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Autore: MauroCanta67    14/01/2022    1 recensioni
Non mi sono mai interessato di scrittura, ho solo letto moti romanzi, ma una notte ho sognato questa storia, che in fase onirica mi è sembrata meravigliosa, quando mi sono svegliato meno...come capita spesso con i sogni.. ma la ricordavo con nitidezza e l'ho scritta di getto, per non dimenticarla.
Cosmo è un uomo sconfitto dalla vita da cui ha ricavato solo delusioni, si appresta a salutare anche l'ultima cosa che riesce ancora a dargli sollievo, la passione di una vita, sta per giocare la sua ultima partita di pallacanestro in una scalcinata squadra delle minors... ma c'è qualcosa di strano quella sera..
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cosmo entrò nel Palestrone chiudendo velocemente la porta nel vano tentativo di lasciare fuori il freddo e la malinconia che lo accompagnavano.
Quella sera sarebbe stata la sua ultima partita. A 48 anni era ora. Le sue  ginocchia e le sue anche lo imploravano di smetterla con quell’eterna tortura.
Aveva nevicato abbondantemente e il Palestrone era buio e gelido.
Cosmo da quasi 15 anni non solo giocava, arrancando penosamente per i 28 metri del campo da basket, ma si occupava di aprire l’impianto, pulirlo e chiuderlo a notte fonda al termine degli allenamenti e delle partite. Visto che il contributo sul campo ormai era relativo, in questo modo giustificava ampiamente la sua presenza nel roster della squadra.
Accese gli interruttori del quadro elettrico e il vecchio impianto di riscaldamento ad aria iniziò a ruggire come un vecchio animale ferito.
Con il borsone ricoperto da un sottile strato di neve zoppicò verso gli spogliatoi che odoravano di candeggina e sudore.
Era stata una dura giornata di lavoro nell’impianto di trasformazione di carni di pollo. Era esausto.
Si accasciò sulla malandata panchina di legno dello spogliatoio domandandosi dove sarebbe riuscito a trovare le energie per il suo ultimo appuntamento con la palla da basket.
Socchiuse gli occhi e la solitudine lo avvolse con il suo amaro abbraccio. La vita non era andata come si era auspicato. Ora anche l’unico sollievo alla sua quotidianità, arida di soddisfazioni, avrebbe avuto termine. L’ultima partita... in realtà l’ultima prestazione decente della sua trascurabile carriera nelle minors era un ricordo lontano.. un paio di menischi e di lustri fa..
Arrivava sempre molto prima dell’inizio della gara, un po’ per scaldare adeguatamente il Palestrone un po’ per scaldare adeguatamente il suo corpo logoro.
Da ragazzo aveva creduto alla favola che il duro lavoro paga, che allenandosi in modo maniacale sarebbe potuto diventare un grande giocatore. Tutte le biografie dei grandi campioni recitavano questa liturgia. Ogni giorno aveva scagliato migliaia di tiri verso il ferro con esiti incerti. Non si era scoraggiato e anno dopo anno aveva continuato a tirare per ore e ore ad allenare la sua mano sinistra, la sua mano debole. Certo c’erano stati fievoli miglioramenti, ma era rimasto un giocatore mediocre. Inoltre il suo fisico debole che tendeva ad infiammarsi e a rompersi con facilità aveva iniziato a minare la sua determinazione. L’emotività aveva fatto il resto. Presto si era accorto che aveva letteralmente paura a giocare, le emozioni lo condizionavano troppo, si deprimeva ad ogni errore, sentiva di deludere i compagni e si perdeva nei suoi timori. Quello che di buono faceva in allenamento raramente lo riusciva a replicare sotto pressione in partita.
La presa di coscienza che non avrebbe mai fatto nulla d’importante nello sport che così amava era stata devastante. Anni frustrazioni lo avevano condotto ad una profonda crisi personale che avevano mandato in frantumi relazioni e ambizioni in campo lavorativo.
Gli antidepressivi erano gli oscuri compagni con cui condivideva il suo viaggio verso l’abisso.
Si concesse di chiudere gli occhi, seduto sulla panca degli spogliatoi, ancora con il giaccone infilato e il borsone chiuso vicino ai suoi piedi.
C’era tanto freddo, fuori e dentro di lui.
Un attimo di riposo.. i suoi giovani e atletici compagni sarebbero arrivati tra poco più di un ora.
Dormì un poco, un breve sonno agitato..
