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Autore: FalbaLove    15/01/2022    2 recensioni
Non era così sicura che il malato fosse lui, forse lo era lei che continuava a vivere in un mondo in cui sentiva di non appartenere più. E nonostante si reputasse una donna patetica per questo, sapeva benissimo che sarebbe tornata la settimana dopo e quella dopo ancora: perché quando entrava in quella stanza per un attimo ritornava indietro nel tempo e poteva immaginare un futuro che mai sarebbe accaduto.
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gai Maito, Tenten
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Un sospiro pensante fuoriuscì dalle labbra dell’unica persona presente nella camera dalle pareti estremamente bianche: Maito Gai fece scorrere le sue mani piene di calli sulle ruote della carrozzina impartendo, con un veloce colpo di polso, una spinta vigorosa. I suoi occhi, caratterizzati da due iridi nere come la pece, brillarono illuminati dai raggi del sole. Incuriosito fissò la stella più grande e lucente del sistema solare: quella era, senza dubbio, una delle giornate più luminose e serene che avesse mai visto. Scrutò gli uccellini crogiolarsi sotto i caldi raggi solari e una leggera brezza far scuotere le foglie degli alberi. Ogni suo muscolo vibrò di entusiasmo all’osservare tutta quella vita desiderando con tutto il cuore di trovarsi dall’altra parte del vetro. Avrebbe potuto trascorrere la giornata al campo dall’allentamento perfezionando il suo Genjutsu con Rock Lee cercando di schivare i kunai perforanti di Tenten e le tecniche micidiali del clan Hyuga. Oppure, e sogghignò, avrebbe potuto sfidare il tuo eterno rivale, Kakashi: sapeva che con tutta quella energia vitale emanata dalla terra sarebbe riuscito facilmente a batterlo, era impossibile perdere. Eppure, appena i suoi occhi tornarono a scrutare il posto in cui si trovava, si ricordò che tutto ciò era impossibile: era passato un mese da quando la Grande Guerra era finita. In realtà non era neanche certo di quanto tempo fosse passato, ma sembrava comunque una eternità. Purtroppo, il suo corpo non si era ancora completamente ripreso: i suoi polpastrelli sfiorarono le spesse bende che avvolgevano le sue gambe.
Una smorfia involontaria balenò sul suo volto maturo: la tecnica delle Otto porte difensive del corpo aveva lasciato un segno indelebile sul suo fisico. Sfortunatamente, il suo corpo non stava reagendo come si era sperato e, nonostante fossero sempre di più le settimane trascorse da quel giorno in cui sfiorò la morte, i miglioramenti del suo stato fisico erano ancora minimi. Eppure, nonostante tutto, Maito Gai era sereno, di una serenità che molti facevano fatica ad accettare: nello stesso istante in cui aveva deciso di ricorrere alla tecnica delle Otto porte difensive del corpo per sconfiggere Madara, aveva messo in conto che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno sulla terra. Sapeva perfettamente a cosa sarebbe andato incontro, conosceva la pericolosità di quella tecnica e ancora di più era consapevole che il suo corpo non sarebbe mai stato più come prima. Eppure, non aveva esitato per neanche un millesimo di secondo: sarebbe morto con onore in battaglia, cercando di salvare le persone e il mondo che amava. Esisteva una morte più onorevole di questa?
