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Autore: JeanGenie    05/01/2022    3 recensioni
"Armitage Hux aveva iniziato a parlare. Di suo padre, dei suoi mentori, della sua infanzia e della sua vita. E Rose trovava interessante ascoltarlo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Generale Hux, Rose Tico
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La via per Endelaan'
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(Questa storia è stata scritta per il Writober 2021.

Prompt: Enemies to lovers

Lista: pumpFIC

IMPREVISTO E INTERESSANTE 


All’inizio era stata una sorta di vendetta. Quando aveva ricevuto quel messaggio da parte di Ryth Colo, Rose era rimasta a fissare il vuoto per un tempo indefinito, poi era partita senza dare spiegazioni a nessuno su una nave passeggeri.

Con il pensiero di Hays Minor, era arrivata a Coronet e al suo centro medico, coltivando desideri cupi e una tristezza divorante. 
Ryth l’aveva accolta con una semplice frase. “È giusto  che decida tu”. Avevano più o meno la stessa età anche se Rose non era certa di come e quanto invecchiassero i pantorani.
Ryth aveva servito nella Resistenza come ufficiale medico ma, dopo la battaglia di Exegol, era tornata su Corellia per occuparsi delle migliaia di feriti che arrivavano ogni giorno da ogni angolo della galassia. I centri medici andavano a pieno regime e Coronet non faceva eccezione. La quantità di feriti era pari solo al numero delle vittime.

E  nessun medico faceva differenza tra ribelli e appartenenti al Primo Ordine. Almeno fino a quando Ryth non aveva mandato a Rose un messaggio per dirle che Armitage Hux era vivo, ma ferito gravemente e stava a lei decidere la sua sorte.

E lei aveva continuato a pensare a Hays Minor, alla sua famiglia e a tutto ciò che aveva perduto per colpa sua. E si era chiesta perché la sorte avesse deciso di risparmiare un tale mostro.

*


Un anno prima, aveva solo visto un cumulo di bende, una faccia pallida ed emaciata sotto una massa di capelli rossi e lo sguardo tagliente di chi, nonostante l’obnubilamento dovuto agli antidolorifici, sapeva benissimo chi aveva davanti.

“L’animaletto che morde” aveva biascicato  il generale dalle sua branda, fra l’odore di bacta e quello di malattia. E, in quel momento, Rose aveva deciso.

“Ci penso io a lui” aveva detto a Ryth, mandando al diavolo tutti i pensieri positivi su quanto fosse importante distinguersi da loro, i carnefici, i malvagi. Su quanto fosse necessario dimostrarsi migliori.

*


I cattivi propositi avevano avuto vita breve. Perché Rose aveva cominciato a trovare Hux interessante dal punto di vista tecnico. Avrebbe dovuto essere processato una volta ristabilitosi ma, ufficialmente, Armitage Hux era morto durante la caduta del Primo Ordine. Quell’uomo ferito e ghignante era semplicemente un Paziente X. E il paziente X stava dando a Rose inaspettate soddisfazioni. Lei era pur sempre un ingegnere, alla fin fine. Il suo fegato e buona parte del tratto digerente erano stati automatizzati e ora  il sanguinario ufficiale del Primo Ordine sfoggiava un braccio destro artificiale di qualità non eccelsa ma nemmeno infima. Ed era decisamente vivo.

E soddisfatto.

Questo fino al giorno in cui Rose era entrata nella sua stanza, lui l’aveva salutata con il solito “Come stai stamattina, animaletto fetido?” e la sua mano artificiale si era sollevata per colpirlo al viso senza che lui potesse controllarla.

Rose aveva sorriso ascoltando il lamento uscito dalle sue labbra e osservando la sua espressione stupita.

“Oh, non te lo avevo detto? La mia amica ha inserito un chip particolare nel tuo braccio. Indovina un po’ chi ha il controllo, adesso…”

*


Perfino Corellia assumeva un’apparenza più serena con l’arrivo della primavera.  Serena quanto lei mentre vedeva il vassoio con il pranzo di Armitage Hux volare sul soffitto,  lanciato da lui stesso.

“Dannazione, Tico!” aveva detto lui ringhiandole contro. 

“Scusa. Mi sembrava che mi avessi guardato storto” aveva risposto lei concedendosi un ghignetto. “Ti ho portato delle tute pulite.”

*


Rose era sempre stata consapevole di non essere portata per la vendetta. Nemmeno su un essere come Armitage Hux.  Per un po’ ci aveva creduto. Aveva creduto che gliel’avrebbe fatta pagare nel peggiore dei modi. Ma aveva capito ben presto che non faceva parte della propria natura. Poteva provare rabbia. Poteva versare lacrime. Sapeva combattere e non si tirava indietro. Ma la vendetta era un’altra cosa. Pensava ancora a Hays Minor. Non avrebbe mai smesso. Ma lei non era un mostro. Lei non era Armitage Hux.

