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Autore: Elis9800    21/01/2022    4 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XIII

Hard Reset






“Mamma mia, che mal di testa…”
“A chi lo dici, mi sento le tempie scoppiare”
“Non abbiamo più l’età per fare le ore piccole”
“Che tristezza”
“E dire che fino a qualche anno fa facevamo baldoria ogni sera”

“Non sarete un po’ esagerate, ragazze?” si intromise Ishii, inarcando un fine sopracciglio.

Yukari e Tomomi la squadrarono tra il sorpreso e l’invidioso.

“Non hai nemmeno l’ombra di un’occhiaia” osservò piattamente Yukari.
“E sei arzilla come sempre” rincarò la dose Tomomi, assottigliando le palpebre.

Un accenno di broncio si disegnò sui lineamenti della più giovane.

“Non è mica colpa mia se al Seijo andavo ogni settimana alle cene di lavoro con colleghi e superiori” ribatté indispettita.

Le due sgranarono gli occhi.

“Ogni settimana?! Non c’è da stupirsi che la tua tolleranza alcolica sia sorprendentemente alta”
“Decisamente maggiore di quella di Kindaichi-san” ridacchiò malignamente Yukari, rammentando come il suo capo tendesse ad assumere un colorito scarlatto e a bofonchiare parole incomprensibili ogniqualvolta alzava troppo il gomito.
“Qui al Kitagawa Daiichi è un grande evento se le organizzano una volta al mese”
“Stiamo migliorando però, l’ultima cena è stata tre settimane fa”

Ishii assunse un’espressione titubante.

“Come mai così di rado? Preferiscono evitare di riempirsi inutilmente l’agenda?”
“Non è che li reputino una perdita di tempo… è che qui gli eventi sociali hanno meno rilevanza rispetto ad altri studi o aziende. La maggior parte degli avvocati opera in autonomia e nonostante siano prevalentemente in buoni rapporti non c’è una particolare predilezione per vedersi al di fuori dell’orario lavorativo. Il direttore è il primo a non incoraggiare queste uscite quindi il resto si adegua” spiegò Tomomi facendo spallucce.
“Eppure, pur non essendo degli habitué, la cena di ieri è stata molto piacevole” commentò sinceramente  Ishii.
“Soprattutto il momento in cui i boss hanno deciso di darsi all’alcol sfrenato” ghignò Yukari.
“In effetti è stato uno spettacolo piuttosto esilarante. Specialmente Kindaichi-san” concordò Ishii, incamminandosi insieme alle colleghe verso il guardaroba dove poter appendere i propri cappotti.

Tomomi a malapena frenò uno sbuffo ironico.
“Kindaichi-san crede di agire con discrezione quando inizia a fissare Yukari come un pesce lesso”

La fronte della diretta interessata, impegnata a contemplare il proprio riflesso nello specchio, si increspò in un lieve cipiglio irritato.

“Ehi! Non mi fissa come un pesce lesso” si difese piccata, riordinando impazientemente la vaporosa coda di cavallo da qualche capello ribelle.

Entrambe le ragazze sghignazzarono.

“No no, assolutamente. Non ha speso ogni singolo minuto della serata a sbavarti dietro” la canzonò Tomomi.
“Non sono qui da molto ma si vede lontano un miglio che il tuo capo ha un debole non indifferente nei tuoi confronti” le diede man forte Ishii.

Yukari roteò gli occhi, per nulla impressionata.

“Kindaichi-san è un bonaccione. Adocchia una bella donna e non può fare a meno di ammirarla come un allocco per un po’ prima di ritornare in sé”
“Beh, Kindaichi-san non ti vede mica per la prima volta. Oserei direi che l’alcol gli infonde quel coraggio necessario per lasciarsi andare alla contemplazione” asserì Ishii con tono stranamente serio nonostante l’ilarità dell’ipotesi.
“Secondo me è da anni che ha una cotta segreta per Yuka-chan. Sono contenta di avere qualcuno che supporti la mia idea, ogni volta che sollevo l’argomento lei mi liquida così” rivelò Tomomi in un sussurro ostentato.
“Guarda che ti sento!” replicò stizzita mentre terminava di applicare il rossetto nude sulle labbra.
“E la cosa più divertente è che a lei non dispiace nemmeno” continuò imperterrita Tomomi, arcuando le sopracciglia con aria suggestiva in direzione di Ishii.

Le gote di Yukari si colorarono impercettibilmente.

“La vuoi smettere? Non fai altro che esagerare. Lo punzecchio ogni tanto volta…”
“…e per ‘ogni tanto’ intende letteralmente ogni giorno” sottolineò puntualmente Tomomi.
“…ma nulla di più! Non è vero che ha una cotta per me e non è altrettanto vero che lo incoraggio. Lo provoco un pochino solo perché è estremamente ingenuo” si difese caparbiamente, recuperando la sua borsetta e voltando le spalle alle colleghe, marciando imperiosamente verso la sala comune.
“Aaah, dopo tutti gli uomini che le vanno sfacciatamente dietro a Yukari manca certamente un po’ di sana ingenuità!” la rincorse Tomomi sfoggiando un teatrale sospiro trasognato, seguita a ruota dalla minuta Ishii la quale, dopo aver ponderato la quesitone per qualche attimo, proclamò con convinzione  “Sareste effettivamente una bella coppia”, causando in Yukari un lamento esasperato.

Tomomi scoppiò a ridere, raggiungendo l’amica davanti le macchinette del caffè e punzecchiandole bonariamente il fianco, prendendola in giro mentre Ishii preparava il suo americano in silenzio.

“Kageyama-san non ha mai partecipato alle cene di lavoro, immagino” rifletté ad alta voce dopo qualche minuto.
Le due smisero di bisticciare e sbatterono entrambe le palpebre, interdette.

“Voglio dire, mi sembra abbasta scontato, considerati i trascorsi…”

Tomomi scrollò le spalle, abbassando le iridi verdi sulla superficie del suo chai latte.

“Non è mai stato interessato a partecipare e mai nessuno si è mostrato dispiaciuto della sua assenza”

Per qualche minuto nessuna delle tre donne aprì bocca, assorte a consumare le rispettive bevande prima dell’arrivo dei legali e l’inizio del consueto meeting mattutino.

“Sapete, credo che Kageyama-san sia diverso ultimamente”

Due paia di occhi scuri si posarono sul volto della bionda appoggiata contro il tavolo rettangolare.

“Sembra una sorta di fantasma di se stesso. Non avete avuto la stessa impressione?”

Ishii si grattò il mento, pensierosa.

“Dopo le settimane iniziali in cui non riuscivo minimamente a sopportarlo pareva essersi dato una regolata. Anche ora fortunatamente non ha più quelle reazioni da maniaco psicotico che hanno spinto la povera Nakamura a rassegnare le dimissioni ma… ecco…” si interruppe, arricciando il naso.
“Adesso sembra non avere nessuna reazione”
“Un vegetale” sentenziò Yukari con un cenno d’assenso.
“Non che io abbia nostalgia del vecchio Kageyama” ci tenne a sottolineare Tomomi, rabbrividendo inconsciamente al ricordo del terrore che l’uomo era stato capace di incuterle con una singola occhiata.
“È solo che… è parecchio straniante vederlo comportarsi così”

“Di chi parlate?” si introdusse una vocina cauta, timorosa di disturbare.

“Naka-kun, capiti giusto a fagiolo” la salutò Yukari, facendole cenno di avvicinarsi mentre si adoperava per prepararle un caffellatte.
“Ti senti bene innanzitutto? Ieri ho avuto l’impressione che Oritsume-san ti abbia fatto bere un po’ troppo” le chiese Tomomi con una punta di preoccupazione, scuotendo mentalmente il capo al ricordo di come la povera Nakamura avesse tentato in ogni modo cortese esistente di svincolarsi dall’insistenza con cui il suo capo la incoraggiasse a ubriacarsi.

La ragazza abbassò la testa un po’ imbarazzata, accettando la tazza portale da Yukari.

“Abbastanza bene, sono riuscita a rifiutare dopo il quinto bicchiere…” spiegò, ormai rassegnata dal dover convivere con la personalità piuttosto onerosa del suo boss.
“È davvero pesante, non c’è che dire” appurò Yukari.

“A tal proposito, Naka-kun, non pensi che Kageyama-san sia fin troppo tranquillo ultimamente?” indagò Tomomi con voce sibillina.

La ragazza sbatté le palpebre, colta in contropiede.
Si mordicchiò il labbro inferiore, valutando accuratamente i suoi pensieri.  

“Sarà più di un mese che non urla come un ossesso” rimarcò Yukari e Ishii annuì vigorosamente, aggiungendo con convinzione “Altrimenti credo che non avrei potuto trattenermi dal rispondergli a tono”
Tomomi sghignazzò divertita.
“Davvero Ishii-kun, non so come tu possa essere portata per il nostro lavoro. Sei l’esatto opposto del termine conciliante”
Ishii fece spallucce, scombinandosi il caschetto corvino.
“Non sono mica una schiava. Se c’è da farsi sentire non mi creo problemi”
“Dovremmo prendere esempio da te” proferì saggiamente Yukari, terminando l’ultimo sorso del suo tè.
“Schiette e implacabili”

“A me pare che voi due lo siate già fin troppo” commentò Akira, entrando nella sala strascicando i piedi.

“Kunimi-san! Posso farle notare che non ha affatto una bella cera?” lo salutò vispamente Tomomi, mettendo subito in evidenza le profonde occhiaie nerastre che gli cerchiavano le orbite in contrasto con la carnagione pallida.
“Ecco, appunto” brontolò stancamente, massaggiandosi le tempie.
“Raggiungeteci di là, sta iniziando il meeting”

Continuando a battibeccare amichevolmente, le ragazze lasciarono la zona relax per dirigersi verso le rispettive scrivanie e racimolare il necessario da portare con sé per affrontare la riunione.

Nakamura le seguiva in maniera leggermente defilata, indugiando a qualche passo di distanza.

Stava… riflettendo.

Sollevando lo sguardo dal pavimento in marmo nero, soffermò la propria attenzione sull’ufficio dalle pareti divisorie in vetro in cui per ben due anni aveva quotidianamente varcato la soglia.
 
Al suo interno vi scorse una figura nota, altezzosa e imponente.
Autoritaria a prima vista, con quell’andatura sicura e la tendenza a squadrare chiunque dall’alto in basso.
Spaventosa persino, se si aveva la sfortuna di incrociare quei grandi occhi gelidi.

Eppure…

A un’occhiata maggiormente accorta, quelle ampie spalle coperte da una costosa giacca confezionata su misura apparivano stranamente rigide.
L’espressione severa, i lineamenti taglienti… celavano un’aria piuttosto goffa ed impacciata.
Quelle impenetrabili iridi blu… rivelavano una profonda incapacità di comprensione emotiva.

Nakamura lo osservò appoggiare l’inseparabile ventiquattrore sulla massiccia scrivania per poi sfilarsi con cautela il cappotto scuro, forzando il meno possibile l’avambraccio sinistro, scevro ormai da parecchie settimane del consueto gesso biancastro tuttavia non ancora ristabilitosi del tutto.
Lo vide sedersi compuntamente sulla poltrona in pelle nera e collocare meccanicamente, come se si trovasse sotto l’effetto di un peculiare schematismo, i materiali essenziali alla sua attività quotidiana.

Un’organizzazione perfetta che avrebbe potuto sembrare scrupolosa e zelante ma che in verità lasciava trasparire soltanto una peculiare nevrosi.

Cattiveria?
Boria?
Egocentrismo?

Forse.

Ciononostante, l’unico aspetto del legale su cui attualmente Nakamura riusciva a concentrarsi…
Era il viscerale e volontario distacco dal reale.

Voltando nuovamente il capo in direzione delle colleghe che chiacchieravano affabilmente con i superiori, le rimbombò distintamente la domanda rivoltale qualche minuto prima da Tomomi.


“Non credi che Kageyama-san sia fin troppo tranquillo ultimamente?”


Uno sbuffo disincantato per poco non le proruppe dalle labbra.

“Tranquillo” era probabilmente un eufemismo.

Se si conosceva anche solo minimamente la personalità di Kageyama-san, chiunque avrebbe certamente intuito che l’atteggiamento dell’ultimo mese rappresentava un’anomalia…
Piuttosto preoccupante.


“Volevo dirti grazie per… per tutte le volte che mi hai preparato il pranzo”


Avvertì una piccola stretta al cuore.

Da quella fatidica e insperata conversazione, i rapporti fra lei e il suo ex capo avevano subìto un netto miglioramento.

Nonostante fosse umanamente impossibile sradicare l’astio e i maltrattamenti ricevuti in ventiquattro mesi, gli sforzi di Kageyama non erano passati inosservati.

Non si comportava in modo semplicemente gentile, o almeno ciò che di più vicino alla gentilezza potesse essere accostato al legale, nei suoi confronti ma anche con Ishii aveva instaurato un rapporto addirittura paritario, indubbiamente facilitato dall’assenza di peli sulla lingua della ragazza che ben collimava con l’insofferenza naturale che Kageyama provava verso gli insulsi convenevoli.

Il suo caratteraccio appariva mitigato, così come la sua attitudine al dispotismo.
Sembrava davvero che fosse giunto a un punto di svolta.

Tuttavia, la causa del mirabolante evento rimaneva sconosciuta.

Recuperando dalla sua scrivania i documenti necessari da consegnare a Oritsume-san per la riunione assieme al pacco di sigarette Marlboro che le richiedeva puntualmente ogni mattina, Nakamura si affrettò a raggiungere le colleghe, catturando con la coda dell’occhio un’impettita silhouette dirigersi nella medesima direzione.

Era altamente improbabile che il legale avesse improvvisamente deciso di snaturare il proprio comportamento per un ravvedimento personale.
Qualunque motivazione si fosse celata a tale cambiamento doveva contenere una potenza sorprendente.

Talmente poderosa da scatenare l’episodio che, agli occhi della maggior parte dei membri del Kitagawa Daiichi, consisteva in una vendetta personale ai danni del legale per la sua risaputa superbia ma che, dalla prospettiva di Kageyama, assumeva le sembianze di un tragico fallimento professionale.

Non era di pubblico dominio ciò che fosse realmente accaduto all’interno del suo ufficio, ciononostante le voci parecchio infervorate avevano concesso ampia occasione di discussione, grazie soprattutto al venefico passaparola originato dai pochi presenti e poi capillarmente diffuso a tutto il personale.
L’impressione generale si era solidificata nella convinzione che lo spocchioso genio Kageyama Tobio avesse perso colpi, forse a causa di una sorta di magnanimo karma regolatore di conti.

Nessuno però avrebbe pronosticato che tale condizione sarebbe proseguita a oltranza.

Era come se… il legale non fosse stato più in grado di riprendersi, dopo quella batosta.

E Nakamura nutriva il bruciante sospetto che quel qualcosa che aveva spinto Kageyama ad agire apparentemente contro la sua stessa indole, esortandolo ad interessarsi a forme di vita umane diverse dalla sua…

Giocasse un ruolo non indifferente in quello straniante blackout.  



“Secondo me ha trovato una tipa che gli piace” aveva esordito Ishii di punto in bianco un pomeriggio del mese precedente, mentre Nakamura, Tomomi e Yukari si godevano la loro meritata pausa con qualche mochi ai fagioli rossi.

Tomomi aveva fragorosamente sputato parte del tè appena sorseggiato e Yukari era scoppiata a ridere.

“Dico sul serio! Non mi spiego in altro modo questa trasformazione repentina” aveva insistito imperterrita la ragazza.

Dopo essersi ricomposta velocemente, fulminando con lo sguardo Yukari che ancora ridacchiava sfrontatamente, Tomomi aveva borbottato un contrito “E chi mai se lo prenderebbe” mentre asciugava il disastro sul tavolo.
“Magari una a cui piacciono gli stronzi” aveva riflettuto Yukari, picchettandosi le lunghe unghia laccate sul mento.
“Io direi più una con tendenze autolesioniste” aveva mugugnato cupamente la bionda.
“Beh, se proprio dobbiamo essere oggettive, non possiamo negare che sia un bell’uomo” aveva obiettato Ishii, inclinando leggermente la testa di lato.
“Alto, longilineo, bei lineamenti…”
“Peccato che i suoi occhi siano capaci di far avvizzire qualunque essere vivente con un singolo sguardo”

“Non credete di esagerare?” aveva azzardato distrattamente Nakamura, concentrata a mescolare ritmicamente il suo caffellatte.

Le tre colleghe le avevano indirizzato uno sguardo interrogativo.

“Magari ha trovato una persona in grado di…”
“Farlo cambiare? Ma per favore, è più probabile che Kindaichi chieda ufficialmente a Yuka-chan di uscire piuttosto che far smuovere Kageyama dalle sue convinzioni” aveva esclamato con sicurezza Tomomi, ignorando l’esclamazione risentita di Yukari.

“Intendevo dire farlo ragionare” aveva rimarcato Nakamura con un velo di disappunto.

“E che differenza ci sarebbe?”
“Sappiamo tutte che è impossibile trasformare il carattere di un uomo”

“Non sto parlando di modificarlo ma di… aiutarlo. Aiutarlo a relazionarsi con gli altri in maniera più adeguata” aveva spiegato sommessamente la brunetta, perdendosi a rimirare il riflesso della luce artificiale sulla superficie della bevanda.

“Praticamente avrebbe bisogno di una santa” aveva sogghignato sardonica Yukari.
“Oppure di un santo. Secondo me non gli piacciono nemmeno le ragazze” aveva osservato acutamente Tomomi.