Nonostante tutto però non era successo, Naruto aveva deciso che quel giorno nessun altro sangue sarebbe stato versato. E così si era ritrovato ancora nel mondo dei vivi, ammaccato, sanguinante e con le gambe rotte, ma pur sempre vivo. Un sorriso smagliante si dipinse autonomamente sul suo volto contornato dalle rughe: era contento dopo tutto di come erano finite le cose. Se quel giorno fosse morto non avrebbe più potuto vedere le lacrime sgorgare copiose dagli occhi del suo pupillo che, tra un singhiozzo e l’altro, l’aveva supplicato di non lasciarlo. Non avrebbe potuto bearsi dell’odore agrumato di mandarino che avevano emanato i capelli di Tenten quando l’aveva abbracciato ancora disteso a terra nel campo di battaglia: poi l’aveva picchiato con forza ordinandogli di non azzardarsi mai più a spaventarli in quella maniera perché lui era il loro sensei e non poteva andarsene così presto. Era anche certo di aver visto una lacrima scivolare silenziosa anche sulla pelle diafana del suo rivale. Ma, più di tutto, non avrebbe potuto vedere gli occhi perlacei di Neji riaprirsi quando oramai tutti avevano perso le speranze di rivederli: il suo allievo più potente e silenzioso aveva deciso di sacrificare la sua vita per proteggere le persone che amava e per questo non poteva biasimarlo. Ma dalla sua mente non riusciva ancora a dimenticare il momento in cui l’aveva visto trafitto a terra circondato dalle braccia di Rock Lee: aveva assistito pietrificato mentre la vita si era allontanata dalla pelle diafana del Genio degli Hyuga senza poter fare niente. Maito Gai non aveva mai avuto figli, non aveva mai saputo cosa si provasse ad essere un genitore, ad amare incondizionatamente qualcuno che non fosse suo padre: eppure quando gli venne assegnato per la prima volta il suo Team non poteva immaginare che la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Perché quei ragazzi non erano i suoi figli di sangue, eppure questo non importava a nessuno di loro quattro. I suoi allievi erano riusciti a diventare tutto per lui e lui era diventato il loro tutto. Erano una famiglia, non forse la canonica che molti immaginavano, ma a loro bastava. Per questo aveva osservato catatonico Sakura farsi spazio tra la folla, l’aveva vista chinarsi mentre la pozza di sangue proveniente dal corpo di Neji si faceva sempre più larga. Il tempo si era quasi fermato per tutti mentre le lacrime e le urla di Rock Lee si erano fatte sempre più forti e disperate: era rimasto immobile senza sapere, lui, il loro maestro, cosa fare. Ed aveva pregato, Gai non si ricordava neanche più quale divinità, ma poco importava poiché il miracolo c’era stato: Sakura era riuscita a riportare un briciolo di vita nel corpo dello Hyuga e Neji era stato strappato da morte certa. E per un attimo tutti avevano dimenticato che si trovavano in un campo di battaglia di fronte al nemico più temibile di tutti: Nej era vivo e questa bastava. Una lacrima scivolò sulle sue guance abbronzate.
-Posso entrare?- una voce femminile fece sussultare l’uomo. Un sopracciglio si alzò involontariamente mentre ogni pensiero negativo venne spazzato via dalla sua mente. Prima che potesse anche solo rispondere la porta della sua camera d’ospedale si aprì appena e due occhi castani osservarono incuriositi la stanza come cercassero qualcuno. Gai scrutò divertito la sconosciuta analizzare ogni centimetro dell’ambiente quasi con circospezione.
-Entra pure- disse con la sua solita voce baritonale e la donna sussultò dalla paura. Una fragorosa risata rimbombò per tutta la stanza.
-Non è divertente- tuonò la castana aprendo con sprezzo la porta e fissando indispettita l’uomo sulla carrozzina: Gai si asciugò le ultime lacrime che minacciavano di fare capolinea dai suoi occhi cercando di ritornare serio.
-Mi dispiace di averti spaventata- si scusò mentre gli angoli delle sue labbra ritornarono a rilassarsi: non sapeva chi fosse quella ragazza, ma la scena era stata senza dubbio ilare. La donna, poiché aveva sicuramente un’età molto vicina alla quarantina, sbuffò alzando gli occhi al cielo poi, senza fiatare, si girò per chiudere la porta dietro di sé: Maito non riuscì a non notare il leggero sorriso divertito che balenò sulla pelle abbronzata della sconosciuta che però lei cercò malamente di celare.
-Allora- sbuffò la castana appoggiando una cartella di un giallo brillante sul comodino affianco al suo comodino.
-Come stai oggi?- continuò allungando una mano ed afferrando il contenitore che conteneva i suoi anti-dolorifici: fece tutto con estrema naturalezza, quasi fosse un gesto spontaneo. Eppure, Gai non riuscì a non domandarsi chi quella buffa signora fosse. Era certo di non averla mai vista in tutta la sua vita, ma i gesti della castana erano così fluidi e rilassati che si auto convinse fosse un’infermiera. Dopotutto Sakura e Tsunade non erano sempre di turno e spesso altri medici od infermieri si occupavano di lui e del suo recupero.
