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Autore: moira78    16/01/2022    5 recensioni
L'aveva già guardata andare via una volta e non era pronto a vederla allontanarsi di nuovo. D'altronde, cos'altro aveva da perdere?
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie di cuore a Sonietta74 per la betalettura!
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La finestra giusta

L'aveva osservata per tutta la sera.

Bella da fare male, con i capelli sciolti sulle spalle che chiedevano solo di affondarvi le mani, il viso di porcellana reso vivido dagli occhi scintillanti di gioia, il naso punteggiato dalle lentiggini sbarazzine che facevano di lei la ragazza già donna da baciare e accarezzare. Il rossore sulle gote, il collo da cigno nudo e senza neanche una decorazione, per la stizza della zia Elroy che aveva accennato alla sua mancanza di stile.

E quell'abito che riprendeva il colore dei suoi occhi e metteva in risalto il corpo di splendida ventunenne, sbocciato dalla crisalide che aveva visto mutare in farfalla.

"Ehi, zio, tutto bene?".

Albert scolò d'un fiato il resto dello champagne con un grugnito di disappunto. "Archie, ti ho detto mille volte di non chiamarmi zio", ribatté con aria stanca.
Incontrò il suo sguardo perplesso e la luce intorno a loro gli parve più intensa, quasi fastidiosa: i lampadari nuovi dovevano avere qualche difetto perché il cristallo sembrava aver intrappolato persino il sole tramontato da ore.

Si passò una mano sugli occhi, sentendo la testa pulsare.

"Non ci posso credere". Il tono del ragazzo era sommesso, quasi spaventato.

"Cosa, che c'è?!". Allargò le braccia e si sentì sbilanciato.

"Sei ubriaco". Non era una domanda, ma un'affermazione pregna di saccenza che lo urtò ancora di più.

"No che non lo sono! Per chi mi hai preso, per Terence?!", sbottò senza poterselo impedire. Udì la propria voce strascicata che contraddiceva le sue stesse parole e gli venne da ridere. Da ridere sul serio.

"Sì che lo sei". Le spalle sussultarono, la voce tremò. Anche Archie ridacchiava, come se si stesse trattenendo, ma non ci riuscì proprio.

Nel giro di pochi istanti, si ritrovarono a ridere entrambi, in mezzo agli invitati che cominciavano a guardarli con aria stranita. Tra le lacrime sprizzate dall'ilarità, Albert distinse gli occhi sconvolti di Annie e quelli gelidi della zia Elroy, ma non gliene importava un fico secco.

Non aveva più niente da perdere, perché la cosa più preziosa l'aveva appena perduta per sempre.

Quando Archie gli batté una mano sulla schiena invitandolo a uscire in giardino per prendere una boccata d'aria, Albert continuò a ridacchiare. O forse stava piangendo? Non lo sapeva più, però seguì suo nipote e si ricompose abbastanza da riprendere il ritmo regolare del respiro e inalare il profumo della natura.

Sedettero sull'erba, in un angolo defilato dove nessuno li avrebbe disturbati e il mondo smise di ondeggiare un poco. Il silenzio li avvolse e si godette il canto dei grilli misto al frusciare delle fronde degli alberi nel vento gentile della notte.

"Puoi spiegarmi chi sei e cosa hai fatto al prozio William, alias Albert?". Stavolta, Archie non sembrava scherzare.

"Credo di averlo ucciso perché non sopportavo più nessuno dei due: il loro comportamento sempre ineccepibile non mi è mai stato di grande aiuto", rispose socchiudendo le palpebre.

"Deve essere successo qualcosa di molto grave per trasformare l'uomo distinto ed elegante di sempre in una specie di relitto senza più freni inibitori. È la prima volta che ti ubriachi, vero?".

"Perché, a te quante volte è successo, nipotino?". Gli diede il gomito, di nuovo sull'orlo della risata e delle lacrime allo stesso tempo. Decisamente si era sentito più equilibrato quando aveva perso la memoria e non sapeva chi diavolo fosse. Allora, almeno, sapeva di essere in egual misura arrabbiato e depresso.

"Non mi rispondere con altre domande!".

