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Autore: FalbaLove    14/01/2022    1 recensioni
Raccolta di One shots con protagonisti Neji e Tenten e con la partecipazione di (quasi) tutti i personaggi del mondo di Naruto.
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[Dalla Prima Storia]
-Mi manca- e non ci fu bisogno di aggiungere altro perché Tenten sapeva benissimo di chi stesse parlando. Aumentò la stretta di quell’abbraccio, quasi cercasse di colmare le braccia muscolose del terzo componente del loro Team. Anche un semplice gesto non sarebbe più stato lo stesso, non dopo la sua morte.
-Anche a me- si lasciò sfuggire sentendosi egoista a condividere il suo dolore di fronte ad una persona che tanto, troppo stava soffrendo.
-Ma io ci sono ancora, Lee, e ti prometto che non ti lascerò mai- e Rock Lee sapeva che poteva fidarsi delle parole della castana. Oramai il loro Team era stato distrutto, la morte di Neji aveva causato un buco nei loro cuori che mai si sarebbe rimarginato, ma dovevano andare avanti e provare a vivere.
Ci avrebbero tentato insieme.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga, Rock Lee, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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-Allora bambini, mettetevi seduti- una voce chiara e limpida risuonò per tutta l'aula, pochi secondi dopo che la campanella della scuola aveva riportato la fine dell'intervallo.
Himawari, stringendo ancora tra le dita un pacchetto quasi finito di caramelle (regalo di suo padre e gelosamente nascosto da sua madre), prese posto sulla sedia. La donna, che aveva appena parlato, aspettò che tutti i bambini si fossero seduti al loro posto prima di allontanarsi dalla cattedra. La Uzumaki la osservò incuriosita dirigersi verso la sua borsa ed iniziare a cercare qualcosa dentro.
-Hima- il richiamo squillante del suo nome fece distrarre la bambina.
-Posso avere una caramella?- continuò la stessa voce. Himawari fece incontrare il suo sguardo con quello del bambino: il suo vicino di banco, Roroa, la stava fissando impaziente e con le gote arrossate.
-Certo- gli rispose dolcemente allungando verso di lui una manciata di coccodrilli gommosi dai colori più disparati. Le iridi del suo compagno di classe brillarono di fronte a quell'abbondanza.
-Grazie- bofonchiò portandosene tre alla bocca ed iniziando a gustarseli con foga. Himawari non fece in tempo a rispondere che la voce della maestra ritornò a sovrastare quella degli alunni.
-Oggi ho pensato di leggere con voi una poesia- parlò donna portandosi al petto un libro. Gli sguardi dei bambini di sette anni si concentrarono curiosi sulla copertina e un mormorio entusiasta si levò per la classe.
-Si tratta di una poesia- continuò l'insegnate dirigendosi verso la cattedra.
Himawari posò stanca il mento sulla mano: i suoi occhi, azzurri come il cielo più limpido, si soffermarono a fissare il grosso orologio che svettava sopra la lavagna. Nonostante i suoi pochi anni di vita, la secondogenita di Naruto Uzumaki aveva già imparato a leggere l'orario. Si intristì nel constatare che fossero solo le due e mezza e che quindi la fine delle lezioni era ancora lontana. I suoi piedi scalpitarono e dovette sedersi composta per non cadere dalla sedia.
Quello non era un giorno come tutti gli altri e la bambina lo aspettava da settimane: quel venerdì, infatti, i suoi genitori avevano acconsentito a farla dormire a casa di suo zio. Himawari stravedeva per suo zio, ma, a causa del lavoro dell'uomo, era da quasi un mese che non lo vedeva più. In realtà non sapeva benissimo di cosa si occupasse, dopotutto era ancora una bambina, ma aveva appreso che da qualche anno l'uomo era al comando dell'azienda di famiglia e che quindi era subentrato a suo nonno.
-E di cosa parla questa poesia?- la vocina stridula di Rin, una delle sue compagne di classe, la fece risvegliare dai suoi pensieri.
-Si tratta di una poesia d'amore. Il protagonista è un pettirosso che si innamora perdutamente di una colomba e...- ma immediata una mano frenetica iniziò a sventolare a destra e sinistra. La maestra schioccò le labbra scuotendo leggermente la testa.
-Cosa c'è, Ayumi?- sospirò la donna accigliandosi. La bambina, sentendosi chiamare in causa, abbassò immediatamente la mano portandosela al volto: rosicchiò le unghie delle dita mentre ogni suo centimetro del corpo fremeva.
-Maestra- sibilò
-Che cosa è l'amore?- continuò innocentemente mentre un certo rossore animò le sue gote. Quella domanda, pronunciata con una innocenza che solo un bambino poteva avere, sembrò cogliere di sorpresa l'insegnante. La donna allontanò una ciocca dal volto scrutando i volti incuriositi dei suoi alunni.
-Qualcuno vuole per caso rispondere alla domanda della vostra compagna?- ma improvvisamente i visi si fecero tutti più pensierosi.