“Lo porto su Coruscant. Gli sarà più facile passare inosservato” aveva detto a Ryth il primo giorno d’estate.

“Perché lo fai? Credevo che lo volessi morto” le aveva chiesto la pantorana.

“Perché…” Perché ci ha aiutati, avrebbe voluto rispondere Rose, Perché ci passava informazioni. Perché faceva la spia per noi. E sarebbe stato plausibile. Perché era vero. E perché tutti avevano diritto a una seconda occasione.  Ma il motivo era un altro. Il motivo era che Armitage Hux aveva iniziato a parlare. Di suo padre, dei suoi mentori, della sua infanzia e della sua vita. E Rose trovava interessante ascoltarlo.

*

“Potrei sempre usare la sinistra per strangolarti, Tico!” Lui stava sbraitando tentando inutilmente di muovere il braccio bloccato contro il fianco.

“Fai il bravo, Armie se non vuoi prenderti a pugni per le prossime due ore.”

Rose l’aveva sentito ringhiare. E, dal momento che la sua faccia era sommersa dalla barba folta e dalle ciocche che gli cadevano davanti agli occhi, le aveva dato l’impressione di un piccolo Wookiee fulvo e arrabbiato.

“Se la smetti di lagnarti, forse ti permetterò di raderti non appena saremo arrivati.”

La disciplina militare. L’addestramento. E lui si lagnava perché sarebbero arrivati nella ex capitale su un trasporto pubblico.

“Sei imbarazzante, Armie” lo aveva preso in giro mentre salivano a bordo dopo aver mostrato documenti magnificamente contraffatti che lo identificano come Gyno Nole, aiuto cuoco.

E Rose non sapeva se Hux fosse più infuriato per quell’”aiuto-cuoco” o per il nome ridicolo che aveva scelto personalmente per lui.

*


L’appartamento che aveva affittato al livello 1002 era piccolo ma comodo e luminoso, cosa non scontata nella metropoli a strati che ricopriva l’intera superficie del pianeta. Rose aveva cominciato a sentirsi a suo agio fin troppo in fretta. E si era ben presto resa conto di essersi abituata alla sua presenza.

“Non abbassare la guardia, Tico” ogni tanto lui la minacciava. Ma ormai capitava di rado. E lei sapeva sempre come replicare, anche se lui si stava specializzando nello schivare gli schiaffi della sua mano artificiale tirando indietro la testa.

“Non cantare vittoria, Armie. Mi basterà calibrare il  tiro."

*

Dopo un mese gli aveva proposto di uscire. Se ne era rimasto chiuso in casa a guardare olodrammi e, quando lei tornava dal lavoro che aveva trovato alla WesdTech, solo per ritrovarsi a subire riassunti infiniti, con tanto di mimica tragica, delle sventure dei protagonisti, aveva capito che Armitage Hux aveva un disperato bisogno di aria fresca. 

E, finalmente, gli aveva concesso di dare una sfoltita a barba e capelli.

“Finalmente” aveva detto lui fischiettando davanti allo specchio mentre la sua faccia tornava glabra e i capelli corti.

E lei si era ritrovata a fissare la sua schiena oltre la porta aperta del bagno. E il suo viso nello specchio. Che era più bello di quanto ricordasse.

Lo stava fissando fin troppo. Quindi aveva premuto un pulsante del controller che portava sempre con sé. E Armitage Hux si era ritrovato con la sfumatura alta dalla tempia destra fin quasi alla nuca.

“Ma… guarda cosa hai combinato, Tico!” si era voltato verso di lei, più stizzito che arrabbiato. “Ma che ti ho fatto, adesso?”
“Niente” gli aveva risposto, furiosa con se stessa. “Vorrei solo che tu non fossi tu.”

*


Coruscant non era più la città vitale e frenetica di una volta. Tuttavia, se salivano fino ai piani superiori e alle loro terrazze, potevano ancora sentire buona musica e mangiare in modo decente.

Era diventata un’abitudine. Ogni cinque giorni lei lo accompagnava  a prendere la sua ora d’aria, come amava chiamarla, sapendo che la cosa lo irritava. 

Poi l’ora d’aria si era trasformata in uscite vere e proprie. E Rose aveva cominciato a pensare troppo a quale vestito avrebbe indossato. 

E lui aveva cominciato a guardarla in modo strano.

A volte si ritrovava i suoi occhi addosso e gli diceva di piantarla. 

“Credo di avere la sindrome di Rutje Miestas. Sai cos’è?” aveva detto lui.

“Tutti sanno cos’è” aveva replicato Rose, provando il desiderio di scappare. “Non essere ridicolo.”

