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Autore: Nao Yoshikawa    10/01/2022    5 recensioni
Raccolta di tre One Shot AU, ambientate durante la Seconda Guerra Mondiale.
#1- Ulquiorra/Orihime: «Ascolta, Orihime, forse noi dovremmo las-»
«Forse noi dovremmo sposarci.»
«…Eh…?»
Arrivò un tuono ma nessuno dei due se ne accorse. Orihime non sorrideva, anzi, non era mai stata così seria.
«Tu vuoi sposarmi? Adesso?» chiese Ulquiorra lentamene. «Ma questo non ha senso.»
«Invece ha senso eccome. Abbiamo sempre parlato di sposarci, perché non farlo ora? Perché aspettare, se non abbiamo certezza?»
#2 - Nnoitra/Neliel: Neliel gli aveva detto di voler cambiare il colore delle pareti.
Ci vorrebbe un colore più allegro, come l’azzurro del mare. Fallo azzurro.
Nnoitra si era lamentato – aveva fatto finta di lamentarsi – ma poi l’aveva accontentata.
#3 - Ichigo/Rukia: Aveva dato il via al suo sfogo che pian piano era mutato in un pianto sommesso. Ichigo non avrebbe voluto piangere, si diceva sempre che oramai era troppo cresciuto per lasciarsi andare in quel modo.
Ma a volte le persone non avevano scelta.
«Hai ragione» disse Isshin. «Tutto ciò fa schifo e hai ben ragione di arrabbiarti. Non abbiamo scelta, nessuno di noi. Ma Rukia si fida di te, sa che tornerai. E lo penso anche io.»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inoue Orihime, Kuchiki Rukia, Neliel Tu Oderschvank, Nnoitra Jilga, Schiffer Ulquiorra
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Matrimonio di guerra

In my dreams
I'll always see you soar
Above the sky
In my heart
There will always be a place

For you for all my life
[There you'll be]

 
Gennaio, 1942
 
Orihime Inoue aveva sempre avuto la capacità di vedere la bellezza nel mondo anche lì dove sembrava esserci solo dolore. L’inizio della guerra non aveva intaccato il suo buon umore, anzi, se possibile l’aveva rafforzato. Si diceva sempre che bisognava farsi forza e andare avanti, anche nei momenti in cui moriva di paura. Ma c’era stata una cosa in grado di far vacillare per qualche attimo le sue convinzioni.
«Tocca a noi, a me.»
Ulquiorra era sempre stato di poche parole, ma con quelle parole arrivava dritto al punto. Orihime aveva sorriso. Nessuno di loro era un ingenuo o un illuso. Gli uomini sapevano che era loro dovere andare in guerra (anche se non lo avevano scelto o voluto), le donne sapevano che sarebbe toccato loro attendere e magari diventare anche vedove, in alcuni casi.
Orihime strinse la sua mano. Pioveva e avvertiva un brivido di freddo nonostante il kimono invernale.
«Quando?» domandò lei senza quasi muovere le labbra.
«Credo... dieci giorni. Mi dispiace.»
Ulquiorra si scusava come se fosse colpa sua, come se avesse deciso lui di attaccare l’America, di provare di nuovo ad attaccarla, mandando a morire chissà quanti uomini. A lui la guerra non piaceva. Ma dopotutto, c’era davvero qualcuno a cui piaceva? Ad un folle, forse.
Lei sorrise dolcemente, gli accarezzò il viso e Ulquiorra socchiuse gli occhi. Era sempre controllato, lui. Sempre tranquillo, sempre ad osservare il mondo e ad esprimersi su carta con gli acquerelli. Era un artista, non un soldato. Ma questo aveva poca importanza. Creava, non distruggeva.
«Andrà bene. So che sarà così» sussurrò Orihime, ma il tremore nella sua voce la tradì. Essere positivi o allegri sarebbe stato impossibile. Stava male, sarebbe stata male per mesi, forse addirittura anni? Chi poteva avere la certezza in momenti come quelli?
Come si poteva vivere ogni giorno con la paura che la persona che si amava potesse venire uccisa?
Non erano quelli i loro progetti. Sognavano di sposarsi, un giorno. Andare a vivere in una casetta in campagna, magari avere dei figli e invecchiare insieme. Erano stati quelli i loro sogni, fino a quando forze più grandi avevano deciso altro.
Ulquiorra fece una smorfia. Orihime era stata l’unica donna in grado di toccare il suo cuore ed era certo che non ci sarebbe stato nessuna a parte lei.
E proprio lei non meritava di soffrire aspettandolo, senza mai avere una certezza. Meritava di realizzare quei sogni, di sposarsi, di osservare il sole dalla sua casetta di campagna. Tutte certezze che avrebbe potuto darle fino a qualche giorno prima, non ora.
«Ascolta, Orihime, forse noi dovremmo las-»
«Forse noi dovremmo sposarci.»
«…Eh…?»
Arrivò un tuono ma nessuno dei due se ne accorse. Orihime non sorrideva, anzi, non era mai stata così seria.
«Tu vuoi sposarmi? Adesso?» chiese Ulquiorra lentamene. «Ma questo non ha senso.»
«Invece ha senso eccome. Abbiamo sempre parlato di sposarci, perché non farlo ora? Perché aspettare, se non abbiamo certezza?»
«Ma tu hai detto che…»
«So cosa ho detto!»
Orihime strinse i pugni e abbassò il viso. La vista le si appannò e le lacrime iniziarono a rigarle il viso. Non sarebbe andato tutto bene, non poteva avere alcuna certezza. La gente in guerra veniva uccisa. La gente moriva, giovani vite venivano spezzate e lei non poteva farci niente. Non aveva alcun potere e questo era terribile. Ulquiorra le portò una mano dietro la schiena e la strinse a sé.
«Io non posso permettermi di fare di te una vedova.»
Lei chiuse gli occhi. Avrebbe impresso il suo odore e il suo calore nella memoria.
«E io non posso permettermi di perdere quest’occasione. È ora o mai più. Ma se non vuoi non ce l’avrò con te.»
Non era così che Ulquiorra se l’era immaginato.
Aveva immaginato di farle una vera proposta, di avere più tempo. Anche se non erano ricchi o nobili, avrebbero avuto una bella cerimonia. Quello era il tentativo disperato di sancire la loro unione, di realizzare un sogno prima che fosse tropo tardi. Doveva capire che oramai niente sarebbe stato come lo aveva immaginato.
 