Himawari schiuse le labbra leggermente aggrottando le sopracciglia: immediatamente nei suoi pensieri si dipinsero le figure dei suoi genitori. Sua madre e suo padre si amavano, ma sarebbe bastato questo per spiegare cosa fosse quello strano sentimento?
-È un sentimento- provo a rispondere e immediatamente tutti gli occhi vennero puntati sulla sua figura facendola arrossire. La maestra annuì vistosamente posando il libro sulla cattedra.
-I miei genitori si amano-
-Anche I miei- un vociare indefinito si levò per l'aula e quasi tutti i bambini vollero dire la propria.
-I miei genitori invece sono divorziati, questo vuol dire che non si amano?- sospirò sconsolato Roroa abbassando il volto contornato da riccioli dorati. Sul viso della donna si dipinse un sorriso dolce mentre si fece spazio tra i banchi: gentilmente accarezzò la spalla dell'alunno.
-Vedete bambini, l'amore è un sentimento che non può essere definito così facilmente. Esistono infatti diversi tipi di amore: c'è quello che lega mamma e papà, ma anche quello che i vostri genitori provano per voi e i vostri fratelli. Anche l'amicizia che vi unisce è una sfaccettatura dell'amore- una serie di bocche si schiusero incantate di fronte a quelle parole. La donna sorrise compiaciuta iniziando a girare per i banchi, seguita fedelmente dagli occhi dei suoi alunni.
-Io voglio molto bene al mio cane-
-Io invece voglio bene alla mia vicina di casa- aggiunse una seconda voce.
-Questi sono tutti degli esempi che possono farvi capire quante sono le diverse sfaccettature dell'amore. Tutti noi abbiamo delle persone o degli animali a cui teniamo e vogliamo bene, ma è davvero difficile dire cosa l'amore davvero sia. Dovete però ricordarvi che è una delle cose più belle della vita- le parole dell'insegnante scossero non poco le menti di quei bambini.
Himawari arricciò pensierosa il naso allontanando un ciuffo corvino e ribelle dalla sua fronte: immediatamente pensò ai suoi genitori. Ne era certa, teneva tantissimo a loro. Poi però le venne spontaneo pensare a suo fratello: nonostante a volte la facesse piangere e non la coinvolgesse nei giochi con i suoi amici, lei gli voleva davvero bene. Poi pensò a sua zia Hanabi, a suo nonno e a suo zio Neji e un rassicurante calore riscaldò il suo petto. Effettivamente, si ritrovò a pensare, era davvero difficile spiegare cosa fosse l'amore.
-Maestra?- la timida voce di Rin venne udita a mala pena dalla donna che ritornò a sedersi sulla sua sedia davanti alla cattedra.
-Cosa c'è Rin?- rispose prendendo tra le mani il libro che aveva abbandonato una decina di minuti prima.
-Lei per caso ama qualcuno?- improvvisamente, all’udire quella voce angelica e innocente, lo gote abbronzate dell’insegnate si colorarono di un rosso vivo. La bottiglia, che aveva appena accostato alle labbra, ricadde rovinosamente a terra. Una tosse soffocante la colpì e i bambini si guardarono l’uno con l’altro preoccupati.
-Sto bene- disse accorgendosi dell’allarmismo che aveva coinvolto i suoi allievi. Fece un profondo sospiro mentre il suo petto ritornò a muoversi in maniera regolare. Le sue guance, però, non accennarono ad abbandonare il rossore.
-Che ne dite se iniziassimo a leggere la poesia? Roroa, vuoi iniziare tu?-
 
 
Gli occhi di Himawari brillarono alla ricerca di una figura familiare in mezzo a quel marasma di genitori e parenti: la campanella che segnava la fine delle lezioni era risuonata già da una manciata di minuti e tutte le classi si erano riversate nel cortile. I suoi compagni pian piano l’avevano salutata dirigendosi verso chi li stava aspettando ed era rimasta solo più lei. Con il petto che sembrava scoppiarle, arricciò il naso cercando di reprimere l’espressione delusa che aleggiava sul suo visino. La mano che stringeva la sua aumentò la presa.
-Stai tranquilla Himawari, sono sicura che tuo zio arriverà presto- le disse dolcemente la maestra cercando di rassicurarla. Ma il cuore della bambina oramai batteva all’impazzata e mille pensieri affollavano la sua mente: e se non fosse venuto? No, si disse mentalmente, sarebbe arrivato, dopotutto glielo aveva promesso, e lei sapeva che suo zio manteneva sempre le sue promesse. Proprio in quel momento, tra i marasma di capigliature più disparate, una lunga e folta chioma venne individuata dalle sue iridi.
-Himawari, dove stai andando?- provò a fermarla l’insegnante, ma inutilmente: la Uzumaki accennò un saluto con la mano perdendosi tra tutti quegli sconosciuti. Corse come una forsennata facendosi spazio tra un milione di gambe mentre un sorriso, sincero, si dipinse tra quei segni caratteristici che spiccavano sulle guance degli Uzumaki. Un secondo dopo, si buttò con sicurezza tra due braccia muscolose.