-Abbastanza bene, grazie- rispose cordialmente.
-Hai preso tutte le medicine questa mattina?- continuò la donna iniziando a scrutare con diligenza il numero delle pillole contenute nel flacone. Il sensei la esaminò con attenzione trovandola estremamente simpatica: nonostante fosse una donna adulta non passarono inosservate le sue gote leggermente paffute. Aveva i capelli di un castano caldo raccolti in una treccia bassa e la sua pelle era abbronzata, ma non arrossata: Gai non poté non constatare che fosse davvero molto bella, ovviamente fu un pensiero privo di qualunque malizia.
-Una pillola rossa appena sveglio e quella blu subito dopo la colazione- disse con diligenza spostando la sedia a rotelle da davanti alla finestra: le sue parole non parvero essere prese con serietà dalla donna che continuò a contare le pastiglie. Quando le ebbe valutate tutte Gai si meravigliò dell’enorme sorriso che balenò sul suo volto.
-Perfetto!- trillò posando il contenitore dove l’aveva preso e i suoi occhi brillarono: Gai non poté che sorridere a sua volta di fronte alla contentezza immotivata che aveva regalato a quella sconosciuta.
-Allora- mormorò ritornando decisa e seria in volto.
-Hai qualche novità da raccontarmi?- domandò avvicinandosi a lui. Con estrema sicurezza prese la sua carrozzina e la trascinò vicino al piccolo divanetto della stanza: sembrava tutto così estremamente familiare che Maito non riuscì ad obiettare di fronte a quel gesto. Poi la osservò accasciarsi con poca eleganza sulla poltroncina a pochi passi da lui e incrociare le gambe al petto con poca femminilità. La fissò incuriosito cercare una posizione comoda per qualche secondo prima di iniziare a giocherellare con una delle ciocche sfuggite dalla sua pettinatura: nonostante fosse una donna sicuramente adulta i suoi gesti erano così sgraziati e scoordinati che sembrava una ragazzina. Gai era sempre più divertito da quella sconosciuta.
-No- disse domandandosi mentalmente il perché una infermiera dovesse comportarsi in maniera così familiare con un suo paziente. Lei alzò le spalle quasi dispiaciuta della sua risposta.
-Immagino che non ci sia molto da fare in ospedale- sentenziò portandosi alla bocca una gomma da masticare. Poi, non badando minimamente al suo interlocutore, lanciò la carta in direzione del cestino: fece centro e il suo viso se ne compiacque.
-Esatto, ma per fortuna sto aspettando delle visite- sentenziò Gai sfoderando un sorriso a trentadue denti: da quando era stato trasportato in ospedale non era passato un singolo giorno in cui non aveva ricevuto visite. Ovviamente i più assidui erano Rock Lee e Tenten, Neji purtroppo era ancora troppo debole per lasciare il letto, e persino Kakashi era riuscito a ritagliarsi qualche ora per venirlo a trovare.
-Ah, sì?- domandò incuriosita la ragazza e i suoi occhi marroni brillarono. Maito annuì con vigore.
-Oggi che giorno è?- la interruppe l’uomo non riuscendo proprio a ricordare in che giorno della settimana si trovasse. La perdita della cognizione del tempo era una degli effetti collaterali del trascorrere così tante ore nel letto di un ospedale.
-Martedì- rispose immediatamente la ragazza facendo una enorme bolla come la gomma. Un sopracciglio folto si incurvò mentre una espressione divertita rallegrò il volto dell’uomo.
-Allora aspetto una visita molto speciale- specificò senza reprimere un sentimento di orgoglio. La castana strabuzzò gli occhi mentre la bolla scoppiò macchiandole tutte le labbra carnose con la gomma da masticare.
-Non posso farmi trovare impreparato, potresti passarmi i pesetti vicino al letto?- la ragazza non fiatò e eseguì il suo commento.
-Cosa stai facendo?- domandò incuriosita passandogli ciò che il suo interlocutore le aveva chiesto: ritornò a sedersi scomposta sulla poltrona mentre il sensei iniziò a piegare le braccia portandosi i manubri al petto.
-Mi sto allenando, non voglio farmi trovare impreparato- rispose con estrema semplicità l’uomo continuando ad allentare i muscoli della braccia. La castana si lasciò sfuggire una risata divertita.