 
«Allora è così? Vi sposate, infine?»
Nnoitra non era stato in grado di nascondere il suo disaccordo. Ulquiorra non se la sarebbe presa, conosceva il suo modo di pensare e sapeva che era nella sua natura dire sempre ciò che pensava, senza filtri.
«È così. Tu e Grimmjow ci sarete, non è vero?»
Nnoitra si voltò mentre arrossiva. Quel giorno c’era un sole cocente, come se la primavera stesse cercando di arrivare in anticipo.
«Detesto i matrimoni, ma sì, è ovvio» disse distrattamente.
Nel frattempo, Grimmjow era arrivato, sedendosi mentre teneva in mano una bottiglia di saké.
«Non può esserci matrimonio senza di me. Coraggio, brindiamo al lieto evento!»
Erano solo le quattro del pomeriggio e Grimmjow era già brillo. Da quando aveva saputo che sarebbe partito per la guerra, aveva iniziato a bere. Per stordirsi, per non pensare.
«Piantala con quella roba!» disse Nnoitra, brusco.,
«È più facile che mi uccidano quei bastardi degli americani, non temere!»
Nnoitra alzò gli occhi al cielo e decise di lasciarlo perdere. Avevano tutti paura e ognuno di loro cercava di affrontare la paura come meglio poteva, per evitare di impazzire.
«Quando sarà?» domandò poi. Ulquiorra sembrava assente e profondamente infelice. Per forza, dopotutto chi poteva essere felice e tranquillo in un momento come quello?
«Fra qualche giorno…»
 