-Zio!- ululò di gioia affossando il volto sulla camicia bianca ed impeccabile. L’adulto la avvolse con affetto.
-Sei venuto- mormorò respirando a pieno quel profumo aspro, ma deciso che troppo le era mancato.
-Te l’avevo promesso- disse il moro sollevandola da terra e permettendo ai loro sguardi di incontrarsi. L’espressione soddisfatta della bambina si rifletté perfettamente nelle iridi perlate dell’uomo.
-Mi sei mancato tantissimo- piagnucolò cercando di reprimere, inutilmente, delle lacrime che fecero capolinea dai suoi occhi. Tirò su con il naso mentre un sorriso sereno si dipinse sulla pelle diafana dell’uomo. Era decisamente inusuale vedere delle emozioni trasparire sul volto sempre imperturbabile dello Hyuga.
-Anche tu- confessò accarezzando dolcemente la guancia della nipote. Lei arricciò il naso mentre tornò a toccare con i piedi il terreno.
-Allora, che vuoi fare? Ho preso un permesso dal lavoro e pensavo che avremmo potuto trascorrere insieme il pomeriggio, sempre che ti vada- disse l’uomo togliendo lo zainetto dalle spalle della figlia di Hinata e appoggiandolo sulle sue. I colori e i disegni infantili stonavano in maniera stravagante con il suo completo di sartoria, ma non se ne preoccupò. Poi la mano della bambina scivolò nella sua e i due si incamminarono verso il cancello di uscita.
Neji osservò il volto di Himawari contorcersi animato dai pensieri: le sue sopracciglia si mossero veloci mostrando la guerra interna che si stava svolgendo nel petto.
-Ti andrebbe di disegnare insieme?- propose finalmente dopo una decina di minuti durante i quali avevano camminato in silenzio. Lo Hyuga alzò leggermente gli angoli della bocca di fronte a quella richiesta così innocente.
-Andata- rispose e la bambina, dalla contentezza, iniziò a saltellare allegramente.
-Ma che ne dici se prima passassimo da Starbucks?-
-A prendere un frullato?- gli occhi della corvina brillarono di eccitazione.
-A prendere il frullato- acconsentì lui.
Himawari strinse con ancora più forza la mano dello zio mentre attraversarono sulle strisce. I suoi piedi si muovevano veloci, cercando di seguire quelli decisamente più lunghi del cugino di sua madre, mentre ogni suo muscolo vibrava di felicità. Già pregustava il sapore dolciastro del caramello impastarle la bocca. In realtà sua madre non era a favore delle bevande che vendevano in quella catena di caffetterie e le aveva più volte negato di andarci (a lei e a suo padre che la portava lì di nascosto). E quindi da quel giorno, dopo una buona settimana di suppliche e facendo affidamento sull’adorazione che suo zio provava nei suoi confronti, era riuscita a convincerlo a portarla lì diventando con il tempo una specie di abitudine, un segreto che i due celavano (soprattutto a sua madre che altrimenti li avrebbe sgridati entrambi).
Attentamente la bambina si soffermò a guardare il volto di suo zio: l’uomo scrutava attento ogni angolo della strada e del marciapiede come se si aspettasse da un momento all’altro qualcosa di improvviso. I suoi occhi, di un perlaceo quasi trasparente, erano contornati da leggere occhiaie e la sua bocca leggermente schiusa. La bambina si concentrò a ricordare l’ultima volta che lo aveva visto e provò a mettere l’immagine attuale con quella passata a confronto: una espressione di soddisfazione animò le sue guance constatando che non era cambiato. Gli era mancato davvero tanto in quel mese e sapere che per lui era stato lo stesso le faceva toccare il cielo con un dito.
Improvvisamente le parole della maestra le tornarono in mente: leggermente aumentò la presa tra quelle dita fredde e l’uomo le sorrise dolcemente. Un sentimento caldo e avvolgente le riscaldò il petto: lei voleva davvero bene a suo zio ed era certa che anche lui ne volesse a lei. Questa considerazione però la fece per un attimo turbare. Immediatamente ripensò a suo padre, il secondo uomo più importante della sua vita: lui aveva lei e suo fratello, ma soprattutto la mamma che lo amava. Le sue labbra schioccarono leggermente: suo zio, invece, non aveva nessuno a parte loro. Si sforzò di ricordare se lo avesse mai visto con una donna. Pranzi della domenica, Pasque, Natali: niente, suo zio era sempre venuto solo. Un dubbio la costrinse a digrignare i denti. Il ricordo del sorriso innamorato che si scambiavano spesso i suoi genitori, le affettuose carezze che suo padre era solito posare sui capelli corvini della moglie e gli abbracci che sua madre gli riservava ogni volta che tornava dal lavoro balenarono nella sua mente. Lei desiderava con tutto il cuore la felicità di suo zio: lei voleva che ci fosse qualcuna che lo accogliesse ogni qual volta che tornava dal lavoro e che lo abbracciasse quando non si sentiva tanto bene.