Ishii aveva arricciato le labbra, pensierosa.

“In effetti non l’ho mai visto interagire con nessun individuo di sesso femminile al di fuori del contesto lavorativo. E anche con le superiori il suo atteggiamento è sempre stato distaccato…”
“Potrebbe anche essere asessuale. In tutti questi anni non ha mai manifestato il minimo interesse verso nessuno in possesso di organi genitali” si era intromessa Yukari.  

“Però secondo me potrebbe avere ragione Naka-kun” aveva proseguito Ishii, rivolgendosi alla collega con occhi scaltri.
“Ve l’ho detto, non lavoro con lui da chissà quanto ma è palese che qualcosa nel boss non sia più lo stesso. Da quanto mi avete raccontato assomigliava a un vero e proprio lupo feroce, ora pare a malapena…”

“Un cagnolino musone?” aveva proposto Yukari, trattenendo un risolino.
“Qui c’è lo zampino di una cotta. Ne sono sicurissima” aveva decretato Ishii con risolutezza.
“Non si stravolge così dal nulla il proprio essere se non per piacere a qualcuno. È una triste verità che impariamo sempre a nostre spese” aveva poi borbottato contrariata.  
“Non me ne parlare. Il mio ex mi aveva persino convinta a rinunciare alle mie lezioni di danza aerea perché le riteneva volgari! Cretina io che gli davo retta, ho perso sei mesi di potenziali miglioramenti…”



Era stato quello l’esatto momento in cui la mente di Nakamura aveva iniziato ad albergare la convinzione che il mero sospetto di Ishii corrispondesse a verità.

Non si trattava di qualcosa ad aver fatto agire in modo anomalo Kageyama, bensì…
Qualcuno.

Teoria corroboratasi quando, qualche giorno dopo quella fatidica conversazione con le colleghe, aveva scoperto il legale abbozzare sorrisini atipici in direzione dello schermo del cellulare, perdendovisi persino per svariati minuti.  




“I coniugi Sakamoto, conoscerete già tutti il loro nome, si sono rivolti al nostro studio per un’importante consulenza che potrebbe innalzare notevolmente le nostre entrate con l’avvio della causa. Ho bisogno dei membri che al momento abbiano un po’ di tempo da dedicare alla spinosa questione”

“Tashiro-san, perché non se ne occupa lei?”
“Purtroppo al momento non ho il tempo materiale per prendere un altro incarico, sono oberato di lavoro fino al collo” spiegò stancamente uno degli avvocati più anziani.
“Se è una faccenda ostica suggerisco che sia la nostra Sasaki-san a occuparsene”
“Credo sia un’ottima idea” concordò Haskimaki, rivolgendo lo sguardo alla collega dai lunghi boccoli biondo miele seduta alla sua destra.

La donna inarcò un sopracciglio, recuperando la sua agenda dal rivestimento bordeaux e controllando la lista dei suoi clienti.

“Non avrei avuto la sfacciataggine di chiederlo direttamente a lei Sasaki-san, tuttavia mi sentirei sicuramente sollevato se si incaricasse di quest’onere” confermò il direttore Miura, piegando il collo in un lieve inchino.

Un mormorio di approvazione si levò dalla sala, echeggiando una sequela di “È la scelta più appropriata” provenire dai presenti.

“Vi ringrazio per la fiducia concessami” rispose Sasaki con il caratteristico garbo, per poi aggiungere “Purtroppo però non credo di potermi occupare da sola del caso, in queste settimane ho un processo particolarmente scottante da seguire e non posso permettermi distrazioni. Ritengo sia opportuno dividere la responsabilità della consulenza fra me e un altro collega” propose saggiamente, ricevendo il cenno d’assenso di Miura.
“Si tratta di una situazione complessa che deve essere affrontata con pazienza ma al contempo una grinta non indifferente. Chi tra voi pensa di poter adempiere all’incarico?”

Diversi sguardi si incrociarono fra loro, chi cercando appoggio chi scuotendo la testa.

“Miura-san, se si parla di spirito combattivo penso ci sia una persona in particolare a cui il caso possa essere affidato” snocciolò schiettamente Tashiro.

Diciotto volti si girarono in contemporanea a fissare la solitaria figura seduta a un angolo del lungo tavolo rettangolare, così silenziosa da passare inosservata.

“Kageyama-san, che ne dice? Sarà sicuramente un ulteriore successo da inserire nella sua già brillante carriera” asserì placidamente il direttore che, al contrario della maggior parte dei membri del Kitagawa Daiichi, poco si curava della personalità scostante del corvino e l’aveva sempre reputato una risorsa preziosa.

Un brusio vagamente infastidito aleggiò tra le pareti, tuttavia, contrariamente a ogni più rosea aspettativa…

“La ringrazio per l’offerta, Miura-san, ma rifiuto l’incarico”

Un’ondata di shock generale si abbatté violentemente sui legali.

Persino lo stesso direttore ne fu un’inconsapevole vittima, sbattendo più volte le palpebre per assimilare le parole appena recepite.
“Rinuncia a…? Kageyama-san, non c’è caso in cui la sua presenza sia più adeguata, non vuole ripensarci e…”

“La mia risposta è definitiva. La ringrazio comunque per la fiducia” sentenziò lapidario, piegando il capo in avanti in segno di rispetto.

Se la sua risposta aveva suscitato disorientamento nell’intero studio, lo sconcerto era stato percepito con peculiare intensità da due individui in particolare.

Le mascelle di Kunimi e Kindaichi erano spalancate dall’incredulità.
Dall’apparente incongruenza del suo comportamento, certamente, ma ancor di più…
Per l’umiltà con cui Kageyama aveva appena controbattuto?

Quel genio superbo era davvero capace di provare un sentimento del genere?

“A che gioco sta giocando” sibilò tra i denti Kunimi, scoccando un’occhiata furente nei confronti del corvino che ancora, inauditamente, teneva il viso rivolto verso il basso.




L’ampio wallpaper asettico dell’iPhone svettava immacolato, privo di qualsiasi notifica.

Nessun allegro e cristallino “Buongiorno” decorava graziosamente il display.

Nessun cuoricino stupidamente colorato gli augurava una buona giornata.  

Nessuna vocina frizzante ad accompagnarlo durante la lunghe e tediose ore lavorative.

Nulla.

Solo… il consueto silenzio.

Tobio si alzò meccanicamente dalla poltrona, raccogliendo le cartelle sparse per la scrivania e comunicando brevemente a Ishii le istruzioni riguardanti il cliente che avrebbe dovuto ricevere l’indomani.
La segretaria annotò efficientemente le sue parole nel maneggevole e inseparabile tablet, ribattendo con un semplice cenno d’assenso e, stranamente, un’occhiata carica di una qualche sorta di aspettativa che però Kageyama non si prese la briga di approfondire.

Stringendosi il cappotto sulle spalle, sfidò lo sferzante vento freddo e attese davanti alla fermata del taxi a pochi metri dall’ingresso del grattacielo per parecchi minuti.

Detestava intensamente il traffico serale ma preferiva decisamente non essere spiaccicato fra le orde infernali della metropolitana.
Nonostante fossero trascorsi più di trenta giorni dalla rimozione dell’ingessatura percepiva che l’avambraccio non si fosse ancora completamente ristabilito, provocandogli dolorini e fitte improvvise che Kinoshita-sensei aveva reputato normali, invitandolo semplicemente ad incrementare le, a suo dire con disappunto rare, sedute di fisioterapia manuale che avrebbe dovuto frequentare per poter riacquistare una perfetta mobilità.

Cionondimeno, l’estenuante sosta non parve delinearsi come un problema.
Il suo cervello aveva staccato la spina, rendendolo incapace di concentrarsi su alcunché.

Una bolla trasparente pareva separarlo dal mondo reale, offuscando i visi di coloro che lo circondavano e ovattandone i suoni.
Poteva apparire una condizione spaventosa, eppure in verità…

Gli piaceva.

Anzi, gli calzava a pennello.
 
Sedutosi sul retro dell’autovettura arrivata chissà quanti minuti dopo, il tempo fluì indistintamente e lo spazio visibile dal finestrino si estese davanti ai suoi occhi blu in maniera deformata.
Luci e colori si fusero omogeneamente, amalgamandosi come l’impasto cremoso di una torta al cioccolato.

Il tassista, spinto probabilmente dalla noia, sembrava voler intavolare una conversazione tuttavia Tobio non vi prestò attenzione, biascicando appena qualche monosillabo.

A un certo punto si rese conto che la macchina si fosse definitivamente fermata, non più a causa dei frequenti incolonnamenti ma poiché effettivamente giunta a destinazione.
Acchiappò la ventiquattr’ore, pagò il conducente e sbucò dalla portiera, immediatamente inglobato dalla folla di persone smaniose di rincasare nelle rispettive abitazioni.

Innalzando lo sguardo davanti a sé, incontrò la familiare ed elegante insegna Murakami con le sue grandi vetrate illuminate costellate di lucine lampeggianti e decorazioni natalizie.

L’atmosfera della vivace pasticceria sprizzava calore e gioia, contagiando di buon umore l’intera area.
Le persone sedute ai tavolini rotondi emanano tranquillità mentre sorseggiavano i loro tè e le loro cioccolate calde, coccolati dalla musica di sottofondo e il piacevole tepore.

Risucchiato da una forza invisibile, Tobio varcò lentamente la soglia, scoprendosi catapultato in una dimensione di quiete.

Quel luogo aveva sempre posseduto il bizzarro potere d’infondergli tranquillità, divenendo un valido sostituto alle mura domestiche per l’eccezionale capacità di metterlo a suo agio.
La qualità dei dolciumi, il suo amato yogurt, l’allegra compagnia…

Il filo dei suoi pensieri si interruppe.

Che strano, si rese conto guardandosi intorno.
Il mercoledì sera il turno spettava a Bokuto-san e Kuroo-san.

I loro giocosi battibecchi si sentivano fin dall’entrata e il vocione rombante di Bokuto si sarebbe riconosciuto anche a miglia di distanza, senza contare che il suo ingresso veniva sempre accolto da entusiasti richiami di “Ehiii, Kageyamaaa” accompagnati da sorrisoni a trentadue denti che…

Una sensazione di inaspettato gelo gli inondò i vasi sanguigni.


“Ah, come farà il caro Kageyama-kun quando io e Bo ce ne andremo da qui? Senza più alcun trattamento di favore”

“Questo posto perderà in simpatia e buonumore”



Ah, già.

Kuroo e Bokuto…

Se n’erano andati.

I grandi occhi del legale scandagliarono le vetrine, indugiando sugli svariati volti anonimi che occupavano l’ambiente.

Distingueva unicamente un ammasso di…

Grigio.

Un indefinito e prepotente grigiume che travolse caparbiamente la sua visuale, contaminando similmente a un virus i tenui colori che lo circondavano.
E con ciò…

La scintilla di letizia speranzosa germogliata sulla soglia della confortevole pasticceria… si estinse inesorabilmente.

Una scialba vocina cortese si intrufolò furtivamente nel suo campo acustico.
“Buonasera signore, cosa desidera?”

Insignificante.
Ecco in cosa si era tramutato Murakami.

“Uno yogurt doppio da portare via” udì se stesso rispondere piattamente.

Un grazioso guscio vuoto, privo di sostanza.
Un luogo… perfettamente inutile.

Le sue iridi dardeggiarono verso il fastoso bancone ricolmo di pietanze.

Persino l’invitante aspetto dei dolci in bella mostra aveva perduto la sua consueta attrattiva.

Il valore dell’intero rifugio era stato completamente annullato.

“Ecco a lei, torni pure a farci visita!”

Non si accorse neppure di aver consegnato la carta di credito al cassiere, né tantomeno di aver afferrato la busta take-away ed essersi messo in movimento lungo il gremito marciapiede.

Frasi sconnesse risuonavano nei suoi timpani, immagini scoordinate vorticavano attorno alle sue orbite.
Luci, insegne, veicoli, volti, risate, rumori.

Non importava in quale direzione ruotasse la testa, qualunque cosa riuscisse a scorgere… era macchiata di grigio.

Grigio, grigio, grigio.

Un grigio sordo e plumbeo, asfissiante e opprimente.

Un grigio inespressivo.

Un grigio senza fine, impeccabile specchio della sua anima vuota.



 
***



19:33
Da: Akaashi Keiji

“Ehi Kageyama, come stai? È da un po’ che non ci sentiamo, sei molto indaffarato?”



 
***



17:05
Da: Akaashi Keiji

“Ti va se ci vediamo in questi giorni?”



 
***



15:41
Da: Bokuto Koutaro

“Ehiiii Kageyamaaaa, venerdì sera i miei colleghi organizzano una partitella e ci manca un setter, ti unisci a noiiiii🏐?”



 
***



“Non credi di essere un po’ troppo indulgente con quello lì?”
“Avrà perso le zanne ma non l’istinto da lupo”
“Non esagerate ragazze, lo affianco quotidianamente e vi assicuro che ormai è una pecorella” cercò di mediare Ishii.
“Rimane sempre un lupo travestito da pecorella”
“Può comunque approfittarsene e ritornare a essere quello di sempre”

Nakamura si strinse nelle spalle, gettando un’occhiata al bento accuratamente impacchettato che teneva tra le mani.
“È un atto di gentilezza, nulla di più” spiegò pacatamente.

Tomomi e Yukari rotearono gli occhi.

“Una gentilezza che non si merita. Perché sei così accomodante nei suoi confronti? Ti ha reso la vita un inferno per due anni”
“Forse lo fa per pietà. Ha la faccia così cupa ultimamente che mi meraviglio di come riesca ancora a ricevere clienti, io se fossi in loro scapperei a gambe levate”
“In realtà con loro si comporta in maniera piuttosto conciliante” le informò Ishii.
“Ah davvero? L’espressione immusonita la riserva solo a noi?” scherzò Tomomi con leggerezza.

“Ragazze” le interruppe Nakamura con tono sorprendentemente fermo.
“Non sono stupida, credo di essere la persona che meglio conosce ciò che Kageyama mi ha fatto passare. Me ne sono andata consciamente e se tornassi indietro lo rifarei”

Esalò un profondo sospiro, stringendo le mani attorno al rettangolare contenitore nero.

“Ma questo non mi impedisce di essere civile nei suoi confronti. Stamattina mi sono resa conto di avere fin troppi ingredienti da utilizzare solo per il mio pranzo così ho deciso di prepararne uno in più e, dato che a Oritsume-san ci pensa la moglie, ho scelto di darlo a Kageyama-san”

“Penso sia improbabile, ma spero che questo possa risollevargli un po’ l’umore. Pare avere perennemente la testa da un’altra parte” rifletté Ishii sfregandosi il mento.

“A me sembra soltanto tanto triste” pronunciò sommessamente Nakamura, increspando appena la fronte e facendo di conseguenza scivolare gli spessi occhiali scuri sul ponte del naso.



Quando Tobio rientrò in ufficio dopo un’udienza mattutina e individuò il bento al centro della sua scrivania con allegato uno stringato ma efficace biglietto dalla dicitura “Spero che sia di suo gradimento  - Nakamura”, un piccolo sorriso riuscì effettivamente a disegnarsi sul suo volto tirato.  

Per un mero istante, una minuscola goccia di colore parve riapparire all’interno del suo tetro campo visivo.



 
***



“Hai un nuova richiesta! Abe Jun vorrebbe seguirti”


Al suono della notifica Kageyama afferrò bruscamente il cellulare, scandagliando freneticamente il display alla ricerca del mittente e, come di consueto, percependo un’ondata di scoramento all’assenza del nome che avrebbe desiderato leggervi.

Cliccò con disinteresse sul rettangolo luminoso e squadrò la foto del suddetto tizio.

Allargò le palpebre per la sorpresa.

Capelli mossi e corvini, affascinanti occhi turchesi, viso estremamente giovanile…

L’attraente ragazzo del Rainbow.

Ancora piuttosto stupefatto dal gesto insolito, Tobio premette il tasto accetta senza riflettervi ulteriormente.

I due si erano congedati in termini amichevoli e lo studente gli aveva anche impartito validi consigli  per la complicata situazione con…

Compresse d’istinto il telefono, serrando la presa fino a solcarsi le dita con i bordi.

Quel piccolo atto d’inaspettato interesse fu vanificato dalla cocente scottatura del rigetto.



 
***



“Non capisco perché non sia stato informato per tempo del ritardo dell’udienza”

Il brontolio infastidito di Kunimi riecheggiò nell’imponente corridoio del tribunale.

“Guardi il lati positivo, per una volta ha un po’ di tempo libero” tentò di consolarlo Tomomi, seguendolo qualche passo più indietro.
“Tempo libero che avrei preferito decisamente trascorrere in casa” ribatté Akira, continuando a camminare con andatura strascicata.
“Potrebbe sempre portarsi avanti con il lavoro” suggerì la segretaria, sopprimendo un risolino all’occhiataccia che le rivolse il legale.
“Faccio già più che abbastanza ogni giorno, non c’è alcun bisogno di impegnarmi in ulteriori straordinari”
“Lei è proprio l’esempio di un perfetto businessman dedito unicamente al lavoro” ridacchiò la biondina ironicamente.

Le sue sopracciglia guizzarono improvvisamente verso l’alto.

“Forse non deve più patire la noia Kunimi-san, guardi un po’ chi c’è!”

Akira sollevò il capo e scorse dalla parte opposta del corridoio una familiare figura alta appropinquarsi nella loro direzione, scoccandogli un’espressione sorpresa.

“Ohi, Akira! Non dovevi già essere in aula a quest’ora?”