"Ahhh, quanto la fai lunga!". Si sdraiò sull'erba, le braccia intrecciate dietro la nuca, gli occhi socchiusi. "Dunque... se non ricordo male la prima volta è successo mentre ero all'università. Non guardarmi così, i compagni di corso mi hanno portato in un bar e non avevo mai toccato una goccia d'alcool, quindi non ero abituato. La seconda volta... beh, è oggi suppongo".

"Oh, bene", fece Archie annuendo piano. "Quindi ti chiedo: cosa è successo di così grave...".

"...da trasformare un uomo distinto ed elegante in un ubriacone incallito?", terminò per lui con voce pomposa.

"Non ho detto così". La smorfia di Archie somigliava a quella di qualcuno accusato ingiustamente.

Albert ondeggiò in aria la mano aperta per indicare che ci era andato molto vicino. "Comunque, vuoi che cominci da quando ho scoperto che qualcuno ha invitato anche Terence e la sua compagnia teatrale alla festa o che salti al momento in cui Candy si è gettata tra le sue braccia come prima faceva con me? E non ti ho detto di quando li ho visti parlare! Lui le ha fatto un baciamano così insolente che sembrava le stesse sfiorando le labbra".

Chiuse gli occhi, sconfitto. D'improvviso, voleva solo dormire: tutte le convinzioni maturate in mesi di fitta corrispondenza erano crollate di fronte all'evidenza ineluttabile di Candy accanto a Terence. Tutte le parole scritte non avevano alcun sottinteso. E così gli sguardi, i sorrisi, gli occhi timidi, i rossori e le risate.

Si era sbagliato, aveva preso un abbaglio tale che si stupì di non essere diventato cieco.

"Non è possibile, ma allora era vero!". Archie aveva le ginocchia piegate, una mano poggiata sull'erba e l'altra affondata fra i capelli.

"Cosa era vero? Che Candy era ancora innamorata di Terence? Certo che era vero, te l'ho appena de...".

"No! Che tu sei innamorato di lei!", lo interruppe indicandolo.

Albert sbatté le palpebre, colto in contropiede. In effetti, cosa si aspettava che deducesse il nipote, se non la verità?

"Io...", cominciò alzandosi su un gomito e agitando un dito nella sua direzione, prendendo fiato come se stesse per fare un discorso molto articolato. Di fronte al sopracciglio inarcato di Archie, però, si sgonfiò come un palloncino. "Hai ragione", concluse ricadendo sull'erba nella medesima posa di poco prima.

Gli girava la testa e i sensi gli sembravano annebbiati. Una parte di lui cominciò a rimproverarlo aspramente con la voce della zia Elroy, l'altra gli dava pacche confortanti sulla schiena in segno di comprensione.

Non dovevo ridurmi così, comunque...

La voce di Archie divenne un mormorio indistinto e Albert colse solo alcune parole, mentre tentava di far passare la sbornia a suon di respiri profondi di aria fresca. Stava dormendo e sognando o era solo in profonda meditazione? E cos'era più forte, la rabbia o la tristezza?

"...dovresti dirglielo finché sei in tempo!".

Albert spalancò gli occhi di scatto, come se il ragazzo al suo fianco gli avesse appena assestato una gomitata. Dirglielo? Dirle che l'amava? Certo, perché non ci aveva pensato prima?!

Perché stavi aspettando il momento giusto e avevi una paura del diavolo che ti dicesse di no. Così hai rimandato fino a che non è ricomparso lui...

Eppure, mentre si alzava di colpo, barcollando da ubriaco e Archie lo guardava quasi fosse impazzito, si sentì forte come mai in vita sua. Oh, sì! Glielo avrebbe detto proprio in quel preciso istante, che fosse o meno abbarbicata a Terence! Avrebbe messo a nudo il suo cuore e le avrebbe consegnato la propria anima, inginocchiandosi se fosse stato necessario.

"Dove vai?!".

"Seguo il tuo consiglio. Glielo vado a dire", rispose con noncuranza, cominciando a camminare e stando bene attento a dove metteva i piedi: aveva l'impressione di inciampare a ogni passo.

"Ma... Albert!". Archie sembrava di nuovo spaventato e non capiva perché. Lo stava seguendo?

"Te l'ho detto, ho ucciso sia Albert che lo zio William! Oggi devo comportarmi come Terence se voglio conquistarla", annunciò alzando un braccio a mo' di saluto. E non si fermò finché non fu nel salone davanti a Candy.
 