Si sveglio di colpo, era tardi, si cambiò in fretta con il cuore che batteva forte e raggiunse il campo che rombava di aria tiepida. Aprì il lucchetto del cesto di palloni, ne prese uno in discrete condizioni e trotterellò palleggiando verso il canestro più vicino. Il terzo tempo con cui iniziò il riscaldamento gli diede sensazioni positive. Le ginocchia sembravano avergli regalato una serata di tregua, quasi avessero capito che era una serata speciale. Prima di ogni gara prendeva un potente antiinfiammatorio non steroideo, ma ormai questi farmaci non avevano alcun effetto, ma non quella sera..
Rinfrancato iniziò a tirare, cambio di mano e tiro..., giro in virata e tiro..., la palla quella sera gli era amica ed entrava con continuità. Cosmo non si sentiva così bene da anni.
Il Palestrone iniziò a popolarsi, entrarono i primi compagni di squadra, infreddoliti, fregandosi le mani, iniziarono ad unirsi alla danza di Cosmo dopo averlo salutato con tiepidezza.
I pochi spettatori che assistevano ai loro incontri, per lo più parenti stretti o aspiranti tali, iniziarono a sedersi sulle quattro file di gradoni di cemento senza dare ad intendere di volersi levare ne sciarpe ne cappelli di lana. Il pubblico, più nutrito del solito, si chinò sui propri smartphone nel consueto triste rituale di solitudine.
Cosmo non conosceva gli avversari della serata, come spesso capitava in quella categoria, venivano da un paese a pochi kilometri dal capoluogo e avevano vinto tutte le 7 partite disputate fino a quella sera di inizio dicembre. Questa era un’informazione già sufficiente: erano forti per la categoria in cui giocavano Cosmo e i suoi.
Poteva non essere una buona notizia per Cosmo, avrebbe avuto sicuramente poco spazio per giocare in una partita cosi complicata. L’allenatore con manifesta indulgenza lo faceva giocare soprattutto nelle partite con grande divario: o perse malamente o vinte facilmente.
Dai finestroni resi opachi dallo smog sopra i gradoni delle tribune, turbinavano riflessi di luci blu di un mezzo delle forze dell’ordine o di un ambulanza.
Arrivò anche l’arbitro, un anziano bulgaro che arbitrava più partite possibili per integrare le magre entrate della pensione. Era un personaggio particolare, spesso invece che fischiare un fallo, toglieva il fischietto dalle labbra ed invitava giocatori ad essere più corretti, con un vocione con un marcato accento dell’Europa dell’EST. Fischiava pochissimo. Sarebbe stata una partita in cui sarebbero stati consentiti contatti duri. Questo sarebbe stato un vantaggio per Cosmo che avendo atletismo relativo, in difesa si affidava decisamente all’arte di arrangiarsi.
L’allenatore, un ragazzo sovrappeso e spocchioso più giovane di una decade di Cosmo, arrivò e dopo aver appoggiato le sue cose sulla panchina della squadra di casa a lato del campo, chiamò con un gesto plateale e regale i pochi giocatori arrivati della sua squadra.
“Ragazzi purtroppo stasera, per problemi di varia natura, saremo solo in 6. Sarà una serata molto dispendiosa fisicamente, dovremmo sempre difendere a zona per preservarci dai falli difensivi e per risparmiare energie” chiosò in tono esageratamente enfatico.
Cosmo non riuscì a trattenere un sorriso. Ok avrebbe giocato tanto, uscendo dalla panchina come primo cambio. L’adrenalina salì, andando a coprire i residui echi dei dolori alle sue articolazioni ormai calde.
La squadra avversaria, al completo e indossando divise bianche impeccabili, iniziò a fare il riscaldamento nell’altra meta campo. Essendo entrati tutti insieme apparivano come un esercito coeso e impeccabile. Erano dodici soldati che si muovevano all’unisono in una giostra ordinata.
Cosmo osservò un po’ meglio il riscaldamento e inizio a tranquillizzarsi, inizio a memorizzare i mancini e quelli che sembravano un po’ esitanti nel trattamento di palla. Sarebbero stati i bersagli dei suoi blitz difensivi. Troppi polsini e fasce sulle teste, inutili ornamenti che mascheravano insicurezze, per essere veramente forti.
L’arbitro Bulgaro fischio i tre minuti dall’inizio e il riscaldamento della mezza dozzina di scappati di casa di cui faceva parte Cosmo, aumentò di intensità.
Cosmo era stupefatto per come stava bene, non sentiva alcun dolore, eccetto qualche decisa fitta al petto che congedò come tributo all’emozione per l’ultima partita.