-Impreparato per cosa?- lo incalzò, ma venne a mala pena udita dalla Bestia Verde. Un sorriso sfavillante quasi la accecò.
-Oggi è l’unico giorno della settimana in cui il mio eterno rivale riesce a venirmi a trovare e non posso farmi trovare privo del potere della giovinezza che esplode nelle mie vene- tuonò con estrema serietà come se quelle parole senza senso non risultassero strambe per qualsiasi persona non lo conoscesse: eppure la ragazza non rise, ma lo fissò ancora più concentrata.
-Il tuo eterno rivale?- domandò chinando leggermente la testa. Gai annuì con solennità.
-L’unico uomo che sia mai riuscito a battermi! Si chiama Kakashi Hatake, lo conosci?-
-Il Sesto Hokage è il tuo rivale?- ribatté la ragazza senza parole. Maito Gai annuì con vigore.
-Proprio così - rispose non riuscendo a celare l’orgoglio che provava per quello che poteva definire senza ombra di dubbio il suo migliore amico.
-E si dà il caso che mi sia allentato per tutta la settimana per riuscire finalmente a batterlo!- ululò con tutta la forza che aveva in corpo: la castana osservò divertita una fiammella di impazienza ardere negli occhi dell’uomo.
-Batterlo? In cosa? Un combattimento?- trillò eccitata cosa che alimentò ancora di più il fervore che animava ogni muscolo della Besta Verde. Schioccò le dita in segno d’assenso spostando il pesetto nella mano sinistra.
-Una sfida a cui non si potrà tirare indietro- sentenziò abbassando la voce, quasi fosse un segreto. La sconosciuta sembrava pendere dalle sue labbra.
-Purtroppo la scorsa settimana mi ha battuto, ma solo perché la giovinezza non ardeva completamente nelle mie vene. Questa volta però non mi farò trovare impreparato, questa volta sarò io a batterlo a braccio di ferro- la castana increspò le labbra divertita di fronte a quella affermazione, ma Gai era troppo concentrato sui suoi esercizi per accorgersene. Lo guardò in silenzio sbuffare e sollevare i manubri con estrema dedizione come se non stesse alzando un oggetto dal peso che non superava i due chili. Poi schioccò nuovamente le labbra.
-E oltre al Sesto Hokage c’è qualcuno d’altro che ti fa visita?-
-Oh, sì- rispose l’uomo uscendo dal tuo stato di trance. Le passò con estrema confidenza i pesetti asciugandosi con un fazzoletto le gocce di sudore distribuite sulla sua fronte rugosa. Poi, senza scomporsi, si diresse verso il suo comodino.
-Questi sono i componenti del mio Team- disse fiero come un padre alla prima recita del figlio. Passò la foto incorniciata che lo raffigurava alla donna che la prese senza esitazione. Lo stesso sorriso pittoresco dell’uomo, solo contornato da meno rughe, brillava da dietro il vetro insieme ai volti di tre ragazzini.
-Sono stato il loro sensei per moltissimi anni, quella foto venne scattata il primo giorno in cui mi vennero assegnati- continuò percependo il silenzio interessato della sconosciuta. Lentamente le si affiancò lasciando che anche nelle sue iridi si riflettessero le tre figure dei bambini.
-Oramai sono passati tanti anni da quel giorno e ora sono tutti e tre dei forti Jonin-
-Deve essere molto orgoglioso di loro- Gai non aspettò neanche che la donna finisse di parlare.
-Lo sono e, nonostante io non sia il loro padre biologico, sono come dei figli per me. Sono la mia famiglia- mormorò mentre la sua voce si fece quasi roca. I suoi occhi si fecero leggermente lucidi mentre un dolce sorriso brillò sul suo volto.
-Sono i migliori allievi che potessi mai desiderare e sono fiero degli adulti che sono diventati. Ma lo sapevo dal primo giorno in cui li ho affrontati che sarebbero diventati tre dei ninja migliori di tutta Konoha-
-Deve essere stato per loro facile diventare così forti con un sensei come te- Gai corrugò la fronte pensieroso: lasciò che il suo sguardo si spostasse sulle iridi marroni della donna. Quasi si stupì di vedere anche gli occhi della donna pieni di lacrime, ma non ci badò.
