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Autore: shilyss    21/01/2022    22 recensioni
Si racconta che nelle sere senza luna o stelle non si debbano pronunciare incantesimi o giuramenti. Lo si sostiene per quello che accadde al tempo in cui Odino regnava su Asgard e gli uomini credevano ancora negli dèi.
Una scelta disperata e brutale. Loki non conosce altro modo per dimenticare per sempre Sigyn.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Braci sotto la cenere

 

 

A Emi, che è una costante.

A chi, dopo tanto tempo, è rimasto.  

 

 

In your dearest memories, do you remember loving me?

Was it the fate that brought us close and now leaves me behind?

(Final Fantasy X soundtrack)

 

Love is a burning thing
And it makes a fiery ring
Bound by wild desire
I fell into a ring of fire

I fell into a burning ring of fire
I went down, down, down
And the flames went higher
And it burns, burns, burns
The ring of fire, the ring of fire

(Ring of fire, June Carter)

 

 

 

La notte accoglie sussurri, segreti, sospiri. È seta nera che copre ogni cosa rendendola diversa, oscura, stregata. È la testimone di incontri clandestini, di promesse irripetibili, di decisioni che lasciano con la testa leggera e il cuore pesante. Si racconta che nelle sere senza luna o stelle non si debbano pronunciare incantesimi o giuramenti. Lo si sostiene per quello che accadde al tempo in cui Odino regnava su Asgard e gli uomini credevano ancora negli dèi.

Alcuni dicono che un bianco irreale avvolgeva le dimore degli Æsir come fosse un mantello, altri che si trattava della pioggia che, incessante e furiosa, lavava i tetti aguzzi del palazzo dove dimorava il dio delle forche: quale che fosse lo sconvolgimento capace di oscurare la luna e le stelle, nonostante l’ora le ampie stanze del dio dell’inganno erano illuminate da un fuoco che ardeva nel camino.

“Farei di tutto per non innamorarmi di te.”

“Mai più,” la corresse accarezzandole la schiena nuda, esposta, fino a risalire alla nuca graziosamente lasciata scoperta. La treccia d’oro di lei, ormai sfatta, penzolava, assieme alle molte ciocche che erano sfuggite all’acconciatura, sulle spalle bianche, sulla pelle morbida e ancora calda d’amore. A quel contatto, ritenuto sfacciato e inopportuno, Sigyn represse un brivido e lo guardò da sotto le ciglia scure. Avrebbe potuto dirgli molte cose. Che i rimpianti non si addicevano a nessuno dei due, per esempio, oppure che cercarsi con l’urgenza che li aveva travolti solo pochi minuti prima rappresentava un errore che solo la consapevole decisione presa di comune accordo rendeva tollerabile. Invece non rispose, limitandosi a sostenere il suo sguardo freddo e verde, terribile.  

Ci incontreremo e non succederà più niente. Ce lo siamo promesso, si disse, tentando di ignorare un fatto inoppugnabile: l’effetto di quel tocco leggero sulla sua schiena, il modo in cui il suo corpo reagiva quando l’ingannatore la sfiorava, la toccava, la baciava. Le tornò alla mente qualcosa che avrebbe dovuto – voluto – dimenticare. Un bacio che lei gli aveva dato dopo avergli cinto il collo con le braccia ed essersi alzata in punta di piedi per sfiorargli quelle labbra insolenti e sottili, splendide da baciare, sempre pronte a piegarsi in un sorriso sardonico e beffardo. Per zittirlo, pur sapendo che dopo le avrebbe fatto notare l’incongruenza di quel gesto spontaneo e necessario. Ma affondare le dita nei capelli scuri di Loki e premere il proprio corpo sussultante contro quello di lui, mentre nessuno poteva vederli, era qualcosa a cui Sigyn non aveva saputo rinunciare né quella notte né in molte altre di quelle seguenti. Questa era stata la sua colpa.

 