In realtà era totalmente calmo.
L’emotività per una volta non lo condizionava.
Un occhiata distratta al pubblico gli fece notare una cosa curiosa. In prima fila a capo scoperto una ragazza bionda sui 15 anni con i capelli lunghi aveva il viso familiare. Era veramente somigliante a Camilla il primo amore di scuola di Cosmo. Aveva adorato la sua frangetta e il suo viso tondo che circondava il piccolo naso all’insù. Camilla, dopo una breve e casta frequentazione con Cosmo, aveva preferito rivolgere le sue attenzioni al classico golden boy della scuola, riccioli biondi, occhi di ghiaccio, bellissimo, cintura nera di karate che scorrazzava impavido su una fiammante moto guzzi rossa.
Confronto impossibile per l’ordinario Cosmo e per la sua bicicletta Bianchi.
Cosmo aveva pianto segretamente per più di un anno. Sapeva vagamente che Camilla ora, 35 anni dopo, dirigeva un’agenzia di pulizie e aveva avuto 4 figli da un successivo compagno. Gli avevano riferito che la menopausa seguita alle gravidanze non era stata generosa con lei.
Poteva essere una delle figlie di Camilla.... Suo malgrado il cuore gli batté fortissimo. Gli occhi della ragazzina erano magnetici e lo stomaco di Cosmo andò in subbuglio per i ricordi di quell’innamoramento adolescenziale.
L’arbitro fischiò scuotendo Cosmo dai suoi pensieri, i quintetti si schierarono in campo e Cosmo si accomodò da solo in panchina dietro la massiccia sagoma dell’allenatore in piedi a braccia conserte.
I ragazzi delle due squadre in campo si guardarono in cagnesco, sfidandosi con occhi spavaldi. Erano veramente tutti molto giovani, dai 25 ai 30 anni nel pieno della loro vigoria agonistica. Cosmo sperò di non entrare in campo troppo tardi o il beneficio del lungo riscaldamento sarebbe stato vanificato, riportandolo molto vicino ad uno stato di disabilità.
Il massacro ebbe inizio. I giocatori della squadra ospite erano più alti, più grossi e più tecnici. Ogni canestro, anche semplice, era seguito da un esultanza esagerata celebrata con urla feroci da parte dei dodici avversari.
Presto il coach di casa fu costretto a chiamare timeout per interrompere l’emorragia nel punteggio. Il parziale di 14 a 0 parlava da solo. Come se non bastasse la guardia titolare si era insaccata dolorosamente il dito medio e non sembrava in condizione di proseguire.
Era il momento di Cosmo.
Entrando in campo cercò gli occhi della sosia di Camilla sugli spalti che sembrò sorridergli. Ricevuta la rimessa Cosmo passò la metà campo senza eccessiva pressione dell’avversario che lo fronteggiava sardonico.  Palleggiava con la mano debole la sinistra, in modo da poter virare sulla destra in caso di attacco del difensore. Fu esattamente quello che accadde, la virata dorsale riuscì, il successivo arresto e tiro con la punta dei piedi allineati appena fuori dell’arco dei tre punti fu accompagnato da un lamentoso borbottio del proprio allenatore, in totale disaccordo con l’iniziativa di Cosmo.
La palla entrò nel canestro sfiorando appena il cotone. I compagni esultarono rinfrancati e si compattarono per la successiva difesa. L’allenatore si ammutolì per un attimo ingoiando gli improperi che aveva lanciato in direzione di Cosmo.
Dopo il rimbalzo difensivo del centro della squadra di casa, un ragazzone pingue che faceva della propria indolenza il proprio manifesto di vita, Cosmo girò dietro un blocco dell’ala, ricevette in ritmo, usò il perno sinistro, fronteggiò, si alzò in un’armonica sospensione e con il suo secondo canestro consecutivo diede il “la” alla rimonta della sua squadra.
Se si escludeva la fitta al petto a cui non faceva più caso, si sentiva straordinariamente bene. Era un uomo in missione.
Martellò con altre tre triple il canestro avversario nell’incredulità dei suoi compagni e nella crescente ostilità degli avversari che lo avevano ragionevolmente sottovalutato.
Quell’anno da tre aveva fatto in sette partite 2 canestri da tre punti su 11 tentativi. Quella sera era 5 su 5.