Kunimi grugnì rassegnato, avvicinandosi a Kindaichi e depositando parte del peso sulla sua spalla.
“Seduta ritardata”
Sogghignando, Yuutarou gli picchiettò affettuosamente la fronte.
“Io invece ho finito proprio adesso, non ho appuntamenti e posso tornare a casa in anticipo” gongolò allegramente, guadagnandosi il cipiglio infastidito del collega.

Tomomi si intromise lestamente.
“Kindaichi-san, dove ha lasciato la cara Yukari-chan?”
Un impercettibile rossore si adagiò sulle gote di Yuutarou.
“È andata agli archivi per recapitare tutto il materiale dell’udienza” bofonchiò.
“Allora la raggiungo, così passo il tempo con lei. A dopo, Kunimi-san!” si congedò Tomomi, trotterellando verso le scale che conducevano al piano inferiore, facendo svolazzare i capelli acconciati in una treccia alla francese lungo la schiena.

Kunimi si massaggiò fiaccamente le tempie.
“Ho bisogno di un break di tipo due mesi”
 
“Smettila di fare lo scansafatiche” lo ammonì bonariamente Kindaichi con una leggera gomitata.
“All’università eri così carico di energie”  
“Non credo di essere mai stato pieno di energie nella mia vita” replicò inespressivo.
“Okay, ne avevi di più rispetto a ora” sottolineò Yuutarou roteando gli occhi.
“Ci tenevi a fare bella figura davanti i senpai?” sogghignò ironicamente, scansando a stento la pedata che gli assestò Akira.

“Oh, a proposito di senpai” si ricordò all’improvviso, ricomponendosi.

“Hai sentito del mega processo che sta portando avanti Oikawa-san? Dovrebbe esserci la sentenza definitiva a breve”
“Sarebbe strano non saperlo, ormai nessuno non parla d’altro”
“Beh, direi anche a ragione. Ha avuto del fegato per occuparsi di un caso del genere”
“Non si sarebbe trattato di Oikawa-san altrimenti” sbuffò Kunimi.
“E dire che all’inizio lo prendevano quasi per folle… ora non fanno altro che venerarlo” commentò cupamente Kindaichi.
“Lo adoreranno finché non riuscirà a vincere la causa, in caso contrario sarà coperto di ridicolo. Già mi immagino le prime pagine proclamare il brillante Oikawa Tooru fa il salto più lungo della gamba, epocale fallimento e stronzate simili” sputò velenoso Akira.
“Oikawa-san trionferà” asserì Yuutarou con convinzione.
“Farà mangiare la polvere a tutti coloro che dubitano di lui e che durante gli anni gli hanno spalato solo merda addosso”

Akira si lasciò sfuggire un sorrisetto.

“Ammiri davvero tanto Oikawa-san, eh?”

Kindaichi tossicchiò, lievemente imbarazzato.

“Che c’è di male? Credo sia un ottimo avvocato. Lavorare con lui deve essere parecchio soddisfacente”
“E stancante” aggiunse Kunimi con un brivido.
“Oh ma piantala, come se anche tu non vorresti andare al Seijo” lo punzecchiò, ridacchiando all’espressione imbronciata dell’amico.
“Quando all’università capitava di studiare insieme ad Oikawa-san la tua spanna di attenzione era sempre superiore alla media. Scommetto che anche adesso riuscirebbe a tirarti fuori più potenziale di quello che tu stesso credi di avere”

Le guance pallide di Akira si imporporarono.

“Perché sei così smanioso di cambiare studio? Rimanere al Kitagawa Daiichi per i prossimi anni è più che dignitoso”
“Non mi trovo mica male infatti, però bisogna avere progetti per il futuro e il mio, così come il tuo, è lavorare all’Aoba Johsai”
“Ma perché sei convinto che sia anche la mia aspirazione?” esclamò irritato Kunimi.
“Perché, mio caro Akira, nonostante cerchi di nasconderlo, anche tu punti in alto” proclamò solennemente Kindaichi, premendogli il dito contro il petto.
“Non tutti sono ambiziosi come Oikawa-san o il re” brontolò Kunimi schiaffeggiando via la mano del collega, non rigettando tuttavia la verità della constatazione.
“Beh, vuol dire che in un modo o nell’altro abbiamo risentito dell’ingombrante influenza di Kageyama” ridacchiò con disinvoltura Kindaichi.

Un ritmo cadenzato di passi risuonò nell’ampio corridoio deserto, attirando lo sguardo dei due avvocati.
Un uomo alto in completo blu notte si stava lentamente avvicinando, le spalle leggermente incurvate e la mano sinistra avvolta attorno al manico di una rigonfia ventiquattrore.

“Oh, guarda chi si vede” annunciò sarcasticamente Kunimi, spostandosi dal muro su cui era appoggiato per prendere posto al centro dell’androne.
“Ho sentito dire da Miura-san che oggi sarebbe stato emesso il verdetto del processo Yamamoto. Li hai umiliati come solo tu sai fare?” domandò con un piccolo ghigno sulle labbra.
“Hai guadagnato un’altra vittoria, re?” ironizzò sprezzante Kindaichi, raggiungendo l’amico e bloccando a tutti gli effetti il passaggio del corvino.  

Tobio soppesò stancamente il suo sguardo ostile.

Gli occhi scuri di Yuutarou mal celavano frustrazioni represse, dardeggiavano con desiderio di rivalsa e approvazione.
Tuttavia, le iridi blu del corvino riflettevano solo un enorme e atipico senso di…

Vuoto.

Kunimi sbatté le palpebre, colto da uno strano sentimento d’incertezza.

“Che c’è, hai perso il dono della parola?” lo stuzzicò con tono stranamente mite, il consueto scherno notevolmente affievolitosi.  
Al contrario dell’amico, Kindaichi sputò spietatamente “Sarebbe un gran bel problema, non credi? In fin dei conti, la gente ti paga profumatamente per permetterti di fare ciò che più ti diverte. Essere crudele con chi non lo merita”

Le sue parole furono accolte da un lungo silenzio.

Le increspature sulla fronte di Akira si accentuarono ulteriormente a quella vista assolutamente incongruente.
Persino Yuutarou avvertì che qualcosa non quadrasse.

Kageyama non sembrava emanare la consueta spocchia e la superba aura gelida che lo attorniava costantemente sin da quando l’avevano conosciuto pareva essere sparita.

Appariva piuttosto… giù di tono?
No, forse non si trattava della parola appropriata.

Il suo sguardo era… disconnesso.
Come se la sua mente fosse arenata in un’altra dimensione o stesse vagando a un ritmo tutto suo.

A un certo punto, Tobio abbassò le palpebre e…

I due avvocati strabuzzarono gli occhi.

Un sospiro rassegnato trapelò dalle labbra dischiuse di Kageyama.

“Sono un po’ stanco. Se permettete, vorrei passare”

A testa china, si fece spazio fra i due uomini che invece rimasero impietriti sul posto.

Kindaichi fu il primo a riprendersi dallo shock.  

Che razza di atteggiamento era quello?!

Perché quel bastardo si stava comportando come un cane bastonato?
Perché sembrava che…
Che fossero loro, i bulli della situazione?!

Un tremito improvviso incominciò a pervadergli il corpo da cima a fondo.

Non era la prima volta.

Non era la prima volta che percepiva una sorta di bizzarra docilità in Kageyama.
Non era la prima volta che preferiva andarsene con la coda fra le gambe invece di ribattere odiosamente come suo solito.

Tuttavia, da lì a fingersi vittima delle circostanze, come se i veri colpevoli da additare fossero loro per aver oltrepassato i limiti…

Ne aveva di fegato!

Serrò i pugni contro i fianchi, fissando ardentemente la schiena del corvino allontanarsi sempre di più lungo il corridoio fin quasi a sparire nella lunga scalinata ombrosa.

Non era Yuutarou a trovarsi nel torto.

Si stava semplicemente prendendo le sue giuste rivincite, fine della storia.


“Non capisco cosa sia venuto a fare”
“Che abbia perso qualcosa?”
“Probabilmente, anche perché non capisco che altro potrebbe farci qui”
“Non che sarebbe il benvenuto”



Sprazzi di conversazioni beffarde gli comparvero davanti agli occhi, causandogli una spiacevole accelerazione del battito cardiaco.

Non aveva esagerato.

No, no e no.

Quello stronzo non poteva persino azzardarsi ad indurgli il senso di colpa per…
Per qualche parolina di troppo.
Non dopo tutto ciò che aveva fatto passare a lui e Akira.

Non lo meritava.
Non si meritava un emerito cazzo quel…

Quel…



“Ciao, io sono Yuutarou Kindaichi, piacere di conoscerti!”

Erano trascorsi i primi giorni dall’inizio dell’anno accademico, un periodo di tempo prezioso soprattutto per le matricole universitarie affinché potessero intraprendere nuove conoscenze e stringere legami fra di loro, cercando al contempo di spiccare tra gli innumerevoli iscritti.
Kindaichi e Kunimi, freschi di diploma e con in viso ancora qualche segno della tarda pubertà, compievano i primi passi in un mondo sconosciuto, giostrandosi tra lezioni infinite, orari impossibili e il desiderio di instaurare qualche fruttuosa relazione con i compagni di corso.
Kunimi in realtà aveva sempre mostrato un temperamento abbastanza riservato, non incline ad aprirsi a facili amicizie, specialmente perché aveva avuto la fortuna di conoscere Yuutarou durante il periodo del liceo. Il ragazzo era divenuto ben presto un punto fermo nella sua vita e Akira preferiva la sua vicinanza al faticoso e tedioso compito di procurasi nuovi amici.
Kindaichi, d’altro canto, era una persona estroversa e di buon carattere, piuttosto accomodante a tipi di persone e personalità anche parecchio diverse fra loro.

La sua esclamazione conteneva dunque un sincero entusiasmo, in particolare perché correva voce che il ragazzo che si ergeva davanti a lui, appena più basso e dai penetranti occhi blu, si fosse già brillantemente distinto in ateneo.
Kindaichi era genuinamente curioso di conoscerlo.
Chissà, magari in futuro avrebbero potuto aiutarsi a vicenda, studiare assieme o scambiarsi appunti.  

Per tale ragione rimase piuttosto allibito quando non soltanto quel tizio non rispose al suo saluto ma gli scoccò persino uno sguardo di profondo disinteresse.

“Kageyama Tobio” fu la secca risposta che ricevette prima che, senza spiccicare un’altra parola, il corvino gli voltasse semplicemente le spalle, dirigendosi chissà dove.

“Non te la prendere” gli aveva suggerito Kunimi, dandogli un colpetto sulla spalla.
“Sarà un lupo solitario, non vale la pena essere amici di un tipo così scontroso”

Indubbiamente un saggio consiglio, peccato non sapessero ancora che Kageyama Tobio non fosse meramente un “tipo scontroso”.


“Perché mi hanno messo in gruppo con degli idioti come voi?! Non siete nemmeno capaci di costruire un’arringa come si deve, roba elementare!”

Kageyama stava gridando, noncurante degli svariati studenti che si giravano a fissarlo attoniti dai rispettivi tavoli all’interno dell’aula studio.

Kindaichi aveva le guance rosse dalla rabbia ma la gola paralizzata dallo sbigottimento di quella vergognosa scenata.
La fronte di Kunimi era costellata di piccole vene pulsanti.

“Pensate davvero che questo basti per vincere una causa?! Dovete metterci più impegno, dare di più!” aveva prorotto il corvino, alzandosi dalla sedia e sbattendo il palmo sul tavolo ricolmo di carte e libri di testo.
“Non parlarci come se fossimo dei poppanti, sei al primo anno come noi e non puoi mica permetterti di comportarti in questo modo!” aveva ribattuto furioso Yuutarou, saltato anch’egli in piedi e a un passo dall’afferrare il bellimbusto per il bavero.
“Posso eccome dato che non siete minimamente al mio livello” aveva controbattuto Tobio, recuperando la sua roba dalla scrivania.
“Dato che dobbiamo portare a termine il progetto e i professori hanno avuto la magnifica idea di metterci assieme, faremo a modo mio. Seguite quello che vi dico e forse, forse riuscirete a diventare degli avvocati decenti”

Kunimi e Kindaichi lo avevano guardato atterriti mentre usciva dall’aula con un’espressione pregna di sprezzo.

“Yuutarou, stai calmo” gli aveva sussurrato Akira, stringendogli l’avambraccio per trattenerlo da un probabile scoppio.

Come scoprirono a proprie spese, rimanere tranquilli con quello stronzo si sarebbe rivelata una costante impresa ai limiti dell’impossibile.


“Non capisco perché i professori si ostinino a paragonarmi a voi” aveva sibilato rabbioso Tobio, accelerando il passo per allontanarsi dall’aula di Diritto Amministrativo prima che gli altri studenti del terzo anno accalcassero l’uscita.
 
“I docenti mettono assieme gente dello stesso livello basandosi sui voti ottenuti nella singola materia” aveva risposto Kunimi con voce monotona, cercando di mantenere un’espressione facciale neutra nonostante il fervente desiderio di sbattere la testa di Kageyama contro un muro.
“Ma per favore, come se noi fossimo sullo stesso livello!” aveva sbraitato Tobio, arpionando i ragazzi con un’occhiata gelida.

Kindaichi ci vide rosso.

“Siamo i migliori della classe, che cazzo vai dicendo?!”

Kageyama aveva sputato una risatina beffarda.
“I migliori di un pollaio, che gran bel complimento! Non mi interessa essere accostato a inutili scartine come voi!”

Come colpiti da uno schiaffo in pieno volto, sia Kunimi sia Kindaichi si erano paralizzati.
Un odio sfrenato ribollì irrefrenabile nei loro petti per scagliarsi idealmente contro il dispotico Kageyama Tobio.

“Senti pezzo di stronzo, per me puoi anche crederti il Dio dell’universo, me ne può solo sbattere altamente, ma non permetterti mai più di mancarci di rispetto in questo modo!”

Il tono di Kindaichi tremava dall’esorbitante rabbia che lo scuoteva similmente a una pentola a pressione.

Ciononostante, Tobio aveva meramente scrollato le spalle, come se quel discorso non lo riguardasse.
“Non è un mio problema se non siete capaci di affrontare la realtà. Dato che il piano di lavoro si deve completare, farete le cose a modo mio”

E con quella sentenza velenosa, aveva affrettato l’andatura fino a sparire alla vista.

Quella volta, Kunimi non fermò Kindaichi dal lanciare lo zaino colmo di codici contro la porta dell’aula più vicina, strappandola completamente dai cardini.


“Da oggi, come nostri migliori studenti del quinto anno, avrete la possibilità di iniziare un periodo di tirocinio presso alcuni dei maggiori studi legali della città, affiancati da avvocati veterani con un enorme bagaglio d’esperienza sulle spalle” aveva esordito il coordinatore docente.
“Ciò che avete appreso in questi anni vi sarà indispensabile così come una buona collaborazione reciproca. Per tale ragione le armi che in questo lasso di tempo dovrete affinare non risiedono solo nella tecnica e strategia oratoria, bensì anche nella comprensione comunicativa. Non dovete dimenticare che la compromissione e la negoziazione è un aspetto fondamentale dell’attività legale e vi troverete a trattare con persone diverse con esigenze altrettanto diverse” aveva aggiunto assennatamente.
“Hayashi-san, lei sarà sotto la responsabilità di Ogawa-san dello studio Matsuda. Kunimi-san, Kindaichi-san, voi due andrete al Kitagawa-Daiichi sotto la guida di Toshiro-san. Per questa opportunità dovrete ringraziare il vostro senpai Oikawa, è stato lui a fare il vostro nome durante il suo periodo da tirocinante e si sa, i suoi suggerimenti sono tenuti in gran considerazione”

I due erano rimasti letteralmente a corto di parole dinanzi a quell’enorme opportunità, profondamente grati al loro eccentrico seppur premuroso senpai che, nonostante i mille impegni, aveva avuto l’accortezza di mettere una buona parola per entrambi.
Si erano scambiati uno sguardo di pura incredulità, il sorriso estasiato di Yuutarou sovrapposto alle labbra dischiuse ma rivolte all’insù di Akira.

Tobio li aveva fissati esterrefatto, come se non avesse creduto alle proprie orecchie.

“Kageyama-san, lei è stato affidato a Moniwa-san dello studio Dateko. So che non desidera specializzarsi nella difesa e potrebbe non collimare con il suo stile d’azione, tuttavia è un’ottima possibilità per allargare i suoi orizzonti lavorativi. È tutto signori e signore” concluse il professore, alzandosi dalla poltrona per congedarsi con un lieve inchino.

“Complimenti ragazzi, siete capitati in ottime mani” si era congratulata sinceramente Hayashi, sorridendo ai colleghi che ricambiarono sentitamente gli incoraggiamenti della coetanea.
“Oikawa-san è stato davvero gentile, deve avere grandi aspettative su di voi! Non dimenticate di…”

“Come cazzo è concepibile che Oikawa-san abbia parlato bene al Kitagawa Daiichi di voi?!”

Il ruggito di Tobio aveva interrotto la ragazza che si voltò scioccata verso il collega, livido fino alla punta delle orecchie.

Sul viso di Kindaichi era apparso un ghigno soddisfatto.

“Beh, Kageyama, significa proprio quello che hai appena sentito. Oikawa-san ha parecchia considerazione di noi, non di te

Tobio aveva digrignato i denti.

“Tu… voi. Non. Valete. Nulla. Chi vi dice il contrario è solo un idiota senza cervello” aveva sibilato pregno di risentimento, ancorando gli occhi gelidi in quelli scuri dei presenti.