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Candy accettò il baciamano di Terence con un sorriso: "Promettimi che mi scriverai".

"Certo che lo farò, Tuttelentiggini, ma tu devi assicurarmi che seguirai il mio consiglio".

Una vampata di calore le salì al volto al ricordo delle parole del ragazzo che una volta aveva amato e abbassò lo sguardo mentre le ultime note della canzone che avevano ballato sfumavano nel salone.

"Cercherò...".

"Con me non sei mai stata tanto timida, devo dedurre che ti piacessi di meno?". Lo sguardo quasi arrogante e il sorrisetto storto le fecero gonfiare le guance. Dentro di sé, però, Candy analizzò i propri sentimenti e comprese la netta differenza tra quell'amore giovanile e appassionato e uno ben più adulto e intenso che le scaldava il cuore già da molto tempo.

"Sei sempre il solito!", lo rimproverò guadagnandosi un buffetto affettuoso.

Fu proprio nel bel mezzo di quel gesto innocente che Candy udì una voce stentorea che, sulle prime, non riconobbe affatto. Se avesse potuto paragonarla a qualcuno avrebbe detto che era un miscuglio perfetto tra suor Grey della Saint Paul School e la zia Elroy. L'unica differenza era che si trattava di una voce maschile.

E il proprietario era Albert.

"Scusate se v'interrompo. Candy, devo parlarti".

Sbatté le palpebre e persino Terence si volse a guardare l'amico con l'aria di chi si sia appena preso un pugno. Il tono non ammetteva repliche e non aveva nulla della gentilezza e della dolcezza che lo caratterizzavano.

"Albert, io... noi...". Cosa stava per dire a quello sconosciuto col viso di Albert? Non lo sapeva neanche lei. D'altronde, non doveva certo giustificarsi, visto che non stavano facendo nulla di male e che lui non era... il suo fidanzato.

"Ehi, sia mai che diventi motivo di discordia! Mi defilo con discrezione". Forse fu una delle rare volte in cui Terence si comportava in maniera consapevole. Si era reso conto che qualcosa non andava in lui e aveva preferito lasciar correre.

Tra i due, però, passarono sguardi tanto gelidi finché Terence non se ne fu andato, che sentì quel freddo fin nelle proprie ossa. E Albert sembrava...

Possibile che sia... geloso?

"Candy?".

"S-sì!".

Un sopracciglio sollevato, la medesima sfumatura perentoria di poco prima e lei si sentì, per la prima volta da quando lo conosceva, quasi in soggezione. Sussultò quando Albert le chiuse una mano sul braccio, conducendola con una certa decisione, e ve la lasciò fino allo studio.

Entrò e chiuse la porta a chiave.

Candy pensò che forse stava sognando. No, quell'Albert che si avvicinava facendola indietreggiare fino a farle sbattere la schiena contro il muro non era reale. Non lo erano gli occhi, fino a poche ore prima placidi come il cielo mattutino, ora attraversati da quella che sembrava una tempesta tropicale. E non poteva essere vero neanche l'odore di alcool che l'aggredì quando aprì bocca per parlarle, facendole fare una smorfia inconsapevole.

"Sai, sono venuto da te perché volevo dirti qualcosa che tengo qui da molto, molto tempo", esordì battendosi un pugno all'altezza del cuore. Le parole non erano nitide, sembravano smozzicate come se...

"Albert, hai bevuto?!", sbottò incredula.

Si chinò un poco verso di lei, confermando i suoi sospetti: "Forse. Immagino tu preferisca quando a bere è il tuo Terence, vero? Lui non ti da fastidio, anzi! Dimmi la verità, hai già accettato di seguirlo a New York, Candy?".

Con le sopracciglia aggrottate e il bel viso contratto dalla rabbia e dall'alcool, Albert assunse un'aria accusatoria che le fece male e la ferì nel profondo.

"Ma cosa stai dicendo?! Mi ha raccontato di come... di come la povera Susanna...". Senza poterselo impedire, soffocò un singhiozzo al ricordo di come Terence le avesse riportato degli ultimi giorni di vita della ragazza, gettandolo nel più profondo sconforto. Conscia di non avergli neanche scritto due righe quando la notizia era apparsa sui giornali, Candy lo aveva semplicemente abbracciato di slancio, comunicandogli tutta la sua vicinanza.