Sul 18 pari fu l’allenatore avversario a chiamare il time-out per cercare di interrompere l’inerzia di Cosmo. Passando a testa bassa davanti alla panchina degli ospiti, notò che l’allenatore avversario aveva un grosso neo sulla mano destra tra pollice e indice. lo stesso neo che aveva sulla mano suo padre. Era l’unico ricordo nitido che aveva Cosmo del Padre morto in un incidente stradale quando lui aveva 4 anni. Quelle mani enormi, che lo afferravano, lo lanciavano, facendolo gridare di gioia ed eccitazione, verso l’alto e quel neo che lo ipnotizzava e di cui cercava sempre di esplorare la superficie rugosa con le sue dita da bimbo.
L’allenatore avversario gli sorrise benevolo e Cosmo credette di intravedere nei suoi occhi uno sguardo d’orgoglio. Probabilmente lo aveva solo immaginato.. Che succedeva?
Si sedette in panchina, ma invece di ascoltare le mediocri indicazioni del suo coach rimase ipnotizzato dalle luci blu che continuavano a danzare nelle vetrate sopra i gradoni.
Doveva essere successo qualcosa di grave appena fuori dalla palestra per giustificare tutte quelle luci.
Si alzo è si getto nuovamente nella battaglia che era straordinariamente avvincente per la categoria. Cosmo continuò a tirare in modo surreale tenendo a galla la sua squadra e ricucendo tutti gli strappi che gli avversari provavano a dare al punteggio.
Durante un tiro libero avversario girò lo sguardo verso Camilla e rimase di sasso. Di fianco a Camilla vi era la sosia della sua ex moglie Giorgia, quando l’aveva sposata a 25 anni. Piccola con una cascata di riccioli mori lo guardava fisso con un mezzo sorriso. Non si vedevano da 12 anni e lei doveva averne 46 quindi non poteva essere quella giovane ragazza. Dopo un breve idillio e i successivi 13 anni di scontri, avevano convenuto che litigare ogni giorno non era sostenibile e le loro strade si erano divise. Cosmo la tradiva da tre anni con una persona insignificante e il senso di colpa non lo abbandonò mai.
Cosmo era confuso, ma l’agonismo prese il sopravvento. Tagliò sotto il canestro inseguito da un giovane che aveva il doppio delle sue energie e la metà dei suoi anni, ma che rimase sui blocchi dei suoi compagni. Ricevette fuori dall’arco, ma ora il suo tiro era onorato e temuto dalla difesa che con un feroce close-out tentò di impedirglielo.. Cosmo fintò il tiro, il difensore volò fuori dal campo come un angelo maledetto, Cosmo fece un palleggio di avvicinamento per recuperare equilibrio e dare energia alla palla, si arrestò e tirò e canestro dall’angolo realizzando. Al riposo la squadra di Cosmo era sopra di due.
Cosmo non rientrò negli spogliatoi, aveva una strana sensazione, non voleva uscire dal campo e tornare là, quasi che temesse che abbandonare il terreno di gioco interrompesse la magia che si era creata. Pensare allo spogliatoio gli dava una sensazione claustrofobica. Rimase sul campo a tirare per non rischiare di raffreddare i muscoli.
Il pubblico si era alzato ed era uscito a sgranchirsi le gambe affollandosi presumibilmente a cercare conforto vicino alle macchinette del caffè nell’atrio del Palestrone.
Cosmo non vedeva più ne Camilla ne Giorgia.
Per un attimo una luce lo accecò ed ebbe un grosso spasmo al torace. Misericordia.. cosa era stato? ma era passato..
Se non fosse che stava vivendo la serata più magica della sua vita agonistica avrebbe chiamato aiuto e un ambulanza. Era molto scosso.
Quello che gli era accaduto non era normale. il dolore era stato atroce ma breve.
Si ripromesse di andare al pronto soccorso appena finita la partita. Non mollare Cosmo si ripeté mentalmente.
Le squadre rientrarono ed ebbe inizio un selvaggio secondo tempo, fatto di contatti duri e sporchi che avevano in Cosmo il bersaglio principale. Il Bulgaro fischiava pochissimo continuando ad invitare i giocatori alla correttezza con la sua voce baritonale.
Ma nonostante la quantità di porcherie che subiva, non c’era possibilità di fermare Cosmo che con un jumper dai 4 metri appoggiò al tabellone il suo 37esimo punto. Ne aveva realizzati 13 complessivamente in tutte le partite precedenti.
Si girò esultando verso il pubblico e l’urlo gli si strozzò in gola.
Nel pubblico c’era Amanda con la loro bambina.