“Stai dando dell’idiota a Oikawa-san, Kageyama? Lo stesso Oikawa che idolatri nemmeno fosse una divinità? Sarebbe lui l’idiota senza cervello?”
Inaspettatamente, era stato Kunimi a prendere la parola con tono placido ma sguardo risoluto, piazzandosi davanti a Kindaichi il cui colorito si stava avvicinando pericolosamente al violaceo.

Il corvino si era bloccato, come se gli si fosse improvvisamente ingarbugliata la lingua.

“Cosa ti abbiamo fatto, Kageyama, puoi spiegarcelo? È da cinque anni che ci tratti come se fossimo delle pezze, che ci obblighi a seguire ogni tuo fottuto ordine nemmeno fossimo delle marionette, che proclami di essere l’unico a valere qualcosa in questa università di merda. Perché hai costantemente bisogno di umiliare chi credi non conti nulla per osannare te stesso?”

Trattenendo un’ondata di sbalordimento, Yuutarou si rese conto che quella fosse una delle rare volte in cui scorgeva Akira parlare davvero a cuore aperto.
E tra tutte le persone che lo avrebbero meritato… l’onore era toccato a quello stronzo impertinente.
Non sapeva neppure come sentirsi al riguardo.

“Non ho bisogno di dimostrare niente” aveva tagliato corto Tobio, serrando i pugni e avvicinandosi pericolosamente ai due.
“Dico solo la pura verità. Verrete massacrati, di voi non rimarrà nulla. Voi non…”

Aveva esalato lentamente, forse per trattenere un fremito indesiderato.

“Non meritate l’approvazione di Oikawa-san”

Forse fu quella, la goccia che fece traboccare il vaso.

Kindaichi era schizzato davanti al corvino e gli aveva scoccato un pugno in pieno viso, ruotandogli la mascella e mandandolo a sbattere contro la parete opposta.

A nulla erano servite le grida di Hayashi e i tentativi di Kunimi, Kindaichi aveva seriamente oltrepassato il limite dell’umana sopportazione.

Ciò che tuttavia gli era rimasto impresso a fuoco era stato lo sguardo gelido che Kageyama aveva continuato a puntargli contro, nonostante il naso sanguinante e il livido che incominciava a formarsi sulla guancia.



Uno sguardo che il legale aveva perseverato ad indossare impunemente per anni, risvegliando in lui violenti istinti che nemmeno credeva di possedere.


Un aspetto che però, per qualche astrusa motivazione, sembrava aver completamente abbandonato il suo viso, sostituito da un’espressione ferita e vuota che…

No, dannazione.
Non era una buona ragione per provare qualcosa di simile alla pena nei suoi confronti.

Solo che…

Come cazzo era possibile che colui che era stato un despota egoista si fosse ridotto a uno straccio, al fantasma di se stesso?!

Yuutarou lo detestava con tutta l’anima!

Lui era un…!

Lui…

“Yuutarou”

La voce sommessa di Akira parve riscuotere l’uomo dalla sua cocente frenesia.
Percepiva la fronte sudaticcia e le gote accaldate, come se stesse bruciando dalla febbre.

“Io… io non riesco a…”

“Lo so” lo interruppe delicatamente Kunimi.
“Lo so” ripetè in un sussurro, stringendo la spalla dell’amico e trattenendo a stento un sospiro sfiancato.


“Ti odiavano tutti, tutti, me compreso! Però almeno noi avevamo una ragione valida! L’unico, singolo torto che abbiamo mai arrecato a te, è stato semplicemente quello di esistere!”


“Lo so”

Camminando lentamente verso la fermata più vicina del taxi, Tobio tentò di deglutire senza successo il groppo che gli ostruiva la gola e gli impediva di respirare regolarmente.

“Il vostro odio… me lo sono guadagnato”



 
***



Tobio sorseggiò il liquido ramato contenuto in una graziosa tazza color crema puntellata da decori ocra.

Zuccherato al punto giusto, piuttosto gustoso, percentuale di latte adeguata.

Sì, apparentemente non male.

Eppure, le sue papille gustative a malapena distinguevano il suo sapore.

Poggiò la bevanda sopra il piattino e abbassò il mento.

Erano le 22:17 di un comune martedì dicembrino.
Le luci di Natale addobbavano le strade irradiando palazzi e grattacieli, rendendo la metropoli ancor più luminosa del consueto.
Il tavolino in legno che stava occupando era semplice ed essenziale, la caffetteria profumava di chicchi tostati e l’ambiente era piccolo ma non soffocante.

Oggettivamente, confortevole e accogliente.

Spostò le iridi sul paffuto muffin adagiato su un tovagliolo rosato, sfigurato da un piccolo morso che ne rivelava l’interno dorato.

Soffice, sì.
Piacevole al palato.

Tuttavia piuttosto dimenticabile.

Continuò a bere la sua cioccolata, trascurando il fatto che quella che avrebbe potuto essere considerata una merenda avrebbe interamente sostituito la sua cena.

Non aveva voglia di mangiare.
Non aveva nemmeno intenzione di tornare a casa, in effetti.

Razionalmente parlando avrebbe dovuto, l’indomani lo attendeva una giornata lunga.
Il cervello necessitava riposo per un corretto ed efficace funzionamento, si trattava di una nozione scientifica basilare.

Cionondimeno, l’unico desiderio che in quel momento albergava nel suo corpo… era allontanarsi.

Distanziarsi dall’ambiente legale che lo aveva ormai saturato, spostarsi dalla caotica e opprimente Tokyo in favore di…

Di cosa?

La triste e paradossale verità era che nemmeno lui fosse in possesso della fatidica risposta.  

Aveva bisogno di aria fresca?
Contatto con del verde?
La vista delle montagne?
Del mare?

La natura non lo aveva mai particolarmente interessato, né tantomeno aveva mai sentito il suo richiamo.

Sembrava più una caratteristica dello scricciolo ross…

Sospirò pesantemente, poggiando la tazza semivuota sul tavolo e addentando a fatica il dolcetto.

42 giorni.

Erano trascorsi quarantadue giorni dall’ultima volta che Hinata aveva incrociato il suo sguardo, dall’ultima volta che aveva udito il suono della sua voce…

Incrinata.
Tremante.
Arrabbiata.
Spaventata.

Una lista di aggettivi che faticava enormemente a digerire.

Ma ormai non era più importante.

Aveva avuto ragione a sostenere che sarebbe stato meglio per entrambi se lui e il medico non si fossero mai incontrati.
Conducevano una vita troppo diversa, erano due persone… completamente agli antipodi.


"Se l’avessi saputo… mi avresti buttato via senza pensarci due volte”

“So come sei fatto e so che avresti provato repulsione per uno come me!”



Hinata l’aveva realizzato, no?

Kageyama Tobio era uno stronzo che non contemplava alcuna eccezione alle sue ferree regole.

Qualunque astrusa emozione avesse provato nei confronti del pel di carota… si era comunque scontrata con l’inevitabilità del reale.


“Volevo che qualunque cosa ci fosse tra noi continuasse un po’ più a lungo”


Sebbene lo desiderasse intensamente, non poté negare la morsa dolorosa che attanagliò ferocemente il suo cuore al ricordo di quelle fragili parole spezzate.
Il viscerale istinto di tappare quelle tremanti labbra a cuore per impedirgli di pronunciare stupidaggini che potessero ferire entrambi.

Si staccò a forza da quegli inconcludenti ricordi, fissando invece gli occhi sull’ambiente circostante, quieto e poco affollato.
Un luogo tranquillo in cui avrebbe teoricamente dovuto sentirsi a suo agio.
Il tepore circondava gli sporadici avventori del locale, le luci natalizie rendevano l’atmosfera gioiosa, l’odore di caffè rinvigoriva gli animi…

Eppure mancavano le familiari risate fragorose e sardoniche correlate dai bisticci affettuosi che rendevano unico il suo usuale sottofondo.
L’attenta e sempre premurosa presenza del senpai che puntellava i suoi solitari pomeriggi o malinconiche serate.
L’odore di…
Casa.

Murakami aveva assunto le sembianze di una casa finché aveva ospitato Kuroo, Bokuto e Akaashi, dopodiché si era trasformato in un luogo come un altro, vacuo e insignificante.
La caffetteria in cui si trovava era graziosa, ma non avrebbe mai potuto rimpiazzare un bel nulla.

L’unica macchia colorata che si scorgeva in quel posto altresì smorto era racchiusa nei suoi ricordi.

Una chiazza di un bel rosso acceso, tendente all’aranciato.
Una macchia che da sola generava un’intera tavolozza di colori sgargianti capaci di illuminare la sua esistenza.

Si premette le tempie con la mano, pressando intensamente fino a desiderare di poter irrompere fisicamente all’interno ed estrapolare forzatamente quelle immagini sgradite…

O, forse, fin troppo gradite.

Tentando disperatamente di distrarsi, accese il display del suo cellulare e in maniera meccanica, più per inerzia che altro, entrò su Line e scorse le poche chat esistenti che, però, avevano accumulato una quantità non indifferente di messaggi nel corso delle ultime settimane.




 
Akaashi Keiji

26 ottobre


“Ciao Kageyama, ho sostenuto l’esame scritto per magistratura. Credo di essere andato piuttosto bene, sono abbastanza sicuro di ciò che ho scritto ma si sa, mai cantare vittoria troppo presto. I risultati verrano resi pubblici tra tre mesi, quindi ti terrò aggiornato”

 
“Complimenti Akaashi-san, sono sicuro che passerai senza problemi”


“Grazie come sempre per la tua fiducia 😊”

 
29 ottobre


“Kageyama, ricordi il film di cui avevamo parlato qualche tempo fa? È appena uscito al cinema, ti va di andare a vederlo?”

“Possiamo andare noi due oppure posso invitare anche Bokuto, come preferisci”


 
1 novembre


“Kageyama, tutto bene? È successo qualcosa?”  

 
4 novembre


“Ieri sono stato a casa di Kuroo. Kenma e io abbiamo parlato un po’ ”

“Sai che non sono una persona invadente, soprattutto con te, ma credo ti farebbe bene discutere di ciò che è successo”

“Se non vuoi farlo con me non c’è problema, vorrei solo sapere che tu non ti sia isolato del tutto”


 
10 novembre


“Ehi Kageyama, come stai? È da un po’ che non ci sentiamo, sei molto indaffarato?”

 
13 novembre


“Ti va se ci vediamo in questi giorni?”

 
20 novembre


“Okay, ho capito che tu non voglia parlare, ma puoi per favore dirmi che almeno stai bene?”

“O almeno che tu sia vivo”


 
23 novembre


“Mi basta anche un segno di punteggiatura, davvero”

 
“👍🏻”


“Grazie”



 
Mamma

7 novembre


“Ciao Tobio, ho letto un articolo sul giornale che parlava dell’apertura di un grande negozio a Tokyo interamente dedicato al cucito. Se non è un disturbo potresti farci un salto quando non sarai troppo impegnato? Ho visto delle stoffe davvero belle, mi piacerebbe fare una bella coperta colorata. Grazie, un bacio.”

 
27 novembre


“Ho ricevuto il tuo pacco, hai scelto delle stoffe bellissime. Grazie mille tesoro.”


 

Bokuto Koutaro

8 novembre


“Ehiiii Kageyamaaaa, venerdì sera i miei colleghi organizzano una partitella e ci manca un setter, ti unisci a noiiiii🏐?”

 
25 novembre


“Ehi ehi ehiii Kaaags, ho iniziato ufficialmente a lavorare al Tokyo Metropolitan Gymnasium! Non è troppo distante da casa tua! So che non hai mai tempo ma se ti va puoi sempre fare un salto da noi! Mi assicurerò di allenarti per bene, ehiiiiii ehiiiii💪🏼💪🏼🏋🏻🥇😆”

 
29 novembre


“Ehiii Kageyama, non sei arrabbiato con Keiji vero?😭”

“È da un bel po’ che non mi dice che uscite assieme, avete litigato?🥺😭”

“Ci manchi Kageyamaaaaa😭‼️”




 
Kuroo Tetsurou

2 novembre


“Ohiii Kageyama, io e Bo abbiamo l’ultimo sconto dipendenti del mese da Murakami, abbiamo pensato di invitare un po’ di amici per commemorare con torte e frappé la nostra prossima dipartita metaforica, sei dei nostri?😈”

 
23 novembre


“Ohi Kageyama, scrivo solo per comunicarti l’indirizzo della mia clinica veterinaria. Semmai dovessi trovare un animale in difficoltà, gatto cane o uccellino che sia,  non esitare a portarlo da noi”

“243-5 Nobe, Akiruno, Tokyo 197-0823”



 

03-5673098

25 novembre


“Salve Kageyama-san, sono il corriere del negozio Nippori Fabric Town. Le scrivo per comunicarle che la sua spedizione per Miyagi è avvenuta correttamente. Il pacco giungerà a destinazione il 27 novembre, probabilmente in mattinata. Grazie ancora per il suo acquisto, buona serata.”




Continuò a osservare lo schermo illuminato per svariati minuti.

Se proprio doveva essere sincero, mancava una valida motivazione per cui aveva temporaneamente tagliato i ponti.
Non era arrabbiato con nessuno di loro.

Semplicemente…

Non desiderava sentire nessuno.
Voleva stare da solo.

In fondo, si trattava di una condizione che non aveva mai reputato gravosa.

La solitudine era sempre stata parte della sua essenza.
Doveva abbracciarla pienamente, estirpare quella…

Quella neonata emotività che pareva essere germogliata contro natura nei meandri del suo cuore.
Sradicarla prima che potesse continuare ad arrecargli irreparabili danni.

Si mordicchiò il labbro, picchiettando le unghie sul tavolo.


“Fai finta di non avermi mai conosciuto, okay? Consideralo solo uno spiacevole incidente di percorso. Non dovrebbe essere difficile”


Esattamente.

Non avrebbe dovuto essere un’impresa ardua dimenticare lo scricciolo.

Erano trascorsi solo tre mesi, non era materialmente possibile che si fosse insinuato nel suo cervello talmente in profondità.
Eppure…
Giunto come un imprevisto e devastante terremoto, aveva fatto terra bruciata del suo intero essere.

Fissò in uno stato di trance i messaggi di Akaashi-san a cui aveva smesso di replicare per più di un mese, causando persino nel suo senpai un moto di genuina preoccupazione.
Una premura che sapeva bene di non meritare.


“Però… assicurati di non ferirlo, Kageyama. C’è ancora molto che devi imparare su di lui”


Le parole pronunciate dall’aspirante magistrato si erano rivelate provvidenziali.
L’ultimo avvertimento prima dell’inarrestabile sfacelo totale.

In uno slancio impulsivo, le sue dita si mossero in autonomia, digitando velocemente qualcosa sulla tastiera del cellulare.

Rimase a contemplare gli ideogrammi con una sorta di malata aspettativa per lunghissimi minuti.

A un certo punto, una voce zuccherina lo distolse dalla sua immobilità.
“Mi scusi signore, sono le undici e trenta, stiamo per chiudere. Se vuole posso incartare ciò che non ha ancora consumato così può portare tutto a casa”

Sollevò la testa e fece segno di diniego alla ragazza in grembiule, alzandosi e lasciando alcune banconote sul tavolo, non curandosi dei suoi ringraziamenti mentre si infilava il cappotto, e…

Prima che potesse pentirsene, pigiò il tasto invia e ripose rapidamente il telefono in tasca, uscendo della caffetteria e dirigendosi velocemente verso casa, sfidando la pioggia battente.


23:31
Per: Akaashi Keiji

“Buonasera Akaashi… scusami per l’orario… e per non averti risposto così a lungo. Vorrei chiederti se, per caso… sai come sta Hinata”



 
***



“Hai sentito? La sentenza dell’omicidio della giovane Hasegawa sarà trasmesso in diretta nazionale!”

“Credi che andrà davvero tutto liscio?”
“Sicuramente la famiglia Sato avrà qualche asso nella manica…”
“Ho paura che Oikawa-san verrà coperto di ridicolo”
“Che stai dicendo! Oikawa non si farà certo fregare così facilmente!”
“Se si fosse trattato di qualunque altro caso non lo avrei mai nemmeno ipotizzato, però…”
“È altamente improbabile che il giudice condanni a trent’anni il figlio del boss di una delle famiglie principali della yakuza di Tokyo…”
“È esattamente il motivo per cui nessuno dei pezzi grossi ha voluto accettare l’incarico”
“Mmph, per loro sarebbe bastato semplicemente archiviare il caso” “E l’avrebbero fatto se non fosse intervenuto Oikawa”
“Una mossa davvero sconsiderata”
“Beh, considerando che all’epoca era ancora un avvocato emergente…”
“Quanti anni sono passati, due?”
“Esatto, ci lavora da più di due anni”
“Quanta dedizione…”
“Ormai ne va del suo orgoglio, ne deve uscire vittorioso”
“Tra quanto sarà emessa la sentenza?”
“Credo un paio d’ore, il tribunale sarà quasi inaccessibile ormai”
“Peccato che debba ricevere dei clienti questo pomeriggio, altrimenti sarei andato lì per monitorare la situazione”
“Io devo recarmi agli archivi del tribunale quindi riuscirò ad ottenere qualche assaggio in anticipo rispetto alle notizie ufficiali”
“Gli occhi di tutti saranno puntati lì…”


Tobio ascoltò distrattamente i concitati discorsi dei colleghi, piuttosto impegnato a riordinare frettolosamente il suo materiale di lavoro.
 