 
Qualche giorno era un lasso di tempo troppo breve. Orihime era spinta dall’amore e dalla paura. Aveva sentito dire che erano tante le coppie che erano corse a sposarsi, prima di essere costrette a separarsi, da quando la guerra era iniziata.
«Allora sei sicura? Sei proprio sicura?» domandò Tatsuki, una delle sue migliori amiche. Una ragazza molto più pratica e razionale che avrebbe fatto di tutto per evitarle una sofferenza. Ma nemmeno lei avrebbe potuto fare molto, quella volta.
«Sono sicura» sussurrò. «Ed è una delle poche sicurezze che ho.»
Neliel entrò con passo pesante, tenendo una rivista in mano. Al contrario loro, indossava dei vestiti all’occidentale e sembrava che il suo entusiasmo non fosse stato intaccato.
«Vorresti un matrimonio tradizionale o occidentale? Oh, gli abiti da sposa che vendono in America sono così belli!»
«Non credo che avremo il tempo di comprare un abito da sposa» fece notare Rukia, che dietro Orihime le stava pettinando i capelli.
«Ma è un abito da sposa è essenziale. Non lascerò che la mia migliore amica si sposi conciata come una poveraccia. Forse possiamo recuperare qualcosa…» insistette Neliel, gettando la rivista in un angolo. Tatsuki sospirò, guardando Orihime.
«Sono solo preoccupata che soffrirai…»
«Soffrirò comunque, Tatsuki. Soffriremo tutte, perché tutte abbiamo qualcosa da perdere.»
Forse Tatsuki si sbagliava a vedere ancora Orihime come la ragazzina dolce e goffa che aveva conosciuto un tempo. La dura realtà l’aveva fatta crescere in fretta e ora il suo sguardo appariva più determinato che mai. Rukia le strinse le spalle.
«Forse. Ma comunque faremo in modo che il tuo matrimonio sia un momento felice. Tuo fratello che ne pensa?»
Cosa avrebbe dovuto pensare Sora? Suo fratello era uno degli uomini più di buon cuore che conoscesse e il pensiero di poter perdere anche lui le provocava una stretta allo stomaco. Quando gli aveva comunicato la sua decisione di sposarsi, Sora aveva sorriso e poi le aveva detto: “È bello che ci sia ancora un po’ d’amore nel mondo. Ulquiorra ti ama, su questo non ho mai avuto dubbi”.
Orihime aveva pianto, di nascosto. Temeva che ogni cosa bella nella sua vita potesse andare perduta. Era tutto effimero.
«Lui approva» disse semplicemente.
Erano tutti giovani, da un certo punto di vista erano ancora bambini. Ma dovevano crescere in fretta.
 
Dopo cinque giorni, venne il momento per Orihime di sposarsi. Lei e Ulquiorra avevano optato per una cerimonia shintoista e la ragazza aveva deciso di indossare l’abito della madre: uno irouchikake rosso sgargiante. Neliel aveva cercato fino all’ultimo di convincerla ad indossare un abito bianco occidentale, ma alla fine aveva ammesso quanto quell’abito le stesse bene.
Poi un filo di trucco e i capelli appuntati.
Non aveva mai desiderato niente di sfarzoso, adesso più che mai.
«Va bene, d’accordo, possiamo sbrigarci? Sto scomoda» si lamentò Neliel, non abituata a indossare i kimono.
«E smettila di aggrapparti a me» borbottò Tatsuki. «Hime, sei pronta? Gli altri sono qui.»
Sorrise. Anche se la situazione era strana, si sentiva una vera sposa. Raggiante, emozionante, con le guance arrossate.
 