Le ginocchia gli si piegarono per una attimo e nuovamente tornò quello straordinario lancinante spasmo al torace.
Amanda che aveva amato follemente, Amanda cosi più giovane di Lui, cosi bella ed intelligente. Cosmo ogni giorno dei tre anni che aveva passato con lei si era chiesto come una creatura cosi potesse essersi innamorata di lui. Amanda con cui aveva concepito Cecilia una meravigliosa bimba con gli stessi capelli ricci rossi della madre.
Amanda che un giorno lo aveva lasciato senza molte spiegazioni per andare a vivere all’estero con un giovane collega portando con se Cecilia.
Cosmo era rimasto distrutto, ma non poteva biasimarla. Era giusto così. Amanda con lui non era felice, non era realizzata. Il suo sorriso straordinario si era spento.
Cosmo aveva 20 anni più di Amanda. Non vedeva Amanda e Cecilia da un anno. Non aveva soldi a sufficienza per andare a Barcellona a trovare la sua bambina. Una videochiamata alla settimana era quello che gli rimaneva dei suoi grandi amori. Cosmo nel corso di quei freddi collegamenti intuiva che erano felici.
Lui invece era crollato, l’angoscia caratterizzava le sue giornate e le sue nottate insonni. Una sera era salito sul tetto terrazzato del suo condominio e si era sporto guardando in basso il marciapiede lontano. Poteva intuirne l’odore di urina e disperazione..  dopo minuti interminabili, in cui aveva cercato il coraggio di fare terminare tutto quel dolore insostenibile, piangendo, aveva fatto un passo indietro. Erano passati 4 mesi da quella notte.
Amanda gli sorrideva dagli spalti tenendo Cecilia sulle ginocchia che batteva le manine cicciotte, distratta come sempre. Quel sorriso incredibile, con cui gli aveva dilaniato l’anima dal primo giorno che la aveva incontrata....
Cosmo era attonito.
Fu scosso da un suo compagno di squadra che lo strattonò malamente per farlo tornare in difesa. Amanda spostandosi una ciocca di capelli dal viso con le labbra scandì lentamente le parole TI AMO.
Le forze di Cosmo si triplicarono.
In due successive entrate i difensori lo colpirono duramente ma Cosmo segnò comunque completando due giochi da tre punti con i successivi tiri liberi. Persino per l’arbitro bulgaro i contatti erano sati eccessivi ed erano stati sanzionati.
Si sentiva leggero, il canestro era gigantesco, la palla piccola, gli avversari deboli fantasmi.
Arrivò l’ultimo possesso con le squadre in perfetta parità 62 pari. Cosmo dei 62 punti della sua squadra ne aveva messi 46.
Si fece dare l’ultimo pallone, a 18 secondi dalla fine, passò lentamente la metà campo palleggiando guardingo, facendo scorrere il tempo per avere un unico tiro, la difesa lo attendeva sulla linea dei 3 punti attenta a non commettere fallo.
Passò davanti all’allenatore avversario avvertendo distrattamente che era veramente somigliante al padre perduto, lo senti sussurrare “vai Cosmo è ora..”. Rimase perplesso, ma non c’era tempo.
Incrociò con lo sguardo il sorriso di Amanda che lo gonfiò di energia mentre continuando a palleggiare faceva passare i secondi che sembravano eterni. A 5 secondi dal termine si ingobbì, sfruttò il blocco del suo lungo, cambiò mano e velocità, lasciando il difensore a schiantarsi sul blocco e penetrò contro la difesa schierata. Voleva ottenere un canestro o un fallo... non faceva nessuna differenza. Avrebbe vinto quella partita. Segnando o tirando due tiri liberi. Raccolse il palleggio sfuggendo a mani protese che sembravano artigli, e si lanciò coraggiosamente verso il canestro...
 
tutto diventò buio....
 

 
Negli spogliatoi c’era grande agitazione. Avevano trovato il corpo di Cosmo ancora vestito con giaccone e berretto sulla panchina degli spogliatoi. La borsa ancora chiusa vicino ai suoi piedi. Aveva avuto un fatale attacco di cuore presumibilmente pochi minuti dopo essere arrivato al Palestrone deserto. I paramedici arrivati con l’ambulanza parcheggiata sotto i finestroni del Palestrone avevano provato di tutto, lo avevano defibrillato più volte senza esito.
Nella disperazione dei suoi compagni di squadra che lo avevano trovato esamine c’era un'unica consolazione: era morto sorridendo.
Non avevano mai visto Cosmo sorridere.
   
 
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