Si rivestì senza fretta, di fronte a lui, come se stesse sfidandolo. E Loki la guardava con quei suoi occhi chiari e quasi trasparenti, come se l’osservarla allacciare e infilare quegli abiti che le aveva tolto di dosso facesse parte del piacere appena gustato. Sigyn sapeva che, se si fosse voltata o affrettata, Loki avrebbe riso della sua improvvisa pudicizia. Esponendosi, in realtà, gli si negava, perché privava l’amore appena consumato con lui di ogni ombra scabrosa, di qualsiasi tipo di pentimento. Che la guardasse pure, suggeriva il suo atteggiamento fiero. A lei non importava – e, presto, non lo avrebbe ricordato nemmeno, si consolò. Vide Loki incurvare le labbra in un ghigno secco e breve, e in quel momento ebbe la certezza che lui non le credeva. Non era caduto nella sua trappola intrisa di esibita noncuranza. Era troppo bravo a scovare le menzogne nei visi altrui, per lasciarsi incantare da lei. Nei gesti misurati di Sigyn, nel suo modo di sistemarsi la gonna sulla vita stretta o allacciare il corsetto vietandogli la vista della sua pelle chiara e delicata, delle curve su cui lui aveva posato le labbra e le dita, lui aveva letto le sue vere intenzioni. Il tentativo di proteggersi esibendo un’indifferenza finta. L’aveva contemplata mentre si rivestiva e, nel farlo, era riuscito a scorgere, una volta di più, le sfumature della sua anima appassionata, con i suoi sussulti, le sue incertezze, i suoi pensieri nascosti. Gli occhi grigi di Sigyn sostenevano alteri il suo sguardo, ma il dio dell’inganno in essi leggeva l’amore disperato, soffocato a stento sotto il peso della ragione. Le labbra morbide di Sigyn erano serrate in un’espressione severa, ma le sue guance erano tinte di rosso. Come quelle di una ragazza che ha appena trascorso la notte con colui che ama.

Loki si alzò dallo scrittoio su cui si era seduto. Lo fece con un movimento rapido ed elastico, deciso, da generale di un’armata, da principe che scalpita per ottenere un trono. Sigyn si chiese se la sua ambizione fosse dettata dal mero desiderio, assolutamente egoistico, di spiccare rispetto al fratello, o nascesse da un reale interesse per le sorti della bella Asgard. Si rese conto di non averglielo mai chiesto e l’occasione per farlo era sfumata. Non le avrebbe risposto più – ma sarebbe mai stato sincero fino a quel punto, se anche glielo avesse domandato prima?

 

Loki le si avvicinò, sorridendole col suo sorriso sghembo e una luce indefinibile nello sguardo. In mano teneva due corni colmi quasi fino all’orlo. Al loro interno, ribolliva una pozione verdastra e fumante.

Lei deglutì, ma allungò la mano per prendere uno dei due. Di nuovo, ostentava una sicurezza che non le apparteneva, tesa com’era a fare in modo che l’ingannatore non si accorgesse della sua improvvisa titubanza. Ma era troppo tardi per tirarsi indietro. L’intruglio aveva un odore pungente, terribile come il suo aspetto. Assomigliava a certe pozioni velenose che popolavano le fiabe che Sigyn ascoltava da bambina – veleni potentissimi in grado di uccidere all’istante la principessa protagonista del racconto, o di farla addormentare in un sonno privo di sonni incredibilmente somigliante alla morte. Ma non bere avrebbe portato verso un’unica strada. Una che sia Loki che Sigyn conoscevano molto bene, perché l’avevano percorsa molte volte. C’era stata una notte d’inverno, lontana nel tempo ma non nel cuore, in cui lei aveva lasciato che qualcosa accadesse[1]. Che la corazza fatta di ghiaccio che indossava si sciogliesse durante l’unico ballo in cui poteva lasciarsi andare – quello che celebrava il solstizio d’inverno, nella notte più corta dell’anno, dove gli spiriti si confondevano con i vivi. Perse il proprio cuore, quella notte – assieme a una perla che sfuggì dalla sua acconciatura per non essere ritrovata mai più, ma questo, Sigyn, non lo avrebbe saputo mai.

Ciò di cui era consapevole, invece, era che la follia a cui si era abbandonata per una sera soltanto l’aveva completamente travolta, tanto da scardinare ogni certezza, distruggere ogni progetto. Loki era caos – un caos sublime e dannoso a cui resistere era impossibile quanto arrendersi.

L’ultima prova l’aveva avuta poche ore prima e il suo ricordo le provocò un brivido violento al bassoventre: si erano amati di nuovo – sarebbe capitato ancora e ancora. Accostò la bocca al bordo del corno. Presto sarebbero stati liberi, e lei non avrebbe più schiuso le gambe per accoglierlo dentro di sé, né gli avrebbe offerto le labbra o i seni sensibili, accarezzandogli la schiena scolpita dal ferro e dalle battaglie. Lo avrebbero fatto altre donne – le immaginò ansimanti e stravolte dal desiderio, com’era stata lei: e allora il rimpianto si mescolò con la gelosia e col dubbio.

“Giurami che lo berrai fino all’ultima goccia: promettimi che dimenticherai e non ci cercheremo più,” pretese, sollevando le ciglia scure e bistrate verso l’Ase.

