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Autore: _Lightning_    17/01/2022    2 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Episodio 6
LA CACCIA

Parte III



“Il solo nome di Fett sarebbe in grado
di far scappare ogni taglia nel raggio di cento parsec
dritta verso le Regioni Ignote.
E non servirebbe comunque a sfuggirgli”

— Bossk, cacciatore di taglie Trandoshano,
sul suo ex-collega Boba Fett


 

 

 

Su Tatooine, la notte era sempre limpida e illuminata da almeno due delle sue tre lune: le falci di Ghomrassen e Guermessa brillavano feroci nel cielo, quasi accecanti, disegnando ombre spigolose tra i crepacci scoscesi. Boba individuò senza difficoltà il suo speeder, accostato a una roccia sul limitare del Mare delle Dune – ben lontano dalle spire letali del sarlacc e alla fine della pista dei Tusken che attraversava i territori dei draghi krayt.

La culla lo impacciava e iniziò la discesa verso il suolo tenendola stretta contro la corazza. Avvertiva dei tenui movimenti all’interno, come se il Bambino stesse prendendo a pugni il duraplast del coperchio.

Dietro di sé, colse il sibilo di un altro jetpack. Diede gas, perdendo ancora quota fino a sfiorare il profilo della mesa sacra ai Tusken e zigzagando tra macigni, archi e speroni rocciosi. Si tuffò infine oltre lo strapiombo, raddrizzandosi di colpo per frenare l’impeto e atterrare saldamente a pochi metri dallo speeder.

Lasciò andare la culla e si voltò afferrando la carabina dalla spalla. Centrò subito nel mirino il guizzo argenteo di Din Djarin all’inseguimento e trattenne il respiro. Premette il grilletto e blaster colpì precisamente il gambale dell’armatura, mandando in un breve avvitamento l’avversario.

Approfittò di quell’attimo e assicurò la culla al portapacchi dello speeder, voltandosi a sparare ancora una volta prima di salirvi – non ne ebbe il tempo, perché Djarin non deviò e impattò a rotta di collo contro di lui, spedendoli entrambi a schiantarsi contro la roccia alle loro spalle.

Il clangore del beskar e del durasteel ruppe la quiete del deserto.

Boba stramazzò a terra e non trattenne un gemito nel cozzare l’elmo contro la superficie irregolare. Udì l’eco del Mandaloriano, altrettanto stordito dall’urto, che barcollava alla cieca per rimettersi in piedi.

Riaprì gli occhi su una scena che gli rimase impressa nelle pupille, nella frenesia della battaglia: le lune di Tatooine illuminavano la vallata rocciosa con ombre aguzze. In lontananza, il brillio ben noto e odiato di una spada laser fendeva l’oscurità dei canyon.

Lo Jedi e la Ribelle sembravano diretti lì, verso il suo speeder – verso la sua taglia.

Erano inseguiti dai Tusken, in un concerto di grida assordanti e spari. Si erano rivoltati contro di loro – forse nel vedere quell’arma spaventosa, oggetto di leggende terribili, forse perché avevano osato turbare la quiete sacra di quel luogo – e li stavano respingendo a colpi di gaffi e fucili cycler.

Spari, urla, ringhi di massiff e il riverbero elettrico della spada laser spezzavano il silenzio altrimenti assoluto del deserto. Una parte di lui rimpianse di non poter affrontare faccia a faccia lo Jedi. L’altra, più saggia, ringraziò i Sabbipodi e la loro ferocia per facilitargli l’incarico.

Tornò con la testa nello scontro, schivando un colpo di blaster di Djarin che frantumò la roccia accanto a lui. Lo vide girarsi di colpo per afferrare la culla, ma non glielo permise.

Si sollevò su un ginocchio, attivando il lanciamissili miniaturizzato. Uno sciame di razzi decollò dagli alloggi con scie di fuoco, impattando con sprazzi di scintille contro il beskar nemico. Vide Djarin barcollare, poi udì un clic secco.