“Ishii, notifica al procuratore l’avvenuta consegna del fascicolo Goto, dopodiché puoi prenderti il pomeriggio libero”

La ragazza sbatté rapidamente le palpebre, un accenno di sorpresa negli occhi scuri, e annuì diligentemente.
“Grazie Kageyama-san. A domani allora” si congedò con un inchino, corrisposto dal corvino con un cenno del capo.

Acchiappando cappotto e sciarpa quasi si catapultò fuori dall’ufficio, schivando i colleghi radunati nel corridoio e chiamando l’ascensore, fermo all’ingresso del grattacielo.
Attese con trepidazione i ventidue piani e all’apertura delle porte per poco non si scontrò faccia a faccia con…

Uno stremato sospiro minacciò di sfuggirgli dalle labbra.

Kindaichi.

Il legale strabuzzò gli occhi, chiaramente impreparato a trovarsi il muso di Kageyama a soli pochi centimetri dal naso.
Tossicchiò goffamente, improvvisamente oppresso da una tensione pregna di scintille.

Azzardò un’occhiata in direzione del corvino, che ancora non aveva mosso un piede per entrare in ascensore, e…

Una familiare sensazione di collera gli ribollì istantaneamente in pieno petto.

Ancora.

Ancora, cazzo, che senso racchiudeva quell’espressione che aveva spiaccicata in faccia?

Perché lo guardava in…

In maniera normale???

Non gelida, non sprezzante, non incazzata.
Solo…

N o r m a l e?

Sin dal loro primo incontro in facoltà, Kindaichi non aveva mai individuato tracce di ordinarietà nel viso di Kageyama, perennemente contorto in cipigli irritati, sopracciglia aggrottate, ghigni crudeli e  sguardi sprezzanti.

In quel frangente però…


“Ultimamente Kageyama ha dato segni di cedimento”


Quei grandi occhi a mandorla parevano mansueti.
Riflettevano addirittura una sorta di inspiegabile e insensata stanchezza…

E ciò era inaccettabile.

I tiranni feroci non si trasformavano in pecorelle spaurite da un giorno all’altro.

Nondimeno, per quanto avesse anelato…

Dinanzi a quell’espressione incomprensibilmente autentica non ebbe la determinazione di riportare a galla l’antico e istintivo rancore.

“Stai andando in tribunale per cercare di vedere Oikawa-san?” chiese con tono scontroso.

Il corvino borbottò un evasivo “Forse”, distogliendo celermente lo sguardo.

“Ma come forse” sbuffò Yuutarou, pigiando il pulsante per il blocco delle porte prima che si richiudessero e lo rispedissero su qualche altro piano.
“Non sei impaziente di ammirare il tuo idolo in azione?”

Tobio grugnì qualcosa di incomprensibile.

Kindaichi arcuò un sopracciglio, un accenno di derisione visibile dall’incurvatura delle labbra.
“Oppure vai lì perché speri fallisca?”

Fu come se una fulminea stilettata gli avesse inaspettatamente trapassato i polmoni.

Oikawa-san… fallire?

Per interminabili istanti quella parola risuonò aliena ai suoi timpani, incapaci di recepirne il significato.

Non aveva mai nemmeno contemplato una simile eventualità.
Oikawa-san non era programmato per un’ipotetica disfatta.  

Semplicemente, non si trattava di un’opzione concepibile.

Oikawa-san non poteva fallire poiché ancora svettava fieramente su un gradino più in alto rispetto a Tobio, che chiaramente non sbagliava mai un tiro.

Udire tali sconsiderate affermazioni equivaleva a un’ingiuria clamorosa.

“Oikawa-san non perderà” asserì seccamente e la sicurezza emanata dalle sue parole colse Kindaichi impreparato.

Oikawa-san avrebbe trionfato, ovviamente.

Oikawa…

“Permesso” borbottò, oltrepassando il collega ed entrando irrequietamente nell’ascensore.

Oikawa rimaneva l’unica, arrugginita ancora capace di trattenere la sua vacillante razionalità dal frantumarsi fatalmente del tutto.




“Ehi signor faccia cupa, ti va un caffè domani pomeriggio? O una birra, un gelato… qualunque cosa ti piaccia😝”


Tobio si diresse in prossimità di una piccola ma graziosa gelateria dall’insegna colorata, il cui target probabilmente era costituito da bambini e ragazzi considerata la vicinanza a un grande parco giochi.

Non sapeva esattamente perché gli avesse dato appuntamento in quel luogo.
Tantomeno capiva la ragione per cui, fra le varie persone ipoteticamente plausibili, avesse acconsentito ad incontrare proprio lui.
Un ragazzino che a malapena conosceva, le cui parole tuttavia, doveva ammetterlo…
Erano state parecchio terapeutiche.
O almeno, gli avevano infuso il coraggio necessario per presentarsi davanti la porta dell’appartamento del medico.

Scosse vigorosamente la testa.

Hinata non voleva più vederlo.
Aveva auspicato che qualunque cosa ci fosse tra loro terminasse definitivamente.

E nonostante Kageyama serbasse risentimento, rabbia, frustrazione, desiderio nei suoi confronti…

Andava bene così.
Tornare indietro… era ormai impossibile.

“Ehiii, sono qui!”

Seguendo la direzione da cui proveniva quella voce frizzante, individuò una testa ricolma di riccioli scuri che scuoteva il braccio a destra e a sinistra.

Si perse a osservarlo per una frazione di secondo di troppo.

Era strano rivederlo alla luce del sole.

I raggi pomeridiani gli tingevano dolcemente il viso pallido, accentuandone i lineamenti delicati e mettendo in risalto il rossore della punta del naso, probabilmente conseguenza del freddo.
Le iridi azzurre scintillavano, più chiare e cristalline che mai grazie al bagno di luce ricevuta.

Tobio si avvicinò all’area verde, andando incontro al ragazzo che gli scoccò un sorrisetto spigliato sebbene sembrasse celare un pizzico di timidezza.

“Non pensavo avresti accettato di vedermi nuovamente” lo salutò con una mezza cantilena.

Il legale trattenne uno sbuffo.
Onestamente, a quella domanda non era in grado di rispondere con precisione nemmeno lui.

Jun parve intuire le parole non dette del corvino e ridacchiò con disinvoltura.

“Non hai perso la tua schiettezza” scherzò, accostandosi alla gelateria all’ingresso del parco e adocchiando i vari gusti colorati esposti nel banco frigo.
“Veramente non ho aperto bocca” brontolò studiando il profilo definito del giovane, l’espressione concentrata sulle montagnette cremose davanti a sé.
“La tua faccia parla già a sufficienza” rivelò con un occhiolino prima di comunicare i gusti scelti al gelataio.

Tobio roteò gli occhi, ostentando un fastidio solo parzialmente veritiero.

“Per me un cono crema e matcha”

Jun sghignazzò divertito.

“Avrei dovuto immaginare che avessi i gusti di un nonnetto” lo canzonò prendendo una cucchiaiata del suo cono fragola, cocco e cioccolato.

L’occhiata che gli scoccò il corvino fu così apertamente truce da provocare nel ragazzo uno scoppio di risa spontanee.

“Kageyama-san, non c’è gusto a prenderti in giro, sei troppo irascibile” commentò allegramente, battendo sul tempo il legale che stava per saldare il conto.
“Ti ho chiesto io di uscire, quindi lascia che offra io stavolta” intervenne con un piccolo sorriso, alludendo alla notte in cui aveva lasciato che fosse il legale a pagare da bere così come la corsa in taxi fino a casa.

Tobio annuì, riponendo le banconote nel portafoglio.

Addentrandosi nel parco i due percorsero qualche metro finché Jun non si accomodò su una panchina di legno, seguito a ruota da Tobio che fu rapidamente sorpassato da un gruppetto di esuberanti bambini diretti verso la zona giochi, scortati a distanza ravvicinata da una donna dall’aria stanca.

“Come mai hai optato per questo posto?” domandò impulsivamente Tobio, occhieggiando l’ambiente prettamente infantile.
“Qui vicino c’è una biblioteca parecchio fornita in cui raramente si ferma qualcuno oltre il tempo necessario. Ho passato la mattinata a studiare lì” spiegò Jun, indicando con un gesto del capo lo zaino che aveva appoggiato sul terreno e che appariva rigonfio di volumi.

Tobio emise un verso di assenso prima di assaggiare il suo gelato e leccarsi inconsciamente le labbra.
Non male.

Jun trattenne un sorriso alla vista di quell’uomo gigantesco indugiare in un’azione così quotidiana e… sorprendentemente normale.
Lo trovava segretamente adorabile.
Il suo sguardò si posò poi sul braccio che reggeva il cono e improvvisamente allargò gli occhi.

“Hai tolto il gesso! Come stai adesso? Ti fa ancora male?”

Tobio seguì il suo sguardo fino all’avambraccio coperto dal cappotto, finalmente libero dal rivestimento bianco e, suo malgrado, percepì una cocente fitta al petto.

“No… cioè sì, a volte. Non è un problema”
“Ma è normale?” insistette Jun arcuando un fine sopracciglio.

Il corvino sospirò internamente, raccontando in breve di come Kinoshita-sensei gli avesse spiegato che per ripristinare la normale forza muscolare avrebbe dovuto frequentare alcune sessioni di fisioterapia dove poter svolgere alcuni esercizi con l’aiuto del medico ma di come lui non avesse né il tempo né minimamente la voglia.

“Sei proprio cocciuto, eh. Se te l’ha raccomandato un dottore dovresti affidarti ai suoi consigli” osservò saggiamente Jun.
“In questo momento non voglio avere nulla a che fare con i medici” sbottò perentorio, assestando un morso alquanto veemente alla povera pallina di gelato.

Lo studente increspò la fronte, interdetto.

“Che ti hanno fatto di male?”

Tobio rimase in silenzio.

Contemplò per qualche minuto il panorama davanti a sé, puntellato di giubbotti e giacche pesanti atte a proteggere le gracili sagome saltellanti che riempivano il parco di urletti e risate.

Si rese conto che la scena non fosse poi così differente da quella che aveva scoperto all’interno del reparto di Hinata.
L’unica dissomiglianza ricadeva nel fatto che le teste di quei bambini fossero completamente calve e i loro corpi fossero protetti da lunghi camici candidi.
L’atmosfera gioiosa e calorosa che si respirava, tuttavia, era la medesima.

“È solo che… ne ho avuto abbastanza. Di dottori, ospedali e tutto il resto” pronunciò sommessamente.

“Mmmh” mugolò Jun, mordicchiando il bordo della cialda.
“Sai, sembri piuttosto giù di tono. Problemi a lavoro? O forse no, non mi sembri il tipo dalla depressione facile, piuttosto uno che reagisce con violenza…” rifletté, ignorando l’occhiataccia prontamente riservatagli.
A un certo punto si illuminò.
“Come va con il tuo amato rosso? Hai ascoltato il mio consiglio? Hai scoperto dove vive?”

I cauti movimenti del corvino si congelarono.

Jun inarcò entrambe le sopracciglia.

Svariate immagini straordinariamente vivide fluttuarono nella mente di Tobio.

Nikuman caldi e profumati, un pigiama a righine azzurre, un pappagallo dispettoso, partite di pallavolo in sottofondo, un appartamento soleggiato, un lieve bacio sulla soglia…

Cos’era quella sensazione pulsante che percepiva in prossimità dello stomaco?

Di giornate come quella…
Ne avrebbe bramate di più.

Di più.
Di più, di più, di più…


“Sto dicendo che sarebbe opportuno chiuderla qui”


“Tra noi…”

Cosa c’era stato davvero tra loro?
Assolutamente nulla.

Non…
Non erano mai stati una coppia.
Non avevano mai fatto sesso.
Non avevano mai condiviso…

Per l’ennesima volta serrò i suoi ribelli e impropri ragionamenti dietro la porta blindata che impediva al suo inconscio di infettare la sua perfetta e sistemica esistenza, seppur ormai svariati  pensieri e considerazioni appartenessero al suo sé cosciente.

Ciò che ignorava, tuttavia, era che le cerniere di quei cardini fossero oramai completamente usurate.

“Non c’è più nessun rosso”

Jun lo squadrò in modo scettico, ruotando il torso e posizionandosi a gambe incrociate proprio dinanzi il suo profilo.

“Allora è per questo che sei di cattivo umore, è successo qualcosa tra voi”

Tobio continuò imperterrito il suo mutismo, sbocconcellando il gelato prima che si sciogliesse.

“Non è che per caso questo rosso misterioso è un medico?”

Il legale quasi si strozzò con il boccone.

Perché era perennemente circondato da gente problematica?!

“Ci ho preso” gongolò divertito il ragazzo.
“Hai deciso di mollare solo perché non riesci a capire i tuoi sentimenti per lui?”

Okay, adesso Tobio lo fissava sconcertato.
Come diamine faceva a ricordare…?

“Ehi, non guardarmi così. A differenza tua, probabilmente, io ascolto ciò che mi raccontano le persone. Soprattutto quelle che sembrano interessanti come te” rispose con una linguaccia.
“Allora? La situazione si è fatta troppo difficile? Pensavo fossi più combattivo e testardo di così” lo provocò inclinando la testa, terminando il suo cono in un singolo morso.

Per quanto Tobio avrebbe desiderato reagire con l’usuale irruenza, scoprì di non averne la forza.
Si sentiva completamente… svuotato.

“Non si tratta di arrendersi o meno” proruppe corrucciato.

Lui, gettare la spugna?
Il suo vocabolario non prevedeva l’esistenza di un concetto simile.

“È stato stupido anche solo pensare di approfondire la nostra conoscenza. Lui non è assolutamente adatto a me e…”

Deglutì faticosamente un grumo di saliva.


Per: Akaashi Keiji
“Buonasera Akaashi… scusami per l’orario… e per non averti risposto così a lungo. Vorrei chiederti se, per caso… sai come sta Hinata”


Da: Akaashi Keiji
“Mentirei se ti dicessi che sta bene. Va avanti, come fa sempre e ha sempre fatto”



“E io non lo sono per lui”


“Tanto non saresti cambiato comunque!”


“Ma va benissimo così” aggiunse in tono lapidario.
“Non posso permettermi che situazioni e pensieri futili mi distraggano e rischino di rovinarmi la carriera. È stato meglio troncare prima che la storia potesse proseguire”

Jun dedicò qualche minuto a studiare il viso spento del corvino.

“Hai deciso di restare solo, quindi?” chiese in tono fioco, quasi in un sussurro.


“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio… ti ritroverai solo. Completamente, inevitabilmente… solo”


“Sì” rispose Tobio con ferrea decisione.
“Non c’è niente e nessuno che possa convincermi del contrario. Sono fatto così, fine della storia” sentenziò bruscamente.

Jun si mordicchiò il labbro inferiore.

“Sai… io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo  ma ciascuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto” pronunciò con devastante semplicità.

La fugace immagine di Bokuto e Akaashi, fianco a fianco con due teneri sorrisi scolpiti sui volti, comparve per diversi istanti davanti alle sue pupille.

Trasmettevano un forte senso di… indispensabilità.

Un termine a lui ignoto, eppure su cui aveva talvolta fugacemente e vergognosamente riflettuto.
Essere indispensabili per l’altro e viceversa.
Kuroo e Kenma…
Anche loro, in una certa misura, apparivano tali.

Da mesi si interrogava contritamente sulla recondita eventualità in cui persino lui avesse necessità di qualcuno di… imprescindibile.


“Sono contento, Kageyama. E’ la prima volta che… vedo un’emozione forte in te che non sia rabbia o frustrazione. Sono felice che Shoyo ti faccia bene”


“Ti sbagli”

No.
Ecco la folgorante e inequivocabile risposta.

Lui non aspirava a diventare, per quanto li stimasse e rispettasse, come loro quattro.

Il suo unico e inimitabile modello di vita… era sempre stato Oikawa-san.
E Oikawa-san si ergeva imponente, solo e inaccessibile sulla vetta della più maestosa fra le montagne.

“Dipendere da un altro individuo è una debolezza. Significa non riuscire mai a cavarsela con le proprie forze” lo contraddì con accanita enfasi.

“Forse hai ragione” sospirò malinconicamente Jun, accasciandosi sulla spalliera della panchina e puntando gli occhi turchesi contro il cielo tendente al rossastro.
I raggi solari lentamente calanti all’orizzonte tingevano le sue iridi di una tonalità cristallina e gli coloravano graziosamente le gote.

“Come… come vanno le cose per te?”

Lo studente sbatté le palpebre, colto in contropiede.

“Oh… non c’è male direi” ridacchiò, improvvisamente impacciato.
“Si è concluso il primo trimestre e gli esami sono imminenti, trascorro quasi tutto il giorno a studiare” lo informò in tono lamentoso.
“Quando metto il naso fuori di casa cerco di distrarmi come posso. Sai, ceno fuori, bevo con amici…”

Si interruppe, scoccando un’occhiatina in tralice al legale il quale, nonostante l’espressione impenetrabile, pareva ascoltarlo con placido interesse.

“O vado nei night club” concluse con voce sottile.

Il sopracciglio di Tobio si sollevò.

Jun emise un flebile sbuffo.

“Sto cercando di non andare a letto con gente che non è davvero interessata a me” si difese.
“Ma è difficile” pigolò con un broncio accennato.
“Io non ho detto nulla”
“Te lo si leggeva in faccia”

Tobio emise un minuscolo suono divertito.

Non riusciva a scovare una spiegazione logica, tuttavia c’era qualcosa in quel ragazzo che lo attirava in maniera inspiegabilmente peculiare.
Sebbene il lato estetico giocasse un ruolo determinante, la ragione non ricadeva su un dato talmente ininfluente.  
Era come se esistesse una sorta di filo anomalo che lo legava a Jun, che lo spingeva a voler… parlare, in un certo senso, con lui.