“Dovrei chiederti la stessa cosa,” osservò Loki aggrottando la fronte. Le sue dita di mago strinsero il recipiente con tanta forza da sbiancare e le sue labbra beffarde sembrarono congelarsi in un ghigno lupesco e terribile, mentre Sigyn, in piedi di fronte a lui, vuotava il corno con l’ostinazione per cui l’aveva sempre presa in giro. Pensò di non averla mai odiata con tanta forza.

Quando finì, fu presa da un attacco di tosse breve e violento, che la costrinse a piegarsi in due. Loki la sorresse con prontezza, rendendosi conto che quel contatto imprevisto era l’ultimo, tra di loro. Sigyn, riprendendosi, gli mostrò il fondo del corno: non aveva lasciato nemmeno una goccia.  

“Bevi la pozione, Loki. Dimenticheremo ogni cosa – dimenticheremo noi.” I suoi occhi erano lucidi, le labbra livide, la voce colorata da una nota urgente.  

L’Ase avvicinò le labbra al corno e pensò che non avrebbe dovuto dimenticare di averla voluta, cercata, baciata, spogliata. Era contro natura – eppure, allo stesso tempo, perseverare in quella relazione era irragionevole e folle e deleterio. No, doloroso.

 Si bagnò le labbra col liquido stregato e sentì un sapore dolciastro in bocca – quello dell’oblio – lambirgli il palato e la gola, bruciando e cancellando. Avrebbe potuto mentirle e ricordarla per sempre, custodendo nella propria mente il vantaggio della conoscenza, ma Sigyn aveva bevuto fino all’ultima goccia e decise che doveva cancellarla, estirparla dal cuore, scacciare ogni ricordo di lei, di loro, delle notti passate ad amarsi e a cercarsi, delle liti estenuanti, degli sguardi infuocati che si erano scambiati. Quando il suo corno fu completamente vuoto, lo gettò a terra dando segno di aver gradito la bevuta. Sigyn scosse la testa e lo fissò con tristezza. Dopo, tutto divenne nebbia.

 

 

 

La notte accoglie sussurri, segreti, sospiri. È seta nera che copre ogni cosa rendendola diversa, oscura, stregata. Assomiglia a sé stessa, eppure, ogni volta che il sole si inabissa nelle fredde acque dei fiordi volti a occidente, quella massa buia trapunta di stelle è differente. Il viaggio era stato estenuante, il freddo faceva condensare il respiro. Il cavallo del dio dell’inganno, un roano scuro e sbuffante dal pessimo carattere, rallentò il trotto sostenuto che aveva mantenuto fino a quel momento in favore di un passo che tradiva la sua natura nervosa. Loki alzò testa per osservare meglio il maniero che avevano appena raggiunto. Una fortezza di confine che aveva visto senza dubbio tempi migliori. Storse la bocca in una smorfia di disappunto. Lui e Balder non erano attesi e avrebbero ricevuto un’accoglienza poco calorosa e sicuramente indegna del loro rango, ma questo era il prezzo che occorreva pagare quando, per uno sciocco imprevisto, si era costretti, come in quel caso, a mutare il proprio itinerario. Colpa di Thor, come sempre.

Smontò da cavallo e bussò con forza al portone, chiedendo con voce imperiosa che gli fosse aperto. Non ricevette alcuna risposta. Balder, spostando il peso da un piede all’altro per vincere il freddo pungente, gli domandò se conoscesse i proprietari di quelle terre.

L’ingannatore rivolse al fratello più giovane un’occhiata fredda e sbieca. “Naturalmente,” ribatté tra i denti, ma mentre lo diceva si rese conto di non avere presenti né i volti né tanto meno i nomi degli abitanti del maniero. E questo era strano, perché era assolutamente sicuro che avessero frequentato entrambi il palazzo di Odino e mangiato alla sua tavola. E Loki faceva caso a ogni volto e conosceva tutte le personalità di un certo interesse del grande regno di Asgard. Non poté soffermarsi altro tempo su questa curiosa dimenticanza, perché il portone si socchiuse emettendo un cigolio sinistro. Oltre lo spiraglio, si intravedeva un domestico anziano e dall’aria severa. All’ordine travestito da richiesta di offrire loro ospitalità, il vecchio replicò chinando la testa dalla capigliatura rada e canuta e aprendo la porta per lasciarli passare. Con ossequio li informò che i loro cavalli sarebbero stati sfamati e fatti riposare nelle stalle, ma nel suo modo di agire c’era una riluttanza indecifrabile che mise in allerta Loki. La sua natura sospettosa si legava a un intuito lupesco per le trappole: si sentiva come quei lupi che, spinti dalla fame, stanno per posare le zampe dentro la tagliola che li ferirà. Seguirono la figura alta e dinoccolata del domestico lungo un ampio atrio che conduceva a una sala più grande, fortunatamente riscaldata da un grande fuoco centrale, dove furono invitati dal vecchio ad attendere che portasse loro qualcosa per rifocillarli. L’arredamento era tanto sobrio da sembrare spoglio e molto antico: mostrava i segni di un fasto passato da almeno una generazione, ma tenuto orgogliosamente in conto.