-Himawari, siamo arrivati- la voce bassa, ma decisa del moro la costrinse a staccarsi da quei pensieri. Sbatté con forza le palpebre per qualche minuto mentre l’insegna del bar venne messa a fuoco. Non si era neanche resa conto che si fossero fermati.
-Tutto ok?- domandò leggermente apprensivo leggendo un certo sgomento sul volto della bambina. Lei annuì e vide i muscoli dell’uomo rilassarsi.
Appena misero piede dentro, un profumo di caffè avvolse i due nuovi avventori. Nonostante fossero le cinque passate, il locale era pieno di gente, anche se qualche tavolino era ancora vuoto.
-Stringimi forte la mano e cerca di seguirmi- la ammonì suo zio facendosi spazio tra quel marasma di gente. Per fortuna la coda alla cassa non era decisamente lunga e dopo neanche dieci minuti i due poterono ordinare.
-Andiamo a sederci?- la invitò Neji stringendo tra le dita le tazze bollenti appena ritirate. Lei annuì seguendolo.
-Ci possiamo mettere qui, zio?- domandò fermandosi accanto ad uno dei tavoli centrali del locale. Un sopracciglio dello Hyuga si inarcò: aveva previsto di sistemarsi in uno dei posti più vicini alla vetrata, e più lontani dalla gente, ma gli occhioni della nipote lo stavano pregando di accettare. Sbuffò non contendo di ritrovarsi in mezzo a tutto quel vociare, ma annuì leggermente. Sua nipote gli sorrise soddisfatta e si apprestò a sedersi sulla sedia girevole di un rosso sgargiante.
-Grazie- lo ringraziò osservando la cannuccia affossare all’interno del liquido biancastro. Analizzò attentamente il latte e caramello che aveva ordinato prima di accostare le sue labbra alla plastica: un gusto dolciastro e caldo solleticò le papille gustative della bambina che emise un gemito di entusiasmo. Neji rise divertito sorseggiando il suo caffè nero e senza zucchero.
-Mi raccomando, non una parola con tua madre- la bambina annuì con convinzione, ma prima che potesse aggiungere qualcosa, il cellulare di suo zio iniziò a squillare nel taschino della giacca. La fronte del moro si aggrottò mentre i suoi occhi lessero il nome appena comparso sul display.
-Himawari- il tono di voce era autoritario e serio e la Uzumaki smise di sorseggiare la sua bevanda.
-Questa è una chiamata di lavoro molto importante che non posso ignorare, tu mi prometti che non ti alzerai da questo tavolo mentre io sarò fuori a rispondere?- le sue iridi la osservarono con forza e serietà e per un attimo la corvina ne ebbe paura. Conosceva molto bene suo zio, sapeva quanto potesse risultare a volte un uomo freddo e autoritario, ma non lo era mai con lei. Himawari, capendo l’importanza della situazione, annuì con decisione. Il sorriso sereno ritornò a rallegrare la pelle diafana dello Hyuga.
-Farò in un secondo- e, senza aggiungere altro, si alzò dirigendosi verso l’uscita. La figlia di Naruto lo osservò per un attimo disperdersi tra la gente prima di sbucare da dietro la vetrata del locale sul marciapiede. Lo osservò accostare il telefono all’orecchio mentre i suoi muscoli facciali si fecero immediatamente più tesi.
Himawari accostò la cannuccia alle labbra: succhiò un ennesimo sorso mentre il dolce del caramello le solleticò la lingua. Nonostante tutto non aveva dimenticato i discorsi che avevano affollato la sua mente e una nuova consapevolezza prese possesso del suo cervello: ci avrebbe pensato lei a trovare qualcuno che avrebbe amato suo zio tanto quanto si amavano i suoi genitori. Le parole della maestra dopotutto erano state chiare: l’amore era una delle cose più belle della vita e lei voleva solo il meglio per suo zio. Per questo aveva chiesto di sedersi in quel tavolo e non vicino agli angoli come erano soliti fare. Intorno a lei vi erano un mucchio di donne che sembravano avere la stessa età di suo madre. Avrebbe trovato facilmente una fidanzata perfetta per suo zio e i due avrebbero vissuto felici e contenti, come nelle fiabe. Certo, questo implicava che avrebbe dovuto imparare a dividerlo con un’altra donna, ma avrebbe provato per vederlo felice. Il problema era che non aveva la più pallida idea di quale sarebbe stata perfetta per lui. Non sapeva che tipo di donna potesse piacergli, ma una cosa era certa: avrebbe dovuto essere bella come sua mamma.
Gli occhi della bambina iniziarono a vagare incuriositi per tutto il locale: la gente sembrava decisamente aumentata e lei si sentiva quasi soffocare immersa tra tutti quegli sconosciuti. Si accarezzò attentamente le tempie mentre quel frastuono iniziò a farle venire mal di testa. Ad un certo punto, per puro caso, una risata attirò la sua attenzione. Una donna, seduta nel tavolo a fianco, stava ridendo e parlando animatamente al telefono.