"Quindi ti sei gettata fra le sue braccia perché ti faceva pena? O perché lo ami ancora?". Albert le portò una mano sulla spalla, mentre l'altra si appoggiò al muro col palmo aperto, imprigionandola e facendole percepire l'aroma della sua lozione e dello champagne che aveva bevuto. Il mix le fece girare la testa, perché non capì se si sentiva spaventata o attratta da quell'Albert così diverso dal solito.

"Io... io volevo solo dirgli quanto mi dispiacesse. Lui... ha sofferto tanto e si è sentito così in colpa! Ha detto... ha detto che lavorerà sodo per portare in scena i testi che Susanna ha scritto e onorare la sua memoria". Ormai le lacrime le inzuppavano le guance e cadevano lungo il collo atterrando sul vestito.
La mano di Albert, che prima era sulla sua spalla, risalì lenta fino a sfiorarle il viso e Candy chiuse gli occhi. Con una gentilezza che non credeva avesse in quel particolare momento, le asciugò il volto e quando le parlò poté avvertire il suo alito caldo sulle labbra.

"Non andare con lui, Candy. Resta con me. Io... io ti amo". Fece appena in tempo a spalancare gli occhi dalla sorpresa che Albert chiuse la distanza poggiando le labbra alle proprie, facendole quasi perdere forza nelle gambe. Fu lei a doverglisi aggrappare, stringendo le dita sul tessuto della sua giacca per non cadere.

Il contatto fu breve ma colmo di amore, di parole non dette, di gesti mai fatti, e terminò con un sospiro da parte di entrambi. Adesso era lei a sentirsi ubriaca e non seppe se fu per l'aroma alcoolico nella sua bocca o per aver finalmente ricevuto il bacio che sognava da tanto.

"Albert...".

Riaprì gli occhi sul suo sguardo colmo di rimpianto e si sentì morire. "Dio... cosa ho fatto! Perdonami, perdonami Candy!".

Prima che potesse anche solo dire una parola, Albert si allontanò, riaprì la porta e se ne andò via, sparendo nel corridoio.

La musica che veniva dal salone le annunciò che stava cominciando un nuovo giro di valzer e le voci concitate le indicarono che il patriarca era appena passato di corsa.

E alfine le gambe le cedettero davvero. Candy si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento dello studio con il cuore che le batteva impazzito nelle tempie.
 
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La coscienza portò con sé un mal di testa monumentale: l'unica volta in cui aveva provato quel pulsare incessante dalla nuca alle tempie era stato poco prima di recuperare la memoria. Al momento, ne stava sperimentando uno simile ma più sordo, a suo modo più sopportabile, eppure abbastanza intenso da fargli fare una smorfia di dolore mentre si passava una mano sulla fronte e sugli occhi.

Sbatté le palpebre, schermandosi dal sole che penetrava dalle tende con un grugnito infastidito. Lui, che adorava dormire sotto le stelle e si beava spesso della magnificenza dell'alba.

Quel giorno, il sole gli ferì gli occhi e a malapena riuscì a mettersi seduto puntellandosi su un gomito.

Che diavolo ho bevuto ieri sera?!

Si passò le mani sul viso per schiarirsi le idee e le palpebre scattarono in alto, il respiro divenne affannoso. L'aveva sognato o era successo davvero?! Solo ricordare come si era comportato con Candy e davanti a Terence, per di più, gli fece provare disgusto per se stesso. O forse era solo il suo stomaco che si ribellava dopo aver esagerato con lo champagne.

Mio Dio, l'ho baciata! Le ho detto quello che provavo mentre ero in quelle condizioni e l'ho baciata! Di sicuro è fuggita o sta per farlo... deve odiarmi...

Con quei pensieri che si rincorrevano, Albert si alzò con gesti lenti, cercando di dominare la nausea che si rinnovava a ogni stilettata che gli trapanava la testa. Si tolse il pigiama e riempì la vasca da bagno, lieto di aver deciso sin da subito di non accettare il maggiordomo personale che voleva la zia Elroy.

Si immerse nell'acqua calda rovesciando il capo e godendosi la sensazione rilassante che, molto lentamente, diminuì il suo malessere.

Lui... ha sofferto tanto e si è sentito così in colpa!