“Allora saprai se quella storia è vera,” lo incalzò Balder a bassa voce. Loki, intento a studiare la dimora che li avrebbe ospitati, inarcò un sopracciglio, seccato da quell’interruzione che si sommava alle molte altre con cui il fratello più giovane l’aveva tediato durante quella lunga missione da incubo.

“Quale storia?” sibilò, accostandosi al fuoco e scaldando le sue dita agili e svelte, di mago.

Il ragazzo gli venne ancora più vicino, felice di poter condividere un segreto con uno dei suoi carismatici fratelli maggiori. Non capitava spesso che Loki ignorasse dettagli o racconti: doveva approfittare di questo insperato vantaggio. “Il proprietario di questo castello si è sposato non molto tempo fa per la seconda volta. Dicono che la sua nuova moglie sia già stata ripresa mentre tentava di scappare.”

L’ingannatore s’inumidì le labbra, valutando il peso di quella che poteva essere una sciocca chiacchiera o l’indizio di una storia più interessante, i cui contorni sfuggenti avrebbero anche potuto interessarlo. C’era qualcosa d’intrigante nell’idea che, forse, in quel palazzo austero e spoglio vivesse una donna che cercava la libertà. Esaminò nuovamente la sala desolata e umida nonostante il fuoco scoppiettante, cercando tracce della figura fantomatica evocata da Balder; un arazzo che avrebbe potuto essere di suo gusto, una sedia intagliata in uno stile più fresco, un dettaglio qualsiasi. Non trovò niente di tutto questo, e dedusse che il signore del castello non le aveva concesso di apportare alcuna miglioria – o forse, non aveva potuto.

Il vecchio domestico entrò con delle pietanze calde, seguendo ossequioso colei che, presumibilmente, doveva essere proprio la giovane castellana fuggitiva, venuta a porgere gli onori di casa. Il suo passo era svelto e deciso e portava i capelli acconciati in una treccia morbida che le scendeva fin oltre il seno, del colore dell’oro liquido. Contrastava col colore scuro del suo abito, che fasciava, senza però esaltarla, la sua figura snella e ben fatta. Era bella, decise Loki incrociando il suo sguardo grigio e attento incorniciato dalle ciglia scure, soffermandosi sulla bocca invitante, ma che non sorrideva, sul naso dalla punta graziosa.

“Perdonateci per questa accoglienza non all’altezza del vostro rango, principi di Asgard. Non ci attendevamo l’onore della vostra visita. Siamo persone semplici, ma faremo del tutto per cercare di farvi sentire a vostro agio. Io sono Sigyn,” concluse.

 

Sigyn.

Loki pronunciò mentalmente il suo nome, come se stesse assaporando un tipo d’idromele particolarmente pregiato. Quelle due sillabe così musicali gli fecero venire in mente le foglie d’autunno e le danze frenetiche che si organizzavano ad Asgard per festeggiare il solstizio d’inverno. E poi, ancora, raggi di luce che si riflettevano nelle acque fredde e solenni di un fiordo e perle tra i capelli, sulla pelle. Le sorrise, ammirandola con un sorriso sfrontato sulle labbra. Lui e Sigyn non si erano mai incrociati, nemmeno per sbaglio. L’avrebbe immediatamente notata, pensò. S’ingannava, ma non poteva saperlo, perché certi incantesimi non sono meno violenti ed efficaci con chi li crea. Siamo noi ad avervi arrecato disturbo[2], mia signora, rispose omaggiandola con un inchino breve e marziale. L’aveva chiamata col titolo che le spettava, ma pensò con una fitta di rancore che era quasi una ragazza. La sua compostezza celava un fuoco sotteso. Braci sotto la cenere, pronte a divampare con la giusta sollecitazione, che parevano essersi già alzate più di una volta. La storia raccontata da Balder gliela confermarono gli occhi grandi e rotondi di Sigyn, di un grigio avvolgente e profondo, ma in cui scintillava qualcosa che Loki riconobbe perché anche lui l’aveva provata – e, talvolta, la provava ancora.