Un sibilo acuto lacerò l’aria: oltre il fumo, uno stormo di proiettili argentei si avvitò fulmineo, stridendo come falchi urlatori in picchiata verso di lui.

Sibilanti. Boba si gettò a terra, incassando la testa tra le braccia, i guanti incrociati a schermare la nuca e le ginocchia al petto, esponendo all’attacco solo la schiena ben protetta dal jetpack e dal durasteel.

Una tempesta metallica si abbatté su di lui, tintinnando argentina contro il metallo. Un sibilante affondò in un interstizio dell’armatura sul gomito e un altro alla base della coscia, lacerando tessuto e ustionandogli pelle, ma non affondò abbastanza da intaccare la carne. L’odore acre di bruciato gli risalì fino alle narici, ma ignorò la stilettata di dolore e balzò in piedi, intercettando il colpo di vibrolama diretto alle sue dita.

Il filo sfrigolante dell’arma si abbatté sulle nocche rinforzate dei guanti. – con un lampo rosso, avvertì un dito che si insaccava. Avanzò di un passo e speronò l’avversario con tutto il proprio peso, sbalzandolo indietro il tanto che bastava per riacquistare spazio attorno a sé.

Djarin sbatté contro la roccia, lasciandogli un istante di respiro. Boba afferrò la carabina, facendo per puntarla contro lo Jedi e la Ribelle ora accerchiati dai Tusken, ma fu costretto a parare col fucile un altro fendente diretto alla base del collo.

Ringhiò, gettandosi di nuovo nello scontro – non poteva occuparsi della taglia finché Djarin era in piedi o in vita.

Lo rispedì indietro con uno spintone, aggiungendo una vampata del lanciafiamme per guadagnare tempo, ma il beskar puro della sua armatura e la tuta di volo ignifuga resero inutile l’attacco. Djarin attraversò il fuoco e lo afferrò di scatto per le spalle, agganciando le dita sotto la corazza. Attivò per pochi istanti il jetpack a piena potenza, sbalzando entrambi da terra e facendoli ruzzolare lungo una ripida scarpata appena dietro di loro. 

Boba imprecò silenziosamente: gli aveva fatto perdere di vista lo speeder e la culla, lasciandola alla mercé dei suoi avversari.

Oltre il crinale udiva ancora lo scontro serrato tra i Tusken e i due guerrieri, col suono stribulo dei blaster deviati da una spada laser. Molto più vicino, udì un ringhio minaccioso. Alzò lo sguardo, inquadrando un massif di stazza considerevole che si slanciava verso di loro.

Bene. Alzò il pugno, contraendo in modo quasi doloroso la gola per impartirgli uno dei pochi comandi che ricordava dalla sua breve permanenza coi Tusken – quando lo udì alle sue spalle, pronunciato con altrettanta forza dal Mandaloriano:

«Urk!»

Il massiff si arrestò in un ventaglio di brecciolino ed esitò un singolo istante, confuso, gli aculei sul dorso che vibravano. Poi voltò il capo si avventò su di lui a fauci spalancate. Boba parò le mani avanti e scagliò di lato la bestia, che quasi gli slogò un polso con i suoi denti da rettile. Prima che potesse tornare all’attacco, afferrò il la carabina e la abbatté con un colpo alla testa; il massiff stramazzò a terra con un guaito.

Djarin gli fu addosso l’istante dopo, tentando di riprendere il corpo a corpo, ma lo arrestò con un colpo in pieno petto che gli mozzò il fiato, arrestandone lo slancio. Ancora a terra, alzò la mira, mirando alla giuntura sotto l’ascella rimasta scoperta, ma il Mandaloriano si riprese con sorprendente rapidità.

Djarin fece partire il rampino con un movimento fulmineo, strappandogli l’arma dalle mani – Boba non la trattenne, per evitare di essere trascinato a portata di vibrolama. Diede un colpo di jetpack, riacquistando il terreno sotto ai piedi e tornando in cima alla scarpata. Djarin lo seguì come un’ombra. 