Non andare con lui, Candy. Resta con me. Io... io ti amo.

I frammenti della conversazione della sera precedente nello studio s'inframmezzarono con la sensazione netta della labbra morbide di Candy e, d'istinto, portò due dita alle proprie.

Si riscosse, alzandosi in piedi e afferrando un asciugamano: doveva parlare con Candy, scusarsi e cercare di salvare il salvabile. Era tanto concentrato su quell'obiettivo che per poco non uscì dalla stanza solo con l'asciugamano addosso. Imprecando contro se stesso, aprì l'armadio per cercare qualcosa di semplice da indossare. Optò per un paio di pantaloni comodi e la sua solita maglia nera, su cui abbinò la giacca che aveva visto giorni migliori ma che perlomeno avrebbe restituito a Candy l'immagine dell'Albert di una volta.

Certo, come se bastasse un abito a cancellare la mia idiozia...

Albert uscì dalla camera e scese nel salone principale dove di sicuro stavano già servendo la colazione. Quando sua zia lo vide, fu certo che avrebbe lasciato cadere la tazza che si stava portando alle labbra. Tuttavia non fu lei a calamitare la sua attenzione, ma Candy che gli dava le spalle seduta di fronte alla zia Elroy.

Si volse di scatto, percependo la sua presenza, e notò che impallidì.

"William! Ti sembra il modo di presentarti a tavola?! E a quest'ora poi!". La tazza sbatté sul piattino e Albert, che già aveva superato parecchi limiti la sera precedente, decise di fare un ultimo salto. Perlomeno era a fin di bene.

"Scusami, zia, ho dormito troppo e...". Per un attimo incontrò gli occhi accigliati di Candy e vi lesse un rimprovero ben preciso legato al suo risveglio tardivo. Gli stava gridando senza voce che era colpa dello champagne. "...e adesso devo parlare con Candy".

E lei spalancò le palpebre, incredula, come se stesse vivendo un dejà-vù.

"Candice deve finire la colazione e poi mi ha detto che ha intenzione di andare...".

"Non fa nulla, zia. Voglio proprio sentire cos'ha da dirmi", la interruppe lei alzando una mano e scoccandogli un'occhiata che, fosse stata una rivoltella, lo avrebbe ucciso.

Deglutì, a disagio, pensando che stavolta si trovava in una situazione davvero anomala: non era gli mai capitato di farla arrabbiare così tanto, neanche quando le aveva rivelato la propria identità dopo la sparizione dalla casa Magnolia.

"Oh, santo Cielo, è appena mattina e già mi avete fatto venire il mal di testa, voi due!", si lamentò la donna portandosi una mano sulla fronte.

Una volta tanto ti capisco, zia...

Candy gli si avvicinò e lui si riempì gli occhi della sua figura stretta in un vestito color rosa pallido: il contrasto con i capelli biondi sciolti sulle spalle come la sera prima gli seccò la bocca.

Era bellissima in ogni momento della giornata e lui avrebbe dato un braccio perché gli lasciasse anche solo una possibilità.

"Vuoi che andiamo nello studio, William?". Albert s'irrigidì e aggrottò le sopracciglia. Il fatto che avesse nominato proprio lo studio e che lo avesse chiamato William invece di Albert era una sorta di dichiarazione di guerra. Era nei guai. In guai seri.
 
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Candy invertì i ruoli e precedette Albert nello studio, attendendo che lui entrasse e richiudesse la porta.

"Non chiudi a chiave?", lo sfidò.

La guardò con aria colpevole, facendole comprendere quanto avesse accusato il colpo e si limitò a scuotere la testa. Prese un respiro profondo, dirigendosi verso il tavolino alla loro sinistra e vi poggiò i pugni chiusi, guardando la superficie di mogano scuro.

Non osa neanche guardarmi?

Quando pensava che non l'avrebbe più fatto, invece, Albert piantò nei suoi occhi i placidi cieli mattutini che non aveva visto la sera prima: erano tornati, e Candy tentò di non vacillare. Non prima di aver ascoltato le sue motivazioni.

"Non ho scusanti per come mi sono comportato ieri sera, Candy. Spero solo che tu possa perdonarmi, un giorno". La voce, roca e profonda, non corrispondeva a lui, però.

