Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TaliaAckerman    13/01/2022    1 recensioni
[Implied Levi/Petra]
Nessun rimpianto. Sono le parole che il capitano Levi Ackerman ha assunto come regola di vita. Molto tempo prima di diventare il più grande cacciatore del corpo di ricerca, ha fatto una scelta: seguire Erwin Smith, l'uomo che lo ha sottratto all'oscurità del sottosuolo, fino alla morte. Ed è riuscito a prestare fede al proprio proposito senza mai avere rimpianti. Fino a quando, durante la 57ª spedizione fuori dalle mura, la sua intera compagnia viene massacrata, e perfino la determinazione del più freddo dei guerrieri rischia di vacillare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nessun Rimpianto






Sto arrivando, sto arrivando!

Un corpo scomposto malamente appeso a un albero appare davanti a te e ti sorprende quel tanto che basta a farti sgranare, per un attimo, gli occhi. Anche se il tuo corpo è già proteso in avanti, trascinato dall'inerzia del movimento tridimensionale, il tuo sguardo rimane un istante paralizzato e riconosce il volto senza vita di Gunther. 
E prima che il rifiuto o una falsa speranza si affaccino tentatrici nella tua mente, tu capisci: che è troppo tardi, che il massacro si è già consumato, che non hai potuto fare niente per impedirlo.
Il secondo cadavere che sorvoli è quello di Eld. Il Gigante Femmina gli ha strappato le gambe, giace sull'erba come il torsolo morsicato di una mela. Ti costringi a guardare avanti, i denti serrati così forte da darti l'impressione che prima o poi si sgretoleranno uno a uno.
Oruo si trova pochi metri più avanti. Ha la faccia rivolta all'ingiù, il suo corpo sembra leggermente schiacciato. Quel mostro deve averlo scacciato via come si fa con un insetto.
Interrompi la tua volata solo quando scorgi una chioma ramata spiccare sul mantello verde scuro del Corpo di Ricerca, una figuretta schiacciata contro il tronco di un albero con il viso rivolto all'insù, come se stesse pregando. Atterri vicino a lei e il tuo sguardo cade sui suoi lineamenti graziosi, sui suoi occhi chiusi per sempre, sulla pozza di sangue che si allarga sotto di lei.
Per qualche secondo la mente ti si ottenebra del tutto; per qualche secondo Eren, la missione, gli ordini di Erwin, tutto scompare. Il vuoto e il senso di colpa scorrono nelle tue vene come veleno.
La tua squadra. I tuoi uomini. Non eri con loro. Li hai lasciati a morire da soli.

***

«Abbiate rispetto. Quegli uomini sono morti anche per voi.»
I soldati intorno a te ubbidiscono e sollevano i cadaveri con la massima delicatezza, per poi avvolgerli nei lenzuoli che coprano le loro orrende mutilazioni.
Le vittime sono almeno una ventina. Sono stati disposti in fila, irriconoscibili avvolti come sono in quei sudari.
Aspetti che gli altri soldati si siano allontanati un po' per avvicinarti ai morti. Riconosci una mano che spunta da sotto il lenzuolo: è minuta, dalla pelle delicata, ma reca il segno di un morso tra il pollice e l'indice. Sollevi quanto basta il telo bianco per accertarti che sia lei: i capelli rossi illuminati dal sole basso sono una prova più che sufficiente. Non riesci a soffermarti sul suo volto, non di nuovo. 
Estrai dalla cintura un coltellino e recidi lo stemma con le ali della libertà che porta sul braccio sinistro. Senza dire nulla lo prendi e lo infili nel taschino della tua giacca, proprio sopra il cuore.