Le chiese informazioni sui pochi arazzi, domandò se era mai stata ad Asgard. Scoprì che l’aveva frequentata a lungo, ma immaginò che la sua permanenza fosse coincisa con qualcuna delle lunghe campagne militari in cui era stato impegnato negli ultimi anni. Sigyn, però, ricordava di aver conosciuto Thor; ne aveva una memoria vaga e sbiadita, ma tanto bastò per trasformare il sorriso sbilenco dell’ingannatore in un ghigno gelido, tirato. La castellana forse si accorse di quella malcelata punta di dispetto sul volto affilato del principe e anche l’espressione del suo viso mutò, come se rimpiangesse l’occasione, ormai perduta, di incontrare Loki ad Asgard in un altro tempo, durante un’altra vita. Si accomiatò dai suoi ospiti senza nemmeno sforzarsi di nascondere un lieve imbarazzo. Suo marito era assente, sarebbe ritornato solo un paio di giorni dopo, spiegò, e lo fece torcendosi le mani bianche e delicate e accarezzando un ciondolo che le scendeva sul seno e indossava sempre – e questo Loki non poteva più saperlo, ma un tempo sì, conosceva fin troppo bene quel gioiello.

 

Balder, accanto a lui, assisteva alla scena senza capire appieno cosa stesse accadendo. Suo fratello, insofferente e stanco fino a qualche ora prima, adesso era affabile e affascinante. Sfoderava sorrisi smaglianti e dimostrava di essere un abile conversatore, come se tutto il penoso viaggio in cui gli aveva rivolto a malapena un paio di monosillabi – insulti camuffati da grugniti, perlopiù – ora non gli pesasse più sulle spalle orgogliosamente dritte, da soldato. Lo vide seguire con uno sguardo audace la giovane donna che rientrava nelle sue stanze. “Hai detto che ha tentato di lasciare suo marito?” mormorò quando furono di nuovo soli. “Ripetimi tutta la storia,” ordinò, leccandosi le labbra.

Il giovane Balder, a disagio, ripeté quanto sapeva, cercando di infarcire di descrizioni e di aggettivi il racconto.

Così, quella notte, Loki ascoltò di nuovo, parola per parola, la storia della sua graziosa ospite e ragionò sui motivi che dovevano averla spinta a fuggire, evocando, prima di addormentarsi, la sua figura snella, i capelli color dell’oro in cui avrebbe voluto affondare le dita, le labbra invitanti, senz’altro dolci, fatte per essere sfiorate, lambite, baciate.

 

 

 Se ci fosse stato Thor, al posto di Balder, le cose avrebbero preso senz’altro una piega diversa – meno tragica e irrevocabile, sicuramente. Il primo figlio di Odino sarebbe riuscito a convincere l’ingannatore a cambiare itinerario, tanto per cominciare. Consapevole di quanto era già capitato e desideroso di evitare che Loki ricadesse negli stessi, inevitabili, errori, l’avrebbe spinto verso una meta diversa, più sicura. E se, per qualche assurda ragione, si fossero ritrovati a trascorrere ugualmente la notte in quel maniero desolato, avrebbe messo in guardia il suo intemperante fratello dal mettere gli occhi addosso all’enigmatica Sigyn. Di più, si sarebbe adoperato affinché il loro soggiorno fosse il più breve possibile, conscio di quanto divieti e minacce, per quanto brutali, non facessero altro che esacerbare gli impulsi e i desideri di Loki. Ma Thor non c’era e Balder era troppo giovane per ricordare certe occhiate in tralice che l’ingannatore aveva scoccato a una Sigyn ancora nubile e meno disillusa. Se anche la memoria fosse giunta in suo aiuto, poi, non sarebbe stato in grado di impedire, né con le parole né con i fatti, al fratello di avvicinarsi a quella donna.

 