In fondo, si trattava della prima persona a cui aveva rivolto intenzionalmente la parola dopo più di un mese.

Aveva apertamente rigettato i tentativi di avvicinamento dei suoi conoscenti e pseudo amici, ciononostante dinanzi all’opzione di un semplice e banale incontro con il ragazzino… aveva accettato senza riflettervi troppo.
Forse, persino con una punta di sollievo.

Lo sbigottimento maggiore però riguardava l’apparente coinvolgimento con il quale ascoltava ciò che Jun aveva da dire.
Di solito non gliene importava granché.
Forse perché nonostante la giovane età possedeva un’acutezza fuori dal comune?

“Vorrei davvero trovare qualcuno che veda oltre il mio aspetto fisico” commentò debolmente con un timbro venato di tristezza.
“Ma sembra un’operazione praticamente impossibile”
“Se sei interessato a una relazione seria ti sconsiglio di frequentare quei locali” suggerì Tobio, suscitando la curiosità di Jun.
“Tutte le volte che vado in un club… o, beh, se è per questo anche in un gay bar, il mio unico scopo è incontrare qualcuno di mio gusto che possa soddisfare le mie esigenze. Non penso minimamente a conoscere la persona in questione” andrò dritto al punto.
“Beh, immagino che in molti adottino lo stesso stile” sospirò Jun, arruffandosi i capelli ondulati.
“Dovrei iniziare a frequentare i gay bar solo per me stesso, per divertirmi senza la necessità di tornare a casa con qualcuno che l’indomani non si ricorderà nemmeno il mio nome…”

Si arrestò, tentando di riprendersi dallo stato di autocommiserazione in cui era inaspettatamente piombato.

“Però mi ritengo parzialmente soddisfatto, questo mese sono migliorato!”
“Non è che devi convincere me della verità dell’accaduto” constatò il corvino, mandando giù l’ultimo morso del suo cono.
“Quando tu sei il primo a non credere alle tue stesse parole”

All’udire quella frase, Jun apparve visibilmente abbattuto.

Tobio corrucciò la fronte, vagamente conscio dell’aver pronunciato, per la milionesima volta, qualcosa di sbagliato.


“Penso che il tuo atteggiamento scostante abbia sempre scoraggiato le persone ad avere una relazione più profonda con te, no?”

“Dovresti lavorare seriamente sulla prossemica e fare uno sforzo per comprendere gli altri”



Inalò un profondo respiro.

A cosa gli sarebbe giovato instaurare una relazione migliore con il prossimo se il suo destino prevedeva un’ineluttabile solitudine?
Che senso aveva rammollirsi in un mondo che premiava la forza bruta?

“Voglio dire…”

Assottigliò gli occhi e aggrottò le sopracciglia, sforzandosi fisicamente per reperire le parole maggiormente adeguate.

“Cerca di trovare una persona con cui passare del tempo in maniera diversa. Non c’è qualcosa che ti piace fare?”

Jun lo guardò soprappensiero.

“Oltre a spendere il mio tempo in laboratorio… ho sempre adorato pattinare. A Nagano, nella mia città natale, andavo quasi ogni pomeriggio al pattinodromo anche solo per un’oretta. Mi rilassa tanto e mi permette do ricaricare un po’ le batterie”
“Qui a Tokyo ce ne saranno diversi” osservò Tobio.
“Potresti incontrare gente nuova”
“Non è che non ci abbia pensato, è solo che… tra lezioni e studio individuale finisco sempre tardi, non so se effettivamente troverei qualcuno che si alleni nella mia fascia oraria… quindi ho sempre preferito fare qualche giretto nel campus dell’università, dove però non ho mai notato nessuno con i roller” spiegò un po’ abbacchiato.
“Quindi l’unico modo per svagarsi o comunque imbattermi in ragazzi nuovi è andare in locali notturni”
“Ma l’università non è piena di gente da poter conoscere?” domandò il legale, seppur lievemente titubante.

Del resto, non é che per lui il periodo universitario fosse servito ad allargare il suo cerchio di contatti.
Semmai per peggiorarli… ad eccezione di Akaashi-san.

Jun gonfiò le guance.

“Non mi piacciono i miei coetanei. Vorrei incontrare qualcuno di più maturo… come te, per esempio” cinguettò amabilmente.
 
Tobio parve riflettere per qualche minuto, ignorando l’ostentato sbattimento di ciglia del ragazzo. Infilò la mano in tasca, accarezzando distrattamente il cellulare.

“Se vuoi posso darti l’indirizzo mail di un mio… conoscente. Lavora come personal trainer e istruttore di atletica in due palestre, di cui una è tra le più grandi della città”

Jun allargò gli occhi, sorpreso.

“Puoi spiegargli le tue esigenze, è un tipo molto… allegro e disponibile. Non farti problemi a parlare con lui” minimizzò, recuperando l’iPhone e cercando il contatto lavorativo di Bokuto, condividendolo nella chat con Jun.

Il giovane continuò a squadrarlo con stupore per poi, all’improvviso, aprire il viso in un dolce sorriso timido.

“Grazie mille, Kageyama-san. Lo contatterò di certo”

Dopo aver memorizzato la mail dell’amico del legale, si rivolse a lui con espressione elettrizzata e domandò “Frequenti anche tu queste palestre?”
“Ho un abbonamento annuale alla Work Out, l’impianto sportivo in cui Bokuto-san lavora da più tempo, ma ci vado sporadicamente. Preferisco correre per conto mio”
“Sei proprio un lupo solitario” commentò con un sorrisetto Jun, osservando i lampioni del parco accendersi all’unisono per contrastare l’imbrunire del cielo.
“Speravo di poterti beccare, qualche volta” mugugnò con una lieve smorfia sulle labbra piene.

Tobio aggrottò le sopracciglia, alquanto perplesso.
“Perché ci tieni tanto a incontrami?”

Jun emise uno sbuffo ironico.

“Perché forse non mi dispiace trascorrere il mio tempo con te?”

Lo sguardo scettico che gli rimandò il legale lo fece grugnire esasperato.

“Sentire delle opinioni sincere ed imparziali è una ventata di aria fresca. Sono fin troppo abituato a persone leziose che cercano solo di guadagnarsi il mio favore. Preferisco il tuo essere scontroso e arrogante alla loro superficialità”

Si strinse la giacca alla vita, iniziando a percepire il freddo della sera insinuarsi tra gli spiragli di stoffa.

“E poi, anche se non sei di tante parole, discutere con te è piuttosto interessante. Sei testardo e non vuoi ascoltare altre opinioni… però io credo che qualcosina ti entri in quella tua bella testolina” aggiunse con una linguaccia, balzando su dalla panchina e mettendosi l’ingombrante zaino sulle spalle.
“Si è fatto tardi, è meglio che mi inizi ad incamminare verso casa”

Tobio lo imitò e a quanto pare fu un’iniziativa generale poiché in lontananza si udirono le voci di alcune donne e uomini esclamare “Si è fatto buio bambini, si torna a casa” a cui risposero accorati lamenti e suppliche per rimanere giusto qualche altro minutino.

“Alla prossima?” scherzò disinvoltamente Jun, piegando in alto le labbra ma lasciando intravedere una timorosa aspettativa.

Ancora una volta, Tobio non comprese l’esatta ragione per cui la prospettiva di rivedere quel ragazzino non fosse interamente spiacevole.

“Alla prossima” ripeté goffamente, ricevendo in cambio un sorriso a trentadue denti e un cenno della mano prima che Jun voltasse la schiena e si affrettasse probabilmente in direzione della fermata della metropolitana più vicina.

Un bel sorriso senza dubbio, timido e amabile…

Che però, sfortunatamente, non combaciava con quello dei suoi più oscuri e intimi desideri.



Diversamente dall’ordinario, Tobio non si apprestò a fermare un taxi.

Incominciò a vagare senza meta fra le strade affollate della metropoli, prediligendo sentieri maggiormente quieti e defilati.
Si rese conto, dopo almeno mezzora di cammino, di essere inconsciamente giunto in prossimità del tribunale.
A spiccare ai suoi occhi non fu tanto l’architettura peculiare dell’edificio quanto la massa di giornalisti, addetti ai lavori e semplici curiosi affollati sulla strada proprio dinanzi l’imponente scalinata dell’ingresso.
I lampioni sparsi lungo i marciapiedi e le luminarie natalizie rischiaravano l’area, rivelando schieramenti di forze armate a protezione della soglia.

Precauzioni più che naturali.
In fondo, all’interno di una delle aule sedeva il figlio di uno dei più potenti boss mafiosi della città.

Tobio guardò l’orologio da polso.

Il verdetto doveva essere ormai agli sgoccioli.
Non avrebbero impiegato parecchio ad annunciare l’esito in diretta.

Squadrando le persone che accalcavano il passaggio riuscì a distinguere alcune teste vagamente familiari, appartenenti in toto ad avvocati conosciuti negli anni.
I colleghi del Kitagawa Daiichi non esageravano di certo a definirlo un processo da non perdere e, purtroppo, i posti all’interno della sala processuale erano limitati.

Uno strano senso di irrequietezza gli impregnò lentamente gli arti.


“Stai andando in tribunale per cercare di vedere Oikawa-san?


Credeva di aver risposto alla domanda di Kindaichi con sincerità.
Ovvero, non lo sapeva ancora.

Tuttavia, in piedi davanti alle porte del tribunale, si rese lucidamente conto di quanto avesse agognato quel momento, tanto da spingere il suo inconscio ad assegnare un significato al suo vagare disordinato fino a condurlo lì, nel luogo in cui anelava segretamente trovarsi.

Non poteva assistervi dal vivo, ciononostante poteva percepire l’atmosfera tesa e febbricitante che attorniava quel processo, il senso di sfibrante attesa tra le due parti ancora ignare del risultato, il brivido d’eccitazione pregno di adrenalina che solo quel lavoro poteva procuragli, per cui lui viveva e aveva sempre vissuto.

Dio, cosa avrebbe dato per osservare Oikawa-san all’opera nella sua forma migliore.
Una brama talmente forte, eppure così irrealizzabile.

Non poteva permetterselo, naturalmente.

Non poteva mica trasmettere l’infondata convinzione che morisse dalla voglia di vederlo.
Ammirare la maestria con cui il suo senpai ammaliava la giuria, si districava tra le insidie di un caso contorto, riuscendo ad emergere splendente ed impeccabile.
Udire quel tono conturbante e carezzevole, così fermo e determinato.

Carismatico e irraggiungibile, presuntuoso e incrollabile.
Manipolatore nato, falso e bugiardo.

Una forza pura e maestosa…

Che lui avrebbe presto raggiunto.

Un giorno, vicino, estremamente vicino, lui sarebbe finalmente riuscito a oltrepassare quel vertice splendente da tutti osannato…

Da solo.
Avvolto da un mantello di rovi e pestando una sfilza di cadaveri, lui avrebbe continuato ad avanzare, noncurante del mondo circostante.
Strappandosi di dosso quelle odiose inezie chiamate sentimenti.


“Non è Hinata che ti sta influenzando, Kageyama. Se fossi stato pienamente convinto dei tuoi principi non avresti nemmeno perso tempo con lui. Sei tu che stai soppesando se in effetti Hinata non abbia ragione. Sei tu che stai dubitando di te stesso”


Sì, aveva dubitato.

Aveva ceduto alla schifosa debolezza da sempre detestata.
Si era abbassato al livello… della gente comune.

Ma lui non era una persona ordinaria.

Era un individuo straordinario, ben al di sopra degli altri.
E se la gente non lo avesse compreso…
Poco male.
Soltanto chi fosse dotato di autentico talento avrebbe potuto accettarlo.

Non avrebbe mai più ceduto a compromessi.

   
“Il tiranno dell’ufficio, eh?”


Esattamente.

Lui era un Re.
E un Re non si sarebbe chinato davanti a nessuno.

Avrebbe incarnato ciò di cui tutti lo avevano costantemente accusato.
Sarebbe diventato un sovrano ancor più dispotico, avrebbe scalato la vetta in solitudine seguito da null’altro che il suo ego e capacità…

Uno scrosciare di suoni fragorosi gli ovattò improvvisamente i timpani.

Grida di giubilo e incredulità, applausi concitati e fischi esultanti.
I giornalisti si accalcarono ai limiti del possibile lungo le transenne posizionate dalla polizia mentre dalla soglia del tribunale iniziarono a sfilare gruppi di persone dai volti trionfanti alcuni e inferociti altri.

Sarebbe stato infruttuoso per Tobio unirsi alla calca dunque assottigliò gli occhi e si focalizzò su ogni singolo volto che abbandonava l’edificio, cercando di individuare una riconoscibilissima cascata di morbidi capelli castani.

I reporter bloccarono qualcuno per porre alcune domande ma era evidente che si tenessero pronti per le portate principali.
Alla fine vennero ricompensati quando, quindici minuti più tardi, un’alta e solenne figura apparve davanti le porte girevoli dell’edificio.

Le iridi blu di Tobio, suo malgrado, scintillarono.

Eccolo.

Eccolo lì, in tutta la sua gloria vittoriosa.

Sarebbe stato plausibile provare vergogna, eppure non potè esimersi dal reputarlo… odiosamente meraviglioso.

Postura perfetta ed imperiale, impeccabile nel completo grigio chiaro cucito su misura per le sue gambe lunghe e vita stretta, si ergeva Oikawa Tooru, supponente ed orgoglioso.

In men che non si dica fu circuito da una massa di individui, evitando di essere inglobato dalla folla solo grazie all’intervento di quattro uomini in divisa.
Considerata la notevole distanza che si interponeva fra loro, Kageyama non era in grado di cogliere cosa stesse dicendo però poteva osservare le sue movenze.

Indossava l’abituale espressione calma e saccente, scrupolosamente composta.
I seducenti occhi castani emanavano una sicurezza disarmante, come se avessero saputo fin dal principio che il giudizio sarebbe sopraggiunto in loro favore, e il sorriso lezioso trasudava pomposità.  

Ma in fondo, che importava.
Poteva concedersi il lusso della superbia.
Era autorizzato a credersi invincibile, perché ciò corrispondeva a verità.

Più si perdeva a fissarlo, più percepiva la magnetica esigenza di avvicinarsi per poter essere assorbito dalla sua sfolgorante aura.
Come un satellite in orbita non riuscì a reprimere l’impulso viscerale di parlargli, anche soltanto per  congratularsi.
Era conscio della stupidità di tale bisogno tuttavia, dopo l’imprevisto uragano abbattutosi su di lui negli ultimi mesi, desiderava ardentemente un confronto con un avversario naturale, seppur breve e probabilmente alquanto sgradito.

Decise dunque di attendere lo spontaneo diradarsi della ressa, a cui sperava seguisse l’allontanamento di Oikawa-san dal centro della scena.

Onestamente serbava dei dubbi sulla possibile reazione del senpai dinanzi al suo gesto inatteso.  
Oikawa manifestava apertamente la sua antipatia nei confronti del corvino, l’insolenza con cui lo apostrofava  con quell’insopportabile nomignolo era parecchio evidente.
Ciononostante…

Tobio si sentiva attratto da lui come una falena da una radiosa fonte di luce, noncurante della fatale ustione a cui probabilmente sarebbe andata incontro.



Trascorsero almeno venti minuti prima che Oikawa riuscisse a svincolarsi da giornalisti, addetti stampa, colleghi legali e semplici cittadini giunti fin lì per aggiornarsi sul caso che tanto aveva suscitato scalpore nei media durante il corso dei mesi.

A differenza sua, che avrebbe liquidato la questione in rapide parole stringate, il castano pareva replicare con tranquillità alle domande che gli venivano rivolte e a sorridere amabilmente ai vari commenti, persino i più taglienti, sfoderando costantemente la risposta maggiormente appropriata a ogni contesto.

Dopo diverse pacche sulle spalle e ulteriori complimenti accolti con il solito sorriso affabile, il legale iniziò a distaccarsi dalla calca che parve finalmente disperdersi grazie specialmente al supporto della polizia.

Tobio si spostò celermente dall’altro lato della strada lungo il marciapiede su cui camminava Oikawa, schivando contemporaneamente le persone che ancora si affrettavano fuori dal tribunale.
A circa un centinaio di metri di distanza però si accorse che l’uomo fosse stato per l’ennesima volta intercettato.

Tobio si costrinse a sopprimere un enfatico gemito di frustrazione.
Al suo posto avrebbe già mandato a fanculo chiunque gli fosse capitato davanti, desideroso unicamente di andarsene a casa.

Naturalmente Oikawa non avrebbe mai adottato un simile comportamento scostante.  
Riteneva fondamentale l’opinione della gente e non si sarebbe mai presentato in maniera diversa dal suo ineccepibile sé.                                  

Tuttavia…

Con il dorso appoggiato al bianco muro piastrellato dell’imponente tribunale, Tobio non poté fare a meno di notare che, seppur lievemente, l’espressione di Oikawa-san avesse subito un mutamento.

Tentò di mettere a fuoco il soggetto con cui il legale stava intrattenendo una conversazione.

Era una donna.
Non sembrava un’inviata televisiva, né una collega né tantomeno una delle tante studentesse di Legge divenute sue ferventi fan.
Nonostante non indossasse abiti sciatti, la circondava un’aura di…
Trascuratezza?
Malinconia?
Il viso emaciato, sebbene non avesse ancora raggiunto la mezza età, appariva più vecchio di quel che presumibilmente fosse.