***

«Scaricate quei cadaveri, vi rallenteranno.»
«Ma, capitano...» prova a protestare uno dei soldati con gli occhi sbarrati, ma tu lo interrompi.
«Non sarà certo la prima volta che non riportiamo in città i nostri morti, e questi non sono diversi dagli altri.»
Pronunciare quelle parole ti crea un senso di nausea verso te stesso così forte da farti rasentare il vomito.
È per i vivi che devi provare pietà.
In questo momento è l'unica cosa da fare. Nessun altro deve morire, non oggi.
Sai che è il modo giusto di agire, ma quando vedi il suo corpo delicato venire sbalzato via dal carro, per un attimo il tempo si ferma e il tuo cuore con lui.

***

Gli sconfitti fanno il loro ingresso nel Distretto di Trost con una piccola folla di curiosi che attende il loro arrivo.
Immediatamente i volti dei sopravvissuti, le bende sulle loro ferite, i loro sguardi piantati sul lastricato senza il coraggio di alzarsi sulle persone che sono venute ad accoglierli ma, soprattutto, l'evidente differenza tra il numero di coloro che sono partiti e coloro che sono tornati valgono più di qualunque annuncio o dichiarazione.
Le persone ai bordi della strada assumono chi un'espressione delusa, chi colma d'angoscia, mentre con lo sguardo cerca un proprio caro nella colonna di soldati, chi colma di risentimento.
L'unico a camminare a testa alta è il comandante Erwin, gli occhi azzurri fissi davanti a sé: ma non sono illuminati dalla consueta fierezza, no, sono occhi vitrei, spalancati, quasi privi di vita, gli occhi di chi si impone di guardare avanti per mantenere un minimo di contegno ma che vorrebbe avanzare a capo chino come tutti gli altri.
Dalla folla, più numerosa rispetto a quando hanno varcato il portone del Distretto, si levano voci concitate.
«Comandante Erwin!»
«La sua missione valeva un numero così alto di vittime?»
«Che cosa dirà alle famiglie di tutti quei soldati morti?»
«Risponda!»
Tu non senti neanche le parole che ti vengono rivolte, siano esse di ammirazione, cordoglio o biasimo; questo finché un uomo non ti si affianca sbandierandoti davanti al naso una lettera.
«Capitano Levi!» prorompe col fiatone. È evidente che si sia fatto strada tra la folla per raggiungerti. «La ringrazio per tutto ciò che fa per mia figlia!»
Le tue viscere si contorcono nell'udire quelle parole e, quasi senza rendertene conto, le tue mani si serrano a pugno, le unghie che in pochi istanti vanno a conficcarsi nei palmi.
«Io sono il padre di Petra» conferma l'uomo rendendo esplicito l'ovvio e tu preghi qualunque Dio possa essere rimasto a guardarvi, impietoso, dall'alto dei cieli, di farlo tacere, di farlo smettere di parlare, di non farlo andare avanti. Ma nessun Dio ha pietà di te e l'uomo continua il suo discorso, entusiasta: «Ci tenevo a dirglielo prima di andare a cercarla».
Questa volta la sensazione è che qualcuno ti abbia appena colpito con un pugno allo stomaco, uno di quelli che mozzano il respiro e inducono al vomito.
L'uomo gli sventola sotto il naso la lettera: è stata rimessa nella sua busta, ma l'estremità lacerata fa intuire che sia stata già letta con gioia e impazienza.
«Questa l'ho appena ricevuta da mia figlia. Lei mi scrive delle cose veramente meravigliose sul suo conto, al punto che ho il sospetto che si sia innamorata di lei».

Ti prego, basta, smettila, taci, qualcuno lo faccia tacere, per favore!

Ma lui continua a parlare, ignaro della tortura che ti sta infliggendo, ignaro anche del dolore che proverà fra qualche minuto quando, cercando in tutti i modi la figura di sua figlia fra i superstiti, non troverà nulla, nemmeno un cadavere da piangere e seppellire.
«Pensi che si è arruolata senza minimamente badare alla preoccupazione dei suo genitori».
Ridacchia, un po' impacciato.
«Ecco, comunque... Petra è ancora molto giovane e forse è un po' presto per darla in moglie, fosse anche a uno degli uomini più famosi del nostro esercito».
Per tutto il tempo non sei riuscito neanche a guardarlo in faccia.
Il dolore e il senso di colpa di schiacciano al suolo come un insetto. Il tuo corpo sarebbe scosso da tremiti incontrollabili se non ti imponessi con tutte le tue forze di rimanere saldo e continuare a camminare.
Acceleri l'andatura e superi il padre di Petra senza pronunciare parola.
Questi sembra rendersi conto solo in quel momento che qualcosa non va e ti fissa andare via con occhi sgranati.

