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Autore: AliceDaQuelPaese    04/01/2022    3 recensioni
Se c'è una cosa che non sopporto è l'invadenza del buon vicino di casa.
Proprio non lo digerisco.
Genere: Comico, Commedia, Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Andrea era sempre stato così buono con tutti. Era persino riuscito a farsi dare una medaglia dal Sindaco in persona. In Municipio con la banda, i giornalisti, l’applauso dei cittadini. Un premio per aver salvato una intera famiglia da una casa in fiamme.

Moglie, suocera e cognata.

Le mie.

Sì, la famiglia era la mia. E mio era l’incendio. Mia l’idea del corto circuito. E pure l’alibi sarebbe stato mio, se tutto fosse andato per il verso giusto.

Era il piano migliore del mondo. Mandato a gambe all’aria da un vicino in vena di buone azioni. Maledetto boy scout.

E la volta che sentì quel rumorino nella macchina di mia moglie? «I freni, cara, devono essere i freni». E si era offerto di controllarli nel suo garage. E li aveva trovati “consumati”. Due giorni di lima ci avevo messo! E avevo pure dovuto ringraziarlo. «Ma di niente, figurati. Però, tu stacci più attento. Può essere pericoloso».

Avevo sabotato la stufa a gas perché esplodesse all’accensione. La mattina, era venuto a portare delle mele dell’albero del suo giardino. Risultato: niente pompieri davanti a casa mia né poliziotti empatici con la notizia della morte delle mie congiunte.

Avevo danneggiato l’impianto elettrico perché mia suocera si schiantasse scendendo in cantina a luci spente e lui aveva trovato il guasto. Segato il gradino alto della scala che mia cognata usava per salire in soffitta e lui l’aveva riparato. Scambiato il detersivo per il bucato con la soda caustica e lui se n’era accorto dalla “grana della polvere”. Bucato il tubo del gas della cucina e lui aveva chiamato i pompieri.

Più il piano era ingegnoso, più lui sembrava divertirsi a smontarlo, per il solo gusto di farlo e di potermi rimproverare di essere un uomo distratto.

Ma quanto ci godeva a dirmi di stare più attento.

L’avrei ammazzato. Strozzato con le mie mani. Accoltellato con gusto.

“Aspetta, Giorgio”. Mi ero detto una domenica mattina che rimuginavo sull’ennesimo piano andato male. “Perché no? In fondo, potrebbe tornare utile alla causa”.

Nessun piano sembrava funzionare. Forse avevo bisogno di fare pratica.

Quale modo migliore che farla su di lui?

Regalai a mia moglie, a mia cognata e a mia suocera un intero weekend alle terme.

Invitai Andrea ad una cena tra uomini. «C’è la finale di Champions. Pizza, birra e rutto libero?»

Rise ed accettò.

Arrivò puntualissimo, con le sue birre artigianali ghiacciate, comprate, ne ero sicuro, con il solo scopo di far sfigurare le mie del supermercato.

“Paghi anche questa”.

Lo accolsi con il primo bicchiere della serata. «Iniziamo con uno spritz».

Sorrise e fece tintinnare il suo bicchiere contro il mio.

“Bevi, caro, bevi”. Il bitter e le bollicine avrebbero coperto il sapore del sonnifero che avevo aggiunto al cocktail.

Si accomodò sul divano davanti alla tv e iniziò a commentare la partita. Contropiede, pressing, marcatura… Era ancora più noioso degli speaker alla tv.

Ordinammo le pizze. Quando arrivarono, andai in cucina a stappare le sue birre e lasciai scivolare dentro la sua un’intera boccetta.

Non ne potevo più di sentire la sua voce. Volevo stenderlo.

Mangiava e parlava di calcio. A me, che non avevo mai capito la differenza tra un terzino e uno stopper.

«Non è uno spettacolo, lui?» Chiese con orgoglio indicando un tipo in calzoncini corti. «Io ce l’ho anche in squadra».

«In squadra?»

«Al fantacalcio». E mi guardò come doveva aver guardato la mia stufa modificata. Masticando e sputacchiando si appassionò a spiegarmi le regole, i punteggi, la posta in gioco, con la voce sempre più strascicata e gli occhi che non riuscivano più a puntare i miei.

Iniziai a fargli domande e lui si sorprese del fatto che non riusciva a darmi delle risposte coerenti.

«Forte questa birra». Fu l’ultima cosa sensata che riuscì a dire, mentre osservava un filo di bava che colava sin sopra la maglia celeste della squadra del cuore. Provò ad alzarsi, ma l’unico risultato fu di perdere l’equilibrio e di cadere con la testa sullo spigolo del tavolino di fronte al divano.

Mi gettai su di lui per finirlo, ma mi resi conto che non ce n’era bisogno. Non respirava più. Gli tastai il polso. Nessun battito.

Mi caricai sulle spalle quel corpo per portarlo in cantina e far sparire le tracce.

Inizialmente avevo pensato di seppellirlo nelle campagne vicino, ma cinghiali e cani selvatici avrebbero potuto far trovare il corpo. Avevo poi pensato di bruciarlo, ma l’idea dell’odore non mi aveva fatto chiudere occhio.

E non solo quella notte: era l’unico particolare che mancava al mio piano.

De Matteis aveva risolto il mio dilemma. Il mio dirigente, dopo aver scampato l’arresto per truffa ai danni dello Stato, aveva deciso che quest’anno, al posto della solita festa pre-natalizia, «… dove non fate altro che gozzovigliare e ubriacarvi, voialtri», i suoi dipendenti avrebbero preparato la cena in una mensa dei poveri.

«Perché è lì che rischiate tutti di finire, se non la piantate con questa vita materialista, voialtri», aveva ribadito, con il Rolex che brillava da sotto il polsino.

«Io porto lo spezzatino». Proposi senza esitazioni.

«Questo è lo spirito giusto. Bravo Bini!»

   
 
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