Himawari la scrutò con attenzione: la sconosciuta aveva due grandi occhi verdi e un rossetto rosso spiccava sulle sue labbra. Ciò che però attirò immediatamente la sua attenzione furono i capelli. La donna, infatti, portava un taglio molto corto, tenuto a bada da un cerchietto. Una smorfia si dipinse tra le sue guance paffute: una delle cose che più adorava di suo zio erano i morbidi e lunghi capelli mori che lui era solito tenere in una coda bassa. La sua fidanzata, quindi, non poteva averli corti e nella sua mentre si disegnò una lunga chioma.
-No, non va bene- sospirò a sé stessa mentre un primo indizio della fidanzata ideale si delineò nella sua mente. Scartò quindi la sconosciuta e si rimise composta. I suoi denti iniziarono a rosicchiare le unghie, già estremamente corte. Immediatamente pensò a suo zio: lui non era una persona molto loquace, preferiva i silenzi alle parole e, nonostante si comportasse spesso in maniera fredda e controllata, a lei riservava sempre sorrisi sinceri e gentili, cosa che la faceva sentire speciale. Una idea le balenò in testa facendola sobbalzare. Mentalmente si diede della stupida per non averci pensato prima: la donna perfetta per suo zio avrebbe dovuto avere un sincero e allegro sorriso. Annuì compiaciuta per questa considerazione e si concesse un altro sorso del suo latte.
Attentamente i suoi occhi ripresero a scrutare gli sconosciuti che la circondavano fino a quando non si soffermarono su due figure sedute in un tavolo lontano. Era due donne, una decisamente in là con l’età, mentre l’altra era invece una ragazza dai lunghi capelli corvini: si sporse sulla sedia per vederla meglio e quasi rischiò di cadere. Era perfetta ed era davvero bellissima, quasi quanto sua madre. La scrutò chiacchierare animatamente con l’altra persona per una manciata di minuti, ma non sorrise neanche una volta. Il naso della bambina si arricciò insoddisfatto: ora era la signora anziana che stava parlando e la donna si limitava ad annuire con vigore. Ad un certo punto però gli angoli della sua bocca si alzarono e una strana espressione si dipinse sul volto: Himawari corrugò la fronte di fronte a quello che sembrava tutto tranne un sorriso. Non era sincero, lo trovò decisamente falso e forzato, ma solo lei parve accorgersene. L’interlocutrice della donna, infatti, non ci fece affatto caso e continuò a parlare animatamente.
-Non va bene neanche lei- sbuffò Himawari tornando a risedersi composta.
Non pensava che la ricerca sarebbe stata così ardua. Certo, se avesse avuto più indizi su chi cercare il tutto sarebbe stato più semplice, ma così non era. Con forza richiuse gli occhi concentrandosi sulla figura dei suoi genitori: sua madre era molto bella con lunghi capelli corvini e un sorriso dolce e premuroso che la faceva sentire meglio anche quando vi erano i tuoni che la spaventavano tanto. Si sforzò di capire cos’altro piacesse tanto a suo padre di lei. I due avevano interessi decisamente diversi: sua madre preferiva trascorrere del tempo a casa a cucinare e a dipingere mentre suo padre preferiva passare il suo tempo libero all’aria aperta. Erano completamente all’opposto, ma vi era una cosa che li univa: una volta al mese uscivano un sabato sera per andare a mangiare al ristorante preferito di suo padre, dove assaporavano il loro piatto preferito, il ramen. Il proprietario del locale, Teuchi, una volta le aveva confessato che proprio sua madre aveva vinto il record del maggior numero di tazze di ramen mangiate in un’ora battendo miseramente il marito.