Pareva essere spuntata da un piccolo vicolo, forse un’uscita secondaria dell’edificio, e si era accostata a Oikawa-san invadendo il suo spazio personale, o almeno secondo quanto Tobio ritenesse socialmente accettabile.
Eppure, sorprendentemente, il legale non si scostò e non manifestò alcun desiderio di respingerla.

Estremamente stranito, Kageyama inquadrò attentamente il volto della donna.
Capelli lunghi e scuri raccolti in una treccia bassa, pelle chiara, corporatura minuta.
Una faccia insignificante che si sarebbe potuta confondere tra mille.
Tuttavia, furono i suoi occhi neri a stuzzicargli la memoria.
Pregni di sofferenza e di una determinazione rara…

Oh, ma certo.
Aveva avvistato il suo viso tempo addietro in qualche intervista in tv.

La madre della giovane Hasegawa Misato, seviziata e barbaramente uccisa dal figlio del boss della famiglia Sato.
Sicuramente aveva sfruttato un’uscita defilata per evitare l’assalto dei giornalisti, avidi di accaparrarsi una reazione strappalacrime che valesse la prima pagina di ogni notiziario.

Provò un improvviso moto di vicinanza per Oikawa-san.

Tobio aveva sempre detestato trattare con i parenti delle vittime.
Ci tenevano tanto a ringraziare, si perdevano in moine sconclusionate e scene lacrimevoli.
Ma che razza di senso aveva?
Avevano pagato per ottenere in cambio un servizio, profumatamente per di più.
Perché comportasi come se a lui fregasse qualcosa del loro sollievo o chissà quali altre stronzate?


“Oikawa-san” esordì la signora piegandosi in un inchino, subito intercettata dalle mani del legale.
“Ayako-san, sa che non c’è nessun bisogno”
“E lei sa che è la forza dell’abitudine” rispose con un lieve sorriso.
“Deve essere molto impegnato in questo momento. Mi spiace farle perdere altro tempo dopo tutto quello che…”
“Non lo dica nemmeno. Per lei ci sono sempre” ribatté l’avvocato, scoccandole un candido sorriso.

Dio, Tobio avrebbe volentieri vomitato.
Perché sprecare energie con quel teatrino di disgustosi convenevoli?

Ciononostante, la donna ridacchiò debolmente.
Un po’ di colorito parve persino ritornarle sulle gote pallide.

“So che in aula ho avuto modo di esprimerle i miei ringraziamenti ma la confusione e il baccano successivi alla sentenza mi hanno costretta a essere fin troppo breve”
Raddrizzò la schiena ed inalò un profondo respiro, alzando la testa per fissare il legale dritto negli occhi.
“Due anni fa, Oikawa-san, io ero una donna morta. Una donna che aveva perso ogni ragione di vita e che si sarebbe lasciata volentieri cadere giù da un ponte. Non solo non avrei potuto rivedere mai più il sorriso della mia Misato, non ci sarebbe stato nessuno a poter realizzare l’unica cosa che non avrebbe soltanto dato sollievo alla mia anima, ma anche alla sua. Giustizia”

Tobio inarcò un sopracciglio.

Doveva ammettere che fosse un discorso piuttosto articolato.
Non credeva che qualcuno gli avesse mai rivolto parole del genere.. non che lui lavorasse nel penale, comunque.

“Poi però è arrivato lei” sorrise, nonostante il persistente tremolio del labbro inferiore.
“Un uomo così giovane ho pensato, eppure così determinato. Così sicuro del potermi aiutare che… mi sono lasciata convincere, sebbene avessi gettato la spugna”
Lo guardò con un’espressione calda, quasi… materna.
“E non ha mai smesso di crederci. Non ha smesso di lottare neanche quando le cose si facevano ai limiti del possibile. È sempre stato pronto a offrirmi parole e sorrisi di conforto e, glielo confesso, certe volte mi ha persino ricordato Misato”

Una lacrima scese lentamente dalla sua guancia scavata, delineando la bocca piegata all’insù per poi sparire tra le pieghe della sciarpa.

“Quello che voglio dirle, Oikawa-san, è che grazie a lei io penso di aver trovato un nuovo equilibrio. Senza la sua dedizione e risoluzione non avrei saputo tirar fuori la mia”

Si interruppe per infilare la mano in tasca e pescarvi qualcosa, che poi mostrò al castano dal palmo della mano.

“Si ricorda di questo ciondolo?”

Il legale annuì, sorridendo affettuosamente.
“Come potrei dimenticarmelo, è stato con lei ogni giorno in questi due anni” commentò sommessamente, avvicinando le dita per sfiorare la catenella dorata al cui centro spiccava un coloratissimo mappamondo.

La signora Ayako contemplò il prezioso oggetto per qualche istante prima di proseguire.

“Il più grande sogno di Misato era viaggiare. Vedere il mondo, scoprire culture diverse e imparare a conoscere ciò che non riusciamo a comprendere. Purtroppo…”

Un silenzioso singhiozzo scosse le sue spalle esili.

“Purtroppo il mondo le è stato strappato via a soli diciannove anni. Però… perdoni gli sproloqui di una mamma, Oikawa-san. Nel suo bel viso ho sempre ritrovato qualche dettaglio di mia figlia. Anche lei aveva delle adorabili fossette alle guance quando sorrideva, così come l’intensità dello sguardo” sorrise tra le lacrime, poggiando delicatamente la collana sul palmo del legale.
“Per questo vorrei che lo conservasse lei”

Gli occhi bruni di Tooru si ingrandirono a dismisura.
“No Ayako-san, io non posso…”

“Sì che può” lo contraddisse in tono fermo, stringendo la mano di Oikawa con la sua.
“È un oggetto che desidero tenga lei. Non per ricordarsi di me, non sono così presuntuosa, ma per rammentarle di essere sempre la persona meravigliosa che è. Con lei sono riuscita a ritrovare la forza e determinazione della mia Misato… adesso, però, è giunto il momento di lasciarla andare. Ho scoperto una dimensione in cui il mio tormento riesce ad affievolirsi ed è stato proprio lei a incoraggiarmi, lei mi ha spronata a prendere parte al gruppo di supporto per le donne vittime di violenza. Ho ritrovato uno scopo nella vita… e non so mai come potrò ringraziarla”

Oikawa appariva completamente a corto di parole, l’espressione sorridente del volto incrinata e instabile.

“Ho fatto solo il mio lavoro, Ayako-san”  

La donna scosse dolcemente la testa, scrollando le lacrime che avevano continuato a calcarle silenziosamente il viso.

“No, Oikawa-san. Ha fatto molto più di un semplice lavoro”

Con le labbra ancora dischiuse il legale non ebbe la prontezza di ribattere poiché percepì due braccia sottili circondargli il dorso.
“Le auguro davvero il meglio”

Dopodiché, leggiadra come una foglia autunnale, con un ultimo piegamento del dorso e un sorriso sincero sul volto umido, la donna voltò la schiena e si incamminò lentamente lungo l’opposto marciapiede.

Oikawa rimase immobile, i piedi incollati al suolo, fissando la mano su cui era adagiato il dono della mamma di Misato.

Per quasi tutta la durata della conversazione aveva mantenuto un’espressione rilassata, seppur pregna di apparente empatia.
Tuttavia…

Imprevedibilmente, quella studiata maschera cesellata appariva orribilmente crepata.

Un’atmosfera anomala incombeva su Oikawa-san e Tobio non seppe interpretarne l’origine.

Credette persino di scorgere un leggero tremolio attraversargli le spalle ma fu celermente e abilmente domato.
Dopo un paio di minuti di completa stasi, il legale raddrizzò sinuosamente la schiena e si incamminò quietamente verso la monumentale area verde a poche centinaia di metri dal palazzo di giustizia.

Tobio proseguì a passo lento, titubante sul da farsi.

A causa di quel bizzarro incontro Oikawa-san sarebbe stato di cattivo umore?
Valeva la pena continuare a seguirlo?

Cazzo, si stava comportando come uno stalker.

Le occasioni future in cui potersi casualmente imbattere erano piuttosto ridotte…
Doveva prendersi di coraggio in quel momento.

Si era recato fin lì con quella precisa finalità, no?
Chissà, forse Oikawa-san avrebbe persino apprezzato i suoi sinceri complimenti.
Anche perché, per quanto apparisse assurdo… lo erano davvero.

Con rinnovata fiducia accelerò l’andatura, individuando nuovamente la schiena del senpai addentrarsi fra alcune querce.
Prima che potesse sparire dalla sua visuale aprì la bocca per attirare la sua attenzione, quando…

“Iwa-chan”

Aguzzando la vista, si accorse che Oikawa-san non fosse da solo.

Un uomo poco più basso ma decisamente più imponente, dalle spalle larghe e corti capelli scuri si ergeva proprio dinanzi a lui.

Rischiarato della luce calda dei lampioni, Tobio lo riconobbe.

Si trattava del ragazzo che ai tempi dell’università, sebbene non frequentasse il loro corso, aveva avvistato qualche volta assieme ad Oikawa-san. Inoltre, capitava fosse nominato da Bokuto-san poiché era un assiduo frequentatore della palestra in cui lavorava.  
Guardandone i bicipiti possenti capiva perché avesse fatto tanto colpo sul personal trainer.

Tuttavia, fu un dettaglio in particolare a sbigottirlo, paralizzandolo nei suoi movimenti.

La voce con cui Oikawa-san aveva pronunciato quel nomignolo buffo…
Era completamente svuotata dell’affettata sontuosità udita fino a pochi minuti prima.
L’intonazione artificialmente melliflua e la smodata sicurezza avevano ceduto il posto a un sospiro stanco e… intimo.

Non credeva di aver mai sentito il senpai rivolgersi a qualcuno in maniera simile nel corso degli anni in cui avevano lavorato e studiato assieme.

Avvicinandosi fino a stagliarsi esattamente davanti il volto dell’avvocato, Iwaizumi sollevò le labbra in un sorriso sghembo, distendendo l’espressione intrinsecamente severa.
“Tooru”

Fu questione di un semplice attimo.

Descriverlo logicamente sarebbe stata un’impresa irrealizzabile.
Prima ancora di produrre un singolo suono, l’impeccabile aura inaccessibile, maestosa e boriosa di Oikawa-san… si era inaspettatamente e completamente dissolta.

L’inappuntabile postura eretta si accasciò, spiegazzando l’inamidato blazer grigio.
Le spalle si inarcarono in avanti e…
La testa, quell’odiosa bella testa dai lineamenti scolpiti e aggraziati, si piegò verso il basso.

Fu uno scenario… terrificante.
Assolutamente, totalmente agghiacciante.

“Sei stato bravo”

Iwaizumi sollevò la mano e avvolse la guancia morbida di Tooru, strofinando delicatamente il pollice sulla guancia rosata.

“Sei stato bravo, Tooru”

All’udire tali parole genuine, Oikawa depositò letteralmente la sua intera massa corporea sull’uomo dinanzi a lui, afferrandogli le braccia come se fossero l’ultimo saldo appiglio prima dello sconfinato abisso.

“Hajime…”

“Sei stato perfetto lì dentro, dovevi vedere le facce degli avvocati della difesa e di Sato” ridacchiò Iwaizumi con leggerezza, appoggiando la fronte su quella dell’altro.
“Così come quella di Ayako-san” aggiunse con un lieve sussurro, rafforzando la presa sul suo viso.
“Ci hai sentiti?” domandò Oikawa, stringendo ancora nel palmo l’inestimabile ciondolo colorato.
“Non mi sono messo ad origliare ma ho afferrato il concetto” rispose, scollando la mano del legale dal suo gomito e scoprendovi il mappamondo smaltato.
“È davvero bello” commentò delicatamente.
“Starebbe proprio bene sul tuo collo…”

“Pensavo di fallire”

Oikawa avviluppò le mani negli avambracci di Iwaizumi in una morsa inscindibile.

“Ero convinto che… che non sarei riuscito a darle pace”

La sua espressione era persa nel vuoto e le sue parole sussurri malfermi, stremati.

“Che tutto il lavoro di questi anni sarebbe stato sprecato”

Affondò il volto nel petto del moro.

“Sentivo i loro occhi bruciarmi la pelle. Sembravano tutti dei famelici avvoltoi in attesa di un mio errore e…”

“E invece sei stato perfetto” lo bloccò fermamente Iwaizumi, infilando le dita tra i vaporosi capelli color cioccolata.
“Non riusciresti a commettere un errore nemmeno volendolo” lo canzonò bonariamente.

Tooru emise un tenue sbuffo e risollevò la testa.

“Non posso credere che ce l’abbia fatta” mormorò.
Le sue spalle furono colte da un tremito incontrollato.
“Che nonostante tutto io… io…”
“Hai mostrato agli stronzi che non avrebbero scommesso uno yen su di te quanto vali” terminò il moro, posizionando le mani sui fianchi del ragazzo, le cui iridi erano immobilizzate sul ciondolo laccato.

“Non so come sia riuscito a non crollare”

Iwaizumi prese gentilmente la catenella e la mise attorno al collo di Oikawa, carezzando il mappamondo che pigiava sulla cravatta blu.
“Non so nemmeno come abbia fatto a sorriderle dopo tutto quello che ha dovuto sopportare”

“Sei stato forte per entrambi” replicò semplicemente Hajime.

Tooru sbatté le palpebre diverse volte, fissando il petto di Iwaizumi come se potesse trapassarlo con lo sguardo.

“È davvero finita”

Rimase in silenzio per svariati minuti per cercare di metabolizzare il significato di quanto constatato, percependo flebilmente i palmi di Hajime che gli carezzavano le braccia.
Poi, lentamente e finalmente, raddrizzò il capo, ancorando gli occhi in quelli verdi del moro.

“Sono… stanco” bisbigliò insperatamente.

“Mi sento sfinito, come se… come se non avessi più alcuna riserva d’energia” balbettò debolmente, nascondendosi il volto con le mani e incassando la testa tra le spalle.
“È stata così… è stata così dura”
Un tremolio nervoso s’impossessò della sua voce.
“In certi frangenti sembrava che il dolore di Ayako-san mi piombasse addosso e non fossi in grado di scrollarmene”
“Tutte quelle ore trascorse a ricostruire la scena del delitto, tutti quegli interrogatori interminabili, tutti quei video atroci delle violenze che ha dovuto subire la povera Misato-chan…”

Un singhiozzo sfuggì impavidamente dalle mani che tentavano di soffocare ogni suono.

“È stato così difficile trattenere tutto per talmente tanto tempo…”

Tooru sembrava desiderare ardentemente svanire, rannicchiandosi su se stesso in posizione fetale.
Tuttavia, Iwaizumi non gli concesse margine d’azione.

“Non devi più trattenerti, Tooru” asserì con tono fermo ma gentile, scostandogli le dita dal viso e afferrandogli la nuca con le sue.
“Adesso è il momento di smettere di fingere. Sono qui per questo, non credi?” commentò con un mezzo sorriso ironico che, però, parve provocare nel legale una reazione opposta poiché l’autocontrollo che ancora faticosamente deteneva si sgretolò da cima a fondo, rivelando copiose lacrime che sprizzarono giù dalle sclere.

“Iwa-chan” riuscì solo a guaire prima di collassare fra le braccia dell’uomo, che lo strinse a sé e gli vezzeggiò dolcemente i capelli.
“Mi sono fatto coinvolgere troppo” farfugliò a stento fra i singulti, seppellendo il capo nel collo di Hajime.

Iwaizumi però, di tutt’altro avviso, scosse energicamente la testa.

“Ognuno di noi ha il diritto di crollare. Non puoi essere costantemente perfetto, per quanto tu lo voglia”

Oikawa emise un fioco grugnito imbronciato e Hajime gli scoccò un bacio sulla tempia, trattenendo un sorrisetto.
“Non sei mica una macchina. E anzi, meno male che non lo sei. Che gusto ci sarebbe a toccare del metallo quando ho a disposizione questo” osservò in maniera allusiva, lasciando scivolare la mano premuta sul dorso fino a palpargli giocosamente il fondoschiena, ridacchiando del suo pigolio oltraggiato.

Ciononostante fu probabilmente la strategia migliore da mettere in atto, poiché i singhiozzi di Tooru si placarono gradualmente.

Sollevando timidamente la testa, mostrò il labbro tremolante e le guance bagnate, contornate dai grandi occhi rossi e i goccioloni alle narici.

“Certe volte mi domando cosa farei se non mi fossi accanto” mugugnò, circondando con le braccia il collo di Iwaizumi.
“Sei forte, lo sai. Riusciresti ad andare avanti comunque”

Il viso del legale si corrucciò.

“Mi sembrerebbe di annegare senza di te”
Il moro sfregò il naso contro la sua mascella.
“Te l’ho già spiegato. Non puoi fare mica tutto da solo”

Tooru tirò su con il naso e nonostante fosse un’azione innegabilmente disgustosa strappò ad Iwaizumi un sorriso.

“Dai, smettila di piangere adesso. Sei troppo carino per rovinarti il viso con tutte queste lacrime” snocciolò tamponandogli le gote.
Tooru allargò le palpebre e si lasciò sfuggire uno squittio imbarazzato.
“L’abbiamo detto prima, no? Oggi niente finzioni” ribadì il moro, avvolgendo nuovamente il volto ancora umido di Oikawa e posando le labbra sulle sue.

Tooru rispose al bacio come se ne valesse della propria vita, infondendovi un disperato bisogno di vicinanza, intimità e comprensione.  
Serrò la presa sulle spalle di Hajime, il quale cercò di suggere per quanto possibile ogni traccia di logorata sofferenza dal corpo e dall’essenza di Oikawa.