*


Mentre il sole sorgeva oltre lo scudo atmosferico di Coruscant e l’aria del mattino le faceva venire le pelle d’oca, Rose cercava di pensare lucidamente, nonostante fosse alticcia. Teneva le scarpe in mano perché si era dichiarata sconfitta nella sua personale battaglia contro i tacchi alti. E aveva preso una decisione importante, per se stessa e per lui.

Armitage Hux, genocida, assassino, mostro. 

“Oggi te ne vai.”

Lui la fissava, con la camicia bianca aperta sul petto, i capelli rossi in disordine e l’aria di chi si era goduto la serata e ora aveva solo voglia di infilarsi in un letto. In giro c’era solo qualche animale notturno come loro che non aveva voglia di tornare a casa.

“Sei libero. Hai una nuova identità. E puoi rifarti una vita. Io ho finito. La chiudiamo qui.”

*


Lui non aveva detto niente mentre il turboascensore pubblico li riportava al loro livello. Neppure un sarcastico “Grazie per essere tanto magnanima, Tico.”

L’ultimo passeggero, un mirailano attempato in tuta da lavoro blu, era sceso ed erano rimasti soli, e Rose aveva provato una sensazione di acuta malinconia.

Non aveva battuto ciglio quando lui si era chinato per baciarla, piegandosi letteralmente a metà, a dirla tutta. Non l’aveva mai infastidita che fosse tanto alto, ma, in quel momento avrebbe voluto sentirsi meno soverchiata. 

Lui non avrebbe dovuto. Né lei avrebbe dovuto lasciarglielo fare. Ma, se analizzava la situazione a prescindere dalle gambe molli e dal sudore freddo, Rose comprendeva benissimo come fosse il perfetto compendio e l’unico finale possibile per quell’assurda faccenda.

Ovviamente, quando tutto era finito, non aveva resistito alla tentazione di far partire l’ultimo schiaffo.

“Ok. Stavolta ci stava tutto” aveva detto lui massaggiandosi la guancia. 

“Sopporta. È stato l’ultimo.”

Lui aveva borbottato qualcosa di incomprensibile che si era concluso con “… non chiedo scusa” e Rose aveva capito che lui non stava parlando del fatto che l’avesse baciata a tradimento.

“Ho fatto quello che ero nato per fare. Ho fatto quello per cui sono sempre esistito. Non posso cambiare quello che è stato e nemmeno vorrei farlo. È inutile ipotizzare su come avrebbe potuto essere se fossi stato qualcun altro.”

Oh, certo. Dal suo punto di vista, aveva senso. Ma lei non aveva mai preteso le sue scuse. Le avrebbe a stento tollerate.

“Là fuori ci sono ancora rimasugli del Primo Ordine. Se vuoi, puoi andare da loro e riprovarci” gli aveva risposto con un ghigno. “Dopo tutto, ognuno può sfruttare come preferisce la tabula rasa post bellica.”

“Tabula rasa post bellica…” aveva ripetuto lui come se lo trovasse divertentissimo. Poi aveva chiuso il discorso definitivamente. “Io non vado da nessuna parte, Tico.”

*


Lo sbattere del cucchiaio contro la ciotola le faceva venire il mal di testa. Ed era solo l’ultimo dei problemi. Lui si prendeva sempre quasi tutto il letto, “tanto sei piccola, non ti serve spazio”, scalciava nel sonno insultando Kylo Ren e si svegliava sempre a orari improponibili per preparare la colazione. 

Gyno Nole. Aiuto cuoco. Con possibilità di carriera. Perché era bravo ai fornelli. Sorprendentemente bravo ai fornelli. Ed era stata la cosa più inaspettata del loro ultimo anno.

Gyno Armie Nole, che tutti chiamavano Armie. Dove fosse finito Armitage Hux lei non avrebbe saputo dirlo. Ogni tanto appariva di soppiatto nei suoi pensieri, ed era sempre accompagnato da un sottile senso di colpa. Un’uniforme nera, lo sguardo gelido, truppe in armatura bianca. Ma accadeva sempre più di rado. E Rose sapeva che, un giorno, lei avrebbe finito per abbassare la guardia del tutto. Avrebbe tolto il chip dal suo braccio artificiale e gli avrebbe proposto di nuovo di andare via senza di lei, a ricostruirsi una vita altrove. Con la paura che lui avrebbe accettato. Ma non quel giorno. Non mentre il cucchiaio continuava a picchiare contro la ciotola.

Sarebbe bastato un attimo, come sempre.

Lui era entrato in camera con uno strato di uova crude che gli colavano sugli occhi, uno strano elmetto lilla che assomigliava stranamente alla ciotola incriminata e una forchetta nella mano artificiale.

“Prima o poi sconterai anche questa, Tico.”

Certo. Probabile ma non quella mattina.

“Buongiorno, Armie. Cosa cucini di buono?”

   
 
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