Un lampo di genio le fece brillare gli occhi: la fidanzata perfetta per suo zio avrebbe dovuto avere almeno un interesse in comune con lui. Il problema ora era capire quale. Suo zio trascorreva la maggior parte del suo tempo al lavoro e, nelle poche ore libere, veniva a casa loro a giocare con lei e Boruto. Vi era una cosa che però adorava fare, soprattutto dopo pranzo: leggere. Nel salotto dell'uomo infatti vi era una parete interamente occupata da una libreria piena di libri. Un sorriso soddisfatto svelò il buco in bocca che aveva da pochi giorni dopo aver perso il suo primo dente da latte. In realtà non sapeva quali fossero i generi preferiti dal cugino di sua madre, di solito leggeva libri estremamente spessi e pieni di parole che lei non capiva, ma non considerava questo un problema. Era talmente immersa nei suoi pensieri che non notò minimamente che il locale si era svuotato e il vociare si fece decisamente più basso. In effetti le tempie le dolevano meno, ma non ci poté pensare oltre poichè la porta si aprì e un vento freddo, di fine autunno, la fece rabbrividire. Una donna dalla lunga chioma rosso fuoco, che le ricadeva sulle spalle, entrò con passo svelto. Lo sguardo di Himawari si illuminò notando quanto fosse bella e ben vestita. Aveva un elegante completo, molto simile a quello che indossava suo zio, e delle scarpe nere con dei tacchi altissimi: eppure si muoveva leggiadra evitando le persone nel locale. La osservò dirigersi verso la cassa, ma purtroppo la perse di vista. La corvina si morse con forza il labbro, ma non si alzò: l’ordine di suo zio le risuonò in testa come un avvertimento. Non poteva disubbidire alle sue raccomandazioni, glielo aveva promesso, eppure quella sconosciuta sembrava perfetta e non poteva rischiare di farla andare via così. Un secondo dopo era in piedi e si diresse sprezzante a grandi passi in direzione del bancone: per sua fortuna la donna era lì, ad aspettare la sua ordinazione. La scrutò sorridere al cameriere che prese dalle sue mani lo scontrino prima di iniziare a preparare ciò che aveva ordinato. Un sussulto di gioia la fece vibrare osservando il sorriso gentile e cordiale che la sconosciuta riservò al ragazzo. Ora, rimaneva forse solo lo scoglio più difficile: sapere se le piacesse leggere. Intanto le dita della donna si avvolsero intorno alla tazza, ricolma di quello che sembrava un frullato di fragole, e ringraziò il cameriere. La vide scrutare la sala con attenzione: la paura la fece rabbrividire sperando che non decidesse di uscire dalla caffetteria. Mosse un passo, non sapendo neanche lei come comportarsi, quando il volto perfettamente truccato della sconosciuta si rilassò. A passo lento e sinuoso si diresse verso un tavolino vuoto, in uno degli angoli del locale. Himawari, reprimendo un urletto di gioia, la seguì cercando di non farsi vedere. La donna si sedette su una sedia appoggiando la bevanda e la sua borsa sull’altra sedia libera e iniziò a cercare qualcosa dentro di essa: un paio di secondi più tardi tirò fuori un libro dalla copertina rosa e lucida. Una esplosione di felicità fece saltare Himawari. Era lei, era perfetta: quella sarebbe stata la donna che avrebbe amato suo zio per sempre. Così, proprio come nei cartoni che lei tanto adorava, i due avrebbe vissuto per sempre felici e contenti. E innamorati, aggiunge mentalmente.
Non le sembrava ancora vero di essere finalmente riuscita nella sua impresa. Ora non restava che farli conoscere, ma lei era sicura che, appena si sarebbe visti, un colpo di fulmine si sarebbe instaurato tra i due. E così sarebbe stato l’inizio perfetto della storia perfetta. Con questa convinzione si diresse sicura verso il tavolo della donna: si sentiva carica ed euforica e le sembrava di camminare sulle nuvole. Era a pochi passi dalla sconosciuta quando si fermò all’istante. Una terza figura, che lei non aveva notato prima, fu più veloce e si accostò alla donna dalla folta capigliatura. Himawari osservò sbigottita il nuovo arrivato salutare cordialmente la rossa e un enorme sorriso, niente a che vedere con quello che poco prima aveva riservato al cameriere, illuminò il volto di entrambi. Poi, come neanche nei suoi peggiori incubi avrebbe potuto immaginare, l’uomo posò le labbra su quelle della donna prima di accomodarsi accanto a lei. Una fitta al cuore accompagnò la distruzione di tutti i progetti che la Uzumaki aveva già pianificato: la figura della donna, vestita in abito da sposa bianco, che sorrideva felice accanto a suo zio si cancellò e il volto dello sposo cambiò. Questa volta era il sorriso di quello sconosciuto che si rifletteva nelle iridi della rossa e che la stringeva verso l’altare. Le lacrime iniziarono a farsi sempre più insistenti e a farle bruciare gli occhi. Non poteva essere vero: la donna era perfetta per suo zio, era la sua anima gemella e non poteva baciare qualcun altro. Qualcosa, però, ruppe irrimediabilmente i suoi progetti: due anelli dorati, nel dito anulare sinistro, brillavano in entrambe le mani di cui due sconosciuti, gli stessi che aveva sempre visto in quelle dei suoi genitori. Quella donna, quindi, era già sposata e lo sposo non sarebbe mai potuto essere suo zio.
Questo era troppo da sopportare e calde lacrime iniziarono a scorrere veloci sulle guance paffute della corvina. Istintivamente iniziò a correre mentre forti singhiozzi le scossero violentemente le spalle: pensava di avercela fatta, di aver trovato l’anima gemella di suo zio ed invece quella era l’anima gemella di qualcun altro. Non fece in tempo a continuare questo pensiero che andò a sbattere contro qualcosa, o per meglio dire qualcuno. Senza neanche accorgersene ricadde pesantemente su terreno sbattendo violentemente la coscia sinistra. Una forte fitta la costrinse ad urlare mentre le lacrime smisero di rigare le sue gote.