«Oh, oh, ma tu guarda. Sei un figurino. Forse un po’ pallido» Nnoitra diede un colpetto sul viso di Ulquiorra, il quale aveva un’espressione tesa e sentiva il cuore martellargli nel petto. Non sentiva Grimmjow scherzare e fare battute, né ascoltava le conversazioni tra Ichigo e Ishida.
«Ho la nausea» ammise.
«Vuoi bere?» propose Grimmjow, ma Ichigo lo colpì alla testa e gli intimò di darci un taglio.
Sora aveva preceduto la sorella e per un attimo gli altri pensarono che si trattasse della sposa.
«Sono soltanto io, mi dispiace deludervi» disse divertito, divenendo poi serio quando guardò Ulquiorra. La sua adorata sorella meritava qualcuno che l’amasse e rispettasse e quel qualcuno era lui, lo sentiva. «Non essere nervoso. Non è la cosa più difficile che farai.»
Ulquiorra annuì. Avrebbe voluto dirgli tante cose.
Combatteremo fianco a fianco per tornare dalla stessa donna.
Oppure.
Farò di tutto per tornare, per non perdere la mia luce in questa vita così oscura.
Ma non un suono uscì dalle sue labbra. Nnoitra gli diede una gomitata e gli fece segno poi di guardare davanti a sé. Orihime era uscita di casa seguita dalle sue amiche. La trovò bellissima, più bella che mai.
E come non mai capì che doveva sopravvivere.
«Stai benissimo» sussurrò lei, con un sorriso dolce e un po’ malizioso.
«Anche tu» rispose sottovoce, porgendole una mano. L’altra mano di Orihime si era stretta in quella di Sora.
Si diressero insieme verso il santuario più vicino. Erano quasi tutti in coppia: Nnoitra con Neliel, Rukia con Ichigo, Ishida con Tastsuki. E poi c’era Grimmjow. Tutti si aspettavano qualche battuta da parte sua, ma era serio, assorto a pensare a chissà cosa. Di solito quel momento era accompagnato della musica, ma ne avrebbero fatto a meno.
Il santuario era proprio dietro una collinetta e quando arrivarono il sacerdote era lì ad attenderli.
Orihime sapeva bene come funzionava. Lei e Ulquiorra si sarebbero inginocchiati e il sacerdote avrebbe agitato attorno alle loro teste dei rametti di camelia.
Era una sensazione molto strana. Si sentiva entusiasta, triste e felice nello stesso momento. Si chiese cosa Ulquiorra stesse provando, era difficile decifrare la sua espressione seria, attenta.
Durante la cerimonia non avrebbe dovuto fare molto. C’erano le preghiere, le invocazioni agli dèi, e poi c’era ciò che Orihime preferiva: il “San-San ku do”.
Lei e Ulquiorra si alzarono in piedi e mentre si guardavano dritto in viso, si scambiarono per tre volte delle tazze di saké, il gesto che simboleggiava la loro unione.
Era davvero tanto intimo.
Dopo che Ulquiorra ebbe bevuto il saké per la terza volta, all’improvviso arrossì, ma non a causa dell’alcol.
«Gli anelli» mormorò.
«Eh? Cosa?» domandò Orihime.
«Gli anelli, non abbiamo gli anelli» gemette, in imbarazzo.
Giusto. Non ci avevano pensato e anche se avessero avuto tempo, delle fedi sarebbero costate molto. Orihime retrasse la mano, e prima che avesse il tempo di rassicurarlo (perché alla fine non era importante), Sora si alzò.
«Scusate, a volte ho la memoria corta. Ecco gli anelli, ce li ho io.»
Orihime e Ulquiorra arrossirono e sentirono delle risate sommesse da parte dei loro amici. Quegli sciocchi, folli e splendidi amici.
«Ma… ma Sora, io…» sussurrò Orihime con gli occhi lucidi.
«Consideralo un regalo di nozze» la rassicurò il fratello, sorridendole e porgendo loro gli anelli: erano sottili, d’oro. Erano di oro vero! Non osava pensare a quanto fossero costate, ma in quel momento non le importava. Ulquiorra prese l’anello e con un movimento un po’ tremante lo infilò al suo dito. Orihime fece lo stesso e poi lo guardò negli occhi.
Erano sposati.
Lo avevano fatto davvero. Prima di quanto avevano previsto.
Nel momento sbagliato, eppure anche quello più giusto.
 
Le sacerdotesse miko avevano appena concluso la loro danza e Orihime si era bagnata le labbra con il saké. Si era resa conto che in fondo non avrebbe potuto avere matrimonio migliore di quello. Circondata dalla gente che amava, dai suoi amici che portavano tanta allegria, anche se il futuro sembrava così incerto. Ulquiorra era silenzioso, ma sapeva che avrebbe preso a parlare nel momento in cui sarebbero rimasti soli. Intanto sentiva la sua mano sulla schiena, il suo odore. Grimmjow sembrava aver ritrovato il suo solito spirito e aveva iniziato a fare battute riguardo la prima notte di nozze, questo fin quando Tatsuki non gli aveva dato un pugno per zittirlo. Orihime aveva abbassato lo sguardo, arrossendo. A quello non aveva pensato, non ancora almeno,
Ulquiorra viveva da solo. La sua casa era piccola e molto spartana, ma per la loro prima notte di nozze sarebbe stato sufficiente.
Prima di lasciarsi. Per mesi, forse per anni.
Lui e Orihime erano arrivati e si erano fermati una volta entrati nella camera con il futon già sistemato. La luna, già alta in cielo, illuminava l’ambiente con naturalezza.
«Vuoi che accenda la luce?»
«No, mi piace così. Come ti senti?» domandò stringendogli il braccio.
Non avevano avuto occasione di parlare molto. Ai matrimoni gli sposi non riuscivano a parlare molto tra loro.
«Sto… bene, credo. Un po’ stordito» ammise. Sentiva il calore di Orihime, la morbidezza del suo seno sul braccio. Ora lei era sua e lui apparteneva a lei.
«Anche io. Sei pentito?» domandò, con la voce rotta forse dall’impazienza. Ulquiorra la guardò e le accarezzò i capelli. Non rispose, ma la baciò sulle labbra. La prima vola e poi una seconda e una terza, senza riuscire più a fermarsi.
Siete giovani e sconsiderati, gli avrebbero detto.
Sposarsi in questo momento, senza nessuna certezza.
Ma avrebbero risposto che non a loro non importava, che finché ci sarebbe stato amore nel mondo si sarebbero aggrappati ad esso con tutte le forze.
 