All’inizio furono domande sul palazzo – curiosità incentrate sull’architettura e qualche osservazione sulla varietà di piante officinali che venivano coltivate nell’orto posto sul retro del maniero, poi si trasformarono in racconti e aneddoti su viaggi e avventure. Così Loki riuscì a instaurare un dialogo con la sua bella ospite dai capelli d’oro e lo sguardo mobile e sfuggente. Richieste cortesi a cui lei non poteva evitare di rispondere si trasformarono in racconti capaci di dare il via a una conversazione brillante e piacevole, ancora di più perché lei, giovane e intrappolata in un feudo posto ai confini di Asgard, non aveva altri con cui parlare se non una vecchia nutrice, che da diversi giorni si era dovuta assentare per andare a cercare certe erbe medicinali. Sigyn non poteva immaginare che c’era stato un tempo in cui quella valle solitaria le era sembrata l’unico rifugio possibile da una relazione che l’aveva travolta nonostante tutto. Il primo giorno passò senza che avvenisse nulla di irreparabile, ma entrambi erano consapevoli dell’attrazione quasi dolorosa che c’era tra di loro. Sembrava tangibile e reale, dotata di una propria consistenza. Lei si accorgeva di quando l’ingannatore la fissava – e il come lo faceva la turbava. Era come se, guardandola, lui l’accarezzasse con quelle sue dita di mago. Allo stesso modo se, per qualche motivo, la ragionevole distanza che c’era tra loro si assottigliava anche solo per un momento, Sigyn s’irrigidiva e smetteva di respirare – perché l’odore di lui, di cuoio, legno e qualche balsamo aromatico, acuiva l’impulso ad annullare ancora di più lo spazio tra di loro. Ed era certa che anche Loki, pur con quel suo ghigno beffardo perennemente stampato sul viso affilato, provasse qualcosa. Altrimenti non si sarebbe concesso ben due giorni di riposo, ripartendo, com’era logico e giusto che facesse, all’alba o poco dopo – il tempo necessario per riposare e rifocillarsi, niente di più.

 

La notte accoglie sussurri, segreti, sospiri. È seta nera che copre ogni cosa rendendola diversa, oscura, stregata. Solo che alle volte non lascia spazio all’alba, con la sua luce rosata fredda e luminosa. Rimane nei nostri pensieri, avvolgendoci come un velo. Così si era sentita Sigyn quando aveva incrociato lo sguardo freddo e indagatore del dio dell’inganno, così continuava a sentirsi ora che, trascorse due notti dal suo arrivo, il principe degli Æsir si apprestava a partire, suo marito a tornare. Era come brancolare nel buio, pensò, eppure si sentiva più viva che mai. Se la sua vecchia nutrice fosse stata presente, avrebbe riconosciuto nei suoi occhi una luce già vista, ben nota. Ma a nulla sarebbero valse le sue parole cariche di buonsenso, perché Sigyn si era perduta nell’istante in cui aveva accolto Loki sotto il suo tetto. Tutto il resto era ineluttabile.

Loki di Asgard.

Sigyn ripeté nel buio le poche sillabe che formavano un nome semplice, perfettamente calzante con l’uomo con cui, solo poche ore prima, aveva finito per baciarsi. Si sfiorò le labbra con i polpastrelli, come se su di loro fosse rimasto il sapore di quelle di lui, sardoniche e sottili. Forse sarebbe venuto a farle visita, quella notte. Prima di partire per sempre e di gettare un doveroso velo sullo smarrimento – perché non poteva essere stato altro – che li aveva resi deboli, probabilmente l’avrebbe cercata di nuovo e Sigyn si sarebbe lasciata trovare. Lo pensò come se fosse qualcosa di assolutamente inevitabile, tessuto dalle Norne col loro filo più resistente. Le dita scivolarono sul ciondolo che indossava tutti i giorni, tanto da essere parte di lei. A suo marito di quel bacio non sarebbe importato, perché dell’ingannatore si diceva che amasse più l’atto del conquistare che coloro che stringeva tra le braccia. Era troppo preso da sé stesso e dalla sua bruciante ambizione per fermarsi in nome di una donna. Sigyn non era l’eccezione, non sarebbe stata diversa: il cedimento di una notte fuori dal tempo non avrebbe spinto Loki, figlio di Odino, a esporsi in alcun modo. Lei, d’altronde, tentando di fuggire aveva già ampiamente dimostrato di non poter essere fedele all’uomo con cui era sposata – non lo amava né gli apparteneva in alcun modo. E l’ingannatore lo sapeva, ne era cosciente. Di più, la capiva, perché anche lui nel corso della sua esistenza era fuggito – da prigioni, situazioni, incubi: il dove, in fondo, non aveva importanza. Non avevano mai parlato del perché Sigyn avesse tentato di scappare. In quel silenzio denso che, a volte, li accomunava, c’era più di quello che erano disposti ad ammettere.