“Sei la mia roccia, Hajime” mormorò, non appena il mancato apporto di ossigeno ai polmoni lo costrinse suo malgrado a troncare il contatto.
“Lo sei sempre stato” aggiunse flebilmente con un’espressione talmente vulnerabile da togliere il fiato.
Iwaizumi non resistette all’impulso di afferrarlo e spalmarselo addosso, baciandolo finché sul viso non rimanesse altro che la deliziosa espressione scompigliata e arrossata di cui tanto amava compiacersi.

Un importuno squillo acuto, però, li interruppe forzatamente.

Tooru sospirò stancamente, disgiungendosi dal moro e sfregandosi rapidamente le guance con la manica della giacca, accettando il fazzoletto offertogli da Iwaizumi.
“Si nota che ho pianto? Ho la voce nasale?” chiese concitatamente mentre acchiappava il cellulare dalla tasca.
“Ti trema un po’, fai un bel respiro e calmati” suggerì Hajime, prendendogli la mano e stringendola.
Tooru gli rivolse un’occhiata pregna di gratitudine.

Spese qualche attimo a inalare profonde boccate d’aria, ricambiando il confortante tocco di Iwaizumi.
Dopodiché, accettò la chiamata senza ulteriori tentennamenti.

“Salve Irihata-san!” trillò con disinvoltura.
“Nessun disturbo, sono uscito dal tribunale parecchi minuti fa!” continuò allegramente, come se non avesse le sclere ancora infiammate per le troppe lacrime versate.
Come se non fosse appena stato vittima di un crollo mentale.
Come se si fosse trattato di uno scherzo e lui non avesse mai cessato di impersonare l’impeccabile Oikawa Tooru.

Strinse un’ultima volta la mano di Iwaizumi prima di allontanarsi di qualche passo, proseguendo la conversazione e ascoltando probabilmente i complimenti che il direttore dell’Aoba Johsai gli avrebbe rivolto a nome dell’intero studio.


Tobio… non capiva.

Possedeva due occhi, due orecchie e un cervello ricolmo di neuroni.
Era perfettamente in grado di assimilare un concetto, per quanto contorto e ostico.

Eppure, si rifiutava di comprendere.

Paragonando la sua materia grigia a un apparecchio elettronico, si sarebbe potuto affermare che il sistema operativo fosse completamente andato in tilt.
Non si trattava però di un semplice bug, bensì la compromissione dell’intera scheda madre.

Gli input giungevano rapidi e impazziti ma il sistema era impossibilitato ad emettere output.

Perché colui che aveva appena osservato…

Non era Oikawa.

Certo, indossava i suoi connotati, il suo timbro vocale e la sua corporatura.

Ma non era Oikawa Tooru.
Non l’Oikawa Tooru che intendeva lui.

Doveva…
Doveva trattarsi di un errore.

Lui…

Oikawa-san era…

Oikawa-san non crollava.
Oikawa-san vantava una smisurata fiducia in se stesso.
Oikawa-san si affidava unicamente alla sua persona.

Oikawa-san non era debole.

Era il più forte, la persona più granitica e ammirevole che conosceva e…

Non si sarebbe mai azzardato a comportarsi in maniera analoga!!!

Non era quel… quel patetico, lacrimevole uomo apparsogli davanti!

Lui non…


“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"


“Io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo, ma ognuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto”



Lui…
L’uomo di cui aveva testimoniato le azioni…


Era una persona normale.


Oikawa Tooru…

Non era un dio.


“È fottutamente… perfetto”
“Tu che dai del perfetto a un altro essere umano?”
“Non è un essere umano, ti ho detto che è su un altro livello”



Non si distaccava dal resto dei comuni mortali.

Era una persona con…

Con sentimenti e stronzate del genere.

Era una persona qualunque.

L’Oikawa Tooru che immaginava…


“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”


Non…

Esisteva.


Credette di percepire un suono stridente provenire dagli anfratti della sua mente.
Il rumore di un vetro violentemente spezzato.
L’essenza onirica di Oikawa… in frantumi.
Perduta per sempre.


L’Oikawa Tooru che credeva di conoscere risiedeva in un’astrazione… mai concretizzatasi.

La realtà gli era stata spiattellata proprio davanti agli occhi con anni e anni di spaventoso ritardo.
La sua sconfinata e ossessiva ammirazione… si era rivelata una mera finzione.

Oikawa era…

Non si accorse della profondità con cui aveva inconsapevolmente conficcato le unghie nella carne dei palmi, avvertì solo minuscole goccioline dense solcargli la pelle per poi disperdersi in una pioggerellina cremisi e piombare sul terreno.

Oikawa era un debole.

Esattamente come chiunque sul quel fottuto pianeta!!
 
Un debole.

Un debole…


“Tutti hanno il diritto di crollare, Tooru. Non puoi essere sempre perfetto, per quanto tu lo voglia”


Non era vero!!!!!!!!

Non
Era
Vero!

A lui tutto quello non importava, non nutriva assolutamente N U L L A per le persone che lo circondavano e se provava qualcosa non voleva provarlo!

Bramava soltanto la perfezione, divenire un essere intoccabile, distante e distaccato, maestoso e indipendente come…

Come…

Si accasciò a terra, abbandonando il peso della schiena contro il lampione nero che rischiarava le mattonelle grigie.

Come presumeva fosse Oikawa-san.

.  .  .

.  .  .

Tobio…

Si era costantemente rapportato a qualcuno che in realtà non esisteva.

La certezza che Oikawa-san condividesse la natura della sua forza non aveva mai vacillato.

Si era sempre convinto di trovarsi nel giusto… poiché ovviamente Oikawa-san non poteva essere da meno.

Tuttavia, Oikawa-san aveva rivelato un’essenza assai differente, una disuguaglianza tale da provocargli una terrificante ondata di nausea accompagnata da un moto di vertigine, perché…

Oikawa-san…


“Ciò significa che a lei... non interessa davvero che le persone che le si rivolgono riescano ad ottenere giustizia?”

“Il lavoro è lavoro. I miei clienti non sono miei amici”



Oikawa-san somigliava a Hinata.


Si nascose il viso fra le mani, assalito da un tremore febbricitante in ogni singola parte del corpo.

La bomba a orologeria celata nei meandri del suo inconscio, posizionata dietro quella porta blindata pericolosamente cigolante… era finalmente esplosa in un boato catastrofico.

Quel sottile e delicato filo di ragnatela che lo legava all’idea della razionale infallibilità, resistendo stoicamente a ogni brusco strattone…
Era stato facilmente reciso.

Oikawa non aveva finto.

Probabilmente non aveva mai nemmeno simulato empatia con i suoi clienti, diversamente da ciò che Tobio aveva sempre supposto.

Incrollabile dinanzi al mondo…
E assurdamente fragile nel privato.

Privato.

Tobio aveva peccato di superbia ritenendo di conoscere il suo senpai dentro e fuori l’ambito lavorativo.

Aveva pensato che…
Aveva sperato, anzi, che la vita di Oikawa fosse affine alla sua.
Che esistesse al mondo un essere umano che potesse giustificare il glaciale schematismo che imperniava il suo io e approvasse il fervente motto per cui la forza non necessitasse alcun affidamento esterno.


“Certe volte non so cosa farei se non mi fossi accanto”


Che razza di idiota era stato.

Stupido.

Stupido, stupido, stupido.

La nozione stessa di “forza” fino a quel momento reputata sacra si infranse integralmente, dissolvendosi in evanescenti granelli di pulviscolo.

Hinata aveva sfidato le sue certezze immutabili.

Era stato in grado di scuotere le sue fondamenta, puntellando abbastanza in profondità da permettergli d’intravedere uno squarcio sconosciuto di se stesso.
Per la prima volta, quello scricciolo rosso gli aveva mostrato con sommo sconvolgimento la possibilità di esprimere una forza in maniera diversa.

Quei sorrisi che Tobio aveva desiderato polverizzare barbaramente, non racchiudevano un’irritante ingenuità…

E Oikawa Tooru gli aveva assestato il colpo di grazia.


“Non so nemmeno come abbia fatto a sorriderle dopo tutto quello che ha dovuto sopportare”
“Sei stato forte per entrambi”



Sorridere, camuffando il proprio malessere… per incarnare la forza da regalare a qualcuno.


“Lei… non è felice, Kageyama-san?”


Dinanzi a tali stravolgenti rivelazioni…

Chi era, il vero debole?



“Stai bene?”

Il sussulto di Tobio fu talmente vigoroso da provocargli un mezzo infarto.

Un rumore sordo fu il primo dettaglio che percepirono i suoi timpani, precedendo il dolore cocente che gli pervase il cranio a causa dell’impatto con il metallo del lampione per aver sollevato di scatto la testa.

“Merda, scusa non volevo spaventarti”

La prossimità della voce profonda di Iwaizumi lasciava intendere una posizione accovacciata, presumibilmente per accertarsi che il ragazzo seduto sul terreno non si fosse fracassato il cervello.

Tobio scosse cautamente il capo mentre si pressava i palmi sulla nuca.

Era troppo scioccato anche solo per spiccicare parola.

“Sei Kageyama, vero?

Tobio sbatté le palpebre, focalizzandosi sul viso dell’uomo.

Cercò di mettersi lentamente in piedi, avvertendo un lieve capogiro ma sorreggendosi sul fottuto palo della luce con cui stava per perdere ogni briciolo di materia grigia rimastagli, rifiutando il braccio del moro che prontamente si accostò a lui.

“Scusa ancora, è che… ti ho visto seduto qui, immobile, e ho pensato ti sentissi male”

“Io…”

Si schiarì la gola, cercando di camuffare il tono rauco.

“Volevo complimentarmi con Oikawa-san” riuscì solo a biascicare debolmente.

Gli occhi verdi di Iwaizumi si allargarono sorpresi, non rivelando però tracce di circospezione.
“Oikawa al momento sta parlando al telefono, dovrebbe terminare a momenti…”

“Iwa-chan!”

Il provvidenziale trillo del legale sopraggiunse alle orecchie dei due uomini per poi congelarsi di colpo.
L’espressione stanca abbandonò repentinamente i suoi lineamenti in favore di una parecchio scocciata.

Tobio-chan? Che ci fai qui?” domandò in un’intonazione pericolosamente acuta, avvicinandosi  al fianco di Iwaizumi.
“Non è un tantino tardi per vagabondare nei pressi del tribunale? Fai gli straordinari anche a quest’ora?”

“Oikawa” lo ammonì il moro con un’occhiata, distanziandosi però di qualche passo da Tobio.
“Kageyama è qui solo per un motivo” spiegò, scoccando al corvino uno sguardo che sottintendeva un tacito incoraggiamento.

Totalmente scombussolato, come sotto il pesante effetto di qualche allucinogeno, Tobio non sapeva il modo in cui comportarsi.

Aveva tallonato Oikawa-san con l’intenzione di congratularsi…
Per assistere all’infrangersi inevitabile delle uniche certezze della sua vita.

“I-io… volevo solo…”

Gli occhi bruni e lievemente arrossati di Tooru si assottigliarono e iniziò a battere impazientemente il piede.

“Volevo farti i complimenti. Per… per la vittoria, intendo”

A tali parole, Oikawa sembrò sinceramente colto alla sprovvista.

Mi sta prendendo per il culo?” fu il primo razionale pensiero che gli balenò in mente.
Però…

Studiando l’espressione spaesata e quasi sciocca che Tobio gli stava rivolgendo, si sentì di escludere un possibile gesto di beffa.
“Sei serio? Sei venuto appositamente qui solo per dirmi questo?” lo provocò, ignorando il cipiglio di rimprovero indirizzatogli da Hajime.

Tobio avvertiva distintamente ogni singola, sgradevole goccia di sudore freddo solcargli la spina dorsale.
Trattenere il febbrile tremito delle mani, che parevano muoversi a piacimento rispetto alla sua volontà, diventata sempre più difficile.

Nonostante fosse in balia del collasso nervoso peggiore della sua intera esistenza, l’intenzione con cui si era recato fin lì era…

“Solo per questo” mormorò, non riuscendo a ricambiare il suo sguardo penetrante.

Tooru sbatté le palpebre.

Era… davvero sincero, quel mocciosetto.

“E allora perché sembri così spaventato? Guarda che non ti mangio mica” lo canzonò di gusto.

“Oikawa ti ringrazia, Kageyama. Scusalo, è stanco e al momento non ci sta molto con la testa” si introdusse Iwaizumi, fingendo di non udire l’indispettito “Iwa-chan!”.

Tobio era ufficialmente giunto al limite.

Sebbene fosse lui a possedere l’altezza più imponente, sentiva le due presenze davanti a sé incombere come orripilanti giganti.

Aveva bisogno di urlare a squarciagola, vomitare la bile costretta nello stomaco…

“Con permesso” si congedò frettolosamente, arrischiando una celere occhiata in direzione dei due uomini…

E gli unici particolari su cui riuscirono a posarsi le sue pupille furono il rossore che ancora attorniava le sclere di Oikawa e l’intima vicinanza che i rispettivi corpi sembravano condividere, capace di abbattere ogni sorta di sterile spazio personale.

Doveva andare via.
Via, via, lontano da tutto.

Lontano da quella visione che gli ricordava prepotentemente che lui, il perfezionista Kageyama Tobio…

Aveva sbagliato.
Aveva sbagliato proprio tutto.

Su Oikawa-san e, si rese conto con spasmodico sgomento…

Su Hinata.




“Certo che aveva fretta” commentò Hajime, perdendo di vista la sagoma del corvino che sfrecciava ormai distante.

Tooru scrollò le spalle.

“Chissà che gli girava per la testa” borbottò disinteressato, avvolgendo le braccia attorno al bicipite di Iwaizumi e appoggiando la testa sulla sua spalla.

“Pensavo avresti reagito peggio” osservò il moro, strofinando il naso tra i capelli morbidi di Oikawa e piantandovi un leggero bacio.

Tooru sbuffò stizzito.
“Non si merita il mio scherno in un momento come questo”

“Io ho avuto l’impressione che, in fondo, ti abbia fatto piacere”

Tooru si districò da Iwaizumi, increspando la fronte in un broncio petulante e incrociando ostinatamente le braccia al petto.

“Per nulla. Per quale motivo avrei voluto l’approvazione del mio odiato kohai? Se sparisse per sempre dalla mia vista mi farebbe un favore”

Cercò di rimane impassibile allo sguardo di scettica condiscendenza proveniente dall’uomo accanto a lui… per poi emettere un sonoro lamento spazientito.

“E va bene! Forse un pizzichino non mi dispiace, ma solo perché significa che Tobio-chan mi idolatra e non riesce a superare il suo maestro!” esclamò con tono drammatico.
“Può ammirarti ugualmente pur continuando a volerti sorpassare” gli fece notare Hajime ma Tooru scosse la testa, fingendo di non sentire.
“Basta parlare di lui! È stata una giornata infinita e io sono stanco e sopraffatto da tante emozioni diverse” si lamentò con una smorfia.

Un occhio scrupoloso, tuttavia, avrebbe potuto cogliere in quell’espressione insofferente una preponderante sfumatura di vulnerabilità.

Hajime gli circondò la vita con i possenti bicipiti, pressando il torace contro la sua schiena.

Inclinando la testa, baciò la striscia di pelle scoperta dal colletto della camicia su cui dimorava la catenella appartenuta a Hasegawa Misato, adesso parte inconfutabile di Oikawa Tooru.

“Torniamo a casa”











Note finali: pensavate che non mi avreste più vista su questi schermi… e invece vi sbagliavate!
Mamma mia, l’attesa per questo nuovo capito è stata (finora) la più lunga dagli esordi della storia.
È stato un anno piuttosto intenso, purtroppo ho avuto qualche problemino di salute e non ho fatto altro che studiare… ma ne è valsa la pena, dato che a novembre mi sono laureata👩🏽‍🎓.
E, dato che non avrò nulla da fare per qualche mesetto, ho tutto il tempo da dedicare alla conclusione di questa storia che ormai mi accompagna da parecchio tempo.
Ho già pianificato altri due capitoli, di cui il quindicesimo sarà un epilogo.

Tooru è finalmente entrato in scena!
Vi giuro, ho aspettato questo momento da quando ho iniziato a scrivere nel lontano 2017, spero di aver reso al mio bimbo preferito abbastanza giustizia.

Ci tengo nuovamente a sottolineare che non sono assolutamente un’esperta in materia legale, quindi se notate qualche incongruenza non odiatemi troppo.  

Che dire di più, ringrazio voi lettrici e lettori, chi è stato con me fin dagli inizi, chi è arrivato a metà strada e chi si è aggiunto da poco, regalandomi un affetto che mai mi sarei sognata.
Oggettivamente non so quanti ancora avranno voglia di leggere questa storia dato che viene aggiornata in maniera sporadica e discontinua ma vi prometto che a breve sarà conclusa, farò del mio meglio! Soprattutto perché, ripeto, al momento sono ufficialmente libera (alias neolaureata e felicemente disoccupata).

Ci sentiamo presto🍀
Un bacio grande.

Ps. Nel lontano ottobre 2020 chiedevo quale fosse il metodo migliore per comunicare con voi… ma non ho trovato soluzioni. Nel frattempo però mi sono iscritta a Twitter anche se, nonostante sia passato un anno, non ho ancora capito come usare, difatti non ho mai twittato il resto di niente.
Vedrete solo retweet delle mie attuali ossessioni: danmei, bl, mxtx, bingqiu, thousand autumns… e ancora danmei.
Siete avvisati.


 
   
 
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