Si portò le mani intrecciate sulle labbra, incerta: le stava chiedendo scusa per essersi comportato in modo così strano dopo aver bevuto troppo o per quello che le aveva confessato? Era dunque un delirio alcoolico e non la verità?

"Quindi... ti dispiace proprio per tutto?". Candy si morse il labbro: gli aveva fatto una domanda fin troppo diretta.

"Certo che sì!", rispose subito lui facendole montare un'ondata di rabbia e di delusione. "Sono stato... maleducato, sgradevole, persino... persino eccessivo".

Avvertendo il bruciore delle prime lacrime, Candy gli diede le spalle: "Dovresti chiedere scusa anche a Terence", fu l'unica cosa sensata che riuscì a dire per evitare il fulcro del problema.

Ci fu una breve pausa prima che Albert rispondesse: "Sì, certo. Lo farò quanto prima".

"Bene".

Il silenzio calò nella stanza come una tenda e l'unico suono che si sentiva era quello dell'orologio che ticchettava sulla mensola del camino di fronte a lei. Stava cercando disperatamente di contenere la frustrazione e le lacrime, ma stava perdendo la lotta.

Quando stava per voltarsi e gridargli contro di dirle qualcosa, qualsiasi cosa, infine lo udì schiarirsi la voce: "Quindi... ehm... stavi andando da qualche parte?". Il tono era casuale ma le riaccese una speranza tanto ardente che se fosse stata solo un fuoco di paglia ne sarebbe morta.

Calmati, Candy. Calma e sangue freddo.

"Sì, stavo per partire", rispose senza aggiungere altro. Visto che lui si divertiva a tenerla così sulla graticola perché avrebbe dovuto cedere per prima?

"E... posso accompagnarti?". Il tono sembrava colmo di aspettativa.

Candy non voleva essere né cattiva, né vendicativa con il suo Principe della Collina, ma la posta in gioco era talmente alta che non poté trattenersi. Doveva sapere, ma senza chiedere. E subito.

"No, faresti tardi per il tuo lavoro. È troppo lontano per arrivare in auto, prenderò un treno". D'altronde, la Casa di Pony distava qualche ora da Lakewood. La sua frase dovette avere l'effetto desiderato, perché sentì distintamente l'ansito rapido di Albert, come se avesse appena preso una scossa elettrica.

"Certo, capisco". Due parole e la temperatura nella stanza scese di una decina di gradi: non era più autunno, ma inverno pieno. Albert aveva pensato a un luogo molto più lontano, a una città dove una volta lei aveva creduto di aver lasciato il cuore.

Quello fu il momento esatto in cui Candy si pentì di aver forzato troppo la mano e si decise a voltarsi. In effetti, nei suoi occhi ora galleggiavano due iceberg.

"Albert...".

"Immagino che potrai portare tu le mie scuse a Terence, prima ancora che possa farlo io". Sembrava davvero geloso e lei sentì, suo malgrado, le labbra distendersi in un sorriso. "Mi raccomando, però, stavolta non chiedermi di guardarti da una finestra mentre te ne vai, perché non penso che ne avrò voglia".

Sì, è geloso! Il mio Albert è geloso!

Si girò di scatto, come se si fosse pentito di quello che aveva appena detto e... non era rossore quello che gli stava salendo al viso?

"Tu... quella volta mi hai guardata dalla finestra?", domandò, sconcertata. Non riusciva a credere alle sue orecchie.

"Sì!", esclamò lui camminando per la stanza e passandosi le mani tra i capelli. "E ho continuato a farlo per anni, aspettando che tu ti voltassi per renderti conto che ero lì per te, in attesa del tuo ritorno. E mi sento un idiota per aver anche solo immaginato... sperato che potessi davvero considerare...".

Lo raggiunse in pochi passi, afferrandolo per un braccio: indossava la stessa giacca della sera che era scappato nel parco, dopo aver perso la memoria, e per lei fu l'ennesimo dejà-vù che la riportò indietro di qualche anno.

"Ieri, quindi... quando ero appoggiata al muro e tu... io... hai detto...". Oddio, aveva perso l'uso della parola! Gli occhi di Albert, la sua espressione intensa, ma molto più lucida e consapevole della sera prima, la stavano mandando in tilt.