Sigyn e Loki si erano baciati al tramonto, dopo un pomeriggio trascorso a cavallo. Lei gli aveva mostrato un cerchio perfetto composto da una serie di grosse pietre – monoliti enormi, conficcati nella terra come fossero le zanne di un drago mostruoso e immenso. Qui i nostri antenati compivano sacrifici e pregavano le Norne, aveva detto e Loki si era inginocchiato a terra sfiorando con le dita la terra e i ciuffi d’erba. “Lo sento,” era stata la sua risposta. Dopo un momento, aveva iniziato a raccontarle, con la sua voce arrochita e a tratti distante, di riti dimenticati, di magie e di patti stretti col sangue. Sulla via del ritorno, le loro ombre avevano iniziato ad allungarsi, il sole a calare. Era il momento giusto per spronare i cavalli al galoppo e rincorrere la luce morente – rincorrersi, sfidarsi fino a che, smontati dai destrieri, si erano ritrovati improvvisamente troppo vicini, da soli. Sigyn aveva i capelli scarmigliati e il cuore che batteva troppo velocemente nel petto. Nei suoi occhi scintillava una luce traditrice e imprevista, traboccante di una gioia che non provava da un tempo immemorabile. Anche Loki aveva lo sguardo acceso e rideva, ma quando si rese conto che lo spazio tra loro si era assottigliato, anziché ritrarsi si avvicinò ancora di più, annullando ogni distanza. Era maledettamente bravo a cogliere le occasioni propizie, quando gli capitavano, e Sigyn era bella. Glielo mormorò sulle labbra, che trovò schiuse, ripetendoglielo mentre la stringeva a sé, scoprendo che il corpo sottile e snello di lei era stato creato per aderire al suo – e voleva farlo, perché se quel primo bacio era nato da un gesto temerario del dio dell’inganno, quelli che seguirono furono dati per volontà di Sigyn.

Si era scostata facendo violenza a sé stessa e a tutto ciò che desiderava – Loki, nient’altro. E quello che lui rappresentava – una libertà sfrontata a cui era dolorosamente possibile essere fedeli fino alla morte e anche oltre.

Quella notte Sigyn si sarebbe lasciata trovare, ma non avrebbe atteso nel suo letto che la porta delle sue stanze si aprisse quel tanto che bastava per lasciar passare un amante particolarmente audace. Voleva rivelarsi. Raccontare del perché era fuggita, quale oscuro malessere senza nome l’aveva convinta a tentare di abbandonare la propria casa. Fu lei a raggiungere la camera dove dormiva il dio dell’inganno. Lui fingeva di leggere – o leggeva nell’attesa di lei, sdraiato sulle coltri con la stessa rilassata sicurezza che avrebbe avuto se fosse stato ad Asgard. Un ghigno sfrontato l’avvertì che non lo aveva colto di sorpresa, come se si fossero dati un tacito appuntamento. Sigyn non chiedeva niente di diverso. Slacciò la pesante vestaglia in cui era avvolta e la lasciò cadere a terra, affinché lui la guardasse come aveva fatto fino a quel momento, come se potesse, solo così, accarezzare la sua pelle nuda e tesa. Loki si alzò per venirle incontro, e a entrambi sembrò di vivere un momento già trascorso e che i loro corpi, frementi e ansiosi, si fossero già uniti in quello stesso modo – con urgenza, perché il tempo e il mondo non erano dalla loro parte, stare lontani era doloroso, eppure amarsi, come fecero, contro lo stipite chiuso di fretta e poi sul letto su cui il dio dell’inganno aveva dormito pensando a lei, era necessario, indispensabile, perfetto, come il ritmo dei loro corpi, come le carezze e i baci dati con disperazione.

Ma ogni cosa è destinata a finire, anche le notti più oscure, quelle in cui i sospiri rotti si trasformano finalmente in ansiti di piacere; il desiderio di aversi, un impulso quasi doloroso che si placò solo quando Sigyn schiuse le gambe lasciando che Loki entrasse con una spinta dentro di lei, non accennò a scemare quando si ritrovarono col respiro corto e ansanti. In gola il dio dell’inganno aveva promesse che sapeva non sarebbe riuscito a mantenere e che, per qualche oscura ragione, non riusciva a pronunciare. Sigyn, invece, con una guancia poggiata sulla forte spalla del principe degli Æsir, pensava ai vincoli che aveva infranto e in cui non aveva mai creduto, alla trappola da cui non riusciva a scappare, a quanto si sentisse, finalmente, sé stessa. E questo, in qualche modo, la terrorizzava.