-Oh, non è stato sicuramente solo merito mio. Si sono allenati con costanza senza mai arrendersi, ma non basta solo la forza per diventare dei forti ninja: ci vuole anche un buon team che ti copra le spalle, degli amici fedeli su cui si può sempre contare-
-Presi singolarmente sono senza dubbio dei combattenti incredibili, ma è insieme che il loro vero potenziale raggiunge il massimo. In questi anni hanno imparato a conoscere meglio l’un con l’altro che loro stessi, hanno studiato ed allenato i loro punti di forza cercando di compensare quelli invece più deboli ed è anche per questo che sono così orgoglioso di loro- una lacrima fermò la corsa sulla cornice della foto, ma le gote di Gai erano entrambe asciutte.
-Mi piacerebbe tanto che li conoscessi!- trillò quasi sussultando sulla sedia a rotelle.
-Tenten e Rock Lee mi vengono a fare visita tutti i giorni- continuò indicando i visi di due dei tre bambini.
-Purtroppo Neji è come me in ospedale dopo la fine della Grande Guerra. Sai, ha quasi rischiato di morire- il suo volto si fece contrito al ricordo di quello che sarebbe potuto accadere.
-Ha dato la sua vita per cercare di salvare delle persone a lui care, ma è riuscito a sopravvivere- continuò ritornando a sorridere con il sorriso scintillante che lo caratterizzava.
-Di lui sono particolarmente orgoglioso perché se penso al bambino rancoroso e desideroso di morte che era la prima volta che lo incontrai quasi faccio fatica a capacitarmi di come sia cambiato così tanto- era talmente concentrato sulle sue parole che non notò gli spasmi che scuotevano le spalle della sconosciuta: la castana aveva il viso celato dalle mani mentre dei singhiozzi strozzati erano più flebili del vento.
-Abbiamo davvero temuto di perderlo quel giorno e se ci ripenso... Ma, stai bene?- la voce preoccupata dell’uomo sembrò cogliere di sorpresa la sconosciuta. Maito Gai si avvicinò preoccupato alla sua interlocutrice non riuscendo a capire il perché la donna stesse piangendo: copiose lacrime scivolavano veloci sulle sue gote abbronzate mentre il suo sguardo era lacerato di dolore.
-Ho detto per caso qualcosa di sbagliato?- continuò non riuscendo a darsi una risposta del cambiamento così repentino d’umore di quella sconosciuta. Lei, asciugandosi malamente il volto con una manica della felpa dai motivi cinesi, scosse la testa con forza. Il suoi respiro si fece più calmo appena la mano della Bestia Verde le sfiorò la spalla.
-No, tranquillo e anzi scusami tanto- bisbigliò sforzandosi di mostrare un falso sorriso allegro.
-Potresti continuare a raccontarmi dei tuoi allievi?- mormorò a labbra strette quasi come se fosse una supplica.
-I miei allievi?- domandò confuso l’uomo staccandosi da quel contatto così familiare come un automa. La donna annuì lievemente mentre i suoi muscoli facciali si fecero sempre più tesi.
-I tuoi allievi, Rock Lee, Neji e...-
-Tenten!- ululò di gioia l’uomo mentre un luccichio fece risplendere le sue iridi. La castana serrò con forza le labbra carnose quasi sedendosi sulla punta della poltrona.
-Gai-sensei- bisbigliò a fior di labbra cercando di reprimere il tremore che la stava facendo tremare con una foglia.
-Per caso mi riconosci?- l’uomo all’udire quelle parole si bloccò di botto. Sbatté per qualche secondo le palpebre scrutando con attenzione ogni singolo centimetro della donna che aveva di fronte a lui: ogni tanto le labbra della castana tremarono mal celando il suo stato d’animo turbato. Poi, senza che nessuno dicesse una parola, il volto vecchio e contornato di rughe dell’uomo si rilassò e si fece più dolce: allungò una mano in direzione della gota abbronzata della ragazza quasi a volerla sfiorare. La donna seguì incredula quel gesto, ma le iridi color pece dell’uomo si rabbuiarono nuovamente e il viso di Maito Gai ritornò allegro.
-Oh, dove hai trovato questa foto!- ululò con entusiasmo prendendo la cornice che la donna davanti a lui stringeva tra le braccia.