-Oddio, stai bene?- il dolore era talmente forte che quelle parole risuonarono lontano e senza senso. Gli occhi erano ancora serrati con forza e lo spavento la stava facendo tremare con una foglia. Le sue labbra si schiusero, come per cercare di dire qualcosa, ma improvvisamente una mano calda le si posò sul braccio facendola riprendere.
-Himawari, ti senti bene?- il suo nome parve come risvegliarla. Con ancora il cuore in gola si sforzò di socchiudere le palpebre mentre tutto iniziò a farsi più nitido: individuò una serie di sconosciuti che, radunati in un cerchio attorno a lei, la fissavano preoccupati, ma nessuno di loro le era familiare. Per un attimo si chiese se non si fosse immaginata la figura che aveva pronunciato il suo nome.
-Himawari?- finalmente la bambina si rese conto che non era l’unica ad essere sul pavimento: due occhi castani, familiari, ma preoccupati, la stavano fissando con insistenza.
-Maestra- bisbigliò più scioccata di vedere quella figura, che aveva sempre visto a scuola, lì che per la caduta. La donna annuii e sospirò sollevata.
-Ti senti bene? Ti sei fatta male nella caduta?- le domandò e la bambina, ancora confusa, scosse debolmente il capo.
-Te la senti di alzarti?- e nuovamente si limitò ad annuire. Dolcemente le mani della donna si chiusero intorno ai gomiti della bambina e, attente a non usare troppo forza, la aiutarono ad alzarsi. Il dolore alla coscia era ancora talmente forte che le causò una smorfia di dolore, ma Himawari non si lamentò e, a fatica, ritornò ad appoggiare le piante dei piedi al terreno.
-Mi sono presa un bello spavento- confessò la maestra facendo combaciare i loro sguardi. Poi, prima che le labbra della Uzumaki potessero schiudersi, la avvolse tra le sue braccia: l’agrumato profumo dei capelli della maestra la avvolsero mentre la lunga chioma castana, che ricadeva sulle spalle della donna, le solleticò il naso. Si godette quel gesto così amorevole e materno senza fiatare mentre le lacrime, che minacciavano di scendere nuovamente copiose, vennero scacciate via con forza. In realtà non aveva mai notato come fossero morbidi e profumati i capelli della maestra.
-Himawari!- il suo nome, questa volta pronunciato da una voce decisamente più profonda ed allarmata, rimbombò per tutto il locale. La figura di suo zio si fece spazio con forza in mezzo alla folla, che iniziò a diradarsi da intorno alla bambina e all’insegnate.
-Stai bene? Sei caduta?- le domandò ansioso notando che sul pavimento era riversato del liquido e che i pantaloni della bambina erano completamente zuppi. Era talmente tanto preoccupato che non fece neanche caso alla figura accanto alla bambina.
-Sto bene zio, non preoccuparti- ma le sue parole non fecero scomparire l’espressione allarmata sul volto del moro, ma anzi, la fecero trasformare in una più dura.
-Mi hai molto deluso, Himawari. Ti avevo detto di non allontanarti dal tavolo e mi sono preoccupato quando non ti ho più visto- la sgridò. Un senso di vergogna assalì il petto della corvina che, mortificata, abbassò il capo. Non era mai stata sgridata in quel modo da suo zio e si sentiva un verme ad avergli disobbedito. Non voleva farlo stare male, ma non sapeva cosa dire. Per fortuna ci pensò qualcun altro a distendere il clima.
-Suvvia, non sia così duro con Himawari. L’importante è che sia sana e salva- disse con tono pacato la maestra rialzandosi dal terreno: un sopracciglio contrariato si incurvò sul volto di Neji mentre la sconosciuta fissò i suoi vestiti. La sua camicia era macchiata con un liquido nero e lo stesso valeva per i pantaloni da corsa che mal si abbinavano alla parte superiore. Una smorfia si dipinse sul volto dello Hyuga, ma la castana non ci fece caso. Raccolse i suoi lunghi capelli castani in una coda alta e si chinò a raccogliere il cellulare da terra.
-Giusto?- mormorò questa volta rivolta all’allieva. Un sorriso dolce e sincero venne riflesso nelle iridi azzurre della bambina che si sentì un po’ meglio.
-E lei chi sarebbe?- il tono, leggermente maleducato e freddo del moro, sovrastò il frastuono del locale. L’espressione allegra dell’insegnate però non scemò e anzi, venne rivolta questa volta all’altra figura adulta.
-Oh, mi scusi, che maleducata a non essermi presentata. Sono la maestra elementare di Himawari nonché la malcapitata che con cui si è accidentalmente scontrata mentre correva. Lei invece...- la donna si prese alcuni secondi per osservare con insistenza la figura di Neji senza un minimo di imbarazzo.
-Deve essere lo zio di Himawari-
-Esatto- rispose secco lo Hyuga non ricambiando il tono cordiale con cui parlava la donna. La piccola Uzumaki deglutì a fatica.