Gettò uno sguardo verso lo scontro: lo Jedi era riuscito a respingere i Tusken con un’onda di Forza e stava raggiungendo la Ribelle, già in sella allo speeder. La culla era ancora assicurata al portapacchi, chiusa. Un richiamo – Mando! – giunse fin lì oltre il caos di grida gutturali, ruggiti e spari, sommate a una vibrazione più bassa simile a un terremoto. Il sarlacc era inquieto, forse risvegliato dal caos: sullo sfondo delle dune scorse la sagoma di un’enorme liana che si innalzava e contorceva, in cerca di una preda.

Si distolse da quella vista, che gli faceva bruciare le ustioni ormai rimarginate. Fece appena in tempo a impugnare la sua vibrolama e a scagliarsi contro Djarin prima che questi potesse attivare il jetpack per dileguarsi. Lui reagì con violenza inaspettata, scoprendosi completamente e sferrando una testata contro il suo elmo che gli rintoccò nel cranio. Offrì un bersaglio facile, da sprovveduto.

Boba accusò l’urto, ma strinse i denti e riuscì ad assestare un fendente alla sua spalla rimasta vulnerabile. Djarin soffocò un grido quando la lama squarciò tessuto e carne poco sopra la clavicola.

«Andate!» lo sentì urlare, verso i suoi compagni, e l’ordine fu seguito dal rombo lontano dello speeder.

Boba fece per decollare – non potevano sfuggirgli – ma Djarin lo incalzò nuovamente con un affondo, ancora fin troppo energico. Boba lo scartò, evitandolo, e riuscì a costringerlo con le spalle contro la roccia con un calcio nel ventre.

Rilasciò un respiro affannato: non poteva prolungare lo scontro. Iniziava ad avvertire la stanchezza nelle ossa, con le cicatrici dell’acido di sarlacc che tiravano a ogni movimento e i muscoli che protestavano a ogni urto. Era provato dal lungo viaggio nel deserto, dalle ore di appostamento sotto i soli cocenti di Tatooine e da quella caccia che durava ormai da mesi.

Suo padre era sempre stato chiaro e sentiva i suoi insegnamenti che gli premevano dietro i timpani, sotto il suo stesso elmo:
sei un cacciatore, quindi stanca la tua preda. Mai il contrario.

Fu quel fugace pensiero a suo padre, a dargli la soluzione.


L’unico colpo che assestò con la vibrolama fu preciso, anche se Djarin non se ne rese conto, illuso di aver schivato un fendente diretto al costato e deflesso dal jetpack. Decollò subito dopo, con la rapidità che lo contraddistingueva. Boba glielo permise e lo vide fare subito rotta verso i suoi compagni.

Non si disturbò nemmeno a iniziare l’inseguimento: recuperò la carabina e si limitò a tenerlo nel mirino, pronto a sparare – ma non ve ne fu bisogno. Ad appena qualche metro d’altezza, il getto sinistro del jetpack si affievolì di colpo, facendolo sbandare. Il sibilo di carburante e gas che fuoriusciva dal tubo che aveva reciso era ben distinguibile alle sue orecchie allenate. Osservò con calma calcolata gli sforzi dell’avversario per riprendere l’assetto di volo ormai compromesso.

Li stroncò con un colpo ben piazzato che colpì il diffusore del jetpack, rendendolo del tutto inutilizzabile. Djarin si contorse, cercando di attutire il contraccolpo e riequilibrare la potenza dei getti, ma la caduta era ormai inarrestabile – da un’altezza che, senza armatura, sarebbe stata fatale.

Boba udì distintamente il clangore del beskar che si schiantava a terra e, sotto, lo schiocco netto di qualcosa che si spezzava. Djarin urlò e si contorse con uno spasmo, la gamba destra piegata in una posizione innaturale. Boba sparò un altro colpo sulla calotta del suo elmo, stordendolo ulteriormente.

Mai affidarsi troppo al jetpack. Anche quello gliel’aveva insegnato suo padre, morendo nel modo più atroce.