 
Orihime sentì il sole baciarle la pelle. Aveva dormito splendidamente e si era ritrovata abbracciata a Ulquiorra, dopo la notte più bella della sua vita. Nessuno dei due avrebbe mai dimenticato la sensazione del calore, dei baci, dell’eccitazione umida sui loro corpi. Forse erano un po’ cresciuti in quella notte. Orihime sollevò lo sguardo, spostò i capelli dal viso di Ulquiorra.
«Buongiorno» gli sussurrò.
Oh, se solo avessero potuto vivere di quei dolci momenti per sempre.
Lui le baciò la fronte.
«Buongiorno,»
No, non c’era una singola cosa di cui si pentiva.
 
I giorni che avevano potuto vivere insieme come una coppia appena sposata furono pochi, davvero pochi. Di giorno, Orihime puliva la casa, usciva e vedeva le sue amiche, andava a fare la spesa. La notte lei e Ulquiorra rimanevano svegli a fare l’amore, a parlare. Parlare delle paure e dei sogni, perché a quest’ultimi non avrebbero mai rinunciato.
«Voglio ancora vivere in una casetta in campagna. E magari avere tanti bambini. Non m’importa se non saremo ricchi, preferisco una vita semplice, ma felice» gli sussurrò Orihime la sera prima della sua partenza. «E magari avremo anche tanti animali. Però non deve essere un posto troppo lontano, altrimenti i nostri amici non potranno venire a trovarci.»
Ulquiorra l’ascoltò, accarezzandole i capelli. Anche lui voleva tutto ciò, lo voleva più di ogni altra cosa.
«Mi sento fortunato» disse ad un tratto, stringendole i capelli tra le dita. Orihime sorrise e si fece vicino, fin quando i loro nasi non si sfiorarono.
Fortunati, avrebbe detto qualcuno, siete ingenui e illusi. Praticamente dei bambini che corrono troppo.
Ma correvano perché non avevano altra scelta. Perché la paura e l’incertezza aumentavano la brama di amarsi e amarsi ancora. Anche se la notte era breve e si stava esaurendo in fretta.
«Penserai a me?» chiese Orihime accarezzandogli le ciglia.
«Sempre.»
Lei era stata forte, non si era mai mostrata abbattuta o in lacrime. Ma Ulquiorra sentì quella sera le sue lacrime bagnargli il viso.
Mi dispiace, gli aveva detto, vorrei essere più forte.
Nemmeno Ulquiorra piangeva mai. Ero stoico, controllato. Ma mentre si stringeva a lei, sentì che alle lacrime di Orihime si aggiungevano le proprie.
«Ti amo, Hime. Tornerò» le promise. Lei sorrise, donandogli baci al sapore di lacrime e dicendogli che l’amava anche lei e che lo avrebbe atteso sempre.
La notte intanto si esauriva e un nuovo giorno arivava.

Nota dell'autrice
Doveva succedere prima o poi. Chi mi conosce sa benissimo quante fanfiction AU io abbia scritto sulla Seconda Guerra Mondiale sui fandom più svariati. Mi piacerebbe scrivere una long su Bleach con tutti i personaggi e le coppie che mi piacciono, ma essendoci già passata so che bisogna essere nel mood giusto, e che ci vuole pazienza, ricerche e tempo. Per il momento mi va bene anche scrivere storie auto-conclusive su alcune delle coppie che più amo. Ulquiorra e Orihime fra tutti, non poteva che uscire fuori una storia molto, ma molto romantica. Per la cerimonia shintoista, le informazioni le ho trovate qui. Inizialmente avevo pensato ad un matrimonio occidentale, proprio come voleva Nel, ma effettivamente siamo nel Giappone degli anni quaranta, quindi ho ritenuto più opportuno una cerimonia tradizionale. Lo so che il contesto è molto triste e terribile, ma volendoci vedere il lato romantico, si possono creare cose interessanti e io mi sono molto appassionata a scrivere sia questa OS che le altre, quindi spero vi sia piaciuta perché ci tengo molto.
A presto (;
 
   
 
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