-E vorrei scusarmi per il comportamento di mio nipote- questa volta le parole che fuoriuscirono dalle labbra sottili di Neji erano decisamente più gentili e sincere. Allungò una mano davanti a lui e la maestra la strinse con gioia.
-Stia tranquillo, anche io ero distratta e non l’ho vista; quindi, diciamo che la colpa di entrambe- disse accompagnando queste sue parole da un occhiolino in direzione di Himawari che si lasciò sfuggire una risata divertita. Una occhiata di rimprovero di Neji, però, cancellò immediatamente qualsiasi segno di ironia dal volto della bambina. 
-Era immersa nella lettura e non stavo facendo caso a dove camminavo- continuò la castana chinandosi a raccogliere da terra l’oggetto precedentemente accennato. Una espressione sorpresa si dipinse sul volto di Himawari e questa volta anche su quello dello Hyuga. Gli occhi perlacei si soffermarono sulla copertina, leggermente bagnata.
-La maschera di Apollo?- quelle poche parole sfuggirono senza controllo dalle labbra del moro. La maestra lo fissò interrogativa.
-Sì, perché?- rispose mentre la corvina constatò che quello fosse il titolo del libro.
-È uno dei miei libri preferiti- spiegò Neji ritornando impassibile in volto. Himawari sgranò gli occhi dalla sorpresa: effettivamente la maestra spesso portava dei libri a scuola, come quello sulla poesia sull’amore di quel pomeriggio, e adorava farli leggere. Eppure, non aveva mai collegato che la sua insegnante amasse la lettura. Anche la donna rimase leggermente sorpresa dalla confessione dell’uomo e assottigliò gli occhi.
-Davvero? Beh, è anche il mio- sussurrò lasciando che le ultime goccioline cadessero dalle pagine ingiallite del libro. Himawari spostò il suo sguardo in direzione dello zio, ma rimase turbata da quello che vide: una espressione enigmatica animava la pelle diafana del moro e le sue labbra erano leggermente socchiuse. Il suo sguardo, però, era fisso sul volto della castana. La bambina era certa di non aver mai visto suo zio comportarsi così: di solito sapeva sempre cosa dire eppure, di fronte alla sua insegnante, sembrava quasi intimorito di aprire bocca quasi fosse affascinato. I suoi muscoli facciali si rilassarono mentre una idea si delineò nella sua testa.
-Le ricomprerò il drink- disse suo zio con decisione. La donna, che per tutto il tempo aveva ignorato, e non disdegnato, lo sguardo insistente dell’uomo sulla sua figura, smise di asciugare il libro e lasciò che un allegro sorriso si dipingesse sul suo volto.
-Oh, non c’è bisogno-
-Insisto, è stata mia nipote a farle cadere la bevanda- la maestra incrociò le braccia al petto divertita da tutta quella situazione. Poi, schioccò le labbra.
-Beh, non sarò certo io a dire di no ad una bevanda offerta- disse chinandosi a raccogliere la tazza in cartone oramai praticamente vuota. Suo zio osservò attentamente la bevanda riversa sul pavimento e che lambiva le sue scarpe di cuoio: gli angoli delle labbra si alzarono leggermente.
-Caffè nero?- disse e la castana annuì.
-E senza zucchero?- gli occhi di Himawari brillarono di fronte a quel semplice scambio di parole. Pendeva dalle labbra dei due adulti e scalpitava nel sentire quali sarebbero state le prossime parole a fuoriuscire.
-In realtà una bustina ce la metto sempre, la vita è già abbastanza amara, non crede?- una espressione divertita solleticò i muscoli facciali di Neji: quella sconosciuta aveva sempre la risposta pronta e questo... gli piaceva. Fece un leggero inchino, cosa che stuzzicò ulteriormente la donna, ma non si mosse.
-Glielo vado a prendere subito, signorina...?-
-Tenten, e la prego di usare solo il mio nome di battesimo. L’appellativo di signorina mi viene affibbiato solo più dal parroco del mio paese- rispose la donna soffiando via dal volto una ciocca fuoriuscita dalla sua acconciatura improvvisata. Suo zio annuii debolmente, lasciando che i loro sguardi si specchiassero l’uno nell’altro per ancora una manciata di secondi, prima di dirigersi verso il bancone. Himawari ne fu certa, sul viso di suo zio era apparso un accennato sorriso.
-Maestra?- domandò alla donna oramai rimaste sole. La castana, che aveva seguito con lo sguardo il moro e aveva una strana espressione difficile da decifrare, la fissò dolcemente.
-Aveva ragione lei, l’amore è una delle cose più belle al mondo- le bisbigliò all’orecchio mentre la figura di suo zio vestito da sposo ritornò a lampeggiare nella sua mente. Accanto a lui la chioma rossa sparì all’istante lasciando posto ad un viso su cui spiccavano due occhi marroni, come quelli di un cerbiatto. Forse la sua missione non era stata un fallimento totale.
   
 
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