Liberandosi dalla sua presa, le strinse con gentilezza la mano sulla spalla e la indusse a indietreggiare proprio come ore prima, poggiando l'altra sul muro: e lei era di nuovo sua prigioniera. Prigioniera dei laghi che incontravano il cielo e nei quali si rifletteva; prigioniera di quelle labbra serrate come per non parlare; prigioniera di Albert, dalla testa ai piedi e fino al cuore.

"Intendi in quel momento?". Il suono della sua voce le fece tremare ancora le gambe. Come aveva fatto, negli anni, a non notare quanto Albert fosse magnetico? In lui aveva trovato l'amico sincero, l'uomo che si sarebbe gettato nel fuoco pur di vederla sorridere, il suo confidente, il suo principe, uno zio misterioso e benefattore e molto, molto altro. Ma non aveva mai visto, prima d'ora, il lato più maschile e adulto.

Candy si accorse che stava annuendo con frenesia, ma Albert era ancora lì, che la teneva inchiodata ai suoi occhi e al muro senza dire altro. Si sentì d'improvviso come fosse nuda e l'anima e il corpo gli fossero penetrati dentro. Quel pensiero la fece arrossire e le trasmise un languore sconosciuto al ventre.

"Non stavo andando da lui. Non ho intenzione di farlo mai più, se non come spettatrice ai suoi spettacoli. O amica", mormorò infine.

Il pomo di Adamo andò su e poi giù un paio di volte, come se Albert stesse cercando di deglutire quell'informazione tentando di capire se era dolce o salata: "Quindi posso osare... posso sperare che tu... un giorno...".

Davanti al suo tono incerto da ragazzino, che era l'esatto opposto di ciò che aveva visto poc'anzi, Candy si sentì sciogliere e la verità la travolse come una valanga uscendole dalle labbra: "Non un giorno, Albert. È già così. Lo è da molto, molto tempo... davvero non te ne sei mai accorto?".

Mentre lei si sentiva di nuovo sull'orlo del pianto, Albert sembrava aver smesso di respirare. Rilasciò, infine, un sospiro incastonandovi il suo nome come se lo assaporasse: "Candy...".

"Ieri ho confessato a Terence che avevo mantenuto la mia promessa e che ero felice. Ma ho voluto dimostrargli che gli sarei stata sempre amica, anche se le nostre strade sono separate. Lui adora il suo lavoro e... a dirla tutta...". Esitò, incerta se rivelargli quel particolare.

"A dirla tutta?". Si era avvicinato ancora? Era lui che emanava tanto calore che pensava avrebbe presto preso fuoco?

"Terry... sì, insomma, mi ha detto che è un peccato che tra noi sia finita così, però è contento per me e mi ha anche suggerito di sbrigarmi a parlare con chi mi rende felice. Ha intenzione di esserlo anche lui".

"Quindi, Candy, hai trovato la tua felicità?", le domandò muovendo piano il pollice sulla sua spalla e facendole provare sensazioni nuove e travolgenti che non sapeva neanche esistessero. Se erano quelle il preludio al loro futuro insieme, non era certa che sarebbe riuscita a contenerle tutte nel suo cuore.

"È sempre stata davanti ai miei occhi, ma non mi sono mai voltata per guardare nella finestra giusta", rispose alzando una mano tremante per sfiorargli la guancia: era un po' ruvida, come se si fosse alzato di fretta e furia senza neanche farsi la barba.

"Quindi... posso rifarlo, ora?".

Candy interruppe il gesto, perplessa. "Cosa?".

"Muoio dalla voglia di baciarti. E stavolta in piena coscienza. Mi è bastato sentire l'aroma delle tue labbra una volta per diventarne dipendente".

Commossa, emozionata e desiderosa di spazzare via ogni titubanza e silenzio del passato, Candy si alzò in punta di piedi per incontrare di propria iniziativa il suo Principe in un bacio. Lei stessa lo anelava. Lei stessa voleva riassaporare la bocca virile e calda che le aveva tolto il sonno quella notte.

Finalmente, Albert le tolse la mano dalla spalla e l'altra dal muro e la strinse in un abbraccio che ricambiò intrecciandogli le proprie dietro la schiena.

Per quanto la riguardava, il mondo poteva anche finire in quel momento, perché lei si trovava nel posto giusto, dove voleva restare per il resto della propria vita.
 
 
   
 
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