-Devi sapere che questi sono i tre allievi del team che ho allenato- continuò mentre questa volta toccò allo sguardo della donna rabbuiarsi. Reprimendo a fatica una smorfia di dolore si alzò mentre l’uomo continuò a parlare.
-Se vuoi posso parlarti di loro oppure se rimani qui ancora per un po’ potresti pure incontrarli. Sai, Rock Lee e Tenten mi vengono a trovare ogni giorno, ma purtroppo Neji è anche lui in ospedale come me-
-Gai-sensei- disse seria prima di aprire la porta della camera d’ospedale.
-Ci vediamo la prossima settimana, te lo prometto- e prima che l’uomo potesse anche solo risponderle richiuse la porta dietro di sé. Appena si ritrovò sola nel corridoio una lacrima scivolò veloce sulla gota della donna: poi, prima che altri pensieri offuscassero la sua mente, si incamminò per i corridoi così simili a quelli di un ospedale. I suoi passi risuonarono con forza e le sue gambe si mossero veloci sapendo perfettamente la strada da seguire.
-Arrivederci- mormorò con la voce ancora rotta dal dolore all’uomo che era dietro al bancone della sala d’accoglienza della struttura: quando fu finalmente fuori dall’edificio inspirò a pieni polmoni cercando di reprimere le lacrime che si erano fatte sempre più insistenti. Non voleva piangere, si era ripromessa così tante volte di non farlo più eppure ogni volta si lasciava travolgere dall’emozione. Non importava quanti anni fossero passati, ogni volta era doloroso come la prima volta.
-Che sciocca che sono- bisbigliò scacciando le lacrime che offuscavano la sua vista. Poi, cercando inutilmente di regolare il suo respiro, riprese a camminare: la scritta “Casa di Riposo di Konoha” iniziò a farsi sempre più lontana e piccola dietro le sue spalle mentre si addentrò tra le vie dell’unico posto che considerava casa.
La cosa che però più le faceva male era la consapevolezza che per un’ennesima volta aveva sperato, aveva fantasticato che lui la riconoscesse, che identificasse tra le sue rughe sempre più evidenti il volto della sua allieva. Perché Tenten, nonostante fossero passati più di dieci anni, continuava a credere che il suo sensei sarebbe ritornato. E non importava quanto fosse doloroso andarlo a trovare e ricordare la finta realtà che l’uomo si era creato da solo: ogni volta sperava di rivedere i suoi occhi illuminarsi, pregava che il suo nome venisse pronunciato dalle sue labbra. Ma la realtà era molto diversa e doveva ricordarsi che il suo maestro purtroppo non c’era più. Forse avrebbe dovuto fare come Rock Lee, avrebbe dovuto smetterla di andarlo a trovare in quella casa di riposo perché lui nella sua malattia era felice. Eppure, non riusciva ad abbandonare l’uomo che considerava come un padre o almeno questo era ciò che si ripeteva cercando di auto-convincersi. Perché la verità non era quella che continuava a ripetere agli altri: forse i motivi erano più egoistici di quanto lei stessa avrebbe mai voluto ammettere. Perché anche solo per un secondo era contenta di ritrovare in quell’anziano consumato dalla malattia il suo sensei: adorava sentire le avventure che avevano vissuto venir raccontate dalle sue labbra, si crogiolava nell’affetto che lui continuava a provare per loro tre nonostante non li riconoscesse più e, ancora più doloroso, a volte le piaceva immaginare che fosse il suo mondo malato la realtà. Perché se fosse stato così allora Neji non sarebbe morto in guerra molti anni prima e loro sarebbero ancora una famiglia. Non era così sicura che il malato fosse Gai-sensei, forse lo era lei che continuava a vivere in un mondo in cui sentiva di non appartenere più. E nonostante si reputasse una donna patetica per questo, sapeva benissimo che sarebbe tornata la settimana dopo e quella dopo ancora: perché quando entrava in quella stanza per un attimo ritornava indietro nel tempo e poteva immaginare un futuro che mai sarebbe accaduto. La Quarta Guerra si era presa Neji, l’Alzheimer stava sempre più consumando Maito Gai e Tenten sperava che la prossima sarebbe stata lei. Così forse sarebbero stati di nuovo felici, tutti insieme.
   
 
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