L’alba accoglie la verità, solleva la tenebra, caccia via le ombre rivelando la natura di ogni cosa: anche di un amore sbagliato. Sigyn se n’era già andata, scivolando via dal letto prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza. Era la moglie di un altro. Di uno che si stava apprestando a tornare, il cui cavallo, forse, stava già galoppando verso il maniero. Tornando, l’avrebbe stretta tra le braccia, baciata sulle labbra – quelle stesse di cui l’ingannatore sentiva ancora su di sé il sapore. Poter assaggiare ciò che si brama e doverlo perdere subito dopo pareva essere una dolorosa costante della sua esistenza. Avrebbe dovuto affrettarsi ad andare via, compiacendosi per la piacevolissima nottata appena trascorsa, invece qualcosa di indefinibile lo tratteneva dallo svegliare Balder e partire. Un irragionevole presentimento, un malessere che sembrava una punta affilata fatta di rancore e di desiderio – voleva che la bella Sigyn tornasse ancora da lui, spogliandosi con la stessa squisita grazia con cui lo aveva sorpreso e provocato. Che fosse sua e non dell’uomo che l’aveva sposata, gli suggerì una voce malevola nella sua testa.

Piegò le labbra in una smorfia – certi ragionamenti esaltano i desideri, ma sono inganni, illusioni, chimere. Nient’altro. Eppure sollevò un sopracciglio stupito, quando la porta della sua camera si aprì di nuovo per lasciare entrare lei. Ma Sigyn non era più la donna di poche ore prima, sebbene fosse ancora avvolta nella sua calda vestaglia, con i capelli d’oro sciolti sulle spalle. Aveva le guance rigate dalle lacrime e lo fissava con uno sguardo nuovo, mai visto. Consapevole. In mano stringeva un fascio di lettere. “La mia nutrice è appena tornata da un viaggio. Me l’ha date quando ha saputo che tu eri qui – troppo tardi, evidentemente.”

Gli porse il plico, cercando invano di nascondere quanto le tremassero le dita. Loki afferrò i fogli e li lesse rapidamente, impallidendo via via che andava avanti con la lettura e quello che, all’inizio, sembrava un sinistro scherzo si rivelava essere una verità perduta, dimenticata, strappata via dalla testa, in cui la passione bruciante si mescolava al dolore e alle incomprensioni per sfociare in una decisione fatale.

“Ci siamo incontrati ed è successo ancora,” mormorò Sigyn osando sfiorargli il volto. “Siamo condannati.

Un sorriso feroce, di sfida, attraversò il volto di Loki. Le passioni non potevano essere controllate. Erano caos. “Ci siamo ritrovati.”

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore ♥ ♥!

Avevo in programma di postare questa shot a fine 2021, ma la vita è quella valanga che ti prende tra un progetto e l’altro ed eccoci qui, al 21 gennaio. E forse è stato meglio così, dato che il 2021 è stato un anno ricco di molte cose, ma povero di scrittura – bisogna stare tranquilli per scrivere, o almeno: io devo stare relativamente tranquilla.

 

Ma bando alle ciance, Braci giaceva nel mio pc da un periodo di tempo lunghissimo e nasce da una serie di suggestioni a me molto care. Però non sentivo mai la spinta a proseguirla. D’altro canto, c’è una mia shot, La danza degli spiriti, che necessitava di un seguito che non riuscivo a scrivere. Io non lo so com’è successo, ve lo dico davvero, ma a un certo punto Braci è diventata il seguito ideale (ma sarebbe più corretto definirlo prequel) de La danza, sebbene le due possano essere lette in maniera assolutamente slegata l’una dall’altra.

L’altro aspetto è sul finale tranchant. Mi sono imposta, proprio per trovare la spinta per scrivere e concludere, un limite di parole per questa shot: 5000. Ma anche se non mi fossi messa alcun paletto, il finale sarebbe stato ugualmente così perché il punto, per me, era di arrivare al momento in cui Loki e Sigyn prendono coscienza dell’inutilità del loro sacrificio, del loro tentativo di ingannare i rispettivi cuori. Di fronte a questa rivelazione, tutto scompare. Nella mia testa, oltre al forte desiderio di continuare e concludere TUTTE le mie storie (e magari scriverne di nuove) c’è anche il progetto di scrivere una terza shot su questa vicenda particolare. Non faccio promesse, però ecco, le buone intenzioni ci sono tutte – per sapere che fine ho fatto c’è sempre fb. Cercatemi anche lì, è l’unico social che riesco a gestire. Spero che la lettura ti sia gradita, o tu che sei giunt* fin qua ♥.

 

Ringrazio con tutto il cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: sono piccole cose, ne convengo, ma danno più di quanto crediate e so’ pure gratis XD. A parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss

 

 

 

 



[1] Questa shot è ispirata – e vuole un ideale prequel/sequel pur essendo fruibile anche da sola – La danza degli spiriti.

[2] Volutamente ho deciso di inserire il discorso indiretto libero.

   
 
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