli scontri peggiori, quei piccoli eserciti altro non erano che una spalla sacrificabile.

«Fa' che sia solo tutto uno stupido errore,» mormorò l'angelo ad un punto imprecisato del cielo sereno. Era una supplica stupida e lo sapeva. l'Inferno non scherzava mai riguardo alle sue minacce: i demoni erano naturalmente crudeli e subdoli ma, soprattutto, sempre pronti a mettere il bastone tra le ruote alle loro controparti. 

Però, se c'era qualcuno abbastanza potente da poter migliorare le cose, quella era Dio - Grande Madre di tutti, Preservatrice del lato buono di umanità, Capo del Paradiso e Terrore dell'Inferno. Colei a cui tutti gli angeli si affidavano, dai più bassi ai più alti nella scala gerarchica che caratterizzava il loro Regno.

«E se proprio dobbiamo ucciderci a vicenda,» mormorò Aziraphale, guardando l'elsa infuocata della sua spada con aria mesta, «Fa' almeno che non sia un genocidio totale di esseri umani».


~•°•~


    «Tu hai fatto cosa?!» Gridò Beel, facendo tuonare la sua voce nella grande stanza buia e soffocante. Perché diamine il suo superiore avesse così tanti scaffali pieni di roba che non avrebbe mai letto, Crowley non lo sapeva.

L'unica cosa di cui il demone dai lunghi capelli rossi e gli occhi di serpente era sicuro, era che "Beel" - così chiamava il capo dei demoni, Signore delle mosche - non era affatto contento del resoconto. Le pustole sulla sua faccia parevano infatti ribollire e i suoi già normalmente scombinati capelli corvini ergevano ritti sulla sua testolina come spilli. Inoltre, aveva sbattuto i pugni serrati sulla scrivania fissandolo come se volesse incenerirlo sul posto - e ne sarebbe stato capace.

    Facendo ricadere le braccia lungo i fianchi, Crowley rispose: «Ve l'ho detto. Ho dovuto attaccare l'Arcangelo spione. Andiamo, un minimo sindacale di riconoscimento! Ho quasi perso un braccio!»

Ok, forse stava esagerando, ma il contatto non era stato affatto piacevole e lo aveva lasciato mezzo sanguinante.

    «Te lo sei fatto scappare, ecco cos'hai fatto!» Esclamò l'altro, tenendo a freno un paio di ronzii nervosi. «Avrà sicuramente avvertito gli altri.»

    Quello era poco ma sicuro, pensò il rosso alzando al cielo gli occhi dorati. «Sa, non sono stupido,» rimbeccò con un sorrisetto. «L'ho seguito strisciando fino alle mura dell'Eden. So chi ha contattato.»

Lo disse con un orgoglio smisurato. Era la migliore spia e il miglior infiltrato dell'Inferno: spesso e volentieri si era spinto verso le sacre mura - senza entrarci, ovviamente. Era pazzo, ma non così pazzo da provarci. Non a caso lo chiamavano "il serpente dell'Eden".

«Perciò potete mandare qualcuno dei vostri migliori combattenti e andare a vendicarvi,» concluse.

    «Come se questo potesse cambiare le cose,» sputò Beel, ancora adirato. «Però sì, immagino che spargere un po' di sangue angelico sia il modo migliore di rabbonire il Nostro Signore.»

Ah già. Satana - Signore del Regno del Male, Primo Ribelle - sarebbe stato presto messo al corrente della situazione. Gli umani coinvolti nel misfatto avrebbero perso la lingua, come minimo, e l'Inferno sarebbe stato messo a repentaglio dal suo malumore. Il solo pensiero fece venire a Crowley un ipotetico voltastomaco: vivere in quella fortezza buia, maleodorante e dalle pareti grondanti di chissà cosa era già abbastanza schifoso di suo, grazie.

    «Manderò qualcuno ad occuparsi dell'Arcangelo,» riprese l'altro tamburellando le unghiette sulla superficie di mogano. «In quanto a te: dato che ti piace cogliere gli angeli alle spalle, potresti occuparti del suo contatto.»

    Il rosso sbarrò gli occhi davanti al sorrisetto sardonico di Beel. «Come, scusi?!» Esclamò, «Che c'entro io con gli attacchi? Questo è stato un caso strano. E poi- cioè, quello-» incespicò. Il suo superiore si stava divertendo, ci avrebbe scommesso. «I guardiani di quelle mura ssono perennemente armati! Ssono peggio dei guerrieri,» sibilò. «Quello lì ha una fottuta sspada di fuoco!»

    «E allora?» Disse l'altro, in tutta risposta. «Meglio una lama fiammante che il contatto diretto.»

Quella era pazzia. Gli angeli armati erano dei maledetti lecchini pronti ad uccidersi pur di sconfiggere un demone, anche se ciò significava commettere quello che gli umani chiamavano "omicidio-suicidio". Era anche per quello che Crowley amava il suo ruolo: era quello con minore possibilità di scontro, salvo casi rari come quello di quella mattina. Gli dava la possibilità di strisciare dove voleva, rintanarsi dove voleva e curiosare dove voleva; insomma: era il modo migliore per combinare malefatte e tenere d'occhio le loro controparti divine allo stesso tempo.

Perciò, avere una rissa vera e propria dalla quale doveva uscire vincitore, non era esattamente nelle sue corde. Provò a controbattere ma sapeva bene che il coltello dalla parte del manico ce l'aveva il minuto ma potente Belzebù, in quel momento - anzi, sempre.

    «Non guardarmi in quel modo, serpe,» sghignazzò quest'ultimo. «È molto meglio di tutte le punizioni corporali che mi stanno venendo in mente.»

    Un moto di rabbia e terrore portò Crowley a stringere i pugni. «D'accordo, d'accordo. Ho capito,» rispose, digrignando i denti ora più affilati del solito. «Farò come chiedete. Ora posso andare?»

    «Sì, sparisci,» lo liquidò Beel con un gesto noncurante della mano. «E non tornare fin quando non avrai fatto il tuo lavoro.»

Con un gesto del capo, Crowley girò i tacchi e volò fuori dalla stanza, iniziando a marciare fuori dalla fortezza. Spinse violentemente chiunque gli sbarrasse la strada, maledicendo i corridoi stretti e sovraffollati del quartier generale dei demoni, attirando su di sé diversi insulti e sputi. Era così incurvato che le sue ali nere dai riflessi bluastri si erano messe a spazzare il polverosissimo pavimento.


La parte di Terra immersa nel male era grigiastra e fredda, come sempre. Normalmente, Crowley avrebbe adorato passeggiare in mezzo alla nebbia, ma in quel momento non poté che tenere lo sguardo fisso verso l'orizzonte. Laggiù, oltre il Confine, c'era il Regno di Dio che tante volte aveva visitato. Ormai si era abituato al senso di bruciore e nausea che la santità di quel luogo gli provocava, e avrebbe potuto trovare la strada verso l'Eden in due minuti - con gli occhi bendati, per giunta.

Il motivo della sua venuta, però, non sarebbe stata la semplice curiosità o il semplice dovere, stavolta. Avrebbe voluto staccarsi la lingua lunga e biforcuta a morsi - accidenti a lui.

«Stupido Arcangelo, stupido piano malvagio di conquista della Terra,» brontolò. 

Si prospettava davvero un pomeriggio orrendo.


   
 
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