***

Richiudi la porta del tuo alloggio dietro di te e fai scattare la serratura, poi posi la chiave sul primo ripiano che ti capita a tiro. Rimani in piedi, fermo per qualche istante. Poi afferri la tazza che avevi lasciato sul tavolo la mattina della spedizione - al suo interno rimane ancora qualche rimasuglio di foglie di tè - e la lanci con forza contro la parete: questa si schianta andando in mille pezzi. Il muro di apatia che eri riuscito a mantenere crolla tutto d'un tratto e, senza quasi rendertene conto, ti ritrovi a urlare.
Urli, imprechi, lanci maledizioni e bestemmie, mentre ti avventi contro la credenza e afferri tutto ciò che ti capita a tiro: piattini, tazze, teiere, barattoli, finisce tutto sul pavimento, in un a terra desolata di cocci aguzzi e foglie di infusi sparse.
Ma non è abbastanza.
Afferri lo schienale della sedia più vicina a te e scagli via anche quella; la seconda la rovesci con un calcio.

È colpa tua. Tutta colpa tua.

La rabbia pervade la tua mente, ti fa ribollire il sangue nelle vene e ti inietta gli occhi di rosso. Non riesci a pensare, non vuoi pensare, vorresti solo che i volti dei tuoi compagni scomparissero dalla tua mente, ma loro persistono, ti tormentano. Li vedi nei momenti che avete trascorso insieme, vedi Petra quando l'hai arruolata, poco più di una ragazzina, vedi Oruo che si morde la lingua, Eld che parla della sua bella promessa sposa, Gunther che riarruola una pergamena dopo che ha guidato una piccola missione di ricognizione.
Li rivedi mangiare al tuo tavolo, li vedi mentre sgobbano per fare le pulizie, li vedi mentre eseguono i tuoi ordini.
Si fidavano di te e tu li hai lasciati a morire da soli.

Basta, basta!

Facendo leva dal basso rovesci anche il tavolo di legno, uno dei pochi mobili rimasti intatti. Lo prendi a calci così forte che senti un paio di unghie dei piedi spezzarsi, ma non ti importa, anzi, accogli con gioia quel dolore perché è quello che ti meriti.
Come puoi provare tutto questo dolore?
Pensavi di esserne immune, ormai. Pensavi di aver visto abbastanza. Le illusioni di uno sciocco. Hai sempre saputo che sarebbe potuto succedere, e lo hai sempre accettato, così come hai sempre accettato che anche tu un giorno non saresti più tornato. Eppure a questo non eri preparato.
Quando non trovi più neanche un improperio che possa anche solo in parte esprimere quello che provi, ti abbandoni a un ultimo grido disperato. È inumano, un lamento grottesco, un suono prolungato che diventa gutturale finché non ti ritrovi senza più fiato.
A quel punto, tutto finisce, ed è peggio. Tutta la rabbia di abbandona e ti rendi conto di non avere più forze: una marionetta a cui hanno improvvisamente tagliato i fili e, come tale, crolli a terra.
Ti trascini fino alla parete più vicina fino ad adagiarvi la schiena e, per la prima volta da quando hai visto morire Farlan e Isabel, piangi.










Note dell'autrice:
La prima fic che pubblico in questa sezione non poteva che essere dedicata al mio personaggio preferito, Levi, e a uno dei momenti che più mi hanno straziata dell'intera serie. Spero che vi possa piacere.

Un sentito grazie a chiunque leggerà.

~TaliaAckerman





 

 

 

 

 

 

  
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