Il capo di Djarin crollò a terra e Boba non gli prestò già più attenzione. Guardò verso i due fuggiaschi, che avevano esitato in attesa del compagno, mentre una torma di Tusken inveiva contro di loro con alte grida e qualche inutile sparo. Si dirigevano a rotta di collo verso il deserto.

Boba si inclinò in avanti, col il missile a concussione puntato verso lo speeder. Mirò sulla sua traiettoria, in modo da non colpirlo direttamente e arrestarne soltanto la corsa – le taglie vive erano sempre una seccatura. Il missile partì con un rombo e disegnò una parabola di fumo e scintille verso il punto d’impatto. Non lo raggiunse: si arrestò a mezz’aria, come bloccato da una forza invisibile, ed esplose assordante come un fuoco d’artificio su Coruscant.

Boba cacciò aria frustata dal naso. Lo speeder prese velocità, ripercorrendo la pista dei Tusken che aveva lasciato lui poco prima e sparendo dietro la prima duna argentea, sfiorato dai tentacoli del sarlacc.

Maledetti Jedi.

Si voltò quindi verso il Mandaloriano, che stava ora tentando di rimettersi in piedi nonostante traballasse visibilmente sulla gamba ferita. Boba ruotò di un passo, assestando la presa sulla carabina. Annullò la distanza fra loro e incastrò la canna dell’arma tra la sua corazza e il bordo dell’elmo, premendo sul collo.

Djarin si arrestò, stringendo le dita sulla vibrolama ancora snudata. Boba Fece un gesto col capo, indicandola col mento.


«Puoi combattere, se vuoi. Ma morirai solo stanco.»

 


FINE VOLUME I

 


 

Glossario¬e:
urk: attacca/ferisci (dedotto dal pochissimo Tusken trascritto che ho reperito in giro). 
(bastone) gaffi o gadderffi: il bastone da combattimento Tusken.
-La frase conclusiva di Boba è un rimaneggiamento di una sua famosa citazione: "you can run, but you’ll only die tired."

Note dell’Autrice:

Eh, già, cari Lettori: siamo alla fine del Volume I.
Non credevo che questo giorno sarebbe mai arrivato, in primis perché non era nei miei piani un Volume II... ma la Forza mi ha portata qui, quindi chi sono io per lamentarmi?
Fornirò tutte le spiegazioni del caso nel prossimo capitolo, l’Epilogo – o, se volete, una sorta di teaser del Volume II. Per ora, sappiate solo che il viaggio di Din e dei suoi compagni è ben lontano dalla conclusione ♥

Ci vediamo prestissimo e grazie a tutti coloro che leggono, commentano e votano questa storia: come ho detto spesso, siete il mio coaxium e senza di voi la nave di questa storia non avanzerebbe.

-Light-

Ulteriori note:
Per chi segue The Book of Boba Fett: ovviamente "questo" Boba, come accennato in precedenza, non è il Boba che appare nella serie o nella seconda stagione di The Mandalorian. Mi sono tenuta più vicina alla versione "classica" e il riferimento al tempo trascorso coi Tusken è in realtà un mio headcanon precedente alla serie: avevo immaginato che vi avesse stretto una breve alleanza per recuperare l’armatura sottratta dai Jawa (in questa storia non esiste Cobb Vanth) e che la cosa fosse però finita lì. L’ottima conoscenza di Tatooine di Boba deriva sia da questo, sia dal fatto che avesse frequenti rapporti d’affari con gli Hutt.
- Nel mio headcanon, Din da bambino aveva un massiff, per questo conosce i comandi da impartirgli in Tusken. Il massiff si trova anche su altri pianeti desertici, non è prerogativa assoluta di Tatooine e dei Sabbipodi, ma mi piaceva l’idea di spiegare perché interagisca in modo così amichevole con un massiff nella S2.Sul perché i genitori abbiano scelto un animale da compagnia così particolare, c’è tutta un’altra storia dietro che prima o poi forse racconterò.

   
 
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